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venerdì 2 marzo 2012

Arrestato chi ha ucciso Wally Urbini. Quando le indagini si fanno davvero a 360° l'assassino commette errori, si impaurisce e confessa.

Wally Urbini
Cesena, mattina del 23 febbraio, è un giovedì noioso come tutti gli altri in quel punto della città, nel quartiere attorno al Teatro Bonci, accanto ai Giardini Pubblici di Cesena. La zona è tranquilla, la vecchia caserma dei carabinieri, che ha funzionato a pieno regime fino ad un anno fa, ora è in ristrutturazione ed è usata solo per custodire le auto e per rispondere alle chiamate al 112. Si trova in fondo alla strada, alla destra del Teatro Bonci, ed è stata un monito visivo che negli anni ha allontanato la delinquenza. Dalla parte opposta, a specchio con la caserma, si possono trascorrere piacevoli serate in compagnia. Lì si trova un punto di incontro ormai famoso in tutta Italia perché unico, il Teatro Verdi. Un vero teatro ristrutturato, con tanto di palchi platea e palcoscenico, in cui ogni sera si può cenare, o semplicemente fermarsi al discobar, ed in contemporanea seguire spettacoli di cabaret o concerti di cantanti famosi. Per cui la zona di sera e di notte è molto trafficata, meno durante la giornata. Fra la ex caserma ed il Verdi vi sono quaranta metri e tre case abbinate che nel retro guardano un giardinetto. Una rossa, una arancio spento ed una rosa. In quest'ultima abita Wally Urbini, una anziana signora conosciuta da tutti perché per decenni ha lavorato alla AUSL, che vista l'età necessita di avere un aiuto in casa, per questo ha assunto una collaboratrice domestica ad ore. E proprio dalla collaboratrice inizia il giallo che ha come sfortunata protagonista la povera Wally.

Ritorniamo quindi a giovedì 23 febbraio. Manca poco alle nove e la collaboratrice, che ha la chiave di casa, cerca di aprire la porta per entrare, come fa tutte le mattine, ma non vi riesce. Suona il campanello, riprova ad aprire, ma non c'è nulla da fare. Si rivolge alla vicina, una marocchina di 58 anni da venti in Italia, sposata e madre di tre figli grandi, e da casa sua telefona al figlio di Wally, Franco, un uomo molto conosciuto in città perché impegnato sia in campo sportivo che in politica. Mentre lo aspettano riprovano ad aprire, ma quella porta proprio non ne vuole sapere di far scattare le serrature. Sulle nove e mezza il figlio arriva all'abitazione assieme alla moglie, prova ad aprire con le sue chiavi ma non c'è nulla da fare. Visto che sul davanti vi sono le inferiate alle finestre passa dall'appartamento della vicina, si porta al giardino sul retro, poi, dopo aver scardinato una persiana, rompe un vetro ed entra. La scena che si presenta ai suoi occhi, a quelli di sua moglie, della vicina e della collaboratrice domestica, da lui fatte entrare, è drammatica. Sua madre è stesa sotto uno scrittoio della camera da letto, ha una sciarpa attorno alla bocca e diverse echimosi sul volto. Inoltre sulla sua fronte c'è l'impronta di un pugno sferrato da una mano con un anello al dito, segno di una violenza efferata.

A metà mattinata arriva la polizia ed arriva il magistrato, si inizia subito ad indagare e ad interrogare. Ad una prima stima pare che in casa non manchi nulla, tutto è in ordine e nessuno ha frugato nei cassetti, inoltre la porta è chiusa dall'interno a doppia mandata, ed è chiusa anche con la seconda serratura, quella di sicurezza. Non mancano neppure le chiavi che sono tutte al loro posto. Nel pomeriggio, ad una più attenta osservazione, si scopre che non ci sono più 86 euro nel portafogli, tre anellini d'oro di scarso valore e qualche camicia da notte, ma il figlio non sa dire se manchino altre cose. Nella serata ad essere interrogato è proprio il figlio, che resta ore in caserma, ed in un primo tempo le indagini si orientano sulla pista familiare per questioni ereditarie con cifre consistenti, ma non per questo disdegnano altri sbocchi. Per via del pugno violento si pensa a un uomo, ma è difficile credere ad un balordo, nessun segno di efrazione e casa in ordine lo sconsigliano, però altre buone piste, alternative alla più importante, vi sono. Quella dei vicini di casa ad esempio, in zona erano tanti a conoscerla bene, a loro avrebbe aperto la porta, quella della collaboratrice e dei suoi familiari, lei aveva un mazzo di chiavi di riserva, ed anche quella di altri suoi conoscenti e parenti che la frequentavano, perché da subito una cosa è parsa chiara, era stata Wally a far entrare il suo assassino. La procura a questo punto decide di utilizzare diversi agenti e di far pedinare le persone più sospette.

Siamo quindi giunti a venerdì 24 febbraio. Mentre una squadra di polizia si concentra sul movente familiare, i tecnici, seguendo un'altra squadra impegnata nelle indagini alternative, predispongono il posizionamento di cimici e di quanto serve per intercettazioni ambientali e telefoniche. Intercettate sono tutte le persone che hanno avuto a che fare con la donna nei giorni precedenti l'omicidio. Nel frattempo si interrogano per ore anche i vicini di casa e, chiaramente, li si invita a non partire, a restare a Cesena perché devono rimanere a disposizione delle autorità.

Ed arriviamo a sabato 25 febbraio, a 48 ore dal ritrovamento. Dalle anticipazioni dell'autopsia, prontamente svolta, si scopre che la donna è morta il mercoledì sera, che sotto un unghia vi è una minuscola pellicina che potrebbe far suppore ad un tentativo di difesa, e che la causa della morte potrebbe essere asfissia, ma non è da escludere che la paura abbia provocato la rottura del cuore. Una cosa è certa, l'assassino non è un esperto del campo omicidi, visto il modus operandi, visto un capello ritrovato sui vestiti di Wally, e se fa parte delle persone controllate lo si potrà scoprire in fretta, perché nelle prime ore non può aver elaborato un piano, avrà certamente paura di essere scoperto ed è probabile che si tradisca.

Si giunge così a domenica 26 febbraio, a 72 ore dal ritrovamento del corpo. Mentre in procura si continuano ad interrogare i conoscenti della vittima, capita il fatto strano. Una donna, già interrogata il venerdì, scompare di casa allarmando anche i familiari. Lei non era pedinata ma intercettata sì, però ha spento il cellulare. La polizia si accorda col figlio che prova a chiamarla. Quando finalmente risponde gli dice di essere da un'amica, in collina, ma il telefono è sotto controllo e si scopre che in realtà si trova a Bologna. In un'altra telefonata intercettata, la donna dice alla nuora di andare a casa sua e gettare in un cassonetto un sacco di immondizia. La polizia lo recupera, al suo interno gli anelli d'oro ed alcuni abiti della vittima. Nel pomeriggio, anche con l'aiuto del figlio, a poche ore dalla partenza per Casablanca viene fermata con l'accusa di omicidio. Per la Polizia l'assassina è Amina Tourabe, la vicina di casa, una donna insospettabile perché molto conosciuta e ben voluta da tutti, avendo prestato servizio per anni nelle case della "Cesena bene" ed essendosi comportata ogni volta in maniera esemplare. Ma non può essere diversamente, nella valigia vi sono un paio di orecchini e due vestaglie da notte con le iniziali W.U. (Wally Urbini) ricamate sui bordi. La donna non parla, si rifiuta, ma all'avvocato d'ufficio che  la segue durante il primo interrogatorio dice di essere innocente. 

E' lunedì 27 febbraio. Il fermo di Amina Tourabe non chiude le indagini che ora si incrociano per cercare conferme o smentite. A questo proposito la collaboratrice domestica viene invitata a ripercorrere quanto fatto nella mattinata del ritrovamento. Si predispone la porta e la casa per come era e si fanno tutte le verifiche, verifiche che non corrispondono esattamente in quanto la donna fa qualche errore. Ma questi errori, ripetuti più volte, portano ad una unica soluzione: quella mattina la serratura normale l'ha chiusa lei per sbaglio, quindi è probabile che l'assassino sia proprio Amina Tourabe e che abbia chiuso dall'esterno solo quella di sicurezza lasciando le chiavi dell'altra inserite dall'interno. Inoltre altri accertamenti fanno scoprire che la vicina era solita andare spesso a Casablanca, dai suoi familiari, ed era solita fare regali costosi. Ma avendo perso il posto di lavoro a causa di una depressione acuta (dovuta al fatto che un familiare a cui era molto legata dopo un incidente è entrato in coma e vi è rimasto) non aveva più la possibilità di portare gioielli o begli abiti. Ed il viaggio in Marocco era già prenotato perché voleva festeggiare il suo compleanno, passato poi in carcere, con la sua famiglia di origine. Il caso è praticamente risolto ed il Gip Luisa del Bianco ha a disposizione diversi elementi per far vaccillare la donna che andrà ad interrogare il primo di Marzo, non ultimo il movente. A questo punto pare appurato che gli orecchini e le vestaglie le avesse messe in valigia per fare dei regali alle sue parenti.

E siamo al primo di Marzo. Al Gip sono sufficienti quattro ore per scardinare le difese dell'imputata che alla fine confessa. Il movente ipotizzato è quello giusto, ma Amina afferma che il tutto è capitato senza vi fosse l'intenzione di far del male. Dice di essersi presentata in casa della vicina il mercoledì sera per chiederle un prestito di duecento euro, che Wally disse di avere ma di non volergli prestare, che a quel punto sarebbe nata una discussione e sentendosi insultata ingiustamente le avrebbe dato una spinta, spinta che avrebbe fatto sbattere la testa dell'anziana su uno spigolo del letto facendole perdere sangue dal naso. In quel momento ci sarebbero state delle urla e delle richieste d'aiuto. Quindi per farla tacere e non allarmare chi passava sotto le finestre per raggiungere a piedi il Verdi, le avrebbe chiuso la bocca con la sciarpa e soffocata senza volere. Avrebbe poi rubato gli 86 euro che aveva nel portafoglio, le vestaglie ed altri abiti, quelli gettati in un cassonetto. Ha detto di essere uscita prendendo un mazzo di chiavi e chiudendo la porta dall'esterno solo con la serratura di sicurezza. Gli anelli e gli orecchini, invece, li avrebbe rubati la mattina del ritrovamento, la sera non sapeva dove cercarli, dopo aver visto il figlio della vittima controllare se mancasse qualcosa in casa. E nella stessa mattina avrebbe rimesso a posto le chiavi prese la sera precedente ed usate per chiudere la porta. 

Confessione firmata, arresto convalidato, ma indagini ancora in corso per far tutte le verifiche necessarie.

Ora c'è da dire una cosa importante. C'è da dire che la professionalità del Pm, del Gip e dei poliziotti del Commissariato e della polizia criminale, è stata ottima. Questo perché da subito non si è scartata alcuna ipotesi, indagando davvero a 360° ed arrivando a chi non credevano inizialmente essere l'assassino perché da oltre dieci anni viveva nella casa accanto a quella della vittima, senza mai avere avuto uno screzio o creato alcun tipo di problema (ma il cellulare era controllato ugualmente). Chiedetevi cosa sarebbe accaduto se per i primi due giorni tutti avessero puntato gli occhi solo sul figlio (perché non c'era segno di efrazione, perché le serrature erano state chiuse da chi aveva la chiave, perché c'era la questione ereditaria, perché le chiavi erano in casa) perdendo così tempo prezioso. Nessuna intercettazione avrebbe scoperto il sacchetto da gettare nei cassonetti, nessuna intercettazione avrebbe scoperto la fuga della donna, nessun interrogatorio l'avrebbe intimorita ed allarmata e lei sarebbe andata in Marocco col permesso del marito (è scappata proprio perché lui non voleva partisse in quanto la Polizia aveva detto a tutti di restare a disposizione). Ed una volta partita, al suo ritorno nessun oggetto compromettente ci sarebbe più stato nella valigia, dandole così la possibilità di trovare vie di fuga e scappatoie legali.

La Difesa a processo, gliel'avessero mai mandata, poteva dire che il capello sui vestiti e la pellicina sotto l'unghia non dimostravano nulla, dato che la donna si era chinata sulla vittima il giorno del ritrovamento e l'aveva toccata. Così anche eventuali impronte trovate in casa non avrebbero dimostrato nulla di nulla, dovevano esserci perché, anche se non la frequentava abitualmente, era al suo interno il giorno del ritrovamento. Ed il lavoro della scientifica così sarebbe andato perso dimostrandosi inutile per condannare. Inoltre la stessa assassina poteva contrattaccare dicendo che lei le chiavi per entrare in quella casa non le aveva, al contrario di altri che invece...

Ed ecco spiegato il motivo per cui tanti assassini la fanno franca. Le indagine moderne, quelle che sperano nel miracolo del Ris, quelle non coniugate ai sistemi tradizionali (fatti anche di pedinamenti e di interrogatori pressanti programmati nelle 48/72 ore successive all'omicidio o al ritrovamento del corpo), non aiutano gli investigatori. Le titubanze dei Pm, il seguire inizialmente solo la pista più probabile (magari perché c'è stato chi ha raccontato bugie), i personaggi ritenuti marginali ascoltati solo a settimane di distanza, non permettono a chi indaga di avere da subito una visione completa e danno il modo a chi uccide di perdonarsi, di perdere la paura che lo potrebbe far tradire, di ritrovare la calma e rilassarsi, di sbarazzarsi degli oggetti compromettenti e di elaborare una eventuale linea di condotta da seguire, una linea atta a spiegare in modo "chiaro e possibile" le piccole incongruenze che possono sempre capitare nel corso delle audizioni e delle indagini. Tipo il proprio dna e le proprie impronte presenti sulla vittima, sui suoi indumenti o sul luogo dell'omicidio.

D'altronde gli assassini non sono "fenomeni perfetti", anzi chi uccide non è affatto un fenomeno e di errori ne commette sempre tanti. Il problema è che in certi casi c'è chi fa a gara con loro a chi ne commette di più. 

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7 commenti:

  1. Mi chiedo se i casi come questo, dove gli inquirenti lavorano bene, sono piu' frequenti dei casi che non si riesce a risolvere nemmeno dopo anni di indagini...perchè in effetti dei primi si parla poco e niente. Io ad esempio non conoscevo questo delitto
    Rosy

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  2. Non so quanto siano frequenti i casi risolti cosi' brillantemente ma è chiaro che solo facendo le giuste decisioni subito, senza preconcetti e con l'aiuto di menti ben organizzate si ha grandi probabilità di successo. Massimo grazie di questo racconto ben fatto che ci illumina su quanto di buono c'è ancora tra i nostri investigatori.. A proposito di tempismo delle indagini, stai scrivendo per caso qualcosa su Roberta Ragusa? J.

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  3. J.

    Un articolo l'ho pronto, ma voglio attendere ancora qualche giorno perché quello di Roberta Ragusa è un caso atipico con una infinità di sfaccettature e probabili scenari che ancora non riesco ad inquadrare, ma presto qualcosa di nuovo uscirà ed allora, forse avrò un quadro più chiaro, migliorerò l'articolo e lo pubblicherò.

    Ciao, Massimo

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  4. Si sono d'accordissimo Massimo, anche io ho la mia idea, che pero' sento ancora monca di qualcosa, o meglio, che sento potrebbe essere ribaltata completamente da nuovi elementi che non sappiamo, ed è vero che, tutto sommato, i media hanno fatto trapelare pochissimi dati.. Dobbiamo per ora affidarci solo all'analisi psicologica dei "protagonisti" apparsi in tv, che comunque rischia di essere troppo soggettiva. Sono sicura solo di una cosa intanto, dell'omertà di questa famiglia-clan. In attesa di sviluppi su quest'ennesima triste storia, buona domenica.
    J.

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  5. quindi l'omicidio di quella povera anziana è stato compiuto da una donna, e per di più per futili motivi.
    uccidere per 86 euro e quattro vestaglie usate potrebbero sembrare ridicolo e assurdo, e invece accade.

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  6. si hai ragione tabula, non volevo usare quest articolo per parlare di altro..
    Rapine in villa, anziani assassinati per due annelli d'oro, o 86 euro appunto. Mi ricordo mia nonna che subì un furto a casa quando era già anziana, è stato uno shock per lei perdere tutti i suoi oggetti più cari e non si riebbe mai. Vergogna!
    J.

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  7. se i telefoni dei vicini non fossero stati messi subito sotto controllo non si sarebbe mai arrivati a trovare l'assassina......magari avrebbero indagato solo il figlio.........

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