Robert Lee Yates, un serial killer "ordinario"?


Robert Yates, un serial killer "ordinario"? 

Articolo a quattro mani di AlessandroBosca e Massimo Prati 



Robert Lee Yates al processo
Robert Lee Yates nacque nel 1952 nello Stato di Washington. Figlio di una famiglia borghese, a sei anni venne molestato da un vicino di casa. Nonostante questo, e nonostante il rapporto travagliato con la madre, donna dal carattere dominante, crebbe forte ed atletico. A 18 anni si iscrisse alla Oak Harbor High Scool, tre anni dopo iniziò a frequentare il College di Walla Walla ma gli scarsi profitti lo convinsero a cercarsi un lavoro. Nel frattempo aveva preso moglie, si era separato e risposato ed era nata già la sua prima figlia. A soli 23 anni fu assunto come guardia carceraria presso il penitenziario di Walla Walla, pochi mesi e decise di arruolarsi nell'esercito degli Stati Uniti dove riusci ad ottenere il brevetto per pilotare aerei da trasporto ed elicotteri civili. Era un uomo serio Robert Yates, talmente serio che servì il suo paese in ogni modo e in ogni luogo. 

Di stanza in Germania, durante la Guerra Fredda, partecipò successivamente alla missione di pace in Somalia, al primo conflitto del Golfo, alle missioni umanitarie post uragano Andrew, all'iniziativa "Peacekeeping" organizzata dall'ONU, e ad altre iniziative fra cui quella intesa a "sostenere la Democrazia" ad Haiti. Si congedò nel 1996 con cinquemila ore di volo, col titolo di "Master Army Aviator", con ben undici medaglie guadagnate sul campo ed un'ottima pensione. 

Contemporanea al congedo fu la scelta di cambiare casa, pur restando nello Stato di Washington si trasferì a Spokane. Tutto sembrava andare bene, aveva una moglie, cinque figli ed era un padre amorevole ed un uomo realizzato. Ma dopo aver pilotato elicotteri, dopo aver fatto l'istruttore ai militari, si accorse che la vita civile non era il massimo per lui, Robert amava troppo il suo lavoro o, comunque, il sentirsi considerato. Così un anno dopo chiese ed ottenne di poter far parte della Guardia Nazionale dello Stato di Washington. Ma mentre cresceva “di grado e di potere” all'interno della istituzione governativa, qualcosa stava cambiando nella sua vita. In casa nulla era più come prima, tanto che le figlie dovettero addirittura chiamare la Polizia a causa dei suoi atti di violenza, ed i detective lo avevano preso di mira e lo sospettavano di essere diverso da chi si voleva far credere. 

Ma perché prendere di mira un uomo, anzi, un pluridecorato dell'esercito che avanzava di grado anche nella “Guardia Nazionale” e che faceva del lavoro il suo vanto? La risposta si conobbe nel 2000 quando, per evitare la pena di morte, confessò 13 omicidi avvenuti nello Stato di Washington, due nel '75 quando lavorava come guardia penitenziaria. Insomma, Robert Lee Yates era un serial killer; anzi, era il serial killer di Spokane, colui che negli ultimi due anni aveva preso sotto tiro le prostitute della zona. La polizia lo aveva capito già dal '98 ma non aveva prove a conforto, solo indizi pesanti che non avrebbero portato ad una certa condanna. 

Robert sceglieva donne di strada, probabilmente per ragioni meramente pratiche in quanto facili da abbordare, possibilmente drogate o alcoliste; non era né un vendicatore né un “pulitore di marciapiedi”, era un assassino ordinario e quasi "noioso" a cui piaceva consumare droghe con le sue vittime prima di sparare loro un colpo in testa con una calibro 22 o con una 25. Nessuna violenza pre o post mortem, dopo averle uccise rubava le borsette e gli oggetti che gli piacevano e seppelliva i corpi sotto strati di materiali vari, in diversi casi portati da casa. L'unico segno distintivo che lo caratterizzava, che si è ripetuto in tutti gli omicidi, era una sportina di plastica che posizionava sul volto della vittima. 

Undici assassinii, dal 1996 al 1998, ma erano molte di più le prostitute uccise col suo metodo, anche se le prime cinque, uccise dal '90 al '95, furono trovate senza vestiti e non c'erano prove che lo collegassero ai delitti. 

Ma cosa lo fece diventare il primo sospettato? Un errore, il solito errore che non può mancare di fare chi si crede invincibile. Capitò il 1 agosto del '98 quando fece salire sul suo furgone Christine Smith, anche lei prostituta, e dopo un rapporto orale le sparò alla testa. Ma Cristine non morì. Riuscì a scappare, correndo a perdifiato, fino ad arrivare dove poi le avrebbero prestato i primi soccorsi. Fu lei ad andare alla polizia ed a parlare di un uomo bianco, sposato con cinque figli, che aveva fatto l'elicotterista nell'esercito ed era a capo della Guardia Nazionale. Robert si sentiva sicuro e non aveva remore a parlare di sé con le future vittime. E questo errore, che avrebbe dovuto convincerlo ad andarsene lontano da Spokane, non bastò a calmarlo, infatti un mese dopo fece salire in auto Jennifer Robhinson, una ragazza molto giovane. Ma la Polizia da tempo aveva avviato un fitto controllo sulle “strade del sesso”, per cui non ebbe neppure il tempo di ripartire. 

Raccontò loro che era stato il padre, con cui aveva lavorato, a chiedergli di cercare la figlia e di riportargliela a casa (pare sia una cosa comune in America). Ma intanto l'ingranaggio s'era messo in moto e dopo pochi giorni fu chiamato per un interrogatorio spontaneo senza avvocato. Lui andò e raccontò ancora la storia del padre di Jennifer, ma non ne seppe dare il nome seppur avesse detto che avevano lavorato insieme, parlò delle sue auto, la Corvette in cui caricava ed uccideva le sue vittime l'aveva venduta, tacendo del furgone che aveva usato con Christine, la donna che s'era salvata scappando (a cui tre anni dopo diranno di avere rimasto un frammento di pallottola nel cranio). Ed ecco le bugie facili da scoprire che i detective si aspettavano, grazie a queste gli chiesero di lasciare il suo sangue per dei raffronti in modo da toglierlo dai sospettati. Lui prese tempo, poi li chiamò telefonicamente dicendo che il sangue non lo avrebbe dato. 

Ed allora rintracciarono l'auto venduta e la controllarono palmo a palmo. Scoprirono che per ben due volte aveva cambiato la moquette del pianale e che c'erano tracce di sangue nei sedili. Le analisi furono lunghe ed accurate ma alla fine diedero i frutti sperati ed il 18 aprile del 2000 fu arrestato ed accusato di due omicidi. Omicidi che poi aumentarono al processo. Però all'appello mancava il corpo di una donna di nome Melody Murfin. Tutti sapevano che lui l'aveva uccisa ma nessuno sapeva dove fosse il cadavere. Quando Robert capì che i giudici l'avrebbero portato al patibolo fece un “patto” con la procura ed in cambio della confessione ottenne di non essere condannato a morte. E qui sbagliò i suoi conti perché non confessò tutti gli omicidi rifiutandosi di ammettere che le due vittime della Contea di Pierce, Contea in cui già era partito un altro processo a suo carico, le avesse uccise lui. 

Robert Lee Yates (2008)
In ogni caso confessò i tredici delitti di Washington e fece ritrovare Melody, l'aveva sepolta sotto la finestra della sua camera da letto nel giardino della casa in cui aveva abitato fino al '96. Così, come da accordo, anziché la pena di morte fu condannato a 408 anni di reclusione. Ma fu una soluzione effimera visto che poi venne condannato a morte per gli omicidi non confessati dai giudici della Contea di Pierce. Ci furono i soliti Appelli e contrappelli ma la condanna divenne definitiva e fu portato nel “braccio della morte” di Walla Walla, lo stesso carcere in cui aveva lavorato in gioventù. L'atto per l'esecuzione fu firmato dal giudice il 5 settembre 2008 e la data fissata a tredici giorni dopo, tredici come le vittime confessate. Quindi il 18 Robert Lee Yates avrebbe dovuto morire. Ma il giorno 11 settembre, ricorrenza tragica per gli Stati Uniti d'America, a sette giorni dall'esecuzione, la Suprema Corte di Washington decise una sospensione per permettere al suo avvocato di portare altre prove a discolpa. Attualmente il serial killer di Spokane è ancora nel braccio della morte in attesa degli eventi. 

E pensare che se avesse ascoltato il “destino” smettendo di uccidere a settembre del '97, dopo essere stato fermato e controllato da un agente della task force antikiller (agente che anziché scrivere “Corvette”, l'auto segnalata quale posseduta da chi caricava le prostitute, scrisse “Camaro”), forse oggi Robert Lee Yates sarebbe ancora un uomo rispettato, comandante della Guardia nazionale e pluridecorato dell'esercito, un uomo ordinario e stimato a cui piaceva sia il suo lavoro di elicotterista che ammazzare prostitute. 


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