Di Gilberto M.
Un gioco di prestigio è un accadimento che crea un’illusione nella mente dello spettatore, qualcosa cioè che esiste in un modo diverso da ciò che è veramente, in ciò che appare. Le modalità con le quali viene messo in atto il trucco magico possono essere talvolta complesse e ingegnose (con la messa in campo di strumentazioni e apparati davvero impressionanti, vere e proprie scenografie, perfino effetti speciali da guerre stellari) oppure basate sulla abilità delle mani del prestidigitatore o esclusivamente sugli effetti di suggestione indotti ipnoticamente… Ci interessa l’effetto psicologico, l’illusione appunto, che determina nella mente dello spettatore - al di là della meraviglia, dell’ilarità e talvolta della paura, dell’inquietudine e del dolore – quelle aspettative e quelle deduzioni che vengono implementare surrettiziamente. Occorre però dire che chi assiste a un fenomeno di magia sa già che c’è un trucco e è disposto ad accettare il gioco di prestigio come vero, anche se sa perfettamente che si tratta di illusionismo. Tale concessione viene accordata quanto più il prestigiatore è stato abile nel rappresentare l’effetto scenico per stupire il pubblico. Lo spettatore insomma da un lato vorrebbe smascherare il mago, ma dall’altro, essendo palese che si tratta di uno spettacolo di intrattenimento, è perfino disposto a chiudere un occhio, a stare al gioco, perfino quando il trucco non viene bene o appare abbastanza prevedibile nella sua esecuzione.
Occorre anche dire che
l’illusionismo presuppone la conoscenza di certi meccanismi della psicologia
umana, quegli inganni naturali e quegli errori di valutazione, nei quali si cade
involontariamente soprattutto quando l’evento appare del tutto plausibile,
coordinato e svolto con naturalezza e senza forzature. Quando il prestigiatore
cerca di far apparire come vera magia
quella che è solo illusione,
subentrano resistenze e sospetti da parte dello spettatore smaliziato che non è
disposto a uscir fuori dall’alveo dell’intrattenimento e di accordare al mago più di quello che lui è
effettivamente, solo un illusionista e non già un operatore dotato di poteri
soprannaturali o taumaturgici. Quando il mago per finta vuole essere qualcosa
di diverso (astrologo, cartomante, chiromante… operatore dell’occulto)
occorre un surplus di autorevolezza e di legittimazione che non tutti sono disposti a concedere (l’autosuggestione
e in qualche caso la complicità involontaria con un procedimento talvolta fraudolento).
Altre forme di complicità possono comunque risultare completamente normali in
quanto fondate sul tacito accordo che si tratta soltanto di un divertissement. L’astrologia, ad
esempio, quando è solo un gioco, una sfida al buon senso e alla normalità
quotidiana, può perfino rappresentare quell’effetto placebo che realmente può
indurre vantaggi reali come qualsiasi farmaco dell’anima (e non solo), quella
pillola solo con lo zucchero che comunque ci fa sentire meglio perché stimola
l’ottimismo e la fiducia in noi stessi sollecitando le nostre difese naturali.
Va da sé però che i giochi di
illusionismo più potenti sono quelli che non si qualificano come tali, non si
servono di apparati artificiosi come quelli di un prestigiatore e non si
presentano allo spettatore in veste di eventi d’eccezione, ma solo e soltanto
in un contesto di assoluta naturalezza e di perfetta rispondenza alle leggi
della fisica, alla deduzione logica e al sillogismo, e al buon senso
(altrimenti non sarebbero credibili).
La premessa è utile per
inquadrare quelli che nei sistemi basati sul consenso sono le sceneggiature in
grado di orientare l’opinione pubblica attraverso degli illusionismi che non
solo non si qualificano come tali ma che di fatto rappresentano dei veri e
propri sistemi occulti di persuasione basati sulla apparente naturalezza, sulla
plausibilità e verosimiglianza, senza forzature e senza pressioni sull’audience che mai e poi mai vuole sentirsi
manipolata. D’altro canto la persuasione per qualificarsi come tale non deve
produrre nessun orpello del tipo di quello dell’illusionista con i suoi
apparati scenografici e i suoi travestimenti che ci inducono immediatamente a
comprendere che si tratta proprio di uno spettacolo e comunque a instillare in
noi il sospetto di volerci condurre per mano... Questo non significa però che
le forme più potenti di illusionismo, quelle dei sistemi politici basati sul
consenso, non si servano di apparati atti a produrre illusioni, tutt’altro, si
tratta di apparati sofisticati e complessi che utilizzano esperti in ogni
settore, apparati che però non tradiscono mai la loro utilizzazione e il loro
scopo, e per questo devono avere l’apparenza della neutralità e dell’obbiettività,
e instillare fiducia e senso di appartenenza nel cittadino nei confronti di
sistema informativo corretto e obiettivo.
Per entrare in argomento senza
ulteriori precisazioni dirò che due sono gli eventi emblematici, pietre miliari
dell’evoluzione del sistema dell’illusionismo applicato ai sistemi politici
democratici: L’omicidio Kennedy
appunto, e l’11 settembre.
Naturalmente - prima, dopo e tra - si
danno molti altri esempi di illusionismo, ma qui ci interessa l’evoluzione nei
suoi aspetti essenziali, paradigmatici, che in qualche modo riassumono il mondo
contemporaneo con l’utilizzo dei mass media in modo sistemico e attraverso una
pianificazione scientifica dell’uso della propaganda e soprattutto del
condizionamento (classico e operante) applicato all’orientamento dell’opinione
pubblica, delle pubbliche relazioni e delle scelte elettorali.
L’omicidio
Kennedy e l’11 settembre sono
due sceneggiature che costituiscono anche modelli di psicologia sociale in
funzione di un processo di ingegneria politica in vista di scopi non dichiarati
e che ciascuno è libero di interpretare alla luce degli accadimenti dei quali
sono stati in qualsiasi modo il seme. Il film di cui essi sono solo la premessa
non ci interessa in questa analisi, ci interessa per così dire l’aspetto
tecnico-espressivo di due stili, due modalità di intrattenimento che rappresentano non solo l’evoluzione degli strumenti filmici e delle metodologie di
persuasione, ma anche l’evoluzione del target
(il pubblico) nella sua qualità di destinatario, nel suo sistema simbolico,
nelle sue idiosincrasie e nelle sue competenze ideo-logiche, in una parola nell’immaginario collettivo.
Intanto dobbiamo dire che i
due copioni insieme a molte analogie presentano significative differenze sia
sul piano simbolico, sia su quello tecnico, sia infine dal punto di vista
psico-sociale, segno di una evoluzione, e in certo senso anche involuzione,
delle competenze e delle capacità percettive e deduttive del target (e segno anche di una
trasformazione delle strategie mediologiche del sistema politico sempre più
orientato a un connubio tra reale e virtuale). In entrambi i casi c’è un’azione
in diretta televisiva, un documento che vuole fare della trasparenza e della informazione
il suo punto di forza. Si tratta di eventi perfettamente documentati con
diverse inquadrature, fotografie, sonoro, perfino con l’utilizzo dello
spettatore come regista occasionale e testimone attrezzato di cineprese e
macchine fotografiche, tutto in perfetta sintonia con un sistema, quello
democratico, nel quale l’elettore è protagonista e non solo spettatore sulla
scena. C’è un quadro di Escher che
rappresenta questo dualismo dello spettatore dal titolo Prentententoonstelling
(Galleria di Stampe) dove un uomo in una galleria d’arte osserva un quadro di
un paese sul mare e mediante una curva ellittica nel quadro c’è anche la stessa
galleria d’arte nel quale l’osservatore si trova). Insomma un quadro
autoreferenziale, l’osservatore fa parte del quadro che sta osservando. Questo è sicuramente un elemento
estremamente importante di un sistema democratico, la visibilità e la
documentazione che corrispondono a un assunto dei sistemi democratici: la
persuasione comporta che all’osservatore-spettatore non solo sia trasmesso un
documento informativo, ma che lui stesso (o per interposta persona, con gli
occhi di una telecamera o con un testimonial) sia sulla scena, che faccia parte
della storia, che entri nel frame del quadro.
Insomma, occorre che l’osservatore
imparziale attesti che la mano del prestigiatore tenga davvero in pugno la
pallina che per magia passerà nell’altra mano (la destrezza della mano prestis digitus provvederà poi a creare
il gioco di prestigio che comunque presuppone l’elemento di abilità mostrando
platealmente, quello che fa la mano destra per nascondere quello che fa la
sinistra). Possiamo dire che tanto più documentato e palese è il coinvolgimento
del pubblico nel gioco di prestigio mediatico e tanto più il gioco viene bene,
lo spettatore entra nella cornice senza rendersi conto di essere non solo una
comparsa, ma il vero attore involontario del film nel quale in fondo è lui il
vero protagonista. Ovviamente la scelta del soggetto, lo spettatore (che in qualche
caso può essere un compare, un complice della regia, ma perfino ignaro del suo vero
ruolo nel copione) è molto importante per assicurare il massimo di
spettacolarizzazione e la riuscita dell’illusione.
Non si tratta di giocolieri
dove l’abilità è plateale, e nemmeno si tratta di camminare sui carboni ardenti
o di stendersi su un letto di chiodi o di levitare o di liberarsi magicamente
dalle catene alla Houdini. Si tratta
proprio, come in un gioco di prestigio, di mettere in atto quella misdirection, quella
focalizzazione dove si vuole che l’attenzione sia diretta. Attirare l'attenzione del pubblico su quelle parti della
scena che la regia ritiene opportune sviando l'attenzione da quello che non
deve essere registrato dall’occhio (ma soprattutto dalla mente). Evidentemente
tale deviazione dell’attenzione (e in qualche caso dello sguardo) - ma in ogni
caso dei processi di inferenza logica - può essere messa in atto solo con
tecniche raffinate sia di tipo fisico (spettacolarizzazione, climax, effetti
speciali) sia di tipo psicologico (voci che corrono, false informazioni, inquadrature
ad hoc, e tutto l’armamentario delle figure retoriche come ad esempio l’enfasi (l’accentuazione) o l’Understatment (la sottostima o la
svalutazione).
In un sistema
democratico dunque è impensabile un omicidio di palazzo, che si realizza nel
chiuso anonimo di una stanza. Un presidente eliminato senza che sia plateale il
suo omicidio non farebbe che suscitare sospetti ben più profondi e radicati di
quanto avvenga in un omicidio in diretta con milioni di testimoni ad attestare
che è tutto vero. Si tratta appunto di documentare con le telecamere, le
cineprese, le fotografie, il sonoro… che riproducono l’evento alla nausea e con
un pubblico dibattito che riafferma i principi della trasparenza e
dell’informazione a dar conto che è tutto naturale e che non c’è nessun trucco,
che i movimenti sono fluidi e i ritmi (timing)
sono coerenti con l’azione, che non c’è impalmaggio
(non viene nascosto niente nella mano). Insomma, usando il linguaggio della
prestidigitazione occorre dimostrare al mondo che è tutto alla luce del sole e
non c’è inganno e che l’assassino è proprio quello catturato quasi subito e con
le mani nel sacco.
La sceneggiatura
dell’omicidio Kennedy in realtà mostra molte incongruenze, impalmaggi, reticenze, understatment,
inverosimiglianze... una storia che fa acqua da tutte le parti, ma non è questo
che importa. Chi deve giudicare non è un tecnico del suono, un esperto di
psicologia sociale, un detective, un massmediologo, un cameramen o un fotografo
professionista, un esperto balistico, un analista dell’immagine… l’importante è
che il prodotto sia confezionato ad arte, che sia plausibile per un pubblico
medio (il 90% della popolazione), che risponda a sufficienti criteri estetici e
che abbia una sua verosimiglianza in ragione del gusto e della cultura media
dello spettatore. Si tratta cioè di un prodotto dove il tutto è maggiore della
somma delle parti anche là dove ciascun elemento della fiction, presa
singolarmente, presenti falle e incongruenze. L’importante è che il film
risulti nel suo complesso così ben confezionato e diretto da risultare perfino
credibile e verosimile agli occhi di un’audience
non troppo smaliziata che non necessita di motivazioni complesse ed elaborate,
bensì di giochi e scene di impatto immediato. Nel caso Kennedy poi il pubblico è
coinvolto in prima persona, una sorta di street
magic che viene esperito da varie angolazioni con testimoni oculari.
Nel caso
dell’11 settembre il gioco di prestigio si è però fatto più pesante, non solo
per il numero dei morti, ma anche per i mezzi profusi, uno script degno di un colossal di science
fiction. Quasi quarant’anni di filmografia con un incremento esponenziale
di effetti speciali e di nuove tecniche cinematografiche e televisive, e con
adeguate strumentazioni e diavolerie informatiche, non potevano non incidere su
una spettacolarizzazione all’ennesima potenza. Nessuno spettatore abituato a
film come la serie di Alien, a quella di Terminator e Guerre Stellari avrebbe
potuto dar credito a un evento con migliaia di morti se non fosse inquadrato in
qualcosa di così drammatico e spettacolare come il crollo delle Torri gemelle e
la demolizione di una parte del pentagono ad opera del dirottamento aereo.
Se però
guardiamo le due sceneggiature, Omicidio
Kennedy e 11 settembre, non si
può non rilevare che la prima è ricca di elementi psicologici e di sfumature
esistenziali che la rendono più simile a un film di Alfred Hitchcock rispetto
alla seconda che appare più orientata alla spettacolarizzazione colossal, ad un
film Avatar ante litteram. L’omicidio
di Kennedy è pregno di notazioni ricche di pathos (il dolore e lo sconcerto dei
testimoni), di dettagli onirici (molte inquadrature sovraesposte alla luce da
parte di fotografi dilettanti), di forme retoriche ricercate (l’uomo che tiene
aperto un ombrello nero nonostante la bellissima giornata di sole), di
riferimenti allusivi (Oswald come personaggio ossessionato psicolabile e
frustrato), di personaggi equivoci (Ruby gestore di un night club e collegato
alla mafia) e di elementi estetici (la folla che fa ala al corteo presidenziale
ricorda certi quadri di Magritte).
L’omicidio inquadrato da una pluralità di
prospettive attraverso le molte pellicole a disposizione da parte degli
spettatori ricorda la scena del film Psycho (1960) dove la scena della doccia
si compone di 70 inquadrature in soli 45 secondi; i vertiginosi movimenti di
macchina (zoomate) del film La donna che
visse due volte (1958), e il MacGuffin (l’espediente) di Oswald
filocastrista in cerca di fama. E il piano sequenza apparentemente senza tagli
del montaggio… Anche gli strumenti e oggetti di scena rimandano a una regia che
si affida all’understatment e al minimal (la limousine Lincoln
Continental scoperta senza nessun sistema di sicurezza, l’arma del delitto un
Carcano mod 91, fucile da quattro soldi di fabbricazione italiana con un’ottica
di ‘precisione’ molto approssimativa).
Insomma, un film dall’estetica non banale e dall’uso della soggettiva come
inquadratura di elezione (la smorfia di dolore di Oswald quando viene raggiunto
dalla pallottola di Ruby o ancora Oswald che saluta col pugno alzato mentre
viene trasferito senza nessuna precauzione dalla centrale della polizia di
Dallas alla prigione della contea). Un film credibile da un punto di vista
cinematografico (ma solo cinematografico) e con una sceneggiatura che, per
quanto con molte falle, risulta nel complesso accettabile. E non è detto che il
mandante non figuri sul luogo del delitto, proprio come Hitchcock che amava
apparire in almeno una scena.
C’è da dire poi che le commissioni d’inchiesta (rapporto
Warren e HSCA) hanno il carattere un po’ surreale del trailer, magari con l’aggiunta delle scene tagliate in fase di
montaggio, degli special shoot . In
ogni caso stanno a dimostrare che le possibilità della fiction sono talmente
numerose, in qualche caso davvero fantasiose, che il promo si mantiene suppergiù fedele al feedback iniziale.
Nell’11
settembre invece la sceneggiatura sembra affidarsi più che altro agli effetti
speciali, al colossal, segno di una sceneggiatura psicologicamente più povera e
stereotipata, di una spettacolarizzazione di impatto che vuole soprattutto
stupire, povera di elementi cognitivi e psicologici e pregna di fattori
emozionali (l’aereo che penetra come una lama nel grattacielo) che di fatto
riempiono il frame (lo sguardo e la memoria dell’osservatore in una sorta di
imprinting ipnotico in grado di sovrascrivere e cancellare qualsiasi altro
elemento mnestico). Un pick-pocketing, un borseggiatore dell’anima sotto forma di stupore quasi catatonico in
grado di obliterare qualunque procedimento razionale in un shock emotivo che
azzera qualsiasi lucidità. L’effetto di transizione è rilevante perché è il
segno di un’audience impoverita sul piano cognitivo, sempre
più disposta ad assimilare informazioni che trovino consonanza sul piano
spettacolare e del segnale amplificato, ma carente su quello logico-deduttivo e
soprattutto sempre più dipendente dalle informazioni degli esperti, dei guru
della scienza, dei tecnocrati della politica, dei mallevadori massmediatici.
Quale stile
caratterizzerà il prossimo film dell’illusionismo socio-politico? Sicuramente
il connubio tra reale e virtuale sarà portato all’esasperazione. Cadaveri dissotterrati
per simulare catastrofi umanitarie? Manichini di simulazione? Scenografie di apocalissi
mediatiche… o forse milioni di morti veri
trasformati in semplici anime invisibili volate in cielo? Gilberto M.
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5 commenti:
Carissimo Gilberto,
sei terribile (nel senso positivo, intendo !). Affrontare questa enorme problematica risulta di estrema difficoltà. La democrazia, si sa, si fonda sul consenso, ma come va ottenuto il consenso, con la verità o con la menzogna ? Se la democrazia fonda il suo consenso sulla menzogna è solo pseudodemocrazia, parvenza di democrazia, non democrazia in senso proprio che richiede consenso consapevole, libero, informato e responsabile, condizioni dalle quali siamo lontanissimi. Democrazia in questo senso è ancora oggi utopia e insieme eutopia: "non luogo e buon luogo", un Ideale da raggiungere, se la nostra umanità sarà in grado di raggiungere. Ma non raggiungerlo porterà inesorabilmente all'autodistruzione dell'umanità stessa, che farà una fine analoga a quella dei dinosauri, ma molto più rapida.
Sì Manlio, un po' terribile lo sono, lo riconosco, ma forse non abbastanza. Per questo auspico senz'altro la tua collaborazione. Riguardo all'utopia (luogo inesistente o luogo felice?) le fosche nubi che si addensano sul futuro dell'umanità mi lasciano piuttosto dubbioso. Siamo tutti in attesa di un miracolo o meglio una magia...
Ciao
Gilberto
Se definiamo la magia come la pretese degli uomini di impossessarsi dei poteri della divintà, possiamo spiegarci molte cose su questo argomento... mi basta pensare a quando con una scheda elettorale alla mano abbiamo l'illusione di cambiare le cose, di migliorarle, si spera...E come si è detto,tutto avviene come in un gioco di prestigio,sotto,sotto lo spettatore sa che il trucco c'è ma accetta consapevolmente il compromesso che fa parte del gioco. Sono sognatrice ma spero che l'umanità tenda all'infinito a raggiungere un ideale di democrazia,nel suo significato più nobile,quello etimologico.
scusate l'anonima si chiama Cecilia...
questo post non l'ho capito .
lo scrittore che vorrebbe sostenere? che l'omicidio di kennedy fu il copione di una sceneggiatura? e pure la caduta delle torri gemelle di new york?
oppure è un post scritto con ironia.. o altro?
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