lunedì 5 marzo 2012

Lucio Dalla. E fu così che tutti cavalcarono "il carro funebre"

Lucio Dalla a Livigno (scattata da mia moglie)
Dal 4 marzo 2012, ed esattamente a 69 anni dalla sua nascita, Lucio Dalla è sepolto nella sua città. Ai bolognesi, ma anche a tanti altri italiani, serviranno molti giorni per capire di non poterlo più vedere negli occhi, di non poter più osservare il suo sguardo dolce regalare un "ciao". Lucio Dalla, il poeta che non si sentiva tale ed a cui piaceva imparare e sperimentare, il poeta del popolo che ha subito aspre critiche dai "sapientoni italiani", quando ha iniziato a scrivere con le sue mani i testi per le sue musiche, se n'è andato lasciandoci una grande eredità, un'eredità fatta di canzoni da comprendere e capire, canzoni che parlano di noi, della nostra società, del nostro stato d'animo, di ciò che vorremmo o non vorremmo essere, di ciò che siamo. Chi ha seguito la sua crescita artistica sa bene come si è sviluppata la sua storia. Sa che, ad esempio, se non avesse incontrato Gino Paoli, a soli 20 anni, forse non avrebbe avuto il coraggio di rischiare ed avrebbe continuato a cantare per i gruppi musicali dell'epoca. Ma l'incontro fra i due ci fu, e Gino Paoli quasi lo portò via di peso dalla band in cui suonava, litigando anche per lui, e credendo nel suo talento lo aiutò ad inserirsi nel circuito giusto, nonostante l'età giovanissima. Un circuito che però gli riservò anche molte giornate amare, tristi e malinconiche, come quando partecipò al "Cantagiro del '64" ed in ogni serata, ad ogni esibizione, si ritrovò letteralmente sepolto da ortaggi e pomodori.

E se negli anni '60 si adeguò alla sua gioventù, al ritmo ed alla musica che piaceva ai giovani, nei primi anni '70 iniziò una collaborazione importante con Roberto Roversi, poeta acculturato della "sinistra pura", e cambiò il suo status seguendo il vento della protesta popolare tramite i testi e le metafore di altri. Il suo problema in quegli anni derivava dal fatto di sentirsi meno bravo con le parole, meno acculturato... appunto. Ma Lucio Dalla sapeva che a restare fermi non si cresce. Che il non uscire dalla nicchia ed il non dire alla gente quanto si vuol dire non significa essere sé stessi. Per cui, dopo una collaborazione eccezionale con Francesco De Gregori, mediata dall'amico Ron perché non priva di problemi (vista la personalità dei due artisti), in cui dalla critica veniva definito: "L'istrione plebeo di strada", mentre De Gregori: "Il principe malinconico e fascinoso", una bella differenza nei termini, decise di non ascoltare più nessuno e di cambiare, nonostante sapesse di attirare su di sé nuove critiche. Infatti all'uscita del successivo 33 giri lo stesso Roberto Roversi pubblicamente dichiarò: "Ha voluto semplicemente essere lasciato in pace a cantare il niente. Sono scelte industriali, non sono scelte culturali"... come se in qualche "testo sacro" sia scritto che la poesia nasce solo ed unicamente in chi ha studiato "ai piani alti".

Ma il suo ex collaboratore non fu l'unico, altri lo criticarono in maniera ignobile per le parole usate in alcuni suoi brani. Costanti nel tempo, infatti, ci furono sui settimanali, specializzati e non, articoli di fuoco. Ad esempio, dopo l'incisione di "Disperato erotico stomp", un criticretino famoso scrisse : "Lucio Dalla, per fare troppo lo spiritoso o per far vedere che soffre, condisce i suoi spaghetti canori miliardari con i luoghi comuni della miseria e del sesso sottoproletario: siamo arrivati al populismo della masturbazione bolognese. Che bisogno c'è di tanti culi, fiche, peli o pippe per mandare un messaggio?". L'intellettuale, che certi linguaggi volgari non li concepiva, sapeva bene che Lucio si rivolgeva al popolo frustrato e rifiutato, come in fondo lui si sentiva in quegli anni, che, al contrario, quel linguaggio lo parlava ogni santo giorno. Quanto infastidiva il criticretino, ed ha infastidito altri come lui, fu proprio il fatto che non scrivesse canzoni per compiacere chi doveva recensire ma per il popolo, che quasi sempre lo ringraziò facendolo finire al primo posto nella hit parade. Ma ai piani alti non gli perdonavano i contratti miliardari e lo chiamarono: "traditore venduto al successo e al denaro".

E dire una cosa del genere significava affermare che le canzoni scritte in quegli anni, come: "Anna e Marco, L'ultima luna, L'anno che verrà, Futura, Cara, Balla balla ballerino, Stella di mare e tantissime altre", non sono nate da una sofferenza o da una gioia interiore, dai suoi dubbi, dalla sua vita o da quelle di chi incontrava, che vedeva ed assorbiva tutti i giorni, ma da una voglia di far soldi. Non che fosse l'unico in quegli anni, anche a Roma non si scherzava con i cantautori di nicchia, tipo Antonello Venditti, poeti destinati per logica, vista la bellezza dei loro brani, a far soldi... in quel periodo era difficile perdonare i trascorsi sotto l'ala protettrice della sinistra, come se al cantare per più persone corrispondesse un rinnegare il passato.

Ma Lucio Dalla l'etichetta se la scrollò nel 1981, pur se snobbato dalla grande informazione, quando pubblicò un Qdisc, erano mini-album derisi al tempo ma incisi da tanti, con sole 4 tracce in una delle quali, usando il linguaggio volgare (ma quando ci vuole ci vuole), alla sua gente, ma anche a chi in quegli anni lo criticava, comunicò di non voler più avere niente a che fare coi partiti ed una verità poi dimostratasi lampante (attuale specialmente ai giorni nostri). Scrisse una canzone di critica e saluto "ai proletari che contavano", intitolata "Ciao a Te", dicendo loro che in quanto stavano facendo non c'erano gli ideali predicati, quelli in cui credeva. Con poche e volgari parole comunicava a quei vuoti a perdere del '68, finiti a comandare un partito enorme, che continuando così i figli degli italiani avrebbero finito per vivere un futuro a 90°, un futuro da "finocchi". E così anticipò i tempi ed avvertì gli italiani che il comunismo era finito, che i nostri figli sarebbero rimasti senza lavoro. Ma i critici di sinistra ci dicono che questo brano parla del rapporto fra padri e figli (datemi retta, hanno finto di non capire). Questa è la canzone:



E fu preso di mira... infatti i "critici" del settore nel 1985 ci fecero sapere che per Lucio Dalla si prevedeva un rapido declino. I poveri illusi si beccarono ciò che fece epoca, "DallAmeriCaruso", e superò i 35 milioni di album venduti nel mondo. Ma a loro non piacque, nonostante le enormi vendite, in quanto l'accostare "arie" così diverse non era sintomo accettabile da chi ama la musica. E ci riprovarono nel 1989, quando ancora previdero il declino. Fu così che nel '90 usci uno dei suoi album più belli, "Cambio", che solo in Italia vendette quasi due milioni di copie. All'interno la famosissima "Attenti al Lupo", scritta da Ron. Ma la canzone più bella, perché intrisa della della sofferenza che la solitudine nell'epoca moderna lascia agli uomini, tutti alla ricerca del solo benessere personale, del dio denaro (così rifiutando i rapporti interpersonali e la vera amicizia), fu di certo "Apriti cuore". Con questa chiedeva a chi la ascoltava di non ragionare solo col cervello...



Ma neppure questa volta andò bene ai critici. "Sempre tutte canzoni uguali", scrissero (ma quando mai!). Ed ancora una volta lo dettero per finito... e lui scrisse una canzone dal titolo "Canzone". Un brano in cui spiegava che scriveva canzoni per parlare della gente, che non ne poteva fare a meno, che nel buio non pensava solo a sé stesso ("ho un materasso di parole scritte apposta per te"), che sperava di continuare a scriverne perché senza canzoni la sua non era vita ("stare lontano da te mi uccide").



Ed anche questa per alcuni era troppo "ricercata". Potremmo andare avanti a parlare per mesi, a dire che negli anni c'è stato sempre chi s'è preso la briga di criticare Lucio Dalla per il gusto di criticare, di dire che quanto incideva era solo un "flop". Il perché non è semplice da spiegare. Forse derivava da un'insieme di concause, dalla sua riservatezza, dalla Fede riscoperta, dal non aver voluto essere uno dei tanti ma uno del popolo, uno di noi. Fatto sta che ad ogni critica ha risposto con un album o con una nuova collaborazione musicale di successo. E da queste si capisce come sia stato amato anche dagli altri cantanti. E se un cantante è amato all'interno della propria categoria, significa che è un grande uomo prima che un artista. Ciò che ora mi disturba, ora che se n'è andato, è che negli ultimi giorni tutti hanno "cavalcato il carro funebre" (perché si è capito cosa significasse Lucio Dalla per la gente comune? Per tante generazioni?), anche quelli che prima scalciavano il cavallo per farlo imbizzarrire. 

Trentacinque album (alcuni in collaborazione con altri artisti amici) in cinquant'anni di musica sono un biglietto da visita importante e difficilmente raggiungibile, un biglietto da visita da presentare alla "Porta di San Pietro" per ottenere un ingresso gratuito. Ma sono certo che non lo ha presentato, che si è avvicinato umilmente al Guardiano del Paradiso e gli ha detto: "Sono uno dei tanti che in vita ha sofferto, se c'è posto mi piacerebbe entrare. Mia madre quando ero un ragazzino mi regalò un clarinetto, lo so suonare abbastanza bene, insomma, credo... se vi farà piacere ascoltare qualche canzone... mio zio era un cantante settant'anni fa ed io me la cavo...". E son sicuro che San Pietro, per ascoltare una sua canzone, gli ha risposto: "Vuoi diventare un Angelo? Per quale motivo?". E Lucio: "Vuoi un motivo? Ascolta e dimmi se ti va bene questo..."


E mi crogiolo nel pensiero che a quel punto si sia alzata una "Voce dall'Alto".

"Fallo passare Pietro, un Angelo così ci manca e ci serve... ascolta tu, Lucio ti chiami vero?, vieni accanto a me... dimmi, ne conosci altre di canzoni..." 


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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Se ne è andato un poeta. Arrivederci LUCIO

Anonimo ha detto...

Ma che bello cio' che hai scritto Massimo :'(
J.

Anonimo ha detto...

A Lucio

Le tue parole sono state musica,
i sentimenti li hanno provati chi le ha ascoltate.


Ciao Lucio, a sempre di questi giorni. Bigi