Vignetta di Vanni Garattini |
Articolo di Gilberto Migliorini
Il caso Bossetti è l’esatta trascrizione della disinformazione che regna nel bel Paese ormai da tempo immemorabile. Un caso emblematico per il quale giornali e televisioni hanno costruito dal niente un processo mediatico gonfiando le notizie più insulse, creando nessi inesistenti tra fatti o addirittura inventando di sana pianta fatti e situazioni mai accaduti o accaduti in modo del tutto diverso da come sono stati poi raccontati. Perfino la vita normale di tutti i giorni, andare in trattoria o trascorrere qualche serata al discopub, navigare in internet, curiosare nei fatti di cronaca nera, andare in vacanza… cose che fanno un po’ più o meno tutti, che facciamo anche noi, diventano cose da doppia vita: da dottor dottor Jekyll e mister Hyde. Qualunque cosa, anche la più banale e insignificante, alla luce di un assunto di colpevolezza è diventata per la stampa e i soliti programmi tv un inquietante elemento indiziario, uno straordinario copione per un thrilling dal gusto gotico. Si è continuato per giorni a dare una notizia destituita di qualsiasi fondamento, cioè che era stato fatta l’analisi del Dna di Giacomo Bossetti dimostrando che quello non era il padre genetico di Massimo Bossetti. Una notizia pubblicata e strombazzata ai quattro venti diventa vera anche se priva di fondamento; smentite e segnalazioni che si tratta di un falso non servono a niente se la grancassa mediatica l’ha ormai metabolizzata e è entrata a far parte del repertorio del panorama informativo.
Il caso Bossetti è l’esatta trascrizione della disinformazione che regna nel bel Paese ormai da tempo immemorabile. Un caso emblematico per il quale giornali e televisioni hanno costruito dal niente un processo mediatico gonfiando le notizie più insulse, creando nessi inesistenti tra fatti o addirittura inventando di sana pianta fatti e situazioni mai accaduti o accaduti in modo del tutto diverso da come sono stati poi raccontati. Perfino la vita normale di tutti i giorni, andare in trattoria o trascorrere qualche serata al discopub, navigare in internet, curiosare nei fatti di cronaca nera, andare in vacanza… cose che fanno un po’ più o meno tutti, che facciamo anche noi, diventano cose da doppia vita: da dottor dottor Jekyll e mister Hyde. Qualunque cosa, anche la più banale e insignificante, alla luce di un assunto di colpevolezza è diventata per la stampa e i soliti programmi tv un inquietante elemento indiziario, uno straordinario copione per un thrilling dal gusto gotico. Si è continuato per giorni a dare una notizia destituita di qualsiasi fondamento, cioè che era stato fatta l’analisi del Dna di Giacomo Bossetti dimostrando che quello non era il padre genetico di Massimo Bossetti. Una notizia pubblicata e strombazzata ai quattro venti diventa vera anche se priva di fondamento; smentite e segnalazioni che si tratta di un falso non servono a niente se la grancassa mediatica l’ha ormai metabolizzata e è entrata a far parte del repertorio del panorama informativo.
Cancellare un falso è praticamente impossibile non tanto perché non esista l’opzione di rettifica, quanto perché una volta entrato a far parte del sistema mediatico esso sviluppa tutta una serie di concatenazioni emotive e simboliche, crea un algoritmo interpretativo che innesca a sua volta effetti a cascata che si rendono autonomi dalla causa che li ha prodotti. L’eventuale smentita non ottunde né annulla le conseguenze che a loro volta ne hanno già prodotte altre, rendendo ormai irrilevante il fatto scatenante. In una opinione pubblica che vive alla giornata tutto viene archiviato, in modo permanente, più come pulsione emotiva che come elemento cognitivo, più come stato d’animo che come dato formale.
Quello che appare di maggior
interesse è dunque la reazione del vasto pubblico che si forma idee
colpevoliste su base emozionale (così
come in molti altri casi) con una netta propensione a non cogliere le contraddizioni, le omissioni e le deformazioni di quello
che gli viene raccontato, ma anzi contribuendo a fare da megafono e a
proliferare con i commenti sui giornali e sui siti tutta una serie di
pregiudizi e di dicerie sulla base di presupposti fantasiosi o del tutto
inesistenti. Si formano gruppi di ‘linciaggio’
on-line e si va alla ricerca del capro espiatorio (il che ricorda le pratiche della caccia alle
streghe). Le notizie si rincorrono insieme a informazioni più o meno taroccate,
offerte a un pubblico di bocca buona, variamente imboccato e sapientemente
orientato a cogliere la ‘corretta’
interpretazione della vicenda secondo il copione ‘sbatti il mostro in prima pagina’. Trasmissioni televisive dove, riguardo all’assassino, da
un lato si usa l’aggettivo ‘presunto’ e dall’altro si infierisce con allusioni e nessi di
natura del tutto arbitraria in una ricerca spasmodica di congetture capziose e
suggestive, frullando banalità e vaghezze come se si trattasse di scoop e
notizie eclatanti. Per certi versi la vicenda ricorda quella narrata
dall’illustre milanese nella Storia della Colonna Infame, con tutte le
suggestioni e le scorciatoie mediatiche e i paralogismi giuridici. E di
quell’opera ricorda le sostanze sospette, l’untore come metafora della moderna diceria
trasformata in sostanze biologiche, in campione istologico (con tutta la
teatralità dei camici bianchi sul luogo del delitto) come quintessenza del
colpevole.
Il Dna come traccia lasciata dall’assassino, la sua firma nella
forma del moderno codice a barre, possiede tutta la carica suggestiva
dell’unzione venefica, ma rappresenta anche la nuova forma mitica del sacro
Graal, ipostasi di un delirio di onnipotenza del moderno Prometeo, lo
scienziato come figura mitica, onnipotente e infallibile. C’è qualcosa nel Dna,
così come i media ne hanno dato rappresentazione, che richiama l’impronta della strega, il
sortilegio e la fattura, la macchia dall’origine incerta (Sangue? Sperma?
Sudore? Lacrime?) che all’occhio del profano, addestratosi al Csi, evoca la potenza infernale dell’assassino, i suoi umori
viscerali, anche quando nessun altro
elemento deponga in un organico sistema indiziario. Forse il rilievo biometrico
potrebbe risultare davvero importante in un quadro investigativo, ma potrebbe anche
trattarsi di un elemento del tutto casuale, insignificante, solo un refuso, un
errore, forse un tentativo di depistaggio del vero assassino. Al di fuori di un
sistema indiziario organico, un dato di laboratorio non è prova di niente, è
solo un dato amorfo. L’occhio armato del moderno Spallanzani può scrutare nell’infinitamente
piccolo, in quelle omeomerie (i semi
di Anassagora dove tutto è in tutto),
figuriamoci poi in un sistema di relazioni quotidiane, non i laboratori
asettici dove si fanno prelievi controllati, ma il mondo della quotidianità
dove il caso e la necessità si mescolano talvolta nei modi più imprevedibili e
rocamboleschi, dove può esserci sì il marchio dell’assassino, ma forse solo una
sovrapposizione accidentale, la firma di un maldestro operatore a far rilievi sul
luogo del delitto, qualche tecnica di laboratorio non comprovata o qualche altro
imponderabile fatto fortuito. La pretesa di aver sempre e comunque tutto sotto
controllo fa parte di quella hybris
di una scienza che si crede onnipotente e che ritiene di possedere le chiavi di
tutto e che di fronte ai propri errori utilizza i classici stratagemmi
convenzionalistici per appianare le (sue) contraddizioni.
Il caso Bossetti può essere
ascritto come un gigantesco e involontario esperimento di Psicologia sociale,
quello che comunemente viene chiamato le
voci che corrono, ma anche una riconsiderazione del famoso esperimento
Milgram sul ruolo dell’autorità nell’influenza sociale. Per quanto
riguarda invece la filosofia della
scienza, dimostra come il Bel Paese poco o nulla sia aggiornato in tema di
epistemologia. Molti operatori dell’apparato scientifico tecnico-pratico e del
sistema divulgativo, appaiono ancora nell’ottica di quella comtiana scienza ottocentesca, un po’ religione e un po’ dogma, senza
nessun riguardo alla critica, al principio di induzione e al verificazionismo,
oltre che alle concezioni convenzionalistiche che rifiutano il realismo della
scienza.
L’operazione mediatica è la
caratteristica di una società dove i processi di influenza sociale sono in
parte pianificati dall’alto attraverso vere e proprie strategie comunicative
che nulla hanno da invidiare al 1984 orwelliano. Un pubblico praticamente
disarmato di fronte alla grancassa mediatica, non solo per un impressionante difetto
culturale, una società con un forte analfabetismo di ritorno, permeabile a tutte
le suggestioni, soprattutto quando confezionate con l’intervento dei soliti
esperti o presunti tali (che il più delle volte ripetono la cacofonia e
riproducono una serie di luoghi comuni resi autorevoli mediante il consueto
linguaggio paludato e fumoso, e la tracotanza di certo scientismo che confonde
le prove di laboratorio in situazioni controllate con il mondo reale dove la
scienza, contrariamente al credo determinista, possiede conoscenze solo
provvisorie ed incerte). Per non parlare poi della confusione che spesso viene
fatta tra l’uomo di scienza e il semplice tecnico che padroneggia una
professione, fosse anche quella del biologo o del genetista.
Fin qui parrebbe tutto nel normale iter
mediatico, si fa per dire, un processo che vende notizie in cambio di
visibilità, consenso, pubblicità, contratti… insomma, tutti quegli interessi
finanziari che gravitano attorno all’informazione e che ne fanno un affare su
più fronti. In realtà l’aspetto finanziario è forse quello meno importante ed è comunque, indirettamente, in relazione con un sistema informativo che è
soprattutto l’indottrinamento sistematico dell’utenza e il suo controllo
attraverso un vero e proprio condizionamento legato a un consenso che ha
obiettivi ben più rilevanti sul piano politico e dell’assetto
economico-produttivo dell’intera società, che ne prepara gli abiti mentali e la
predispone al consenso disinformato. Sarebbe comunque ingenuo considerare il
flusso informativo come un processo a senso unico. L’idea dell’ago ipodermico con il quale a ciascun
utente viene instillata la propaganda, una forma
mentis plasmata da notizie abilmente pilotate, poteva forse corrispondere
nelle società dei totalitarismi tradizionali a uomini isolati nella massa
amorfa. Le complesse retroazioni coinvolgono oggi il vasto pubblico che
interviene sempre più di frequente nei blog e nei giornali on-line, sui social
network… che rappresentano non solo opinioni e prese di posizione, ma elementi
organici di tutte le procedure di influenza e condizionamento sociale.
Si
tratta di quel gigantesco processo che coinvolge milioni di persone che in
certo senso agiscono all’unisono, si orientano contemporaneamente, come attratte
dal magnetismo mediatico, e procedono come un esercito perfettamente allineato
e coordinato, senza ricevere ordini espliciti e senza, apparentemente, una
qualche forma di regia e di controllo. Non si tratta soltanto di contagio
emotivo di massa, o di quell’eterna ricerca di un colpevole qualsiasi, di un
capro espiatorio, solleticando il lato torbido dell’utenza... È come se al
posto di qualche dittatore o di Grande Fratello, si fosse sostituito un
invisibile sistema di istruzioni, un algoritmo direttamente implementato nella
forma mentis di milioni di persone, dove la regia avesse assunto il volto
ubiquo e disperso di innumerevoli fratellini
e sorelline: un 1984 disseminato di piccoli dittatori clonati. Perché tutto
questo possa avvenire, occorre l’humus idoneo affinché l’audience divenga
recettiva, collaborativa e malleabile. Serve una società nella quale siano
stati già implementati algoritmi di decodifica e di riconoscimento, procedure
interpretative automatizzate e ricorsive con le quali il target (la società dei
consumi) viene strutturato e interconnesso non solo sul piano fisico ma anche
su quello emozionale.
Una società che sempre di più
vive nelle notizie effimere, nel transeunte, e nella precarietà dei punti di
riferimento, un ambiente ideologico nel
quale il pubblico è immerso. Il controllo invisibile ha un grado di efficacia
infinitamente più grande proprio perché il consenso è interiorizzato, non ha più
bisogno di un gendarme ma è costituito da una adesione spontanea a un sistema cognitivo e emozionale, quella forma mentis inconsapevole con la quale
le notizie vengono filtrate e formattate attraverso espedienti retorici, pseudo sillogismi e metafore suggestive. Si
può per questo usare il concetto di mito
come modalità espressiva dell’utente medio (soprattutto televisivo) che vive in
quella sorta di reality rappresentato da notizie
ad effetto, informazioni gridate, scoop, indiscrezioni, anticipazioni,
rendiconto, voci… così sapientemente frullate in una sorta di show dove il confine tra realtà e
spettacolo, finzione e documento è quanto mai labile e incerto. Si tratta di un
ambiente formativo e informativo nel quale l’utente si trova immerso e dal
quale si desumono non solo i data ma
anche tutti quegli strumenti interpretativi e quei metodi conoscitivi che organizzano
lo svolgersi dell’apprendimento mediatico. Un ambiente si può dire a pacchetto
completo e chiavi in mano che trasforma l’utente in un testimonial, il target
in una presenza scenica e in un esercito di figuranti che all’apparenza si
muovono liberamente. Non si tratta però solo di spettacolo che implica un
pubblico neutrale e passivo, si tratta di trasformare l’audience in un sistema
organico e interconnesso in grado di funzionare come un tutto statisticamente
integrato.
Gli strumenti del mito sono
fondamentalmente due: l’autorità in
tutte le sue forme e l’ideologia. Due
poli che sapientemente mescolati conferiscono alle notizie quella patina di
autenticamente vero e di realisticamente acclarato. L’indottrinamento politico
e ideologico con il quale si produce consenso e risposte automatiche nella
cabina elettorale comincia a monte e si esplicita attraverso tutto il sistema
mediatico (intrattenimento, spettacolo, divulgazione) e non soltanto mediante
l’informazione tout court (telegiornali, notiziari, approfondimenti). La
risposta politica (in tutte le sue manifestazioni) presuppone cioè un ambiente
mediatico che prepari e conformi l’utenza attraverso un addestramento che la
renda perfettamente integrata e strutturalmente idonea a collaborare
attivamente nel processo di influenza sociale. I cold case come comunemente vengono chiamati i fatti di cronaca con
delitti e omicidi più o meno efferati, e dove non c’è ancora un colpevole
assodato, rappresentano emblematicamente e mettono a nudo quegli algoritmi che
presiedono al condizionamento dell’utenza con modalità e simulazioni che poi
verranno applicate in modo surrettizio a tutto il processo informativo, una
palestra di apprendimento e una esercitazione sul campo per mettere a punto le
procedure con le quali l’elettore-fruitore-spettatore
potrà essere indottrinato e governato a monte.
L’introiezione dell’autorità
avviene mediante forme di apprendimento in cui vengono privilegiati i contenuti
(le nozioni) piuttosto che il procedimenti logici (deduttivi) che presiedono
alla loro acquisizione. L’autorità della scienza costituisce, in un panorama di
analfabetismo scientifico, uno dei percorsi privilegiati con i quali in nome della
oggettività scientifica (e della sua autorità e autorevolezza) i media possono impressionare un’utenza che nella
civiltà tecnologica vede una sorta di feticcio rappresentato da quei misteriosi
laboratori di ricerca con provette e alambicchi dove ricercatori in camice
bianco svolgono misteriose e un po’ magiche attività di ricerca e di controllo.
Il biologo e il fisico rappresentano le due forme mitiche di una società
tecnologicamente avanzata che agli occhi del profano non hanno niente da
invidiare al carattere magico di certe società arcaiche. La scienza, nella
spettacolarizzazione televisiva ha infatti assunto un alone di sacralità, il
laboratorio appare come il luogo di sortilegi, fatture e incantesimi, lo
scienziato come uno sciamano con poteri taumaturgici e divinatori. La parola Dna
è diventata sinonimo di una sorta di
abracadabra che apre le porte dell’invisibile.
L’esempio
della fisica e quello della biologia
Un fisico teorico è sempre
metodologicamente ben attrezzato e sa che un singolo esperimento non è mai in
grado di conformare una teoria (o di falsificarla completamente) perché la
realtà là fuori è sempre più complessa e perfino le formule matematiche sono
solo approssimazioni provvisorie della ricerca. Un fisico non si sognerebbe mai
di ricostruire un incidente stradale per assegnarne le responsabilità usando
solo le formule del moto e senza ascoltare testimoni e valutare l’attendibilità
delle persone coinvolte, saprebbe che quella non è una situazione da
laboratorio, che la meccanica newtoniana (o la fisica relativistica) dovrebbe
tener conto di tutte quelle forze che agiscono nell’universo, molte delle quali
ancora non conosce. Un fisico si rifiuterebbe di ricostruire un incidente
stradale e di assegnare responsabilità solo fidando delle sue formule, perché
sa che le variabili sono così complesse e numerose che neppure il più potente
elaboratore elettronico potrebbe padroneggiarle tutte. In certo senso la
rivoluzione fisica del ‘900 ha reso il fisico più prudente, in grado di
relativizzare i suoi assunti e di usare le teorie del tutto e le percentuali solo
come simulazioni utili allo svolgersi della sua ricerca ma senza pretendere
alcun tipo di infallibilità statistica. Il determinismo poi con la teoria dei
quanti ha subito una battuta di arresto e la critica popperiana al principio di
verificazione ha dato un ulteriore colpo a quella che poi Feyerabend chiamerà
la scienza normale (la routine dello
scienziato ragioniere) in contrapposizione a quella scienza straordinaria che poi andrà a mettere in crisi i precedenti
assunti teorici e a sconvolgerne i paradigmi.
Questo fervore di ricerca
rivoluzionaria della nuova fisica ha lasciato un po’ ai margini la biologia che
talvolta dimentica la differenza tra la realtà e la situazione controllata del
laboratorio dove vale la distinzione tra variabili dipendenti e variabili
indipendenti, dove l’esperimento è sempre ripetibile e riproducibile. Un fisico
non si sognerebbe di ricostruire un delitto basandosi esclusivamente sulle
leggi del moto (dovendo effettuare una indagine balistica) ma lasciando anche ad
altri esperti (gli investigatori) l’onere di raccogliere un quadro indiziario
ben più complesso e comunque sapendo che il suo contributo non risulta nel
quadro di una situazione controllata da laboratorio e che nella vita reale
(quella di un atto criminale) le forze in gioco sono in gran parte sconosciute
e comunque non riproducibili e non sempre rappresentabili in forma numerica. Quando
si confonde una situazione reale (il mondo della vita con tutta la sua
complessità irriducibile ad un dato estrapolato) con una situazione da
laboratorio si rischia di prendere solenni cantonate. Qualunque tipo di
inferenza induttiva che implica una casistica infinita di possibilità (come ad
esempio quella della presenza di un Dna estraneo su un cadavere, magari degradato
o recuperato in tracce minime) esclude la possibilità di valutarne la
probabilità sulla base dell’evidenza induttiva (vedi Popper):
a) L’ipotesi universale afferma il valore di una conclusione relativamente ad un numero infinito di casi
b) Il numero di casi osservati non può che essere finito
Pensare di poter affermare un metodo basato sulla routine è illusorio sia postulando una induzione ripetitiva (nessun numero di osservazioni di cigni bianchi riesce a stabilire che tutti i cigni sono bianchi), o per eliminazione (eliminare tutte le ipotesi false, ma dato un problema p esistono sempre un numero infinito di soluzioni possibili).
Quando si parla di situazioni
reali, non da laboratorio, la casistica di possibili interpretazioni è
praticamente infinita tenuto conto dell’incertezza del fattore umano (scorretta
esecuzione) dell’ibridazione del materiale biologico che non sempre è databile,
è trasferibile e con un grado di genuinità spesso non definibile. Non è dunque
per via induttiva che possiamo trovare una soluzione a un caso, ma solo per via
deduttiva; e qui entra in gioco il vero investigatore anche con la sua
immaginazione e fantasia (proprio come nella vera scienza che non si basa solo
sulla routine) attraverso un quadro indiziario sistemico e non già mediante un
singolo elemento isolato (con tutte le incertezze relative a una sua
interpretazione e senza tener conto di errori imprevedibili).
La fiducia fideistica nella
scienza (quella dell’autorità consegnata alle trasmissioni divulgative che la
trasformano in una sorta di religione moderna del sapere) costituisce una delle
molle più potenti di consenso e può portare nei casi più estremi, servendosi
del suo prestigio e della sua autorità, a trasformare le persone in
collaboratori obbedienti ed acritici (vedi sotto l’esperimento Milgram) e a diventare sordi e ciechi anche di fronte
alle evidenze sensoriali in nome di un sapere autorevole. Nel caso specifico
sarebbe bastato controllare un album di famiglia per smentire eventualmente una prova di laboratorio
relativa a un campione forse non ottimale ed esposto a possibili contaminazioni.
La fiducia nel dato scientifico, l’illusione dell’onnipotenza della tecnologia,
può addirittura accecare l’evidenza delle nostre percezioni. La suggestione di
un dato spacciato come scientificamente infallibile al 99,99999987% potrebbe influenzare
al punto da non vedere che tra due fisionomie non esiste alcuna somiglianza, ma
anzi mostrare un indiscutibile grado di parentela. La scienza crea attorno a sé
un tale alone di prestigio da annullare perfino l’evidenza dei nostri occhi e
lo stesso buon senso della nostra ragione, un feticcio in grado di ottundere la
nostra mente se usata nel modo sbagliato. Stampa e televisione vengono
obnubilate da quella percentuale sbandierata come una sorta di spauracchio per
chiunque osi anche solo mettere in discussione la mitica immagine della scienza
che non sbaglia (il test del Dna non
sbaglia). Affermazione perlomeno azzardata visto che il progresso della
scienza è avvenuto proprio riconoscendo i suoi errori a differenza di tutti i
saperi esoterici. La scienza ha sbagliato in passato e sbaglierà in futuro e
proprio nel riconoscimento dei propri errori sta il fondamento dei suoi
progressi.
L’esperimento
Milgram
L’esperimento è datato 1961, ma
leggendo la pletora di commenti sul caso Bossetti risulta attualissimo anche se
ovviamente va contestualizzato e ricondotto a una situazione mediatica nella
quale le forze psicologiche agenti sono straordinariamente più complesse e
pongono interrogativi che riguardano non solo la società dell’informazione, ma
anche più in generale l’assetto culturale delle società cosiddette avanzate
dove la scienza è pervasa da interessi economici e di prestigio che travalicano
la natura della ricerca.
L’esperimento Milgram nasce da
un interrogativo, fino a che punto una
persona si può spingere nel considerare credibile una autorità, o se si preferisce
in quali condizioni si può ritenere credibile una autorità al punto da
adeguarsi ed obbedire alle sue richieste? Ai soggetti dell’esperimento (40
uomini reclutati attraverso un annuncio su un giornale e regolarmente pagati)
veniva fatto credere di partecipare a un esperimento sull’apprendimento (valutando
l’influenza delle punizioni) con due gruppi - uno di insegnanti e l’altro di allievi.
Con un sorteggio truccato per non sollevare sospetti si assegnava sempre il
ruolo di insegnanti ai 40 soggetti dell’esperimento, mentre gli allievi erano in
realtà complici dell’esperimento. L’insegnante
(soggetto ignaro) era posto davanti a un quadro di controllo che gli veniva
fatto credere generasse corrente elettrica con una serie di leve e una scala
graduata con intensità progressivamente più alta. Per rendere realistica la
messinscena all’insegnante veniva effettivamente fatto toccare con mano che la
terza leva produceva una leggera scossa elettrica. La prova di apprendimento
dell’allievo (complice dell’esperimento) consisteva in una serie di
memorizzazioni. Quando l’allievo dava una risposta sbagliata, l’insegnante doveva infliggergli una punizione mediante una scossa elettrica e aumentando progressivamente
l’intensità della scossa ad ogni ulteriore errore dell’allievo legato su una specie di sedia elettrica con un elettrodo al polso.
L’attore
(l’allievo) ad ogni scossa fingeva reazioni dolorose con implorazioni e urla, mentre progrediva l’intensità delle scosse (che in realtà erano fittizie), fino
a simulare uno svenimento se l’intensità raggiungeva il vertice della
scala. Quando l’insegnante
(l’individuo ignaro di essere il vero soggetto dell’esperimento) tentennava di
fronte alle invocazioni da parte dell’allievo, lo scienziato che coordinava tutta
l’esecuzione lo esortava a continuare per il buon fine dell’esperimento
sull’apprendimento. Solo alla fine i soggetti vennero informati che in realtà
la vittima non aveva subito alcuna scossa e che ne aveva semplicemente simulato
gli effetti.
I risultati furono davvero
emblematici e nonostante i 40 soggetti mostrassero segni di conflitto e di
tensione, molti continuarono ad obbedire allo sperimentatore anche quando
l’attore dava segni di non riuscire più a sopportare il dolore o addirittura
svenisse. L’esperimento non ha un solo significato ed è stato variamente ripreso
(anche cinematograficamente) con una serie di varianti. Il nucleo centrale
dell’esperimento però rimane quello dell’obbedienza all’autorità. Nel caso
specifico si trattava dell’autorità scientifica riconosciuta appunto come
indiscutibile. Lo sperimentatore in camice bianco incarna l’autorevolezza della
scienza e tutti quei processi di socializzazione regolati istituzionalmente
nelle varie forme di autorità. L’esperimento veniva in realtà modulato secondo
un copione più complesso e articolato. Ma a noi interessa leggerne il
significato in relazione all’attualità.
La scenografia rappresentata
da laboratori di ricerca, l’immancabile operatore in camice bianco e con
mascherina, qualche strumento tecnologico dall’aria avveniristica crea quella
suggestione in un’utenza disarmata che rappresenta un’immagine degli apparati
‘scientifici’ come sistemi infallibili e, soprattutto, in grado di scovare un
colpevole semplicemente schiacciando qualche bottone. L’audience educata ai
film polizieschi e agli sceneggiati di un detective ipertecnologico, si conforma
ormai a un’idea di quella scienza divulgativa (e annacquata) che lo illude e si
illude di poter risolvere un caso mediante la sola analisi di laboratorio. Si
discetta di prova scientifica quando in realtà si tratta di dati - che vanno
sempre interpretati alla luce di congetture
e confutazioni. La prova è sempre e solo ipotetico-deduttiva, quel
discorso che fin dalla origini della scienza moderna, con Galileo, ha
argomentato l’esperimento sempre mediante i nessi logici tra dati di esperienza
tradotti in un sistema sperimentale e ricavando le leggi sulla base di
inferenze deduttive. Affidarsi alla sola inferenza induttiva può solo portare
ad errori clamorosi.
Un esercito di criminologi
virtuali popola web, giornali e tv, con una vocazione colpevolista fondata un
po’ sulla fede in una scienza immaginaria, quella mediatica di tanta
divulgazione spettacolare, e un po’ in quella consueta ricerca di un capro
espiatorio che allevia i sensi di colpa. La giustizia di fronte alle proteste
di un imputato che proclama la sua innocenza, e di una madre che protesta la sua
assoluta fedeltà al marito, ha preferito condurre in galera un uomo che mai
aveva avuto problemi penali esponendo lui e la sua famiglia al pubblico ludibrio
(prima ancora di sapere se esiste un sistema indiziario coerente rispetto a un
dato di laboratorio che potrebbe rivelarsi errato o comunque di dubbia
interpretazione). La ‘scienza’ criminologica si è affidata a infime tracce
biologiche di un cadavere rimasto per mesi all’aperto e ha sparato improbabili
percentuali di certezza (99,99999987) in un quadro assai poco controllabile,
lontano dal laboratorio asettico e comunque suscettibile di errori,
imprecisioni e contaminazioni. Come se non esistesse un’ampia casistica di
errori di attribuzione a livello internazionale riguardo al Dna - con persone
arrestate per sbaglio proprio sulla base del test genetico - e come se questa
certezza di natura pressoché infinita non fosse stata testata su un numero
limitato di casi concreti nello scenario di un delitto (solo ai quali
dovrebbero essere eventualmente riferite le probabilità).
Se poi il campione
non esistesse più, perché ormai ‘bruciato’
nel test, saremmo di fronte a un puro atto di fede per la difesa di un
imputato. Per non parlare infine di un sistema mediatico senza rispetto per i
diritti della persona che ha violato sistematicamente quelli del signor Massimo
Bossetti e un domani potrebbe violare i nostri.
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56 commenti:
Come fisico per formazione (non più praticante da anni, diciamo così, per esigenze economiche) concordo pienamente con tutte le considerazioni in merito ai limiti delle ricostruzioni scientifiche in condizioni non di laboratorio (ovvero pienamente controllate).
Così pure ritengo che il concetto stesso di "accertamento irripetibile" cozzi in pieno con il metodo scientifico di matrice galileiana.
Sottoscrivo poi in pieno l'affermazione che nei vari contesti processuali sovente si ammantano del prestigio e dell'autorità della scienza risultati che scientificamente sono assai dubbi e che spesso non si potrebbero nemmeno pubblicare su di une rivista peer reviewed.
Massimo, troppo lungo, mi sono persa. Spero vorrai scusarmi e magari spiegarmi perchè non ti capisco. Io non riesco a credere ad un disegno cosi' preordinato. Mi riesce molto piu' facile pensare si voglia dare al popolo quello che chiede, ovvero delle sicurezze. Magari basate sul nulla ma delle sicurezze. Da questo punto di vista con te concordo, delle verità precostituite giustificano:
a) il lavoro degli inquirenti, a prescindere sia stato ben fatto o meno. Ovvero la giustificazione delle risorse e del denaro speso;
b) la volontà di infondere nella popolazione l'idea "non la si faccia franca", a prescindere il colpevole immolato sia davvero colpevole o meno.
c) il movente delle reti tv e dei giornali che pur di vendere sbattono in prima pagina notizie non verificate quando non volutamente fasulle.
Ma per il resto il tuo articolo mi risulta ostico, arricciato su se stesso. Talvolta ripetitivo.
Come le notizie che si susseguono.
Forse varrebbe la pena ci si fermasse, per qualche istante, per qualche giorno: TUTTI.
Stefania
Ti ho detto che sono cotto, Stefania. Mi sono pure scordato di scrivere che questo articolo è di Gilberto, non mio... quindi mi scuso anche con lui e gli chiedo di risponderti.
Vado a riposare, oggi non è giornata da stare sul computer. Ciao, Massimo
Massimo, non ti devi scusare, io stessa sono cottissima (e malandata). Il lavoro che sino ad oggi hai fatto è stato egregio. Un attimo di stanchezza e di calo di attenzione capita a tutti. A me è costato una caviglia quindi non ti rammaricare, non devi. Goditi i nani, la moglie ed il mare.
Stefania
Rispondo a Stefania
In realtà credo di aver sviluppato un discorso generale sui media (le voci che corrono, l’autorità, la manipolazione, la società dei consumi) nei processi di influenza sociale, esemplificato nel caso Bossetti, e un discorso un po’ più specifico sul caso in parola con le contraddizioni che ne contraddistinguono la genesi. Personalmente sono assolutamente persuaso dell’innocenza dell’imputato. Forse la confusione nasce dal fatto che ho voluto intrecciare i due discorsi, due facce della stessa medaglia. Un cold case è sempre specchio di una realtà sociale e ne riverbera tutte le sfaccettature, e per questo rappresenta un’occasione per mettere a nudo i caratteri peculiari della società nella quale viviamo. La ricerca di un colpevole, o il riconoscimento di un innocente, non può prescindere, credo, da una analisi di tutti quei meccanismi psico-logici (talora decettivi) che ci accompagnano quando crediamo di aver dato un volto all’assassino.
Sono lodevoli, Gilberto, la tua preparazione culturale e il tuo zelo nel dedicare tempo, studio, energie, passione (lo testimonia il lungo elenco dei tuoi saggi e articoli ospitati in questo blog di Massimo) anche al caso Yara-Bossetti.
Sono senz’altro d’accordo con te, e sfondi una porta aperta, sull’influenza dei media nell’opinione pubblica (sono quattro anni che scrivo qui e che verifico in ogni vicenda trattata), ma – permettimi – dai toni di questo articolo, e degli altri da te recentemente scritti – sembra trasparire sempre una sottile allusione ai commentatori di questo blog stesso, quelli che ancora resistono e insistono a dare un contributo.
Se non ci fossimo noi, e mi metto nel mucchio, a fornire alimento anche “bacato” e “contaminato” dalle informazioni che ricaviamo nell’assistere a certe trasmissioni televisive o nel leggere articoli pubblicati da varie testate, il blog avrebbe già chiuso da tempo per mancanza di commentatori, non credi?
Tutte le analisi “psico-sociali” su cui costruisci i tuoi elaborati mi appaiono più sfoghi letterari che apporti alla discussione per la ricerca di ipotesi o per condividere idee su come potrebbero essere andati i fatti. Quindi, spero non ti rammarichi di avere poco seguito.
I tuoi pezzi potrebbero essere “a sé stanti”, senza bisogno di commenti.
Perché invece non ritorni in gioco e partecipi alle discussioni di noi comuni, banali, esemplari di una popolazione che ascolta anche “le voci che corrono”?
Scrivendo di continuo articoli che paiono sentenziare “dall’alto”, sembri prendere le distanze da noi.
Tu conosci la mia franchezza e anche la mia irruenza (ci eravamo già confrontati lo scorso anno, e hai cercato di rigirarmi la frittata), pertanto so che non ti risentirai per ciò che ti ho scritto.
Un cordiale, stimato, saluto
Mimosa
No, Mimosa, non sono per niente risentito. Porto il mio contributo come tutti e dal mio punto di vista (non so se dal basso o dall'alto) ma comunque onestamente mio. Mi sembra che stai facendo un processo alle intenzioni quando dici che alludo ai commentatori di questo blog. Scrivo l'articolo leggendo e ascoltando quello che risuona nei media (soprattutto la tv). Non ho mai avuto la pretesa di possedere un punto di vista privilegiato e riguardo agli 'sfoghi letterari' ho sempre cercato di argomentare utilizzando i riferimenti culturali che conosco. Allo stesso modo chi commenta può ovviamente contrastare punto su punto quello che dico, dimostrare che la mia argomentazione è debole, inessenziale e fuori luogo. La mia impressione invece è che qualcuno dice no per partito preso senza entrare mai nel merito del discorso perché all'analisi preferisce la scorciatoia delle frittate già bell'e pronte. Riguardo al 'seguito' te lo dico francamente non me ne può interessare di meno, scrivo per capire la realtà che mi circonda e per offrire il mio contributo senza per questo cercare sostenitori. Che sia modesto o no il mio contributo lascio giudicare agli altri, sempre che lo facciano con animo aperto. Pertanto considera i miei 'sfoghi letterari' con benevola tolleranza, io non ho certo intenzione di impedire a nessuno di portare il suo di contributo e di esprimere idee e ipotesi (proprio come faccio io).Se poi quello che dico non piace o non è condivisibile me ne dispiace, ma dal momento che in questo blog mi vien dato la possibilità di esprimere anche le mie idee, lo faccio nella convinzione di apportare un contributo che ancorché modesto non vuole in alcun modo impedire a chicchessia di fare lo stesso. Non ho mai polemizzato con nessun intervento e ho sempre ascoltato tutte le voci senza pregiudizio. Mi auguro che anche gli altri facciano lo stesso nei miei confronti. Se poi quello che dico è poco interessante puoi senz'altro evitare di leggerlo, fa parte di un diritto di tutti di selezionare quello che riteniamo utile alla nostra formazione culturale.
Ciao Gilberto
Che articolo! Hai messo in parole eleganti il pensiero di tanti che non credono ciecamente a cio' che viene propinato dai media tanto per fare N.O.T.I.Z.I.A.
Sul DNA, almeno io lo so benissimo che non fornisce una prova. Al massimo puo' rafforzarne altre di prove, ma vallo a gridare adesso che la frittata Bossetti e' fatta... Vallo a raccontare a chi di DNA sa molto poco e non avra' voglia, pazienza e mezzi di ascoltare e comprendere che no, la presenza di DNA non prova affatto la presenza della persona a cui quel DNA appartiene: prova solo la presenza del DNA stesso. Vaglielo a dire a Maria di Grosseto e Giuseppe di Crotone (che credono ciecamente che Parolisi e' colpevole quasi fossero li' ad assistere all'omicidio in persona) che a Melania la Sg non gliel'ha messa dentro lo Spirito Santo e che P e' innocente e chi ha indagato ha taciuto verita' "fatte tacere" da altri e storpiato e incasinato e spudoratamente mentito e tirato fuori conigli di peluche da cilindri tarlati. Vagli a dire che il DNA misto in realta' non sempre e' scindibile; che le contaminazioni esistono e che quasi sempre vengono riscontrate, ma guarda tu, proprio in casi di surreptitious DNA collecting (ah, la prova palloncino-Bossetti!); e che gli errori si commettono, anche e soprattutto se facilitati dalla fretta, dalla pressione, dalle telefonate incessanti e da bei centoni...
E chi glielo racconta poi a Maria e Giuseppe che il DNA sintetico e' molto piu' diffuso di quanto la tv italiana, col suo piccolo popolo di piccoli commentatori poco esperti e molto opinionati, sappia e trasmetta agli accoliti utenti. Ze "Master" zayz: in Italy DNA = A SORT OF GOD. Achtung! Mai nominare il DNA invano! E soprattutto, mai contraddire ZE MASTER TV...!
Ciao. Annika
Cara Annika
Sono i commenti come i tuoi, che per giunta sei specialista della materia, a infondere ottimismo e speranza a chi cerca di comprendere i fatti senza pregiudizi e senza verità in tasca con quella curiosità e quel sano scetticismo (principio di precauzione)che dovrebbe sempre guidare i nostri passi e le nostre idee.
Grazie
Gilberto
Mah...dire che in Italia la prova del DNA sia "a sort of god" mi sembra un tantinello esagerato. Infatti gli inquirenti stanno freneticamente cercando riscontri a questa supposta "prova regina", che peraltro ha permesso di risolvere molti cold cases, anche celebri, anche in Italia. Non vorrei andassimo da un eccesso all'altro. Saluti Stefano
Mah...dire che in Italia la prova del DNA sia "a sort of god" mi sembra un tantinello esagerato. Infatti gli inquirenti stanno freneticamente cercando riscontri a questa supposta "prova regina", che peraltro ha permesso di risolvere molti cold cases, anche celebri, anche in Italia. Non vorrei andassimo da un eccesso all'altro. Saluti Stefano
Ciao Stefano
Come chiameresti tu un qualcosa che nessuno realmente conosce (siamo onesti, a parte un'infarinata su wikipedia, il 99.999999etcetc% non ne sa ne' ne capisce nulla) ma nella quale tutti credono ciecamente. Qualcosa di cui basta pronunciare il nome, 3 lettere dell'alfabeto, e tutti si mettono li' in ascolto, attentissimi, serissimi, non si scherza ragazzi, pronti a giurare che, se lo dice il DNA... Un vero dogma della fede, un mantra ripetuto e ripetibile all'infinito come la spirale che gli da la forma...
Se lo dice il DNA (analizzato ahime' da fallibilissimi esseri umani), Parolisi e' colpevole. Ma davvero, eh! Colpevole anche se il suo DNA sulla bocca di Melania proprio non ci poteva stare. E per metterlo in galera ancora meglio e rafforzare maggiormente la sua colpevolezza, hanno tirato fuori, indovina un po'? Ebbene si: un altro DNA! Il DNA della soia e dei pomodorini britannici geneticamente modificati che, digeribili in una manciata di secondi da ben 4 tra gallesi e inglesi (gruppo misto!) che li hanno testati, be' allora Salvatore e' proprio totalmente colpevole. Ma come? Un po' per deduzione logica, insomma, ma che domande sono "ma come?", c'e' la parola DNA, si sa che DNA e' sinonimo di certezza, come un bollino blu di garanzia assoluta di qualita' imbattibile, e allora mica vogliamo mettere in dubbio 'ste 3 lettere magiche, no? Dico, mica tu non credi al DNA?! Sarebbe come un'eresia!
Quindi, come lo chiami tu un dogma che tu stesso scrivi con certezza che ha risolto tanti cold cases, anche in Italia, cosi', perche' lo hai sentito o letto, giusto? Non so che cosa tu faccia Stefano ma staresti parlando tipo di quello che faccio io, e quindi ti assicuro che sono li' in prima fila a difendere la scientificita' di certi test e del DNA stesso, ma e' anche un tantino frustrante sentir ripetere la parola DNA manco si trattasse... proprio di una SORT OF GOD, da persone che lo hanno letto e studiacchiato in internet. Peggio ancora da masse di giornalai, opinionisti e accoliti che proprio non ne capiscono un'emerita... ma forcone alla mano stanno li' a dare della "buona donna" ad una signora settantenne che, assolutamente indifferente alle 3 intimidanti letterone scagliatele addosso dal linciaggio mediatico, racconta la sua verita'.
Sort of god. Non "god". "Sort of", se capisci cosa intendo. Libero di pensarla come vuoi. Dal canto mio e' quello che ho scritto e quello che penso. Full stop.
Ciao. Annika
buinasera
ora se leggete il mio commento si capisce sbito che non me ne intendo ne di dna . tantomeno posso essere una criminologa .
comunque una cosa , oggi alla tv : le belve ., che parlavano del caso bossetti , una criminologa :la solita forcaiola , diceva che assolutamente non si poteva comparare un sangue secco sul taglierino di 2 anni prima . . la traccia di è rimasta a lungo nell'umido dalle intemperie invernali - da secco sara' diventata umida ?.. magari è una fregnaccia .... hanno potuto trovare il dna anche su un corpo morto da anni percio' .. ma non me ne intendo
inoltre le tre grazie si meravigliavano . che bossetti esprimesse il sospetto che una persona gli avesse rubato un arnese da lavoro e usato per tagliare gli slip di yara .
.. ma uno che sa di essere colpevole perchè va a mettere gli inquirenti su una falsa pista ? tanto bossetti lo sa che non troveranno nulla se fosse stato lui .. lo fa per perdere tempo?; sarebbe un ingenuo .
bossetti è in buona fede e si trova in pessime acque anche per colpa di questi opinionisti chiaccheroni . .
Grandissimo pezzo, da manuale.
Spieghi meravigliosamente bene quali sono i meccanismi dell'informazione Italica.
Spieghi perfettamente come il cittadino "Signor Rossi", bombardato da news e facilitato ad accedere alle news di ogni tipo, sia convinto di farsi un idea su un qualsiasi fatto di cronaca o politico o di qualsiasi altro genere, solo grazie al suo filtrare la marea di info che raccoglie.
Riguardo il caso specifico, ti chiedo (mi permetto di darti del tu pur non conoscendoti), ma non si può fare l'esame de DNA a Bossetti "presunto" padre naturale, rifarlo anche al Bossetti indagato ed intanto stabilire se è suo figlio o no?
Anche perchè un eventuale compatibilità farebbe cadere tutto il castello accusatorio che lo ha portato alle cronache come figlio illeggittimo di Guerinoni.
Gianluca
Gianluca, hai messo il dito sulla piaga. Quell'esame non era stato fatto come invece strombazzato dai media il 18 di giugno. Può darsi che qualcuno nel frattempo l'abbia fatto (l'accusa? la difesa?) ma tiene le carte ben coperte. Se veramente Giovanni Bossetti fosse il padre genetico, non solo cadrebbe il castello accusatorio ma ne vedremmo davvero delle belle, non oso immaginare le conseguenze...
Gianluca, benvenuto. Prova, se il tempo te lo consente, a rimanere su queste pagine. Potrebbe il Bossetti essere colpevole ma il modo in cui questa fase dell'indagine viene data in pasto ai giornali ed il modo in cui i giornalai della carta stampata e della tv stanno trattando il caso fa venire i brividi. Massimo svolge un ottimo lavoro perchè ci permette e ci istiga a PENSARE.
A presto, spero.
Stefania
Ditemi per favore se si continua qui a commentare su Bossetti o si rimane di là,
perché questo sarebbe un articolo di tutt'altro tema.
Mi serve saperlo, nel caso io intenda inserire commenti non attinenti all'argomento trattato da Gilberto.
Grazie molte
Mimosa
Ciao Gilberto,
ti ripropongo qui la domanda che ti ho fatto nell'articolo precedente.
Dato che nel rispondere a Stefania
hai di nuovo palesato la tua opinione riguardo la responsabilità del Bossetti, vorrei sapere da cosa trai questa conclusione. La frase a
cui mi riferisco è la seguente:
"Personalmente sono assolutamente persuaso dell’innocenza dell’imputato"
Grazie
Sira
A Sira
Mi sembra di aver già espresso il perché, non c'è il ben che minimo indizio di colpevolezza o di coinvolgimento (solo 'fuffa'). Per la 'prova' del Dna mi sembra che si sia già detto abbastanza (ma vedrai che anche su quello ci potrebbero essere sorprese).
Direi sarebbe meglio, Mimosa, proseguire la discussione come la si vuole trattare, in calce al "vecchio" articolo. E' evindente questo non sia il luogo adatto.
Stefania
Sono d'accordissimo.
Ci rivediamo di là
alla fine della partita tra Argentina e Olanda ;-)
Mimosa
da il Corriere di oggi:"I filmati trovati in una nuova telecamera montata su una stazione di servizio riprendono il suo furgone a pochi metri dalla palestra dove Yara si trovava quel pomeriggio del 26 novembre 2010."
lasciamo perdere la farsa dell'interrogatorio dell'altro ieri, ma davvero qualcuno è ancora disposto a credere che sia innocente??? mah.
Filippo, ma di cosa stai parlando? Ci sei mai andato a Brebate di Sopra? Credo proprio di no.
In via Locatelli c'è la palestra, questo è vero, ma è vero come è vero che di fronte alla palestra (dall'altra parte della strada), c'è il distributore dove Bossetti faceva sempre rifornimento, e che quasi all'angolo con via Morlotti c'è l'edicola...
E dai!!! Quella telecamera la chiami prova?
Massimo
Massimo, ma dico io, vabene avere dei dubbi certificati da 4 laboratori diversi, ma continuare a trovare giustificazioni sul fatto che Bossetti fosse di continuo davanti alla palestra (guardacaso non più da dopo il misfatto) e giustificare ogni suo indizio contro (addirittura le celle...) mi pare francamente un gioco ad oltranza. Inoltre ora spunta pure la nuova denuncia del giorno prima del rapimento della ragazza e il furgone denunciato è identico a quello cassonato del Bossetti! Prova scentifica certa, indizi (gossip chiamali come vuoi) infiniti= COLPEVOLE. E che giustizia sia realmente fatta, i delinquenti vanno in carecere!
Ti ricordo inoltre che il suo furgone è stato filmato li alle 18.01, insisti a dire che è coincidenza??? suvvia.
A Cesena si dice:
E fat lè che piò ch'in sent qui dl'a piaza e pio' chi scor, che piò is cunvinz e piò i pensa d'ave rason. E fat l'è che se po' l'hanè cme i dis in piaza, si'na' rason, in drova e stes temp druvè prema par dmandò scusa, no, i fa' la fen ad che can cl'andet a mases parché, e geva, a forza ad score un aveva pio' la vosa.
Il fatto è che più ascoltano quelli della piazza e più parlano, che più si convincono e più pensano d'aver ragione. Il fatto è che se poi non è come dicono in piazza, se vengono a sapere che non hanno ragione, non usano lo stesso tempo usato quando accusavano, domandano scusa e fanno come quel cane che si andò a nascondere perché, disse, a forza di parlare aveva perso la voce...
Però, Massimo, tu devi avere delle informazioni sicure che non ci stai rivelando, per avere queste certezze sull'innocenza di MB. Perché, in realtà, questo DNA fasullo, guarda caso, appartiene: 1) a uno che va a farsi le lampade a 100 metri da casa di Yara 2) ha un furgone compatibile con le riprese video effettuate nella zona il giorno della scomparsa 3) che sul suo computer ha effettuato moltissime ricerche sul caso 4) a uno che, nelle ore della scomparsa, ha il cellulare spento a differenza del solito ( e se lo ricorda pure), e che come ultima cella aggancia quella di Brembate 5) a uno che ha il pizzetto e l'auto grigia come il tizio che secondo il fratellino seguiva Yara (la corporatura non è secondo me rilevante, perché l'impressione può variare a seconda dei vestiti che si indossano, soprattutto in zone fredde) 6) a uno che è figlio di una tipa che conosceva bene e frequentava il Guerinoni 7) a uno che fa il muratore, come si diceva da sempre dopo avere esaminato le polveri respirate da Yara 8) a uno che usa proprio quel tipo di attrezzi che corrispondono all'arma del delitto e via proseguendo con le coincidenze. Voglio dire, il fatto che il DNA, fasullo o meno, corrisponda proprio a questo tipo di persona è quantomeno un filino strano. Quindi, Massimo, se hai fonti certe rivelacele, così scommettiamo pure noi :-) Saluti Stefano
ciao stefano
mi risulta che un signore , amico di guerinoni ebbe una confidenza da questo suo amico..(ora non so se ricordo male ma ho letto da qualche parte queste notizie)) che aveva inguaiato una ragazza dalla quale ebbe un figlio, secondo i calcoli il figlio dovrebbe avere sui 50anni o giu' di li', bossetti ne ha 40 e rotti, ha una sorella gemella ., inoltre la signora ester era appena sposata l'altro parlava di una
ragazza
non capisco tutte queste notizie che ci propinano continuamente , come a volerci inculcare bossetti colpevole .
a qualcuno di noi pare innocente , ma siccome non abbiamo la palla di cristallo tutto puo' essere .
ma continuare lo sciaccallaggio non lo trovo serio - pare che abbiano il timore che bossetti sia innocente .
Caro Stefano, potrei avere qualche informazione in più (diciamo diversa), ma sicura? Come ho già scritto, "sicuro e certo" sono morti da tempo immemorabile, "forse" invece è in coma e "chissà" passa le sue giornate al pronto soccorso.
La differenza fra me che insisto a garantire un giusto equilibrio mediatico a un indagato (e lo farei anche per te e per tutti gli altri che si proclamassero innocenti e venissero presi di mira da certi giornalai) e gli altri, è che non ascolto quanto si dice nei telegiornali o si scrive sui quotidiani (forieri non di informazioni sane ma solo di false convinzioni e pregiudizio), ma uso in primis la logica e poi, casomai mi restassero dubbi, il telefono.
In ogni caso, la scommessa può essere letta in altro modo per far sì che esca da un percorso del dna che non lascia spazio ad altri ragionamenti e infonde sicurezza.
Mettiamola così: io, garantista, credo a quanto mi dice Ester Arzuffi (che assicura di non aver mai avuto una relazione col Guerinoni), altri invece non le credono dandole della bugiarda. E so che non le piace essere offesa.
Quindi, uscendo dalla questione dna che intoppa, la domanda e la questione diventano semplicissime: io scommetto su Ester, gli altri sui biologi.
E sono pronto a scommettere, fra i tanti svariati motivi (un minimo di esperienza ce l'ho e conosco il modo di fare indagini e informazione) perché non riesco a dare risposta ad una domanda facile facile. Questa: Ester dovrebbe mentire visto che prima o poi la comparazione del dna fra suo figlio e suo marito si farà e se risultasse diverso farebbe una figura di mer.. (oltre che a condannare mediaticamente ancora di più suo figlio) che un decimo le basterebbe per provare un'enorme vergogna e seppellirsi sotto quintali di fango?
Se trovo una risposta diversa da quella che mi sono data sono disposto a cambiare idee, ma non mi si venga a dire che non ammette il tradimento per difendere il figlio, la sua famiglia e la sua dignità (già maciullata da tanti giornalai nostrani).
Ciao, Massimo
4 laboratori diversi non costituiscono una piazza ma una cattedrale (di accuse provate) e qui chiudo.
Se ci troviamo di fronte a una cattedrale, perché non ti fai regalare qualche centinaio di euro? Se sei sicuro non rischi nulla, ci rimetto solo io...
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/06/21/gli-scienziati-e-la-firma-del-dna-ecco-perche-inchioda-il-killer15.html
Non è stato nemmeno necessario fare l'esame del Dna al padre anagrafico. Perché?
«Perché — risponde Boncinelli — "Ignoto uno" ha, stando ai test del Dna, dentro di sé le parole del padre e quelle della madre, e possono essere solo quelle».
http://www.focus.it/scienza/il-dna-e-le-analisi-forensiche_C12.aspx
DOMANDA al dott. Emiliano Giardina: Come viene considerata la prova del DNA, dal punto di vista giuridico?
La Corte di Cassazione penale, a partire dal 2004, ha deciso che «Gli esiti dell’indagine genetica condotta sul DNA, atteso l’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario». Cioè significa che le “impronte digitali genetiche” sono equiparate a quelle reali, che ci sono sulla punta delle dita.
Buon pomeriggio a tutti
il DNA sugli slip e sui leggins prova al limite che il bossetti ha tentato un approccio sessuale con la ragazza ma non prova l'omicidio. La ragazza dopo l'approccio potrebbe essere fuggita ed essere stata avvicinata da altra parsona che potrebbe essere il suo vero assassino...perchè si cercherebbero altre prove per inchiodare bossetti se bastasse ilDNA? perchè non si procede allo stato di fermo?
lori
ok, dopo questo post di lori, capisco che è meglio abbandonare i blog su temi come questo.. saluti a tutti.
p.s. lori: si scappando dal bossetti è inciampata e ha battuto la testa. quindi bossetti non centra nulla.
il tuo sarcasmo è decisamente fuori luogo....la procura cerca altre prove perchè il DNA prova esclusivamente un rapporto ravvicinato tra i due e non l'omicidio altrimenti avrebbe provveduto immediatamente allo stato di fermo...ovviamente la mia è una tesi provocatoria ma di certo è la stessa procura che conferma quanto vado dicendo....altrimenti perchè continuerebbe a cercare altre prove?
lori
Ciao Lori,
anche a me sembra evidente che il DNA sia un indizio molto grave, ma che dovrà essere convalidato in sede processuale, anche alla luce di un quadro investigativo completo ( sul quale stanno lavorando).
Circa la dinamica processuale (basta il Solo Dna?) avevo trovato interessante questa considerazione:
"Se il dna riesce a resistere a tutte le obiezioni tecniche, è molto probabile che si vada ad una condanna del Bossetti anche senza altre prove di tipo squisitamente investigativo. Se, invece, l’esame del dna non è così sicuro, per la difesa il percorso processuale diventa molto più semplice perché non ci sono, attualmente, ricostruzioni fattuali e circostanziali tali da poter diventare prove in sede di giudizio ".
http://news.panorama.it/cronaca/dna-yara-bosetti-guerinoni-assassino
Ciao Pamba io non so a chi appartenga questa considerazione ma ho sentito il parere dell'avvocato Marazzita intervistato su sky ( ma ancora prima l'avvocato Bongiorno) che hanno sostenuto con fermezza che stando così le cose non c'è un vero e proprio quadro accusatorio perchè la presenza del DNA non prova l'omicidio anzi marazzita ha detto perfino che se fosse stato un suo assistito avrebbe già chiesto la scarcerazione. Tuttavia visto e considerato che ben QUATTRO laboratori confermano l'attendibilità di questo DNA mi chiedo perchè non lo condannino a vita e non buttino la chiave della prigione?
oltretutto sono veramente nauseata da questo vociare di giornalisti o pseudo giornalisti che dicono tutto e il contrario di tutto! e soprattutto da questi pennivendoli che tutto ad un tratto si rivelano profondi conoscitori di DNA!
ops ho dimenticato di firmarmi
lori
Beh Lori, capisco che ci sia contradditorio tra gli avvocati, siamo di fronte ad una situazione mai vista in precedenza: un'inversione dell'indagine tradizionale, dove il DNA era la conferma finale del sospettato, non il contrario!
Neanch'io apprezzo il can can mediatico, ma non me la sento di buttare via con l'acqua sporca anche questo risultato ottenuto. L'indagine è solo all'inizio..
In tutta questa vicenda, peraltro, più che adorazione della scienza, ci vedo tanto antagonismo nei confronti di risultanze scientifiche che probabilmente fanno paura all'immaginario collettivo (identità biologica, segreti familiari, manipolazioni ecc.) perché non sono state adeguatamente divulgate e dibattute.
Ci sarà da riflettere.
Ciao, Pamba
p.s. l'avvocato intervistato nel link sottostante il post e' l'Avvocato Gentile (proprio lui, forse già scottato dal DNA;-)
Ah! quel famoso avvocato Gentile! come dimenticarsene!
Cmq alla fine di tutto concludo con le parole della Bongiorno "Finora ha parlato solo l'accusa"
ciao
lori
Pamba, mi permetto, ha colto il punto. C'è antagonismo.
La diatriba che scalda gli animi a mio parere non è tanto se B. sia colpevole o innocente -noi che ne sappiamo?- ma è il profondo antagonismo nei confronti di:
- come viene trattata la vicenda sui media: ogni aspetto normalissimo della vita privata e quotidiana viene usato per sp**ttanarti senza ritegno alcuno e senza freno alle illazioni anche su reti nazionali in prima serata
- le evidenze "scientifiche" (usate come prova inoppugnabile in assenza di altro.)
Voglio dire, se non serve più un movente, un'arma, delle testimonianze, e tutto il resto, penso che dovremmo essere tutti terrorizzati.
Se vogliono prendere l'assassino così fanno presto a trovarlo, prendono uno a caso che passa sempre di la' e siamo sicuri che sarà stato ripreso da tutte le telecamere, che avrà agganciato le celle, e lui non potrà negarlo.
Dovremmo essere terrorizzati di andarci a fare un prelievo nel territorio provinciale, se utilizzassero il contenuto della ns fiala, 90 su 100 troverebbero che eravamo in zona, cioè dove stiamo tutti i giorni. Fatalità non eravamo da un'altra parte. Game over. E non cercherebbero più nessun altro.
Paradossalmente una vita abitudinaria e monotona ti incolpa ancora di più, non hai possibilità di essere stato altrove. E questo fa paura.
Comunque, per le testate giornalistiche, quando sul furgone di Bossetti avranno trovato tracce di Bossetti potremo chiudere la cella e buttare via le chiavi.
V.
scusate se viene doppio.
V.
http://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/ma-sul-dna-e-scontro-tra-i-giudici-sul-prelievo-al-padre-di-bossetti_1063608_11/
e da questo articolo si evince finalmente che l'analisi sul dna di giovanni bossetti non è ancora stato fatto checchè ne dicano certi pennivendoli!
lori
letto nel forum dell'articolo che ha postato lori.
- seguito il Dna su Giovanni Bossetti, non è lui il padre biologico, notizia data da Studio Aperto. Roby
guarda magica che il commento è del 18 giugno ed è di un commentatore non meglio identificato...possibile che se ne sia accorto solo questo roby?
lori
Buongiorno a tutti !
Se l’aggressore ( o gli aggressori) ha abbandonato Yara ancora in vita come poteva essere sicuro che la ragazzina non sarebbe stata ritrovata in tempo per essere soccorsa ?
Come poteva prevedere che - nonostante l’avesse abbandonata in una località a una decina di chilometri da punto in cui era scomparsa e a circa 300 metri dal Centro ricerche del Comando di Polizia Locale - le forze dell’ordine e le squadre di soccorso non sarebbero state in grado di localizzala già nel giro di poche ore scongiurandone il decesso dovuto soprattutto ( oltre che per le ferite inferte) al freddo della notte ed anche a causa dell’inadeguatezza e dei ritardi nelle ricerche ?
Se fosse stato il Bossetti , il giorno dopo sarebbe andato tranquillamente al lavoro senza preoccuparsi di correre il rischio di essere riconosciuto e denunciato dalla ragazza visto che alle 07,30 del mattino seguente non poteva ancora avere la certezza che Yara fosse morta e che il corpo sarebbe stato rinvenuto solo casualmente ben 3 mesi dopo ?
Davvero acute osservazioni Enrico, che però sembrano davvero lontane dal modus operandi degli investigatori.
GILBERTO
In riferimento alle osservazioni di Enrico, ho riflettuto anch'io sullo stesso argomento, e non da oggi:
Chiunque abbia aggredito la povera ragazza, lasciandola priva di sensi, ma non senza vita come riportato dagli esami autoptici, potrebbe non essersi accorto dello stato ancora vitale della vittima, oppure non se ne è preoccupato, più di tanto, in quanto, se sopravvissuta, non avrebbe potuto denunciarlo perchè sconosciuto alla vittima.
Quest'ultima ipotesi ci porterebbe lontano, e vanificherebbe anche la quasi certezza che l'ultimo sms inviato da Yara, a parecchia distanza dal punto in cui si sarebbe dovuta trovare, che ha dato il via alla convinzione di essere su un mezzo di trasporto, dove sarebbe salita solo se il conducente fosse stato molto ben conosciuto dalla ragazza.
Siamo su una scacchiera, dove una pedina mangia l'altra.
Sarà o non sarà così?
Ciao, Pino
Sì, Pino, il dubbio è un buon consigliere, invita a riconsiderare tutto senza pregiudizio e lasciando aperti anche scenari alternativi.
Ciao
Gilberto
Opps io è Kiba stiamo commentando di la'...anche su scenari alternativi.
Credevo che qui si facessero considerazione più' di carattere generale sul tema dell'articolo.
Che si fa, ragazzi?
Pamba
Ciao PINO
il mio ragionamento ( che, come vedo, anche tu avresti fatto) porta inevitabilmente alla logica conseguenza che l'aggressore debba essere stato qualcuno di sconosciuto ( almeno in zona )
Pamba, hai ragione, anche io preferisco discuterne in un solo post senza frammentare troppo il discorso. Gilberto ha scritto a chiare lettere quale fosse l'intento di questo suo articolo. Per questo penso sia invece meglio discutere dei nostri dubbi in calce a quello precedente. Io continuo' da quella parte. Non me ne voglia Gilberto ma trovo piu' interessante occuparmi delle indagini che dei media, pur non dimenticando come ovvio, quanto sia stomachevole il modus operandi di tanti giornalisti e giornalai.
Stefania
Gilberto, complimenti! Il tuo lungo scritto è interessantissimo e per nulla facile, scriverò come mi viene cercando di non essere travolta tra i flutti delle rapide del tuo scritto in piena.
Mi permetterò di elaborare il mio personale modo di vedere i fatti e di intramezzarlo nel tuo.
Già l’introduzione mi trova d’accordo, anche per me questo caso “ è l’esatta trascrizione della disinformazione che regna nel bel Paese ormai da tempo immemorabile. Un caso emblematico per il quale giornali e televisioni hanno costruito dal niente un processo mediatico gonfiando le notizie più insulse, creando nessi inesistenti tra fatti o addirittura inventando di sana pianta fatti e situazioni mai accaduti o accaduti in modo del tutto diverso da come sono stati poi raccontati.”
Tu leggi il caso Bossetti - DNA come un “ gigantesco e involontario esperimento di Psicologia sociale il cui sistema di comunicazione è quello delle “ le voci che corrono”, nel quale l’informazione è gestita e influenzata dall’autorità.
“ Involontario” l’esperimento, scrivi, concedimi di non ritenerlo involontario, ma programmato.
Riporti “l’esperimento Milgram” nato nel 1961, per riconsiderare il ruolo dell’autorità nell’influenzare la società, partendo dal dubbio di dare credito a chi detiene autorevolezza derivante dal ruolo scientifico esercitato, che deve essere per forza attendibile e per questo ha la sua influenza nel sociale che viene gestita (posso dirlo?), dal sistema di comunicazione.
In quella “ teatralità dei camici bianchi”, come la definisci, intrisa di interessi economici e, a mio parere anche politici, si potrebbe inserire una scenografia diversa dai laboratori, quella ad esempio della gestione del potere a monte che muove altri apparati?
Se ipotizziamo si possa fare, quale tipo di rapporto potrebbe collegare le Autorità scientifiche, economiche, politiche, e il popolo?
Quello delle comunicazioni è ovvio, da gestire in modo tale che la “voce del popolo”, considerata attendibile per tradizione antica, possa essere pilotata attraverso le notizie volute dalle autorità, in tal modo il popolo indottrinato obbedirà e forse, per arrivare sono d’accordo, al “1° passo per portarci tutti al micro chip sottocutaneo con la scusa del dna ”.
Sembra che non rimangano molto spazio e molto tempo per esercitare il dubbio ed è come dici “ impossibile cancellare un falso”, quel falso è stato progettato-manipolato- incanalato per essere credibile.
La manipolazione è partita ed è cresciuta passando tra i casi Sarah, Yara, Melania, Roberta, Elena, fino agli ultimi e raffinati sviluppi sul Bossetti emersi pubblicamente, che coincidenza, in un momento storico delicato per la nostra penisola.
Nel momento in cui si si deve presiedere il Parlamento europeo, si sta tentando di apportare cambiamenti alla Costituzione camuffati da ambigui ruoli, necessità alterate, ritocchi insensati tra fanfare e strombazzi, riforma elettorale vergognosa, nel gioco mediatico c’è spazio per un giornalista straniero che appare in tv come avviso pubblicitario affermando: “ ammazziamo il Gattopardo”!
Quindi, quel DNA trovato con lavoro, sagacia e dispendio di economia si può interpretare anche “ alla luce di congetture e confutazioni” e quella notizia potrebbe essere giunta, guarda caso dal ministro, con tempismo perfetto, per incuneare tale notizia nel festival politico e sviare l’attenzione del popolo.
Enrico condivido le tue osservazioni,nuove e stimolanti.
Cara Vanna
Ho trovato questo tuo ultimo intervento più coerente e sistematico di alcuni precedenti. Dici cose alle quali non osavo arrivare, questa volta devo riconoscere che hai suggerito nuovi spunti piuttosto interessanti che meriterebbero un ulteriore approfondimento. In fondo è proprio vero, nella società dello spettacolo è tutto interconnesso, se pizzichi una corda lì, ecco che risuona là. I suonatori non si vedono (non sempre) ma ce la suonano e ce la cantano...
Gilberto caro,
il mio intervento ti è sembrato più coerente e sistematico perché si è inserito nel tuo che portava considerazioni che mi permettevano di esporre più diffusamente.
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