mercoledì 24 ottobre 2012

Famiglia uccisa dai funghi a Pisa. Perché l'operatore del 118 non ha inviato un'ambulanza a casa dei Di Ruscio?

Tabella funghi (clicca per ingrandire)
Ogni anno a partire da ottobre, mese in cui anche chi non si intende di funghi ne raccoglie a profusione, ogni azienda sanitaria locale rende attivo il servizio micologico a cui rivolgersi gratuitamente per sapere se quanto raccolto è commestibile. In provincia di Pisa sono tre gli uffici preposti: una a Pisa, uno a Pontedera ed uno a Volterra, Ma il servizio è disponibile in quasi tutte le città italiane (può cambiare il mese di apertura) e basta una telefonata all'Asl per sapere qual'è l'ufficio più vicino a casa propria. Da San Giorgio di Cascina, dove abitava la famiglia sterminata dai funghi velenosi mangiati mercoledì 17 ottobre, si arriva all'Asl di via Roma 180, a Pontedera, in circa venti minuti. Venti minuti sono una sciocchezza spesa bene se aiutano a salvare la vita. Ma Lino Di Ruscio quei minuti li ha risparmiati, forse preferendo far assaggiare i funghi al cane o al gatto di casa, che a differenza di quanto si creda non subiscono gravi danni fisici cibandosene, o forse affidandosi alle rassicurazioni degli amici 'più esperti'. C'è da chiedersi se sapesse che a pochi minuti da casa sua c'era chi poteva salvargli la vita, c'è da chiedersi se sapesse che il mangiare quanto raccolto avrebbe messo pericolo la vita di chi più amava, col rischio serio di farli morire tutti. Vi chiederete perché, pur sapendo che sia lui che i suoi congiunti sono morti a causa di quei funghi, ho scritto che ha messo in pericolo la vita di chi più amava e non che la colpa di quanto accaduto sia tutta da addebitare a lui. Ed io vi rispondo: perché nessuno può mettere la mano sul fuoco e dire che Simonetta Di Ruscio, suo padre Lino e sua madre Luisa, non si sarebbero potuti salvare se si fosse agito con tempestività.

Certo, la causa primaria sta nei funghi cucinati. Nessuno discute il fatto che se non li avessero mangiati ora i Di Ruscio sarebbero sicuramente vivi. Ma chi conosce l'esatta cronistoria di quanto accaduto, sa che tutto non ha funzionato per come doveva. I giornali e le televisioni, come sempre, hanno fatto una cronaca parziale ed una certa confusione, alcuni hanno pure inventato. Tutto per essere i primi a riportare la notizia. Ci hanno detto che gli esperti assicurano che l'ingerire quel tipo di fungo (amanita phalloides) porta a morte certa, ma in realtà anche questa è una mezza verità. Le statistiche ci dicono che in Italia ogni anno almeno cinquecento persone vengono intossicate dai funghi velenosi. Ci dicono che il novanta per cento risolve in poco tempo i problemi fisici, questo perché quanto ingerito in realtà non è letale (si parla dei funghi che fan star male a pochissime ore dall'ingestione). Ci dicono che il dieci per cento, quindi una cinquantina di persone l'anno, hanno purtroppo complicazioni serie, proprio a causa del tipo di fungo che si comporta in modo da far scoprire con molto ritardo l'avvelenamento. Ma avere complicazioni serie non significa sempre morire. Ad esempio: se si son mangiati pochi grammi si può ricorrere ad un antidoto che in qualche giorno stabilizzerà i parametri. La Farmacia del Sant'Anna di Ferrara ne distribuisce in tutto il territorio nazionale. Se invece si è esagerato, per poter sopravvivere serve arrivare in ospedale il più presto possibile. Certo, sarà quasi impossibile non dover subire un trapianto di fegato, penare mesi e mesi, forse anni, ma alla fine del calvario si potrà tornare alla propria vita. E' capitato a tanti di intossicarsi per aver mangiato l'amanita phalloides, e non è affatto vero che tutti siano morti.

Per non morire fra atroci sofferenze, quindi, occorre arrivare in un ospedale con una certa celerità. E qui sta la 'falla' che rende inquietante quanto capitato alla famiglia Di Ruscio. Loro hanno mangiato i funghi il mercoledì sera e sono entrati al Pronto Soccorso nel pomeriggio del giovedì... ma potevano arrivarvi prima se l'operatore del 118, a cui avevano chiesto aiuto, avesse inviato un'ambulanza ad aiutarli. Nessuno vuol creare 'mostri', non io perlomeno, ma quanto è accaduto non è proprio limpido, visto come la storia si è sviluppata. Tutto è iniziato, come detto, mercoledì 17 ottobre, quando Lino Di Ruscio trova in un podere, fra gli altri, anche dei bellissimi funghi carnosi bianco-verdastri. Si avvia verso casa ed incontra la famiglia del fratello, che osservandoli gli chiede se davvero è intenzionato a mangiarli. Lui dice che quelli verdognoli li butterà, non è certo siano commestibili... ed invece, probabilmente, fa un esperimento su di sé, come fatto altre volte. Ne assaggia una minima parte ed attende. Arriva la sera, non ha sintomi e decide di cucinarli tutti, anche i verdognoli. E qui dimostra di non avere alcuna cultura sui funghi, perché solo quelli poco velenosi danno sintomi già nelle prime ore, i letali sono subdoli ed iniziano dopo la dodicesima a farsi sentire. Ed infatti la famiglia cena, mangiando anche i funghi, e va a dormire normalmente. La notte scorre tranquilla ed è solo il mattino successivo che arrivano i sintomi caratteristici dell'avvelenamento. Ma il mal di pancia e il vomito, inizialmente sopportabili, non fermano la figlia dell'uomo, Simonetta, che si reca al lavoro come tutti i giorni. Però poi è costretta dal dolore a tornarsene a casa. In famiglia tutti come lei stanno male, suo padre sua madre ed il figlio maggiore di tredici anni che i funghi li ha solo assaggiati (il piccolo di sette sta bene, lui non li ha voluti mangiare). Cosa possono fare in una simile situazione? Ciò che ogni cittadino italiano farebbe in casi del genere... chiamare il 118.

Ed ecco ciò che io credo sia una 'falla' (specialmente in questo periodo altamente a rischio di avvelenamenti a causa dei funghi): l'operatore del 118 non si rende conto della gravità del fatto, non capisce che si tratta di una intossicazione che può portare alla morte, dice che per casi del genere non si inviano ambulanze ed invita la famiglia a recarsi al pronto soccorso coi propri mezzi. Ma quando il dolore è lancinante guidare un'auto è impossibile. E così, fra una corsa al bagno ed un non sapere che fare (ricordiamoci che tutti gli adulti in casa stavano male, che anche il figlio di tredici anni stava male e che era presente un bambino di sette anni) si arriva nel primo pomeriggio di giovedì, quando Simonetta si piega in due dal dolore. Il male non aiuta la ragione, ma finalmente decide di chiedere aiuto alla cugina Daniela. Lei il giorno precedente aveva visto i funghi verdognoli, capisce subito che è una intossicazione ed abbandona il lavoro per correre dai parenti. Ma i minuti nel frattempo non si fermano. Arriva a casa dello zio, si rende conto che è anche peggio di quanto pensasse e chiama il medico di famiglia, che di lì a poco arriverà. Lui dice che non c'è assolutamente tempo da perdere, che bisogna correre all'ospedale. Daniela allora carica tutti e li porta al Pronto Soccorso del Cisanello. Purtroppo non può restare con loro, il bimbo piccolo di Simonetta sta bene ma si trova ad essere solo e ad aver bisogno di lei. Cosa accade a questo punto? Di sicuro s'è perso altro tempo prima che qualcosa si potesse fare, tutti siamo stati nei Pronto Soccorso degli ospedali e sappiamo bene come funzionino le cose... ma se i Di Ruscio fossero arrivati con un'ambulanza si sarebbero accellerati di certo anche i soccorsi ospedalieri. 

Però, da quando s'è detto nei telegiornali, i medici si sono attivati subito. Ma attivarsi subito, a parte che l'operatore del 118 già aveva fatto tardare di tanto le operazioni di soccorso, a mio parere significava stabilizzare la situazione ed inviare i familiari, tutti e quattro, al Careggi di Firenze, dove è in funzione il Centro Antiveleni di riferimento per la Toscana. Anzi, se un'ambulanza ed un medico fossero arrivati tre o quattro tre prima a casa Di Ruscio, forse la si sarebbe indirizzata subito verso il Careggi, senza neppure fermarsi all'ospedale di Pisa... dove alle analisi sono seguite le terapie, è vero, magari anche con la consulenza dei professori del Careggi (ma un conto è un consulto a distanza ed un altro è l'avere il paziente sotto gli occhi), però c'è comunque da chiedersi: si può tenere sotto osservazione chi ha ingerito la "Amanita Phalloides?", il fungo più velenoso, quello che entrato in circolo non fa feriti ed uccide tutte le cellule dei reni e del fegato? Forse è una prassi, forse in questi casi si aspetta e si spera di non avere a che fare con funghi letali. Ed io la capisco e la posso capire solo in questo modo, visto che solamente il venerdì mattina, ad oltre trentasei ore dall'ingestione, Lino Di Ruscio è stato ricoverato nel reparto di Terapia intensiva ed è scattata la ricerca di un fegato. Ciò che non capisco, è per quale strano motivo non si siano ricoverate subito in terapia intensiva anche la moglie e la figlia. A quel punto era abbastanza chiaro che quanto stava accadendo all'uomo sarebbe capitato anche alle donne. Donne che solo il sabato mattina alle 11.00 sono entrate nello stesso reparto... ma ormai il limite lo si era superato di tanto. Simonetta e sua madre parlavano con l'alito, i valori del loro sangue erano completamente sballati, il fegato non era più rimediabile e restava, come ultima possibilità (ma a quel punto serviva un grande miracolo), la speranza di trapiantarne uno sano e di avere riscontri positivi in breve tempo.

Lo ripeto, non voglio creare mostri, ma allo stesso tempo una pulce mi storpia l'orecchio. Per questo spero che oltre all'autopsia, un atto dovuto, si sequestri la registrazione della telefonata al 118 e si faccia chiarezza sul motivo per cui l'operatore non ha inviato un paio di ambulanze ed ha invitato quattro persone intossicate, con dolori addominali di certo lancinanti, a recarsi al pronto soccorso con la loro auto. Spero anche si sequestrino le cartelle cliniche, giusto per sapere a che ora la famiglia è entrata al Pronto Soccorso, a che ora sono iniziate le terapie ed a che ora si è chiesto un fegato da trapiantare. Spero ci sia qualcuno che chieda ai medici il motivo per cui non hanno pensato di mandare la famiglia Di Ruscio al Careggi e se davvero avevano capito nell'immediatezza con quale tipo di veleno si trovavano a combattere. Quando i minuti incidono tanto sulla vita delle persone, quando non si può perdere tempo perché tempo da perdere non ce n'è, occorre agire in maniera consona. E chiedere conto di come i medici e gli operatori del 118 hanno usato il loro tempo in determinati momenti, mi pare il minimo visto che un ragazzino di tredici anni ed un bimbo di sette sono rimasti senza madre e senza nonni. 

Se a Pisa s'è fatto quanto si doveva fare, buon per l'operatore del 118 e per i medici dell'ospedale che si potrà dire hanno operato con diligenza. Se a Pisa s'è fatto quanto si doveva fare, vorrà dire che solo il destino è stato crudele e si è accanito coi Di Ruscio per farli soffrire le pene dell'inferno in un ospedale che nulla di più poteva fare per loro. Ed una volta sgombrate le ombre vorrà dire che per salvare la vita degli italiani che si fidano troppo di quanto dice un amico, e non sanno che l'Asl ha uffici in cui portare i funghi raccolti, non resterà altro da fare che chiedere alle amministrazioni comunali di agire nel modo più semplice di questo mondo: far affiggere, quando inizia la stagione dei funghi, tanti bei cartelloni sulle strade delle loro città con la foto di quelli velenosi e di quelli commestibili... a volte in fondo basta poco per prevenire le tragedie.

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3 commenti:

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Massimo hai fatto bene a scrivere questo articolo,e che come dici non tutto è stato fatto nelle regole.Non voglio colpevolizzare nessuno ,ma certamente quel'operatore del 118 la coscienza non c'e la tanto pulita,ci voleva molto ad inviare un autoambulanza e che magari quelle vite si potevano salvare.Con i funghi non si scherza,o si comprano da chi ne capisce altrimenti sono guai e tante volte anche mortali. Ciao Massimo.

Sira Fonzi ha detto...

Ciao Massimo, giusto ieri ho terminato un corso di Primo Soccorso ed abbiamo parlato, tra le altre cose, delle chiamate verso il 118.
Chi risponde al centralino è personale infermieristico specializzato presidiato da un medico per ogni postazione.

Le postazioni di solito sono in uno o più ospedali importanti che però, in virtù del contenimento dei costi, non vantano più di tanti mezzi a disposizione e l'operatore si trova a dover gestire le chiamate classificandole come urgenze ed emergenze.
Fare errori di valutazioni sulla gravità della chiamata può portare a non avere a disposizione mezzi poiché alcuni sono fuori per urgenze scambiate per emergenza.

Riallacciandomi al tuo interessante articolo c'è da dire che è stato molto importante e determinante ciò che ha comunicato la famiglia all'operatore durante la richiesta d'aiuto .
E' importantissimo essere più chiari possibili riguardo la spiegazione dell'accaduto dando più informazioni possibili.

E nel caso fosse sottovalutato quello che noi riteniamo essere un problema chiedere sempre il nome dell'operatore.

A me è capitato che mia mamma lo scorso anno sembrava avesse i sintomi di un infarto,
ma essendo malata di Alzheimer non riusciva a spiegare dove avvertisse dolore
ed allora al telefono ho spiegato per filo e per segno ogni cosa che avevo notato e sono stata altrettanto chiara nel dire che non potevo capire se fosse un malessere dovuto ad altro.

La persona che mi rispose mi mandò immediatamente un ambulanza ma gli infermieri dopo aver visto lo stato in cui si trovava mia madre attribuirono il malessere ad un calo di pressione, seppure c'erano dei sintomi che con il calo pressorio non c'entravano nulla.

Non avendo l'uso della parola mia madre si trovava in una situazione di inferiorità e loro si rifiutarono di portarla al Pronto Soccorso perché a detta loro non ce n'era bisogno.

Al che ho detto loro che si sarebbero assunti la responsabilità di ciò che stavano facendo e che se non l'avessero portata loro lo avrei fatto io con la mia macchina, ma nel caso fosse successo l'irreparabile a mia madre li avrei denunciati.

Vistasi costretti l'hanno caricata sulla barella borbottando e nel viaggio ricordo ancora mi lanciavano battute infantili perché non avevano digerito il mio comportamento.

In conclusione mia mamma è viva per miracolo, il professore ci ha detto che se avessimo aspettato qualche altro minuto non sarebbe sopravvissuta.

Questo per dire a chiunque di non temere di essere logorroici nell'esporre l'accaduto al telefono, di dar modo all'operatore di sapere il più possibile per giudicare la gravità del caso.
E se non fossimo certi di essere stati trattati nella maniera più idonea insistere, educatamente ma insistere facendo qualificare la persona con la quale si dialoga, non temere nessuno se si è nel giusto e pretendere la giusta assistenza.

Un caro saluto
Sira

junias madel ha detto...

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