venerdì 4 agosto 2017

Ferdinando Imposimato: Colpa dei processi indiziari (se c'è chi sbaglia a indagare, a periziare, a sentenziare... e troppi innocenti vengono spediti in carcere e uccisi psicologicamente sui media)

Gli sbagli della giustizia moderna denunciati dal dottor Imposimato già otto anni fa...

Colpa dei processi indiziari - Di Ferdinando Imposimato


Bisogna anzitutto partire da un dato. Nella realtà processuale, nell'esame dei diversi casi giudiziari, esistono due verità antitetiche: una verità reale e una processuale. Queste due verità non coincidono quasi mai. L’obiettivo fondamentale del giudice consiste nel fare emergere la verità storica, affinché tra questa e il giudizio finale vi sia una perfetta coincidenza. Questo risultato, tuttavia, difficilmente viene raggiunto per una serie di ragioni sia di ordine processuale che professionale.

L’aspetto drammatico del processo è che il giudice, nel conflitto tra le due verità, è tenuto a seguire soltanto e semplicemente quella processuale. Questa contraddizione può manifestarsi in due modi: il giudice può avere la convinzione morale della colpevolezza della persona imputata nei confronti della quale però manchino le prove o queste non siano sufficienti. In questo caso il giudizio non può che essere di assoluzione. Nel secondo caso, il giudice può avere l’intima convinzione dell’innocenza di una persona, ma le prove processuali – testimonianze, riconoscimenti, perizie – depongono contro l’imputato. La conseguenza è drammatica: la condanna di un imputato è “giusta” sul piano processuale ma ingiusta su quello sostanziale. E’ la tragedia dell’Enrico VIII di Shakespeare, nella quale il duca di Buckingham, condannato a morte per le accuse calunniose dei suoi servi, non impreca contro i giudici ma ne accetta il verdetto: “Non nutro rancore contro la legge per la mia morte: alla stregua del processo essa doveveva infliggermela, ma desidero che coloro che mi hanno accusato divengano più cristiani…”.
Il giudice deve decidere solo in base alle emergenze processuali. Anche se intuisce la verità reale, egli ha l’obbligo di applicare la legge, quindi di tener conto delle risultanze processuali che molto spesso, portano lontano dalla verità reale. Rispetto a quest’ultima, le deviazioni sono dipendenti da diversi fattori: da errori dei testimoni nella percezione della verità (si confonde una persona con un’altra), degli investigatori nella ricerca delle prove, dei periti nella ricostruzione di un fatto storico, del giudice nell’esercizio del metodo deduttivo con il quale si risale da un fatto certo ad un altro fatto.

Una deviazione assai frequente della verità storica è quella che nasce da perizie medico legali e psichiatriche errate. Nel caso di un delitto con autore ignoto e con molti sospettati, l’affermazione da parte del perito medico legale che si tratta dell’opera di un sadico, di un maniaco sessuale che ha certe caratteristiche fisiche e psichiche (si presume in alcuni casi di definire l’altezza e la corporatura dell’ignoto autore!!), unita alla conclusione del perito psichiatrico che la persona soprattutto è un soggetto che ha quelle caratteristiche descritte dal medico legale, producono come conseguenza pericolosa l’errore del giudice.

Nella mia non breve esperienza, non è stato infrequente l’errore dei periti psichiatrici d’ufficio (cioè nominati dal giudice) nell’accertamento della “capacità di intendere e/o di volere di un soggetto”. Sovente essi hanno affermato che il soggetto rientrava in una certa categoria che era proprio quella nella quale il pubblico ministero aveva collocato l’autore del delitto. Ma non è stato raro il caso del privato che ha assecondato l’orientamento sbagliato della pubblica opinione.

I periti, insomma, compiono spesso il loro lavoro sotto la spinta di fattori emotivi, di elementi extrascientifici che li conducono a conclusioni lontane dalla verità. E questa è una delle cause più frequenti dell’errore giudiziario. Non mi riferisco soltanto ai periti psichiatrici, ma anche a quelli balistici, grafici, ai medici legali in genere. Le perizie, specialmente nei grandi processi, sono un dato costante della ricerca della verità. Molto spesso allontanano dalla verità perché compiute da persone che non sono in grado di far bene il proprio lavoro – anche se solo raramente si tratta di persone in malafede.

Esempio classico: nell’esame ordinato per l’omicidio del giudice Emilio Alessandrini ci fu un perito che affermò, con certezza assoluta, che l’arma che aveva sparato il proiettile mortale contro il giudice era una certa pistola. Siccome questa pistola proveniva da un certo terrorista, che era un uomo che aveva commesso un altro omicidio, il giudice disse: “Questo è l’uomo che ha ucciso Alessandrini”. Senonché, a distanza di quattro o cinque anni, venne fuori il vero assassino che confessò, aggiungendo di aver sparato con un’altra pistola. Altri periti, in seguito, confermarono che il primo aveva sbagliato. Da allora mi resi conto che quell’uomo avrebbe potuto subire un ergastolo per via di una perizia sbagliata, e che se non fosse venuto fuori il vero autore dell’omicidio, quell’errore non sarebbe mai stato scoperto.

Ma il problema è che non sempre vengono fuori i veri autori di un crimine. Molto spesso, poi, il giudice non è in grado – un po’ per incapacità, un po’ per superbia, un po’ per gli errori altrui – di cogliere l’errore. Di qui le tragedie che si verificano: il numero degli errori giudiziari è molto superiore a quello che viene normalmente percepito nella realtà.

Un’altra causa molto frequente di errore è costituita dai riconoscimenti personali: è molto facile che siano sbagliati. Nell’istruire il caso Moro, ricordo di aver ascoltato personalmente cinque o sei testimoni che affermavano con assoluta certezza di aver visto in via Fani un terrorista la cui descrizione corrispondeva a Corrado Alunni. Quest’ultimo, inevitabilmente, ricevette un mandato di cattura per concorso nel sequestro e nell’omicidio di Aldo Moro. Senonché, per sua fortuna, presto vennero fuori i veri autori della strage di via Fani, che esclusero categoricamente che Alunni fosse presente; in secondo luogo, non fu difficile appurare che egli, il giorno del sequestro, era detenuto. Ecco, questa vicenda rappresenta il classico esempio di errore compiuto dal giudice, ma provocato dall’errore altrui: il giudice è infatti obbligato a tener conto delle testimonianze di persone della società civile, disinteressate e che non conoscendosi tra loro facciano il medesimo riconoscimento personale nel rispetto delle garanzie stabilite dalla legge, quando per giunta affermano qualcosa “con assoluta certezza”.

Un altro caso, legato all’omicidio di Girolamo Tartaglione: una ragazza confessò di essere responsabile dell’assassinio, chiamando in correità altre due persone. Nel leggere il testo della confessione di questa ragazza – molto precisa e dettagliata – mi resi conto che si trattava di un falso, per un paio di particolari rivelatori. Non volli accettare quella “verità” processuale, condivisa invece dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e dal pubblico ministero. Non volli assecondare la tesi della stampa che parlava di brillante soluzione del caso Tartaglione. Ero convinto, sulla base di due dati oggettivi, che la verità processuale emersa fino a quel momento non fosse corretta. Riuscii, col tempo, a convincere la donna a ritrattare e ad affermare che aveva confessato il falso. Per fortuna, perché poco tempo dopo vennero fuori i veri autori dell’omicidio (Valerio Morucci e Adriana Faranda). Ebbene, questo esempio serve a dimostrare ciò che vado da sempre ripetendo: la confessione non è “la madre di tutte le prove”, perché può accadere che anch’essa sia fonte di errore.

Che cosa può consentire di capire quando qualcuno dica il vero e quando il falso? La professionalità di un giudice o di un investigatore, indipendentemente dall’esistenza di altri elementi che possano smentirlo.

Uno dei più gravi fattori capaci di provocare l’errore giudiziario è poi la presenza, nel nostro ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice (sancito dall’art.192 del codice di procedura penale). L’esistenza di un fatto può essere desunta non soltanto dalla prova, ma anche dagli indizi, purché siano gravi, precisi e concordanti. In realtà, l’art.192 afferma una regola – il fatto non può essere provato se non attraverso la prova legale – che prevede una sola eccezione: la presenza di indizi che abbiano le tre caratteristiche sopra accennate.

Ma la realtà del nostro ordinamento è purtroppo diversa: l’eccezione è diventata una regola. I procedimenti sono ormai quasi tutti indiziari. Che cos’è un indizio? Un fatto desunto dall’esistenza di un altro fatto. In pratica, il risultato di una deduzione logica. E qui veniamo all’errore, perché troppo spesso l’indizio non è altro che un sospetto che si è trasformato in un indizio, prima di trasformarsi ulteriormente in prova. Questo è un grave vizio dell’ordinamento giudiziario del nostro paese, capace di portare alle situazioni processuali assurde e inaccettabili così frequenti nei tribunali italiani.

Per molti casi clamorosi – piazza Fontana, strage di Bologna, omicidio Chinnici, comunque per il 60-70 per cento di fatti di straordinaria gravità – si sono avute decisioni contraddittorie a livello di giudici di merito: non dunque in Cassazione, ma tra il primo e il secondo grado di giudizio. Sentenze di condanna rovesciate in pronunciamenti assolutori, sulla base degli stessi elementi in punto di fatto. Molto spesso, un medesimo quadro probatorio è giudicato in maniera differente: sugli stessi elementi si pronunciano in maniera opposta i giudici di primo e quelli del secondo grado. Ma questo non può essere, perché gli elementi di prova devono essere valutati in modo uniforme da tutti i giudici. In caso contrario, si potrebbe parlare di un fatto arbitrario. Certo, in presenza di ulteriori elementi che completino, migliorino, rettifichino un certo quadro, d’accordo; ma quando questo quadro è esattamente lo stesso, allora vuol dire che c’è qualcosa che non va. Un qualcosa rappresentato proprio dal principio del libero convincimento del giudice, in virtù del quale alcuni giudici considerano certi indizi né gravi, né precisi, né concordanti; altri giudici, invece, si pronunciano in senso opposto. A questo punto, una serie spaventosa di errori giudiziari diventa inevitabile.

Per quel che mi riguarda, credo purtroppo di aver quanto meno contribuito a commettere errori giudiziari, nella mia veste di giudice istruttore, organo monocratico che – secondo il vecchio rito penale – doveva ricostruire la verità nel corso della fase più difficile, quella della verifica delle prove raccolte dalla polizia o offerte dal pubblico ministero. Ma, potendo contare su una fortissima personalità, non mi è mai capitato di venire influenzato dalla polizia o dal pm. Molto spesso, anzi, mi è capitato di ricostruire un fatto in maniera decisamente diversa da quella seguita dal pubblico ministero. Perché sono convinto che anche quelle che sembrano verità elementari e pacifiche debbano sempre essere verificate.

Esistono rimedi concreti al problema dell’errore giudiziario? A mio avviso, il vizio è ineliminabile. Al massimo lo si potrà ridurre, puntando verso due distinte direzioni. Da un lato, la professionalità del giudice, vale a dire la formazione del magistrato, la valutazione delle sue capacità, che non consistono soltanto nella conoscenza tecnica del diritto, ma anche nel saper ricostruire la verità attraverso la valutazione critica di tutte le prove. Una maggiore professionalità che va però richiesta anche ai periti, per evitare valutazioni errate capaci di pregiudicare il corretto andamento processuale e di generare errori giudiziari. Dall’altro lato, il libero convincimento del giudice: un principio da rivedere, prendendo spunto da altri sistemi (per esempio, quello anglosassone) nei quali la deduzione logica non ha valore probatorio, che è riservato invece esclusivamente a un elenco tassativo, sancito dalla legge. Senza essere esterofili – perché anche gli ordinamenti degli altri paesi sono caratterizzati da vizi di diverso tipo – ritengo che la possibilità di trasformare in prova un semplice indizio – il più delle volte privo di qualsiasi rilevanza probatoria – rappresenti un nodo che deve essere risolto prima possibile. Il rischio che una persona possa essere arrestata sulla base di elementi labili, che poi possono essere valutati o svalutati secondo l’umore del giudice di turno, è una delle circostanze maggiormente deprecabili del nostro sistema. Un dato che contribuisce ad affievolire la certezza del diritto.

Ma l’errore ha anche altre radici, delle quali si discute molto negli ultimi anni. La più importante è l’interpretazione della legge contro l’intenzione del legislatore, come conseguenza della violazione stessa del principio dell’imparzialità del giudice. L’attività politica del giudice all’inevitabile scontrarsi delle ideologie a scapito della verità e dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. L’opinione di Cesare Beccaria circa l’arbitrio lasciato ai giudici, dal principio del libero convincimento, di orientarsi nell’interpretazione delle leggi recando le loro filosofie sociali e politiche illuminate:

“Il sovrano sarà il legittimo interprete delle leggi, perché è il depositario delle libertà di tutti, non il giudice il cui ufficio è solo l’esaminare se il tal uomo abbia fatto, o non, un’azione contraria alle leggi. Non v’è cosa più pericolosa di quell’assioma che bisgona consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un paradosso alle menti volgari più percosse da un picciol disordine presente che dalla funeste ma remote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata”.

E poi Beccaria traccia il quadro delle storture che derivano da un’interpretazione legata alle opinioni soggettive dei giudici: Le nostre congnizioni e le nostre idee hanno una reciproca connessione: quanto più sono complicate, tanto più numerose sono le strade che ad esse arrivano e partono. Ciascun uomo ha il suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha uno diverso. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o di una cattiva logica del giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle  relazioni del giudice con l’offeso, e da tutte quelle minute forse che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell’animo fluttuante dell’uomo. Quindi veggiamo la sorte di un cittadino (colpevole o innocente, nda) cangiarsi spesse volte nel passaggio che fa a diversi tribunali, e le vite dei miserabili essere vittime dei falsi raziocinii, o dell’attuale fermento degli umori di un giudice, che prende per legittima interpretazione il vago risultato di tutta quella confusa serie di nozioni che gli muove la mente. Quindi veggiamo gli stessi delitti dallo stesso tribunale puniti diversamente in diversi tempi per aver consultato non la costante e fissa voce della legge, ma l’errante instabilità delle interpretazioni”. (C. Beccaria: “Dei delitti e delle pene”)

Ludovico Antonio Muratori espresse un giudizio analogo e ancora più pessimistico sulla giustizia affermando che “misera è la condizione di chi deve litigare, egli si crede di andare a picchiare alle porte della giustizia, né si accorge che va a mettere il suo alla ventura di un lotto”.E questa condizione si ripete in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Il nostro compito è quello di combatterle essendo sempre pronti a riconoscere l’errore.

Prima di concludere mi viene alla mente l’immagine del giovane arrestato dalla magistratura come “mostro di  Merano”. Il suo volto muto e disperato deve indurre alla riflessione. Luca Nobile era stritolato nella macchina della giustizia e non aveva voce per gridare la sua innocenza. Solo la ripetizione degli omicidi da parte del vero assassino ha salvato l’innocente da una probabile condanna all’ergastolo. La sua unica colpa fu quella di essere somigliante all’autore dei delitti.


12 commenti:

PINO ha detto...

Non potevi scegliere migliore testimonianza di
quella del Giudice Imposimato, che hai corredato del parere di altri maestri del Diritto, per meglio dettagliare la precaria situazione giudiziaria nel nostro Paese.
Forte stretta di mano!

Gilberto ha detto...

La poesia alla fine… molto più dura e sconfortante delle osservazioni del dottor Imposimato che pure sono di denuncia senza peli sulla lingua dei mali della Giustizia italiana.

Bruno ha detto...

La scelta di pubblicare l'articolo del Giudice Imposimato riassume in modo chiaro quanto sta ancora accadendo nella nostra giustizia italiana. Sembra scritto ieri ed è anche indicativo per il caso Bossetti.

Vanna ha detto...

Questo articolo del giudice Imposimato ci permette di credere ancora nella Giustizia fino a quando ci saranno giudici così coraggiosi di entrare nel cuore del problema giudiziario.
Non credo che la sua voce sia l'unica voce, penso che sia in atto il momento meditativo del proprio ruolo.

Grazie Massimo per averlo pubblicato!

PINO ha detto...

"Uno dei più gravi fattori capaci di provocare l’errore giudiziario è poi la presenza, nel nostro ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice (sancito dall’art.192 del codice di procedura penale).

Tra le molte anomalie giudiziarie ricordate dal Dr. Imposimato, spicca, in particolar modo quella che ho sopra riportata in corsivo, che fu la causa della condanna di S. Parolisi.
Una "convinzione" addirittura diversa dalla motivazione espressa dalla Procura e dal pm., poi, nel corso del processo.
Un esempio eclatante, per auspicare una provvida riforma del sistema giudiziario italiano.

Bruno ha detto...

Dal sito Tiscali in riguardo al ritardo per la ricostruzione del dopo terremoto, questo tribunale simbolico potrebbe prendere a cuore anche il caso Bossetti, ecco quanto si scrive: " ...Con la prima udienza tenutasi il 22 luglio a Camerino da parte della corte presieduta dall'ex magistrato Carmelo Rinaudo, il Tribunale radicale -che nasce con l'intento di difendere tutti coloro che abbiano subito gravi violazioni nel loro "diritto alla giustizia, alla dignità, al lavoro e alla vita"- inaugura ufficialmente la sua attività. Le ricadute del procedimento non avranno effetti giuridici, ma hanno un grande valore simbolico e anche delle ricadute molto concrete, come spiega in un'intervista l'avvocato Giuseppe Rossodivita, il "pm" che insieme alla collega Maria Carolina Farina ha istruito il lungo elenco dei capi d'accusa nel processo sul post terremoto".

Bruno ha detto...

@anonimo, il minestrone sai bene chi lo ha preparato. Vediamo se hanno il coraggio di farci conoscere la ricetta, o si ha paura che invece di zucchine fagioli ci sia plastica. Anonimo, perché non fanno fare una nuova perizia super-partes chissà che minestrone verrebbe fuori. Vedremo se un bravo cuoco è in grado di cucinarlo o di buttarlo.

Nautilina ha detto...

C'è poco da aggiungere : l'articolo del dott. Imposimato è un capolavoro per nobiltà e chiarezza. I grandi sanno farsi capire da tutti, non hanno bisogno di citazioni dotte e bizantinismi, perché esprimono concetti veri e profondi che arrivano al cuore.

La poesia di Cannizzaro, poi, mi ha fatto amaramente sorridere. E' paradossale, ma neanche poi tanto...
L'avrei voluta sentire in dialetto siciliano...ci starebbe molto bene, credo...e anche una versione in bergamasco non stonerebbe.
Quei concetti sono ormai di casa in ogni regione italiana, chiunque li può comprendere, specialmente chi ha avuto a che fare con un tribunale italiano.
Qualcosa però mi suggerisce che anche all'estero le cose non vadano molto diversamente.

Ho letto poi la vicenda di Luca Nobile.
Consiglio la lettura a tutti quelli che parlano dell'incredibile sfortuna di Bossetti e dell'impossibile coincidenza di trovarsi per caso vicini al luogo di un crimine in orario compatibile.
A Nobile è successo più di una volta! E se nel frattempo il vero serial killer non avesse ammazzato altre due persone, il povero Luca sarebbe ancora all'ergastolo.
Interessante seguire il coinvolgimento del gip Edoardo Mori, ed anche il modo in cui il PM Tarfusser ha ammesso l'errore (del resto giustificabile).
Ma quanti magistrati riescono a farlo?

Sono passati vent'anni eppure non accenna ancora a sbiadirsi l'aureola sacra d'intoccabilità che circonda i giudici, per molti cittadini quasi il verbo divino sceso in terra. Perché mai?
Quando abbiamo gravi problemi di salute chiediamo un consulto medico e se la cura non funziona ci rivolgiamo ad altri dottori ; non accettiamo facilmente una diagnosi senza esserne sicuri, perché ne va della nostra vita.
E se medici anche molto preparati possono sbagliare diagnosi, prognosi e terapia, perché i giudici non possono sbagliare una condanna? Non sarà questione di vita o di morte, ma un ergastolo a volte è peggio che morire.
Tra l'altro, ricordiamo anche il ruolo svolto dai giudici popolari nelle camere di consiglio. Chi ci garantisce della loro preparazione e della loro imparzialità?
Sei persone prese quasi a caso possono decidere se dare un ergastolo o assolvere?
Anche quando la prova regina è genetica e di DNA ne sanno quanto ne so io o meno ancora?
Noo, l'è tutto sbagliato...tutto da rifare! Come diceva un famoso ciclista toscano.



investigator113 ha detto...

Al processo se ci vai con indizi o presunti tali vuol dire che non esiste una dinamica logica e impugnabile dei fatti per discuterne su una base reale dei fatti accaduti. Prendiamo per es. il caso Bossetti; per l'accusa il muratore con il furgone arriva davanti alla palestra prende Yara la porta al campo di Chignolo e la uccide,una delle prove fondanti dell'accusa, Quando invece dai dati emersi certi sappiamo che i cani seguono le tracce di Yara fino al cantiere. Va da se che Bossetti non ha preso Yara, portata al campo di Chignolo e uccisa. Poi se aggiungiamo pure che Yara quel pomeriggio per caso si reca in palestra, non era il suo giorno di allenamenti, come faceva Bossetti a saperlo? tanto per soffermarsi solo su un punto di un processo senza nessuna verità. Andiamo avanti: Prendiamo il caso Parolisi. Sul corpo di Melania diversi DNA ma quello di Parolisi non c'è. Anche qui non c'è una logica dei fatti attendibile, altrimenti sarebbero usciti fuori di chi potrebbero essere i DNA o ancora alla ricerca del colpevole i colpevoli e Parolisi non sarebbe stato condannato all'ergastolo perché non si sa ancora la verità di chi abbia ucciso veramente Melania. L'elenco non finisce qui ma fermiamoci. E' ovvio che poi il giudice nel leggere le carte non capisce su quali basi escano fuori indizi o prove. A questo punto agisce di sua coscienza, ma non dovrebbe essere così, la condanna deve essere la conseguenza della logica dei fatti realmente accaduti. Quindi possiamo ben dire che mancando il filo logico dei fatti il giudice agisce solo per effetto del suo potere di farlo e non perché il suo giudizio corrisponde alla verità dei fatti. La domanda: E' abuso di potere da parte di un giudice se in verità nel processo e chiara che la verità è un'altra o ancora sconosciuta?

antrag ha detto...

Il libero convincimento non può riempire il vuoto di verità processuali.

Una corte non dovrebbe ritirarsi in camera di consiglio senza avere consentito di acquisire verità processuali.

magica ha detto...

stare un giorno intero chiusi a discutere un caso .
con prove inesistenti : l'indizio del furgone si seppe che era stata una montatura , percio' era inutile tirare in ballo sferette e stoffe compatibili con sedili di altre vetture . se il furgone non era di BOSSETTI ERA ridicolo metterlo di nuovo in gioco .. anche gli altri indizi si erano rivelati inconsistenti , percio', perchè dovevano stare una giornata intera a parlarne o leggere carte ? con sonsiderazioni vecchie : di abbronzature, di video porno , edicole , tutti pettegolezzi ..
giudici popolari sono come la stragrande delle persone che leggono e ascoltano le maldicemze dei giornalisti o opinionisti , tutte gente molto ignorante , che a sentirli parlare non si capisce come mai abbiano la facolta' di parlarne in tv o sui giornrli .
possibile che non abbiano capito nulla ? .
STARE UNA GIORNATA INTERA ER SOLO PER PARLARE DELLL'UNICO INDIZIO. un DNA AMBIGUO . COMUNQUE MERITEVOLE DI DISCUTERNE PER TUTTO QUEL TEMPO?tenere in agonia un detenuto, e famiglia, e la gran parte del popolo italiano . bisognava fare scena , per avvalorare la colpevolezza , non si poteva dichiarare bossetti innocente oppure rifare quel FANTOMATICO D.N.A. LE FIGURACCE NON PIACCIONO A NESSUNO , è PREFERIBILE CHE BOSSETTI SE NE STIA IN GALERA .






Bruno ha detto...

Tutto quel tempo in camera di consiglio è servito solo a far scena, hai intuito bene Magica. Che cosa ne sanno i giudici popolari di dna, non ne ha capito neppure il presidente, e neppure certi giornalisti che si credono esperti in biologia, figuriamoci i giudici popolari. Meglio tenere un Bossetti qualsiasi prigioniero di stato che far crollare tutta la certezza che si ha della giustizia in italia. Ho paura che in cassazione si ripeta un brutto copione. Cosa rimarrebbe a Bossetti? La corte europea?.