Di Gilberto Migliorini
L’italiano si conferma come
l’elettore conservatore per antonomasia anche quando all’apparenza sembra voler
cambiare cavallo e cavaliere. La realtà è che da Forza Italia al Pd di Renzi
c’è una linea di assoluta continuità per la quale l’italiano medio si riconosce
come garante di una stabilità che rifiuta qualsiasi cambiamento, se non quello
di facciata (si è trattato di un travaso come da vasi comunicanti). La sostanza
è quella di una musica suonata con altri strumenti e con diversi suonatori, ma
con uno spartito che rimane sempre uguale a se stesso. L’elettore del Bel Paese
mantiene stabilmente quella forma mentis
che i mass media sono riusciti a costruirgli come abito mentale e come
stereotipo. Il movimento cinque stelle
non ha ottenuto una buona performance, nonostante i proclami lasciassero intendere
risultati eclatanti (l’enfasi era più che altro il buttare il cuore al di là
dell’ostacolo, le pascaliane ragioni del cuore che la ragione non conosce come scommessa
e sfida in primo luogo con se stessi). I sondaggi, un po’ ammaestrati e un po’
farlocchi, tutt’al più - ironicamente e per celia - si lanciavano a immaginare
uno scenario da outsider vincente utilizzando la metafora vuoi dell’ippodromo con
Igor Brick a solo un’incollatura o vuoi dell’esuberante Camerlengo di Genova
nel nuovo conclave.
Ci si può chiedere, al di là dei programmi, declinati come
spot pubblicitari, quale sia stato l’elemento o gli elementi che hanno convinto
così tanti italiani a dare fiducia a un partito che di nuovo ha solo la facciata (perlomeno secondo i canoni del divide et impera e delle fedeltà - o
infedeltà - di elettori vuoi in libera uscita, vuoi ormai disillusi e mazziati,
e vuoi legati a un astensionismo cronicizzato in un rassegnato distacco dalla
rappresentanza). Non si è dato fiducia a quel movimento cresciuto con la forza
visionaria del richiamo ai valori dell’onesta e della moralizzazione della vita
politica (quel richiamo a Berlinguer, forse un po’ di maniera ma efficacemente
allusivo, di un Nessuno che ritorna
sotto mentite spoglie senza essere riconosciuto dai Proci di lignaggio
politichese. Si è dato fiducia a quel mondo di professionisti della politica che
parlano per formule criptiche e circonvolute o che discorrono per argomenti col
taglia e incolla, come se il destino del Paese fosse un semplice collage di figurine.
Il ‘grande comunicatore’ ha saputo perfino
trovare consonanza con l’intellettuale di turno, un po’ uptodate (nell’involucro esteriore) e un po’ con la puzza sotto il
naso, immancabilmente e organicamente spalmato sull’ideologia di partito.
Ma
nel bel paese, con una audience notoriamente di bocca buona, per avere la
stoffa del Grande Fratello basta
anche solo promettere dentiere, assegni in bianco, qualche plus e benefit del
più radioso futuro e fare l’immancabile gioco delle tre carte con un compri uno
e paghi due.
Gli orfani delle consunte e
vetero-ideologie non sembrano spaesati, nessuna sindrome di Stendhal con sostenitori e simpatizzanti che guardano fiduciosi
le rovine di utopie dall’aria stantia e decrepita, cariatidi a reggere soltanto
vuote promesse e illusorie speranze spacciate per l’ancora di salvezza. I giovani paladini del nuovo corso (con quegli ottanta
denari che fanno da prezzemolo della nouvelle cousine della gastronomia
socio-politica), invecchiati ancor prima di sfornare il loro antipasto di
crudità, possono guardare con supponenza un movimento
pentastellato cresciuto dal niente
(il buon senso senza orpelli e senza reticenze) e nutrito con passione e
franchezza. C’è ancora qualcuno fortunatamente (più di un quinto dei votanti) che
conserva il buon senso al di là delle frasi fatte e delle tirate retoriche, sa
dire basta alle prediche preconfezionate e ai razzolamenti nella corruzione e
nel malaffare, sa ravvisare una pulsione di onestà intellettuale, un desiderio
di rompere gli schemi di utopie leziose e contraffatte. È un Odisseo sotto
mentite spoglie, ipostasi di una istanza collettiva a lungo negata, che l’ortodossia
si sforza di non vedere appellandosi al bon ton, a quella politica di una mano
lava l’altra, dei bei discorsi per i gonzi e dei patteggiamenti dietro le
quinte.
I più visionari, gli incorrotti
dal virus dell’ideologia predigerita e della retorica del linguaggio
politichese, colgono l’elemento propulsivo di un onesto sentire, la novità di
un approccio non convenzionale e non ammantato di artifici e di inganni – quelle
idealità a scadenza elettorale, comizi, bandiere, parole d’ordine, rievocazioni
- i richiami a programmi smunti e stereotipati… insomma a tutto quel sistema di
oleografie e surrogati con i quali si intaglia il pinocchietto italiano che
vota un po’ a comando e un po’ per i presunti vantaggi (e le illusioni) di un
gruzzoletto di monete sonanti (zecchini d’oro da mettere a dimora nel campo dei
miracoli in attesa che nasca l’albero frondoso e tintinnante alla brezza del
sol dell’avvenir). Certo anche le parole hanno il loro peso specifico, alludono
e evocano, raccontano storie e costruiscono scenari, sceneggiature del nostro
futuro. La scelta del linguaggio non è mai casuale, risponde a canoni etici ed
estetici, ma soprattutto serve non solo a costruire sceneggiature, ma anche ad
occultare, obliterare, confondere, fuorviare… A qualcuno fa scandalo il
turpiloquio, non piace la battuta senza peli sulla lingua, dà fastidio chiamare
merda la merda, preferendo alludere
non dico agli escrementi, che si preferisce rimuovere sotto forma di velata
allusione ai naturali bisogni fisiologici, parafrasando di coproliti e perfino
di allegre sedute sul wc.
Ci hanno persuasi che sia volgare chiamare le cose
col loro nome, educati a rimuovere, dimenticare, creando la neolingua
orwelliana, il doublethink con il quale possiamo asserire una cosa e il suo
contrario senza essere sfiorati dal dubbio della contraddizione, immuni dalla
consapevolezza che proprio ieri si diceva esattamente il contrario di quello
che oggi fa tendenza (politicamente parlando) e che domattina sarà già un’altra
cosa in funzione dei referenti (più o meno occulti) e delle nuove alleanze. Per
molti fa scandalo chiamare le cose col loro nome, urlare la rabbia per essere
presi per i fondelli e menati per il naso. Non fa scandalo un paese in mano
agli speculatori e ai mafiosi, fa scandalo che non si usi l’allegoria, l’allusione,
l’anfibologia, l’ellissi… per dire che si ruba, si inganna, si violenta e si
prevarica. Usare i giri di parole, gli eufemismi… sembra per molti del tutto
naturale. È l’etica della situazione, decidere caso per caso in funzione
semplicemente dell’opportunità del momento, del compromesso, dell’affare
immediato, del tornaconto valutato in base non già al benessere collettivo ma
al beneficio della fazione politica, magari con la giustificazione che poi… tutti
ne trarranno magicamente vantaggio.
È sorto un movimento che pare
non ancora contaminato dal bispensiero orwelliano e dall’affarismo amorale, capace
di calamitare intorno a sé entusiasmo, passione e fiducia di sostenitori e
simpatizzanti che si sono lasciati conquistare dalla veemenza ma anche dall’idealità
interpretata in modo istintivo e fidando della propria intuizione circa l’onesta
intellettuale che i suoi protagonisti hanno espresso senza reticenze,
denunciando corruzione e malaffare. Non sono mancati dubbi e interrogativi anche
per chi ha votato il partito pentastellato (quasi un richiamo al collodiano
grillo parlante, la coscienza scomoda di un italiano infantile, quel burattino che
si vorrebbe diventasse grande, un uomo vero). Non si tratta solo del comico o
dell’homo satiricus che trasforma la critica
in una gag o in un grammelot per
usare il linguaggio di Dario Fo (con un richiamo al giullare e al pazzo del Re
Lear che dichiara una verità profonda mascherandola nel linguaggio della
follia, ma in realtà proclamandola a gran voce e in modo ancora più eclatante
di chi usa i modi perbenisti del freudiano principio
di realtà come mero opportunismo). Il movimento pentastellato richiama quel
ritorno del rimosso, quella verità
che un super-io autoritario e censorio vorrebbe mantenere entro i confini di un
linguaggio formulato secondo i canoni del politicamente corretto, delle
metafore sterilizzate e inoffensive, delle figure retoriche vuote e altisonanti.
Si tratta di un ribaltamento di quel Galateo di Monsignor della Casa, con quei
modi e quelle parole in libertà che i partiti considerano come trasgressione
non solo al bon ton della politica come arte del compromesso e della censura,
ma anche come violazione dei canoni impliciti delle convenzioni ideologiche.
Una denuncia di quel moralismo e di quella correttezza formale che ammanta e
ammorba la politica al punto di considerare sconveniente qualsiasi riferimento
che possa inarcare fantasie libidiche, risvegliare il ricordo delle fasi di
sviluppo psico-sociale. Riguarda quel
passato quando le forze politiche non avevano ancora completamente obliterato
ideali e speranze sotto una immensa cloaca di opportunismi e tatticismi, di
consociativismi e di voti di scambio.
Perfino i più innocenti richiami ad un
retaggio storico (in tutte le sue forme) suscitano nei partiti tradizionali avversione
e rimozione per quel potenziale pericolo della memoria, quelle istanze che parlano il linguaggio fuori metafora di
un’onestà senza infingimenti e di una progettualità senza compromessi.
L’inconscio fa davvero paura a quelle forze politiche che considerano il
passato una sorta di museo da lasciar lì come una salma imbalsamata, un
richiamo a pulsioni che è meglio non sollecitare, soprattutto per non dover
fare i conti con la propria incoerenza e la propria coscienza. Perfino la
questione morale è diventata soltanto il richiamo di maniera, tra il convenzionale
e il pittoresco, una sorta di mantra da recitare più che altro come auto-assoluzione,
la penitenza simbolica per le deroghe infinite al compromesso e alle larghe
intese.
Il partito pentastellato ha
ravanato in quel fondo oscuro che tutti gli altri partiti preferiscono tenere
sotto il controllo vigile e ferreo di quel super-ego messo a guardia contro
quella sessualità polimorfa perversa,
per dirla freudianamente, che invece il movimento ha considerato come
l’elemento creativo e liberatorio da un sistema di potere omologato secondo i
canoni di un linguaggio ipocrita e perbenista. Una critica radicale a chi
predica bene con tropi e traslati dall’aria compunta, con tutti gli armamentari
e i trucchi del caso, e quando serve con l’utilizzo della più aggiornata chirurgia
estetica a coprire le vergogne di volti devastati dalla lebbra della corruzione
e della spartizione consociativa, dell’affarismo e del compromesso. Il fuori
metafora, da quel dolce stil novo
replicato ormai solo come specchietto per le allodole e come metrica artefatta
per i gonzi e i pedanti, è stata smascherata da una satira talvolta brutale e
irriverente alla Cecco Angiolieri, ma anche da quell’idioma dantesco duro
e virile, senza fronzoli e senza
compromessi della commedia italiana.
Sarebbe illusorio credere che
basti l’entusiasmo e la passione, che basti onestà e buona fede. È l’apertura
mentale, la curiosità, e soprattutto il coinvolgimento di tutti coloro che
possono apportare il loro contributo creativo, la loro passione e la loro intelligenza.
La rete è solo una delle tante opportunità, una delle risorse di quegli italiani che vogliono davvero cambiare registro. Altri
hanno per l’ennesima volta ascoltato la musica suadente del suonatore di turno
che come al solito dichiara di voler cambiar tutto per non cambiare niente. Gli italiani che hanno davvero capito
sanno che presto molti nodi verranno al pettine e che le bugie alla fine
avranno le gambe corte.
La sfida comincia davvero solo adesso.
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2 commenti:
Sinceramente poco m’importa di spendere parole su di un Renzi su di un Grillo o ancor meno su di un Berlusconi divenuto ormai una caricatura di se stesso
In questo momento sono più interessato a quello che succederà in Europa
Il positivo risultato del centrosinistra italiano va analizzato in relazione al corrispettivo disastroso risultato di quello del governo francese che, in seguito alla clamorosa affermazione di M.LePin, sarà obbligato a cercare nuovi equilibri e nuove alleanze in seno al PSE al fine di arginare l’avanzata degli euroscettici
Circostanza questa che metterà l’Italia in una situazione di forza con buone prospettive per la nostra politica interna
Se poi nel Parlamento italiano c’è una opposizione costituita da un nutrito numero di deputati del M5S la cosa non mi dispiace per niente.
Anche se persistesse la linea di rifiuto alla gestione del governo, la loro presenza garantirebbe il controllo e la denuncia del malcostume, degli inciuci, della disonestà dei nostri politici che da vent’anni a questa parte si sono comportati come i ladri di Pisa
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grandecocomero.com
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