Articolo di Gilberto M.
Credo che per la maggioranza dell’opinione pubblica Annamaria Franzoni sia colpevole. Mi è capitato di parlarne con degli amici e dei conoscenti, e quello che risulta in modo inequivocabile è quella malcelata evidenza che traduce una sorta di assioma del tipo: “Non può che essere stata lei”. In alcuni casi il mio interlocutore è più esplicito e mi dice che ce l’ha scritto in faccia, che è lei l’assassina, che lo dicono i suoi occhi. Una sorta di riedizione della fisiognomica di Lavater e della frenologia di Gall, le sedicenti scienze del 700 e 800 per le quali si poteva ricavare il profilo criminale di una persona dai caratteri del viso e dalle depressioni e protuberanze del cranio (pseudoscienze mai andate completamente in disuso). Il "non può che essere stata lei" sembra riportarci al verificazionismo, a una epistemologia pre-popperiana, all’induttivismo per enumerazione, uno degli errori madornali della pseudoscienza. Non si tratta soltanto del tacchino di Russell che ricava induttivamente da alcuni casi particolari una proposizione che dovrebbe valere universalmente, non si tratta soltanto del rispetto del principio costituzionale che si può condannare solo al di là di ogni ragionevole dubbio. Si tratta di quella induzione per eliminazione (esclusione), una fallacia che si fonda sul metodo dell’eliminazione e confutazione di tutte le teorie false (nessun altro poteva essere l’assassino) in modo che ne rimanga una sola, quella "vera". Ma in realtà il numero delle teorie rivali (false), come evidenziato dall’epistemologia popperiana, è potenzialmente illimitato (anche se ne prendiamo in considerazione solo alcune). Dato un problema ‘p’ esiste sempre una infinità di soluzioni logicamente possibili (dato un delitto ‘d’ esiste sempre un’infinità di ricostruzioni e scenari possibili). La scelta di una teoria (o di uno scenario del delitto) non è mai data da un criterio di esclusione per enumerazione, ma in positivo dagli elementi che la fanno ritenere migliore in quanto messa alla prova (prova logica e fattuale, scientifica, con possibilità di smentita, e solo se l’insieme dei falsificatori potenziali non è vuoto).
Dell’uso del principio di induzione ne abbiamo un esempio nel caso di Francesco e Salvatore (Ciccio e Tore) morti nella 'casa delle cento stanze', un’antica masseria al centro del paese di Gravina di Puglia. Il giudice che aveva arrestato il padre Filippo Pappalardi, accusandolo di averli uccisi, aveva escluso l’incidente (fidando sull’induzione per esclusione). Così aveva motivato la sua convinzione: «L'ipotesi di duplice e contemporanea disgrazia appariva scarsamente probabile dato che, salvo pensare a un crollo che avesse coinvolto entrambi o all'ipotesi di una disgrazia accorsa al secondo che magari tentava di soccorrere il primo (per esempio caduto in un vascone per l'irrigazione), resta il fatto insuperabile che Gravina di Puglia non è un comune di alta montagna, con crepacci, burroni e slavine pronti a seppellire per sempre i corpi dei malcapitati». Salvo poi scoprire che era vero proprio lo scenario escluso per induzione, quello dell’incidente. La masseria delle cento stanze era proprio simile alle foibe di un comune con crepacci e burroni.
Nel delitto di Cogne si ricorre ad analogo ragionamento quando nella sentenza di cassazione il giudice Severo Chieffi utilizza un paralogismo fondato sulla induzione per enumerazione: “chi altro se non lei? ”, dove si dice testualmente che: “La possibilità dell’azione di un estraneo (anche a prescindere dal comprovato alibi di tutte le persone della zona astrattamente sospettabili) è, del resto, stata esclusa, al di là di ogni ragionevole dubbio, attraverso la prova logica, che con altrettanta correttezza metodologica avrebbe potuto essere collocata al centro, ovvero posta come caposaldo della sequenza indiziaria, in luogo della prova scientifica basata sulla B.P.A., su cui ha, invece, preferito impostare la propria analisi la sentenza impugnata. Una volta, invero, dimostrate l’assoluta implausibilità dell’ingresso di un estraneo nell’abitazione e la materiale impossibilità che costui possa aver agito, con le modalità già descritte, nel ristrettissimo spazio di tempo a sua disposizione…” Eppure Popper da tempo fa parte del bagaglio dell’epistemologia giuridica.
Quando cerco di ricondurre il discorso su un piano razionale, sulla logica, ricevo dei risolini e delle valutazioni apodittiche sulla vicenda, mi prendono vuoi per ingenuo, vuoi per irragionevole. Capisco che è inutile insistere. Mi chiedo perché la donna, la signora Franzoni (ma discorso analogo si può fare in tanti altri casi), risulti così pregiudizialmente colpevole. Perché non si possano valutare i fatti sul piano delle prove e della loro coerenza, consistenza e logicità. Un giornalista (colpevolista credo) ha parlato della scomparsa dei fatti. Vero... ma quali sono i fatti? Quali le opinioni? Sembra inutile operare distinzioni. C’è chi crede di parlare di fatti ed invece esprime solo opinioni, c’è chi considera opinioni quelle che, al contrario, sono veri e propri fatti. Credo perfino che se un giorno si presentasse qualcuno a dire di essere l’assassino del piccolo Samuele, dando in modo inequivocabile prove dettagliate del delitto che ha commesso, molti dei colpevolisti non cambierebbero la loro idea. Continuerebbero a ritenere colpevole la madre. È nella logica della economia psichica, quella che in psicologia sociale viene chiamata: "Teoria della dissonanza cognitiva". Non si può cambiare idea così, di punto in bianco, mettendo in crisi un sistema di convinzioni e di credenze.
Mi sono chiesto quale sia l’elemento che induca i più a valutare d’istinto un cold case, un delitto. Si tratta di un quid che è rilevato intuitivamente, una capacità di andare a fiuto come un segugio? È qualcosa di inscritto antropologicamente nel personaggio, il presunto assassino? Si tratta invece di quello che è individuato, analizzato e fotografato nella situazione? O forse c’è dell’altro? Quali sono i processi (procedimenti mentali) che portano a ritenere una persona colpevole o innocente prima ancora che sia stato effettivamente celebrato un processo (o quando lo è stato a non voler riconsiderare gli eventuali errori e/o le incongruenze) e senza aver magari mai riflettuto sul caso attraverso una attenta documentazione e trascurando quegli elementi che risultano contraddittori e inverosimili. Provo a rispondere a prescindere da qualsiasi tesi colpevolista o innocentista con un discorso che consideri un delitto (e il processo mediatico che ne consegue) all’interno di quello che viene definito il sistema basato sul consenso e sui mediatori di massa. Torniamo per un attimo al caso Cogne, in un’ottica non apologetica, innocentista o revisionista, ma solo per quanto di emblematico il caso rappresenta nel processo di formazione delle opinioni.
A molti la donna risulta antipatica. C’è da chiedersi se sia qualcosa riguardo al suo modo di porsi, qualche caratteristica e/o idiosincrasia che la inclini a risultare poco attraente, sgradevole, visceralmente detestabile. Qualcosa che attiene alla sua personalità, al suo temperamento o semplicemente al suo stile comunicativo? I commenti in genere sottolineano che è una che piange troppo, il ritratto della menzogna e del sotterfugio, una dissimulatrice che non vuol confessare il delitto che ha commesso. Viene descritta come una figlicida che ha poi fatto un altro figlio perché quello che ha ucciso le era uscito male (la storia della testa grossa). Un ritratto che non ammette né dubbi né incertezze, un profilo più orribile che sgradevole, con battute spesso caustiche e definitive, una condanna senza appello e senza pietà basata, prima ancora che sulla disamina di prove ed indizi, sulla sua immagine pubblica ricavata da una serie di istantanee. Ci si può chiedere se ci sia stata una regia dietro alla esposizione mass-mediatica che ha come trascelto da un film solo quegli spezzoni che hanno enfatizzato alcune caratteristiche della protagonista e posto in rilievo taluni aspetti della sua personalità, mettendone in ombra altre, tralasciando quello che non rendeva il film drammaticamente esemplare di un profilo di madre assassina. Di fatto le immagini che ci vengono trasmesse in qualsivoglia fatto di cronaca, così come le interviste, le parole e perfino gli sguardi di un personaggio (in positivo o in negativo), sono scelti da un insieme molto più vasto di inquadrature e di parole, da un archivio di foto, filmati, interviste e quant’altro. Si tratta fondamentalmente di regia, di un copione dove si sceglie un taglio da dare ad un personaggio per renderlo: vuoi appetibile simpatico e accattivante, o vuoi orribilmente odioso e cattivo... con tutte le possibili gradazioni intermedie.
Nel cinema lo possiamo apprezzare continuamente quando si sceglie una inquadratura per sottolineare il carattere di un personaggio. Carattere che può essere leggero, esuberante e fantasioso, oppure bieco, misterioso e inquietante. La scelta della 'inquadratura' dà un taglio preciso al nostro protagonista, lo qualifica in positivo o in negativo, ma in ogni caso, secondo un intento solo all'apparenza neutrale, inclina lo spettatore a cogliere e ad anticipare quelle caratteristiche che lo renderanno in qualche modo singolare e peculiare del suo ruolo all’interno della storia: 'una vittima o un carnefice, un principe e una principessa, un orco e una orchessa o una delle tante gradazioni nello spettro della quotidiana normalità fino a una assoluta insignificanza'. Spesso l’operazione è grossolana ed evidente: si rivolge a uno spettatore di bocca buona che manda giù tutto senza batter ciglio, contento solo di farsi qualche risata a spese di un malcapitato. Nei casi più sofisticati si tratta invece di suggerire all’audience quello che il personaggio in questione deve essere, quale sia il suo ruolo nella storia senza dare al pubblico la sensazione che gli venga imposta una qualche interpretazione. L’interlocutore non deve essere messo sull’avviso di ciò a cui si vuole arrivare, questo per impedire che egli rifiuti l’affermazione che gli si porge. Si tratta di accennare, insinuare in modo ammiccante con una sorta di allusione casuale, quasi un lapsus involontario caduto per pura fatalità in una inquadratura, niente più che un cavillo incidentalmente scivolato nella scena, un rumore fortuitamente registrato nel sonoro, un frammento accidentalmente entrato nella finestra percettiva.
Occorre lasciar credere allo spettatore-fruitore che sia stato proprio lui a notare quel particolare, a cogliere ed evidenziare i nessi, a trovare la macchia (metaforicamente parlando) che svela e rende palese l’ermeneutica di un delitto. Non imporre, suggerire blandamente, imbeccare con nonchalance, ispirare in modo tangenziale, sfruculiare con gesto svagato e disinvolto... come se l’inquadratura, la parola rubata, il gesto o lo sguardo, fossero qualcosa di naturalmente e spontaneamente accaduto e registrato con l’ausilio neutrale del mezzo tecnico, come se lo strumento di registrazione avesse agito in totale e perfetta autonomia da qualsiasi intento e da qualsivoglia copione, una riproduzione oggettiva e spassionata, una cronaca puntuale e obiettiva. In tal modo si può enfatizzare una parola e una frase decontestualizzandola, isolandola dal suo contesto che non è solo quello esteriore ma anche culturale, linguistico, familiare, interiore (come di fatto accade in certe intercettazioni ambientali dove i discorsi colti sono talvolta frammenti di altre conversazioni iniziate altrove e non registrate). Parole isolate dal loro riferimento reale possono trasformare un personaggio, demonizzarlo o angelicarlo, renderlo qualcosa di completamente diverso da quello che è veramente. Si tratta appunto di regia, procedimenti che avvengono normalmente, mai neutrali, ma che in qualche caso creano un personaggio ex novo, travestono qualcuno con gli abiti della luce o del buio, lo trasformano attraverso un uso sapiente del taglia e incolla. Basta variare un po’ l’inquadratura, far riferimento a un frammento del discorso, modificare il rapporto figura sfondo e il nostro personaggio può precipitare nell’abisso esistenziale della menzogna e del delitto o assurgere ad angelo alato, trasfigurarsi in un alone di luce e di verità.
Basta poco per modificare il senso di una parola e di un’immagine, basta un niente per trasformare un personaggio, virarlo in positivo o in negativo. Può allora accadere che gli occhi di un indagato - abbagliato dai colpi di flash di un fotografo sparati come fucilate - divengano quelli diabolici di un assassino per via delle pupille sbarrate e stupefatte. Il suo sembra davvero uno sguardo glaciale, perverso e satanico, lo sguardo di qualcuno che in realtà è soltanto irretito, attanagliato e spaventato per via di uno sconosciuto che gli grida assassino. Il taglia e incolla di immagini e inquadrature, di parole, di lacrime e sospiri, costruisce la premessa di una storia, racconta attraverso quegli input folgoranti che possono creare suggestioni più forti e più efficaci di un trattato di psicologia o di un testimone a discarico. Una inquadratura di sbieco, una lacrima colta nel momento propizio, una frase innocente nel backstage (ho pianto troppo?) enfatizzata a dovere e replicata magari con il rallenty, con dei ‘bei’ primi piani... sono come sculture nella mente del pubblico, un po’ come le immagini folgoranti di uno spot pubblicitario dove lo slogan finisce per ritagliarsi nella nostra mente ogni qual volta vediamo quel volto, quel prodotto, quel delitto venduto come yogurt o come mortadella. Eppure il pubblico rimane convinto che quello che vede non sia solo un ritaglio, una costruzione del taglia e incolla di una scena, una inquadratura magari casuale ma scelta tra le tante per via di quella suggestione che riesce a creare... il pubblico crede sia qualcosa di reale.
L’audience finisce per ritenere che si tratta del film integrale del personaggio. Per lo spettatore quello che ha fatto e detto è lo slogan che ne interpreta la storia, la sintesi di tutto ciò che è in lui. Si tratta di un personaggio senza altro sentimento e senza altra pulsione, se non quella sublimata in quell’immagine e in quella parola che ce lo racconta, come se invece di un uomo o una donna in carne ed ossa fosse solo una bottiglia con impresso il marchio di una bibita o il fustino di un detersivo con la formula che ne rappresenta l’essenza, angelo del focolare o perverso assassino. Basta leggere sulla confezione il promemoria che ci ricorda trattarsi proprio di un prodotto autentico, non contraffatto e con il sigillo di garanzia. Il marchio dell’assassino impresso in una parola, in uno sguardo, perfino in una omissione: “Sabrina non ha pianto” - “Annamaria non è salita sull’elicottero” - “Filomena non ha lavato i piatti”. Oppure un atto mancato, il lapsus freudiano che disvela tutto mettendo a nudo l’inconscio dell’assassino. La formula: “Cosa mi è successo”, corretta in: “Cosa gli è successo”, diviene elemento di prova decontestualizzando che imprime una sorta di marchio di fabbrica. In realtà non c’è parola che ciascuno di noi possa dire che in un qualche contesto non diventi rivelatrice di qualcosa. Se allineiamo una serie di frasi insignificanti che possiamo aver detto nelle ultime ventiquattro ore, contestualizzandole alla luce di un delitto che possa vederci in qualsiasi modo coinvolti, quelle parole possono assurgere a lapsus, atto mancato, morfemi che parlano del nostro inconscio e di quello che abbiamo o non abbiamo fatto. Il contesto colora le nostre parole. Ma non si tratta di un contesto oggettivo, si tratta di un contesto appiccicato sull’evento che fa da catalizzatore, su quello che risalta tra mille altri in quanto diviene più evidente, più suggestivo, più interessante agli occhi dello spettatore nel sistema di rilevazione statistica dell’audience.
Nel gioco delle libere associazioni qualunque cosa possiamo dire può essere interpretato alla luce di un teorema. Si tratta di una psicoanalisi passepartout, un grimaldello universale con cui possiamo dimostrare tutto e il suo contrario. Non esistono né falsificatori potenziali né regole né controlli. È il dominio del principio di verificazione. Ma il sistema mass-mediatico ha molte altre frecce al suo arco. Proprio in base al principio della libera associazione si possono accostare fatti tra loro distanti cronologicamente o, al contrario, dissociare situazioni che non dovrebbero essere disgiunte. La sofistica greca è davvero un magazzino interessante riguardo ai paralogismi. Nel caso mass-mediatico l’uso di fallacie oltre che al linguaggio si riferisce all’attribuzione e o confutazione di una tesi attribuendole un significato diverso. In psicologia è il caso della 'mistificazione dell'Io': cioè l'attribuire ad una persona desideri, bisogni e stati d’animo, che lei in realtà non ha espresso, interpretando le sue parole in modo arbitrario. E' il caso della risposta tangenziale che ha l’effetto della disconferma nell’inversione figura sfondo, del doppio legame che è una ingiunzione paradossale, un comando contraddittorio (es: sii spontaneo), una forma comunicativa che è in sé conflittuale e impossibile da ottemperare.
Ma il vero quesito è un altro: "Quale logica è sottesa alla presentazione di un 'cold case'? Ad esempio quello di Cogne che, per quanto risolto processualmente con una sentenza definitiva, presenta ancora molti dubbi presso gli addetti ai lavori e in una parte minoritaria, ma non irrilevante, dell'opinione pubblica? Potrebbero i mass media aver presentato il caso fin dall’inizio in modo capzioso, inducendo nello spettatore senza voce il tarlo della colpevolezza?". Cito il caso Cogne solo come emblematico, anche di altri casi, e senza la pretesa, in quest’ottica, di darne un’interpretazione criminologica. Ma per capirci qualcosa in più riguardiamolo sotto il profilo mass-mediatico. La tesi è stata abbozzata da alcuni commentatori neutrali, quindi né innocentisti né colpevolisti, che hanno cercato di dare alla vicenda una cornice sociologica mostrando le sue complesse interazioni con l’influenza esercitata dai media su un’opinione pubblica passiva di fronte ai persuasori occulti, non solo televisivi, che instillano più o meno surrettiziamente le risposte ‘giuste’, gli atteggiamenti ‘corretti’ e le interpretazioni ‘ortodosse’ di fronte ai fatti di cronaca. In effetti i 'cold case', e comunque i casi di nera irrisolti o non del tutto chiari, sono una sorta di prova generale dei processi di influenza sociale e servono per testare quelle risposte ben più importanti sul piano politico, economico e sociale. Insomma, i fatti di cronaca nera potrebbero rappresentare un ottimo esperimento, una sorta di simulazione sul campo, per verificare il linguaggio e le modalità in grado di sondare e indurre risposte appropriate nell’opinione pubblica. Vere e proprie campagne per affinare gli strumenti di influenza sociale, di persuasione, che poi saranno applicati in contesti ben più rilevanti sul piano degli interessi sociali e politici, laboratori per simulare linguaggi, inquadrature, argomenti, slogan... per dirlo in parole chiare, si tratta di una 'modalità di comunicazione'.
Il 'cold case' (tradotto non tanto come caso irrisolto ma come caso emblematico) sarebbe dunque un grande esperimento di psicologia sociale, dove il pubblico farebbe da cavia proprio attraverso i dibattiti nei quali colpevolisti e innocentisti mettono in campo quelle emozioni (tante) e quei ragionamenti (pochi) che in altre situazioni andranno a interessare la sfera del pathos politico e delle scelte socio-economiche. Perfino coloro che si dicono infastiditi da tutto quel parlare, che dunque non si schierano né tra gli innocentisti né tra i colpevolisti ma solo tra gli indifferenti, gli irritati, quelli del 'non se ne può più', i superiori a tutto, farebbero dunque parte dell’esperimento. Si tratterebbe di quella massa inerziale, quel magma indistinto che rappresenta una maggioranza silenziosa, una sorta di serbatoio di elettorato non ancora perfettamente orientato. E' il target di chi si astiene, di chi prende le decisioni all’ultimo istante. Quegli indecisi dell’ultimo momento che non si interessano di politica, che non pongono mente locale ma alla fine vanno a votare o, se non vanno, ingrossano comunque la percentuale dei consensi. Oppure si tratterebbe di coloro che hanno idee ideologicamente così precise e circostanziate da non essere mai messe in discussione perché non hanno bisogno di verifiche. Insomma, sulla cronaca, in particolare quella che un tempo si chiamava nera ma che adesso è di un colore sui generis (comunque generalmente a tinte forti), si affilerebbero le armi per quella battaglia ben più sanguinaria e cruenta che riguarda le scelte di politica, interna, estera, economica, verificando gli umori dell’opinione pubblica ma, soprattutto, modulandone le risposte con input opportunamente predisposti.
Si tratterebbe di un laboratorio a cielo aperto, in ragione di quelle risposte emotive già controllate e analizzate in quei teatri di simulazione che sono i 'cold case' e che rappresentano un micromondo di risposte s-r (condizionamento classico ed operante), analisi di comportamenti collettivi attraverso modelli matematici in grado di rappresentare scenari più vasti e complessi. In tal senso si tratterebbe di un processo di simulazione delle modalità con cui l’audience risponde agli stimoli socio-emozionali. I media intessono una sceneggiatura invisibile orchestrata e organizzata modificando e assegnando, dove e quando serve, le informazioni giuste al momento giusto, gli input appropriati nei modi e nei tempi prescritti dopo averli testati e simulati controllandone l’efficacia. La metafora del laboratorio è rafforzata proprio da tutte quelle che comunemente vengono definite prove scientifiche, con la differenza che ad essere testato veramente non è il colpevole (che di fatto risulta soltanto un elemento trascurabile della simulazione) ma l’audience nelle qualità e quantità delle sue risposte in ragione degli input mediatici somministrati. Come dire che l’oggetto di studio non è propriamente l’imputato (colpevole o innocente) ma siamo proprio noi nel nostro modo di retroagire, nel tipo di feedback con il quale rispondiamo alle stimolazioni.
Per queste simulazioni in genere occorre un colpevole. È pur vero che ci sono campagne orchestrate per dimostrare l’innocenza di un imputato, laddove si vuole puntare sui processi di identificazione, sui buoni sentimenti, sul lieto fine come nelle favole o quando si tratta effettivamente di campagne mediatiche sui diritti civili e su palesi violazioni del diritto. Ma soprattutto nei periodi di crisi in cui la gente è incazzata, disperata e disillusa, si ha bisogno di un colpevole, il classico capro espiatorio, qualcuno su cui sfogare l’aggressività, la sfiducia e i propri tormenti. Guai se non si trova un colpevole! La gente è già furibonda per tutti quei malanni sociali chiamati corruzione, vessazione, incompetenza... fatele almeno smascherare l’assassino! La scelta mass-mediatica di un colpevole non sarebbe dunque dettata da nessun malanimo nei confronti dell’imputato di turno, colpevole o innocente che sia, ma solo, cinicamente, dalla necessità di disporre di un caso idoneo a testare e controllare le risposte dell’audience. Una campagna orchestrata sulla colpevolezza, al giorno d’oggi ha una ricaduta, in termini di esperimento di psicologia sociale, ben più pregnante e significativo, anche in termini di analisi dei comportamenti collettivi, di quanto l’abbia una campagna orchestrata sull’innocenza che darebbe risposte meno nette e poco utilizzabili ad essere trasposte in uno scenario improntato sui sacrifici, sull’insicurezza e sulla crisi.
In questo scenario i mass media hanno bisogno di sperimentare le proprie modalità comunicative attraverso dei casi emblematici nei quali fornire l’agenda e i rilievi sui quali l’opinione pubblica (il target) si possa esprimere (lettere al direttore, blob, numero dei lettori, rilievi statistici...) ma orientandolo in funzione di quegli input verificati come più efficaci e in ragione delle risposte appropriate in vista dell’esperimento di ingegneria sociale. Va da sé che l’innocenza o la colpevolezza di un imputato è di per sé insignificante, quello che serve è testare l’efficienza di un modello di comunicazione, dimostrare che sia idoneo a orientare l’opinione pubblica, a verificarne il peso e la qualità, gli orientamenti e le idiosincrasie. In alcuni casi le due opzioni (colpevole o innocente) possono perfino convivere in attesa di capire quale delle due è più conveniente per modulare le risposte dell’audience e per mettere a nudo le sue caratteristiche psico-sociali in un certo arco di tempo. La vera cavia dell’esperimento è l’opinione pubblica. Vorrei citare a riguardo il famoso esperimento dello psicologo statunitense Stanley Milgram descritto in tutti i testi di psicologia sociale, vedi su Wikipedia Esperimento Milgram (per ragioni di spazio non lo descriverò) che, seppure riferito all’influenza dell’autorità della scienza e del sistema sociale, dimostra come il contesto socio-culturale influenza la percezione e i comportamenti. Il paradigma Milgram è stato poi variamente confermato, anche se la sua interpretazione è via via diventata più complessa ed articolata.
L’audience, proprio per il fatto che non è passiva, in un sistema cosiddetto democratico è in grado di risposte, retroazioni (feedback). Tali risposte costituiscono il vero oggetto d’indagine, il 'cold case' è soltanto un pretesto per chi organizza l’esperimento di psicologia sociale (e non è neppure detto che tutti gli operatori mass-mediologici ne siano consapevoli). Il controllo nella società dei servizi presuppone algoritmi di simulazione con cui valutare non solo le risposte del target (come nel caso di uno spot pubblicitario) ma anche le possibili varianti in grado di selezionare quelle risposte che si ritengono più appropriate in ragione del consenso e del controllo. Gli input selezionati costituiscono un modello di riferimento che - su base emozionale, ma con una patina di razionalità – costituisca una procedura da applicare in altri ambiti, con le dovute cautele, correzioni e contestualizzazioni. Sarebbe pericoloso adottare una strategia comunicativa senza prima averne fatto una simulazione. La simulazione non riguarda più soltanto la galleria del vento dove si controlla l’aerodinamica di un bolide da formula uno o un acceleratore di particelle per simulare la velocità del neutrino. Un giallo irrisolto, un fatto di cronaca nera che suscita curiosità e dibattito acceso nel pubblico, ha in sé tutti gli elementi, in piccolo (in proiezione), per simulare scenari di teatro economico e politico.
Solo l’identificazione di un colpevole impedisce pericolosi ribaltamenti di prospettiva. Ogni altra valutazione viene in genere trascurata per non inscenare dubbi che potrebbero porre l’accento su altri fattori ritenuti pericolosi, soprattutto nella crisi economica internazionale considerata come fonte di disordine valutario e speculativo. La necessità di un colpevole ‘certo’ deriva dalla strategia da testare. Senza un colpevole non potrebbe essere messa in atto un battage pubblicitario idoneo a suscitare emozioni ed aspettative, non potrebbe essere perfezionata una strategia comunicativa. Un colpevole ben individuato, oltre che dirigere l’emotività, consente di effettuare analisi che abbiano tutte le caratteristiche della razionalità e della logica investigativa. Non importa se supportate solo da prove vaghe ed incerte, da indizi approssimativi e carenti. L’importante è controllare se quelli bastano per convincere e controllare l’audience. Nel contesto socio-politico le analisi dei commentatori sono spesso arzigogolate, generiche, indefinite... ma confezionate a dovere, con quel giusto mix di logica e suggestione. Con questo non si vuole dire che l’audience sia passiva e accondiscendente a qualsiasi input. Come in qualsiasi indagine di mercato che si rispetti il consumatore è sovrano. Non si tratta di un suddito passivo, ma di un consumatore appunto. Si tratta di assecondarne i gusti, presentare la merce in modo accattivante, verificare quali sono i colori che attraggono l’occhio, i sapori per i quali mostra una certa predilezione. È a quel punto che entra in gioco il valore aggiunto della creatività. Si tratta di veicolare il messaggio giusto nel momento giusto, tenendo conto di un lungo addestramento del consumatore, delle sue preferenze e delle sue idiosincrasie, soprattutto delle sue emozioni. E in un delitto di emozioni, fantasie, immagini, ce ne sono veramente tante.
In questo scenario i mass media hanno bisogno di sperimentare le proprie modalità comunicative attraverso dei casi emblematici nei quali fornire l’agenda e i rilievi sui quali l’opinione pubblica (il target) si possa esprimere (lettere al direttore, blob, numero dei lettori, rilievi statistici...) ma orientandolo in funzione di quegli input verificati come più efficaci e in ragione delle risposte appropriate in vista dell’esperimento di ingegneria sociale. Va da sé che l’innocenza o la colpevolezza di un imputato è di per sé insignificante, quello che serve è testare l’efficienza di un modello di comunicazione, dimostrare che sia idoneo a orientare l’opinione pubblica, a verificarne il peso e la qualità, gli orientamenti e le idiosincrasie. In alcuni casi le due opzioni (colpevole o innocente) possono perfino convivere in attesa di capire quale delle due è più conveniente per modulare le risposte dell’audience e per mettere a nudo le sue caratteristiche psico-sociali in un certo arco di tempo. La vera cavia dell’esperimento è l’opinione pubblica. Vorrei citare a riguardo il famoso esperimento dello psicologo statunitense Stanley Milgram descritto in tutti i testi di psicologia sociale, vedi su Wikipedia Esperimento Milgram (per ragioni di spazio non lo descriverò) che, seppure riferito all’influenza dell’autorità della scienza e del sistema sociale, dimostra come il contesto socio-culturale influenza la percezione e i comportamenti. Il paradigma Milgram è stato poi variamente confermato, anche se la sua interpretazione è via via diventata più complessa ed articolata.
L’audience, proprio per il fatto che non è passiva, in un sistema cosiddetto democratico è in grado di risposte, retroazioni (feedback). Tali risposte costituiscono il vero oggetto d’indagine, il 'cold case' è soltanto un pretesto per chi organizza l’esperimento di psicologia sociale (e non è neppure detto che tutti gli operatori mass-mediologici ne siano consapevoli). Il controllo nella società dei servizi presuppone algoritmi di simulazione con cui valutare non solo le risposte del target (come nel caso di uno spot pubblicitario) ma anche le possibili varianti in grado di selezionare quelle risposte che si ritengono più appropriate in ragione del consenso e del controllo. Gli input selezionati costituiscono un modello di riferimento che - su base emozionale, ma con una patina di razionalità – costituisca una procedura da applicare in altri ambiti, con le dovute cautele, correzioni e contestualizzazioni. Sarebbe pericoloso adottare una strategia comunicativa senza prima averne fatto una simulazione. La simulazione non riguarda più soltanto la galleria del vento dove si controlla l’aerodinamica di un bolide da formula uno o un acceleratore di particelle per simulare la velocità del neutrino. Un giallo irrisolto, un fatto di cronaca nera che suscita curiosità e dibattito acceso nel pubblico, ha in sé tutti gli elementi, in piccolo (in proiezione), per simulare scenari di teatro economico e politico.
Solo l’identificazione di un colpevole impedisce pericolosi ribaltamenti di prospettiva. Ogni altra valutazione viene in genere trascurata per non inscenare dubbi che potrebbero porre l’accento su altri fattori ritenuti pericolosi, soprattutto nella crisi economica internazionale considerata come fonte di disordine valutario e speculativo. La necessità di un colpevole ‘certo’ deriva dalla strategia da testare. Senza un colpevole non potrebbe essere messa in atto un battage pubblicitario idoneo a suscitare emozioni ed aspettative, non potrebbe essere perfezionata una strategia comunicativa. Un colpevole ben individuato, oltre che dirigere l’emotività, consente di effettuare analisi che abbiano tutte le caratteristiche della razionalità e della logica investigativa. Non importa se supportate solo da prove vaghe ed incerte, da indizi approssimativi e carenti. L’importante è controllare se quelli bastano per convincere e controllare l’audience. Nel contesto socio-politico le analisi dei commentatori sono spesso arzigogolate, generiche, indefinite... ma confezionate a dovere, con quel giusto mix di logica e suggestione. Con questo non si vuole dire che l’audience sia passiva e accondiscendente a qualsiasi input. Come in qualsiasi indagine di mercato che si rispetti il consumatore è sovrano. Non si tratta di un suddito passivo, ma di un consumatore appunto. Si tratta di assecondarne i gusti, presentare la merce in modo accattivante, verificare quali sono i colori che attraggono l’occhio, i sapori per i quali mostra una certa predilezione. È a quel punto che entra in gioco il valore aggiunto della creatività. Si tratta di veicolare il messaggio giusto nel momento giusto, tenendo conto di un lungo addestramento del consumatore, delle sue preferenze e delle sue idiosincrasie, soprattutto delle sue emozioni. E in un delitto di emozioni, fantasie, immagini, ce ne sono veramente tante.
Si tratta per l’appunto di far leva sui sentimenti appropriati, sulle immagini ricorrenti, sui déjà vu che albergano in ogni consumatore, sia che si tratti di birra, di cioccolato o di delitti. Si tratta pur sempre di quel lato emotivo e irrazionale che accompagna ogni acquisto. Anche nel presentare un delitto hanno rilevanza gli aspetti di confezionamento che fanno di un prodotto un plus e un benefit, che lo rendono migliore di un altro in forza di quel valore aggiunto, imponderabile e indefinibile, che però lo fa vincente rispetto alla concorrenza. Si tratta di vendere un delitto come fosse una scatola di cioccolatini, con un target che fa da assaggiatore, dei commentatori che a vario titolo forniscono un feedback sul prodotto in vista di un suo utilizzo in altri ambiti commerciali. In fondo si vendono idee proprio come caramelle, tenendo conto dei gusti e delle preferenze dell’audience. Ma nel caso di un delitto c’è di più, c’è l’aspetto aggressivo e dirompente della passione, ci sono le pulsioni primordiali, l’inconscio collettivo, i bisogni ancestrali di giustizia, quella giustizia che i più di noi sanno di non aver avuto. Un delitto è un concentrato di fantasie e di pulsioni per l’audience. Non c’è niente di più idoneo di un delitto per compiere delle verifiche sui modelli di persuasione, senza spiacevoli ricadute negative, aggirando perfino resistenze ideologiche e culturali. Attraverso un 'cold case' si può agevolmente e senza troppe complicazioni mettere a punto delle strategie comunicative, saggiarne l’efficacia attraverso le modalità con le quali il pubblico reagisce. Il polso della situazione è naturalmente dato dalla elaborazione degli indici di ascolto, dalle interviste, dalle preferenze sulle trasmissioni e sui dibattiti sull’argomento. Gli opinionisti e gli esperti vengono scelti in ragione del modello comunicativo e il taglio degli interventi modulato secondo l’orientamento che si intende dare al caso in oggetto. Quello che importa non è dimostrare che tizio è colpevole o innocente, ma di verificare che la strategia comunicativa adottata è efficace e produttiva in ragione dell’orientamento e del taglio che si è deciso di proporre. I vantaggi di un test di psicologia sociale formulato sui 'cold case' sono innumerevoli:
a – L’ambito coinvolge aspetti socio-politici in modo assolutamente marginale, dunque non interferisce con pericolose ricadute nel caso il modello comunicativo produca effetti boomerang. La trasposizione del modello in altro ambito può avvenire senza pericolosi effetti imprevisti (o comunque con complicazioni trascurabili).
b – L’ambito coinvolge un target piuttosto vasto con una situazione (il cold case) piuttosto controllata e delimitata, quasi da laboratorio, con poche variabili. La sua lontananza da problematiche socio-politiche ne fa uno strumento di simulazione pressoché neutrale.
c – Il 'cold case' rappresenta in genere una situazione con scarso rilievo ideologico (a differenza ad esempio della delinquenza organizzata o del terrorismo che simulano situazioni molto più complesse che richiedono interpretazioni e disamine più approfondite). Lo scarso rilievo ideologico consente interpretazioni più affidabili circa i modelli comunicativi utilizzati.
d – Il 'cold case' ha l’indubbio vantaggio della economicità. Si tratta di una situazione da laboratorio mass-mediatico che coinvolge milioni di persone con un dispendio di energie e di denaro molto limitato.
e – I test effettuati possono agevolmente essere riproposti (somministrati) nel corso del tempo, perfino con le stesse modalità, riproponendo i medesimi argomenti soltanto con piccole variazioni, per verificare l’evoluzione degli orientamenti del pubblico nel corso del tempo. Più un caso si protrae nel tempo, con indagini lunghe e un processo interminabile, e più l’esperimento considera anche il fattore tempo nell’evoluzione statistica dei comportamenti collettivi, con gli eventuali cambiamenti di opinione e di diversa reattività nell’opinione pubblica. Questo offre alla simulazione non solo una fotografia statica dell’audience, ma anche una proiezione dinamica nella modifica dei suoi atteggiamenti.
a – L’ambito coinvolge aspetti socio-politici in modo assolutamente marginale, dunque non interferisce con pericolose ricadute nel caso il modello comunicativo produca effetti boomerang. La trasposizione del modello in altro ambito può avvenire senza pericolosi effetti imprevisti (o comunque con complicazioni trascurabili).
b – L’ambito coinvolge un target piuttosto vasto con una situazione (il cold case) piuttosto controllata e delimitata, quasi da laboratorio, con poche variabili. La sua lontananza da problematiche socio-politiche ne fa uno strumento di simulazione pressoché neutrale.
c – Il 'cold case' rappresenta in genere una situazione con scarso rilievo ideologico (a differenza ad esempio della delinquenza organizzata o del terrorismo che simulano situazioni molto più complesse che richiedono interpretazioni e disamine più approfondite). Lo scarso rilievo ideologico consente interpretazioni più affidabili circa i modelli comunicativi utilizzati.
d – Il 'cold case' ha l’indubbio vantaggio della economicità. Si tratta di una situazione da laboratorio mass-mediatico che coinvolge milioni di persone con un dispendio di energie e di denaro molto limitato.
e – I test effettuati possono agevolmente essere riproposti (somministrati) nel corso del tempo, perfino con le stesse modalità, riproponendo i medesimi argomenti soltanto con piccole variazioni, per verificare l’evoluzione degli orientamenti del pubblico nel corso del tempo. Più un caso si protrae nel tempo, con indagini lunghe e un processo interminabile, e più l’esperimento considera anche il fattore tempo nell’evoluzione statistica dei comportamenti collettivi, con gli eventuali cambiamenti di opinione e di diversa reattività nell’opinione pubblica. Questo offre alla simulazione non solo una fotografia statica dell’audience, ma anche una proiezione dinamica nella modifica dei suoi atteggiamenti.
f – Si possono introdurre nuovi elementi con l’uso di esperti eterodossi e di ipotesi alternative laddove si vogliono verificare e simulare eventuali ipotesi non allineate e strumenti (es: internet) che possano introdurre scenari difformi rispetto alla linea comunicativa che si vuole adottare (e che andrà applicata, fuori dal laboratorio del cold case) in ambito politico e sociale, in situazioni dove non ci si può permettere di sbagliare e dove il modello da utilizzare sia stato accuratamente messo al vaglio e simulato attraverso la riproducibilità e la ripetizione dell’esperimento di psicologia sociale.
Quanto sopra ovviamente non significa la rinuncia a dibattere dei casi a delinquere. Tutt’altro. Si tratta semplicemente di rendersi consapevoli che, al di là dell’apparenza, il 'cold case' non coinvolge soltanto le vittime e gli assassini. Tutti noi in qualche modo possiamo essere coinvolti sperimentalmente nei procedimenti mediatici, in parte pianificati ed in parte prodotti secondo gli stessi automatismi che riguardano la società dei consumi ed i processi di persuasione e di influenza sociale.
Articolo di Gilberto M.
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Un modo diverso di vedere l'omicidio di Avetrana negli articoli di Gilberto M.
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14 commenti:
Buona sera Dottor Gilberto. Tanti anni fa dalla lettura dei giornali conoscevo (vita,morte ,e miracoli)di cosa fosse successo in quella villetta di Cogne.La telefonata,l'arrivo dell'elicottero ,il povero Samuele che non si capiva se fosse morto o che stava per morire ,l'inquinamento della scena del crimine,il corpo contundente che non si è mai capito cos'era e dove fosse finito o nascosto visti i tempi a disposizione (pochi minuti)e l'altro figlio che intento a giocare fuori casa a breve doveva accompagnare per prendere il pulmino per andare a scuola.A tutt'oggi non le saprei dire se la Franzoni è colpevole o innocente.Su Ciccio e Tore che il colpevole della sparizione e poi trovati morti fosse il padre non ho mai creduto,una su tutte che non vedevo nel padre un qualcosa che facesse pensare alla sua colpevolezza.Da tempo mi occupo di commentare il caso (Misseri). E qui di dubbi c'è ne sono parecchi. Zio Michele che confessa il delitto e poi ritratta accusando la figlia ,salvo poi ritrattare (dopo aver capito che il suo Avvocato non credeva che Lui fosse l'assassino) e riaccusarsi del delitto della piccola Sarah,senza più cambiare versione.Decine di testimoni di cui ognuno dice, è uscita a quest'ora, io l'o vista a quest'ora, tante falsità e continue ritrattazioni. In somma tanti (cold case) che come dice Lei qualcuno tenta di capire dagli sguardi, dai sorrisi, e dalle lacrime dei personaggi coinvolti. Che poi non è che siano in tanti ma solamente tre,i presenti in via Deledda ad Avetrana. Chi abbia ucciso è un mistero. Io credo di saperlo (almeno spero) e Lei? La saluto dicendo che il Suo articolo e ottimo complimenti.
Caro Vito Vignera
No, non so chi ha ucciso Sarah, ma so che non può averla uccisa nessuno dei componenti della famiglia Misseri per i motivi che ho cercato di spiegare nei miei articoli. Non so se lei ha letto le lettere di Michele alla sua famiglia (lettere autografe che può trovare sul web), sono documenti che esprimono un grande dolore, sconcerto, confusione, disperazione. Sono lettere che spezzano il cuore. C’è una frase che mi ha colpito e che suona più o meno così “solo Dio sa cosa è veramente successo quel 26 agosto”. Qualsiasi cosa sia successa il protagonista di Avetrana non sembra ricordarla, questa è la mia sensazione al di là delle ricostruzioni più o meno attendibili. Il dolore di Michele Misseri è autentico e allo stesso modo non mente quando confessa il delitto. Ma non mentire non significa dire il vero. Confessare un delitto non significa averlo commesso. Per il resto sono d’accordo con lei, le due donne sono completamente estranee al delitto, e qui non ci piove.
Gilberto M.
Buona sera Dottor Gilberto.Ho finito da poco di leggere l'intervista a Michele Misseri appena uscito dal carcere è trasmessa da MATRIX il 31 05 2011. In quell'intervista Lui spiega in parole povere cosa è successo dall'arrivo di Sarah in via Deledda e l'entrata in garage per salutarLo.Il resto del racconto credo che Lei L'abbia sentito e letto tante volte.Ieri Lei mi ha risposto che non sa chi sia stato ad uccidere Sarah ,ma di certo non le 2 donne presenti in casa. Mi scusi se insisto , ma credo di averle detto che erano in 3 i soggetti presenti in quel momento in via Deledda 22 e che Lei sa benissimo ,quindi se togliamo le 2 donne rimane solo Michele Misseri.Allora le chiedo:visto che qualcuno in sogno ha assistito ad un sequestro senza intervenire e andandosene tranquillamente a comprare i fiori al mercato in un paese vicino, e alle 17.30 ritorna in negozio scarica il tutto e poi esce trnquillamente con moglie e figli ,cosa ha visto nella realtà? niente ,era un sogno e che racconta in seguito alla moglie.Non è che Lei vuol farmi credere che in via Deledda 22 alle 14,35 si aggirava qualche fantasma ,e quindi in pieno giorno ,e che faceva un caldo pazzesco? Un'altra considerazione e che chiedo un Suo parere. Dopo l'ultimo arrivo di Sabrina e Mariangela a casa Misseri e che la figlia chiede al padre per la seconda volta: papà hai visto Sarah, perché non la stiamo trovando e che quindi sembra scomparsa ,non le sembra strano che il padre entra in casa e dice alla moglie : Ha chiamato mio fratello dicendo che sono scappati i cavalli e non riferendo nulla in merito alla scomparsa di Sarah? e che va via in maniera abbastanza repentina e come se non gli importasse nulla del fatto che sua nipote non si trovasse? lei ritiene che sia una cosa normale ,oppure che è il Misseri sia anormale e con comportamento abbastanza ambiguo e fuori da ogni logica che una persona normalmente credo possa fare ,come quello di cercare e vedere che cosa e successo a sua nipote.Ps Non mi faccia credere ai sogni ai fantasmi ed a un ipotetico sequestratore di ragazza. A Lei la parola .
@Gilberto M.
condivido molto di quanto ha riportato nei suoi articoli, tuttavia, personalmente, non sono stato in grado di coglierci niente di concreto tale da poter escludere categoricamente la colpevolezza o il coinvolgimento del o dei Misseri.
Con ciò non voglio dire che siano automaticamente colpevoli, né che l'assenza di una prova di innocenza possa attestarne automaticamente la colpevolezza (sarebbe assurdo e nocivo per chiunque), dico semplicemente che sulla base di quegli elementi, a mio avviso, tale ipotesi non è escludibile.
Concordo invece sul fatto che gli indizi in ballo non possano dimostrare inequivocabilmente niente e che siano interpretabili in vari modi differenti, uno dei quali, benché io lo ritenga improbabile o comunque meno probabile di altri, potrebbe essere anche quello da lei esposto.
Saluti, saluto anche Vito Vignera
x gilberto--articolo di ottima fattura, comunque si conferma che certa gente ha assoluto bisogno di un colpevole e lo dimostra il fatto che non viene accettata a priori nessuna sentenza di assoluzione vedi perugia ,garlasco e sono convinto che anche la procura di taranto oggi è apprezzata ma in caso di assoluzione di sabrina e cosima si scaglierebbero immediatamente contro di loro ... secondo me risale a un sentimento primordiale che richiede davanti ad un efferato delitto la vendetta immediata che poi viene chiamata giustizia, e se poi le procure italiane sono piene di dlettanti non è importante vedi il caso restivo che ha risloto la giustizia inglese...mah!!
ancorea complimenti
ciao darpi puo anche succedere,
in genere ho notato nelle persone che per l'ingiustizia sono molto sensibili......
a volte purtroppo è questione di tempo per capire alcune cose.....per cui le si puo comunque ritorcersi contro.....
ritorno a ripetere il dire "scusate mi sono sbagliato "farebbero di più bella figura,naturalmente con dovute modi e penso ,che ci sia più salvezza in questo atteggiamento,perchè le persone sa di essere anche comprensiva....l'unico effetto collaterale ci sarebbe che è la volta buona che si capisce che su questa terra nessuno è dio a qualunque veste si metta.....saluti
concordo carla . un bacio t.v.b
ciao mia cara Sirenetta,sempre molto perspicace....vedo che scrivi poco,sappi che sentire un oppinione della giovane mente non guasta,anzi forse si recupera alcuni concetti che ci siamo persi per strada.....insomma tutto aiuta....t.v.b....Carla
buongiorno ho appena visto l'intervista di mamma concetta,con tutto rispetto per il dolore della figlia persa,non riesco a condividere di quello che dice,intanto nelle sue parole ci sono delle contradizioni ed ho impressione che è ferma sull'accusa della procura ,in che poi in fondo non ci crede nemmeno lei fino in fondo de mo nota pure lei:- un processo assurdo.....-il fatto stesso -dichiare lei stessa-che sabrina e cosima erano delle persone diverse -fino a quando non le siano state rivelate che sono probabile ,dico probabile e non affermativo,assassine,anche perchè c'è il processo in corso per stabilirlo....in cui vorrei fare presente che fino a quel momento ,non si era notato nessun disguito tra loro ,anche nei tempi della ricerca di sarah.....
i così detti tepistaggi come lo si vuole chiamare,almeno delle interviste fatte ,non è stato ommesso dalla singola persona (sabrina),c'era sempre presente concetta e a volte anche gicomo,fino a quel momento andava tutto bene ,nessun screzio!?....
ora se uno ha un po' di buon senso non si sta per 16anni di rancore facendo al buon viso a cattivo gioco e aspettando nel momento opportuno che s'innamori la figlia, e, che si gelosica, per aver la scusa giusta per ferire concetta .....scusate,mi domando come fa questa donna concetta ad insistere di prendere per buono tutto ciò,allora a questo punto mi sorge il dubbio che non sappi qualcosa lei e non ci vuole rivelare?....
ho come l'impressione che abbia sposato questa tesi a qualunque costo,senza porsi alcun dubbio,purchè fino ad oggi non esista una prova inchiodante verso sua sorella e nipote,agrappandosi o aspettandosi che loro si professino assassine,ripeto al di là che le prove ci siano o no.....
mi spiace a mio parere tutto ciò non è normale....
poi un altro punto, la donna concetta parla dei demoni,nei suoi confronti.....anche qui vorrei proprio vedere chiunque venisse accusato, e messa in condizione a dir poco gradevoli,dalla propria sorella , che reazione si potrebbe avere?.....di già non lo accetta chi è veramente colpevole ,figurarsi chi non lo è!.....di sicuro non ci si puo aspettare che ti faccia un viso compiacevole.......
certo forse un giorno potrà succedere che si chiariranno come è successo con pappalardo ,perchè pure lì si odiavano a morte....glielo auguro....
quello di accusare di un delitto probabile non comesso è ,secondo me,peggio di averti portato via tua figlia,perchè la lesione nell'animo non avviene solo da parte di chi viene accusato ingiustamente,ma anche da chi ti accusa,come in questo caso pensando che tua sorella e nipote fossero assassine.....
e se la vogliamo dirla tutta,per come la vedo io, a volte i demoni c'è li creiamo da soli e poi le rivediamo sui altri.....
vedete anche un drogato sa di trovarsi nei inferi ,ma si aggrappa alla prosima dose,finchè le viene dato ,almenochè di sua volontà e con quel poco di intelligenza che le rimane ne abbia voglia di venirne fuori.....
in poche parole a volte l'inferno c'è lo creiamo noi o ti ci trovi dentro, dipende da noi se ne vogliamo venire fuori o meno.....
cioè non si può partire nell'infinito,con l'idea di tenersi il rimorso dentro a un certo punto il dubbio dovrebbe avvenire,se no non è normale la situazione......
se si ritiene michele il possibile colpevole,perchè stiamo alle sue confessione,ma visto per come si sta svolgendo i avvenimenti ,nullo mi impedisce di pensare che qualche altra ipotesi ci possa essere,in cui è stato già esposto da qualcun altro,anche se non abbiamo al momento elementi,per capire cosa si nasconde......saluti
Brava Carla hai detto bene, e sono pienamente d'accordo con quello che hai scritto .Aspettiamo i tre gradi di giudizio e poi si vedrà.Se la mamma di Sarah aveva fiducia in Sabrina e perché fino a quel momento tutto filava per il meglio e quindi di cose negative non ne aveva riscontrate. Che poi guarda che bel giorno va a scegliere Sabrina ,che già la mattina riferisce quella pettegola e falsa della Pisanò.Quando sono entrata a casa di sabrina notavo da subito che stava molto male ,aveva una forte cervicale e andava spesso in bagno per rovesciare. Vedi cara Carla, che bel giorno ha scelto Sabrina per uccidere la cugina per gelosia.Hai letto il mio commento sia su quello che riferisce il Brigadiere Blaiotta sul ritrovamento del cellulare e sia di quella fetente e pettegola della Pisanò?. Ciao
Parola del gen. Garofano stasera a Quarto Grado (riferendosi all'arma del delitto):
le lesioni che si potevano vedere sul corpicino di Sarah "NON fanno propendere per una cintura".
buongiorno a tutti ,notavo un'altra contraddizione di concetta,che lei non fa altro che attestare che non ci crede alla gelosia,ma pensa che sarah abbia visto qualcosa di squallido.....per cui nesuno dà testo a questo,che più volte si sorvola ....allora si dà valore alla madre della vittima fino a dove più conviene?.....
ho ben presente anche un altro punto dell'intervista, che concetta che dice che vorrebbe quando finirà il processo,a cui non ci crede,di voler andare trovare in carcere sabrina e guardarla a quattr'occhi,che le dica la verità.....
anche in questo non trovo una logica prima permetti di rovinare la vita di 2 persone che sono i suoi parenti e poi vuoi sapere i fatti come sono andate,per che cosa ?......forse per una questione di coscienza?....e se poi ,non so' quanto tempo ci vorrà,si rivelassero innocenti?.....lei che parla della coscienza dei altri,quando scoprirà tutto ciò che coscienza avrà?.....non vorrei che quello che ho detto possa sembrare che la stia aggredendo,è una semplice osservazione,lo so' bene che è lei che ha perso la figlia ,ma con questo non ritengo che sia caso di fare dell'altro danno al danno di cui non si dimostra di essere la migliore......
sono daccordo per la punizione per chi ha commesso il fatto,cioè che è stato preso le mani nel sacco e non per chi penso chi sia stato per svariate motivazione, in cui non dà nessuna certezza....il che si sà bene che tutti in questo mondo possiamo essere soggette ai pregiudizi d'altrui in qualunque modo ci moviamo ,che si faccia bene o male......
bene disse Picozzi che avrebbe mandato a rinvio a giudizio michele ,più che archiviarlo......
poi se vogliamo dirla tutta non basterà tutto il denaro per coprire la coscienza.......è una pura illussione,anzi tante volte porta dei guai,non per questo esistono i ladri.......saluti
Ciao carla. lo so che a te fa piacere quando scrivo qui. purtroppo scrivo poco perchè il 17 ho iniziato il liceo (ci danno tanti compiti e ci fanno andare a scuola di sabato) e anche perchè il 15 era il mio compleanno. Riguardo Sarah concordo moltissimo su quello che hai scritto e cioè che si da valore alla madre della vittima solo quando conviene. quasi tutti si sono fissati che Sabrina è colpevole e non riescono a vedere altro o a considerare altre ipotesi.sono passati due anni da quando hanno ucciso Sarah e ancora non si sa niente. ma sono sicura che presto qualcosa succederà. un abbraccio grande t.v.b
un bacio Sarah .
cara sirenetta,certo che ho piacere che tu scriva....ops! intanto ti faccio i auguri di buon compleanno con ritardo,ma quello che spero che tu cresca bene,nonstante tutte le interperie che si possa incontrare nella vita....perchè da quello che traggo dal tuo scritto ritengo che sei una bella persona,interiormente ,chiaramente è questo che conta di più del fatto estetico.....
ora tu stai vivendo un età che dovrai costruire solide fondamenta e questo te lo porterai per tutta la vita,se non permetterai che quello che ti circonda di rovinarti la vita....i genitori si ti possono accompagnare,ma alla fine sei tu che devi essere convinta per come la dirigi....
lo so' in questo mondo non c'è niente di facile....
il male si ti farà credere che sia tutto facile ,però poi è inevitabile l'inganno....e non solo t'impone delle false illusioni di poter fare franca,invece in qualche modo ti chiederà il conto.....
vedi fare del bene ,ti dirà prima cosa ti costerà,per tutte le ostacoli che troverai,ma una volta superati,non ti deluderà.....
vedrai anche per sabrina e cosima,se veramente sono ignare di tutto e non si spaventano dal male che le circonda,in cui vuol dire compromesso,ne verranno fuori.....
diciamo che a ognuno di noi nella vita ci vengono date delle prove,chi grandi o chi piccoli,per cui vanno superate con un buon esito finale.....questo te la posso garantire che una volta superata la prova,c'è gioia in tutti sensi.....
a volte nella vita capita dei grandi cambiamenti,soppratutto quando pensi di aver perso chissà chè,poi scopri di qualcosa di più bello di quello che hai già avuto....
non nego il fatto che mi piacerebbe incontrarti privatamente.....sii forte...e fanne buon uso dello studio che stai svolgendo e vedrai che andrà tutto bene.....ti abraccio forte forte .....t.v.b.Carla
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