martedì 10 novembre 2015

Le poco sante Inquisizioni Cristiane - Saggio di Manlio Tummolo

Manlio   Tummolo

LE  POCO SANTE  INQUISIZIONI  CRISTIANE

( Bertiolo,  UD,  settembre -  ottobre  2015)
 

Il presente saggio è dedicato in primo luogo al nostro comune Ospite,  Massimo  Prati, per il suo costante impegno nella ricerca della verità dei fatti, soprattutto giudiziari e sociali.  In secondo luogo,  a tutti coloro che, come lui e con lui, qui  affrontano il vento,  fosse pure a 150 km/h, come la bora triestina, o contro le correnti, per quanto impetuose dei fiumi, e le onde dei mari, sempre con tenace spirito critico .

“  La mente umana è misura (non Creatrice) delle cose che considera esistenti, come delle cose che considera inesistenti ”.
Mia parziale parafrasi da un celebre frammento di Protagora di Abdera, riportato da Sesto Empirico .

“  Secondo la Scrittura, sono nemici di Dio quelli che s’oppongono alla sua autorità per la propria corruzione, non per natura, peraltro senza poter nuocere a Lui, ma a se stessi.  Sono infatti nemici per la volontà di resistere, non per il potere di offendere.  Dio è immutabile e assolutamente incorruttibile;  per questo la corruzione, per cui s’oppongono a Dio quelli che sono detti suoi nemici, non è un male per Lui, ma per loro stessi, e lo è unicamente perché corrompe in loro il bene della natura…   Certamente non esistono mali che rechino danno a Dio, ma alle nature mutabili e corruttibili, buone tuttavia [in origine], come attesta evidentemente la loro  corruzione [che è peggioramento, dal bene verso il male]…” .
S. Agostino d’Ippona (Aurelio Agostino),  “La Città di Dio” ,  Libro XII,  cap.  3 .

“  Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi.  La natura limitata degli altri è contenuta entro le leggi da me prescritte.  Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto…  Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori, che sono divine “ .   Giovanni Pico della Mirandola,  “Della Dignità dell’Uomo” . Continua a leggere...

48 commenti:

magica ha detto...

grazie signor TUMMOLO -
un post impegnativo che ci invita a riflettere .
daltronde ho sempre pensato al sua grande cultura, mantenuta costante e aggiornata:un suo sapere .
saluti dalla sua ammiratrice MAGICA .

Manlio Tummolo ha detto...

Molte grazie, Magica, per la Sua gentilezza, e molte grazie anche al nostro Massimo, per il costante coraggio nell'affrontare anche i temi più difficili .

Manlio Tummolo

Vanna ha detto...

Buongiorno Manlio!
Ho iniziato a leggere il tuo saggio, sono arrivata all'introduzione e per ora lo accantono per continuare successivamente, impegni casalinghi mi impediscono di entrare nelle profondità del tuo sapere, ma lo terminerò.
Intanto ti dico che è interessantissimo l'argomento e l'esposizione è un cesello letterario e filosofico che fa pensare e tanto...
E' bellissimo!
Ma scriverò ancora, questa è solo la mia iniziale ed immediata impressione, positiva al massimo.
Grazie!
Vanna

PINO ha detto...

CARISSIMO MANLIO
Come Vanna, ho letto solo parte della tua profonda disquisizione,e me ne compiaccio vivamente.
Continuerò a leggerla e meditarla molto lentamente, per meglio apprezzare il suo valore filosofico, letterario ed etico.
Una cordialissima stretta di nano, Pino

Manlio Tummolo ha detto...

Siete gentilissimi, Vanna e Pino. Molte grazie, Manlio

Ivana ha detto...

Complimenti, Manlio per il tuo “Trattato”; lo considero tale in quanto mi sembra che l’intento divulgativo sia accompagnato da approfondimenti esaustivi che rivelano lo “specialista” capace di usare un linguaggio colto e, nel contempo, chiaro nell’esprimere, attraverso una minuziosa analisi storico-filosofica, e per mezzo di citazioni tratte da documenti ricercati con cura e competenza, contenuti critici notevoli.
Riguardo al concetto di Dio, personalmente tendo ad attenermi ai risultati “moderni” della logica-matematica; l’infinito assoluto (con cui la Chiesa Cattolica identifica Dio) è una nozione contraddittoria. Si dimostra con la teoria degli insiemi. Attualmente la dimostrazione di Aristotele, contenuta in un’osservazione marginale, nella Metafisica Libro Terzo 998 b, è considerata perfettamente corretta; il “genere”, di cui parla Aristotele, nella logica-matematica attuale, è l’insieme, e la “specie” è un sottoinsieme e, proprio come diceva Aristotele, “[…] è impossibile che le specie di un genere si predichino delle proprie specificità o che il genere si predichi della sua genericità […]”. Evito l’utilizzo della simbologia opportuna per la dimostrazione in quanto è già stata chiaramente dettagliata, in maniera divulgativa, da Piergiorgio Odifreddi.

Un caloroso saluto e un ripetuto apprezzamento per il tuo immenso lavoro svolto!
Ivana Niccolai

Manlio Tummolo ha detto...

Il fatto è, carissima Ivana, che Dio non è un concetto matematico e che la stessa matematica è pura astrazione (cfr. Vico). Di Dio non si può dimostrare né l'esistenza, né l'inesistenza, lo aveva già affermato Ockham, ben prima di Odifreddi (e anche Mazzini nei suoi "Doveri dell'Uomo"). Trendelenburg e Krug, oppositori di Hegel, avevano già sottolineato che l'esistenza, non solo di Dio, ma di qualunque entità anche minima (la celebre penna di Krug), è indimostrabile, e non è dedducibile nella sua generalità. Ma se è indimostrabile l'esistenza, è anche indimostrabile l'inesistenza. L'esistenza delle cose si constata o non si constata. Una volta constatata, spetta però all'uomo determinarne gli aspetti, come ente generale e come ente specifico. Quanto al Dio delle religioni rivelate, la sua inesistenza si dimostra proprio con le troppe contraddizioni, visto che gli si attribuisce una natura antropomorfica, che è mortale e spaziale, gonfiata all'eternità e all'onnipotenza; una bontà contraddetta da violenze espressive e di fatto, ecc. ecc. Oggi, mi sono fortemente sdegnato per la trasmissione Radio RAI 3 "Tutta la città ne (S)parla", nella quale si è affrontato in 45 minuti il tema di Dio e della religione, inframmezzato da canzoncina, normale, dalle notizie del traffico, dale battutelle di Galimberti e da cinguettii vari. Un tema che ha ben 2600 anni di storia, da Senofane di Colofone, che sia affermativo, dubitativo o negativo, merita maggiore rispetto e serietà. Ma sono tutte cose che oggi non apprezziamo. Sembra che si debba essere o "cristiano" (cattolico) o ateo (materialista), mentre le specificità sono molte e varie, in quanto prodotti del pensiero umano. Mi dica Odifreddi, se ci segue: qual è il numero che rappresenta Dio ? l'Uno, come per Plotino, o una serie ? I numeri sono astrazioni che si rifanno a quantità materiali, ma l'immateriale non è misurabile né come massa, né come serie.
Cave a mathematicis !

Ad ogni modo, molte grazie per le tue interessanti osservazioni .

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio, cave a philosophis! :-)
Con l’attuale teoria degli insiemi (che si fonda su determinati assiomi) si dimostra chiaramente che l’Infinito Assoluto è una nozione contraddittoria; tu, certamente, puoi rifiutare l’attuale teoria degli insiemi, o semplicemente, rifiutarne alcuni assiomi e considerare altre teorie degli insiemi, ma, comunque, in tale teoria (che si fonda su quei determinati assiomi) la dimostrazione è ineccepibile e, soprattutto, si evita di usare l'assioma di comprensione che è stato dimostrato conducente, poi, a contraddizione.
L’Infinito Assoluto è L’UNIVERSO di tutti gli insiemi, cioè che contiene tutti gli insiemi, dunque il Tutto, vel L'Uno (con la U maiuscola!)
Da un punto di vista matematico, i Greci prendevano in considerazione solo l’infinito potenziale, in pratica consideravano l’infinito come illimitato e irraggiungibile; gli Scolastici usavano, come nel caso di (San) Tommaso d’Aquino, il rifiuto dell’infinito per dimostrare l’esistenza di Dio.
I matematici moderni considerano l’ “infinito attuale” e hanno costruito un’aritmetica dell’infinito estremamente complicata: ci sono tanti infiniti e non c’è un infinito massimo!

Ognuno, comunque, è giustamente libero di credere in ciò che maggiormente lo convince! :-)

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

il concetto di Assoluto a cui ti riferisci, e di Divinità, potrebbe andare ben per il DIO Tutto, per l'En Kai Pan, non per il Principio delle cose che o le crea o le dirige, ma sempre mantenendo la distanza dalle stesse (ovvero, trascendenza). La matematica è una scienza specifica, e riguarda cose da noi pensate, ma non sussistenti nella realtà. La matematica è la misura astratta della realtà FISICA, non di quella spirituale, anche se concetti matematici possono servire a simboleggiare certe caratteristiche spirituali (ad es. l'idea del punto matematico come adimensionale, per simboleggiare, non per spiegare, la non-spazialità ed immaterialità dello spirito) Nessuno mangia numeri né beve formule, non si respirano triangoli e neppure insiemi. Ma nessuno anche può ritenere i propri ragionamenti sulla realtà come susiettibili di calcolo mateamtico. La matematica, a proposito, e in specie la geometria, rappresenta la maggior contraddizione logica, pensando al punto, che è privo di dimensioni (quindi Zero) come fondamento della dimensione, Tutto ciò serve quale denominatore comune per il calcolo delle cose, e su questo non vi è dubbio, ma nulla ha a che vedere con la realtà, ontologicamente intesa, sia materiale, fisica, sia spirituale. Come non posso con un martello avvitare una vite (mentre va bene per i chiodi), non posso né misurare, né calcolare il numero e la qualità delle idee che ho in testa Così non posso con nessun calcolo matematico, antico o moderno che sia, valutare lo spirito che, a differenza della materia, sfugge ad ogni calcolo. Non è certo in discussione la libertà di pensiero (non sono l'ISIS, né il califfo Al Baghdadi), è ovvio, ma usiamo ogni disciplina e ogni metodologia nell'ambito suo proprio. L'ambizione neo-pitagorica dei nostri tempi, derivata da uno sperimentalismo di derivazione galileiana, si illude di poter misurare tutto attraverso procedimenti del tutto astratti. Di qui, certe conclusioni a cui arrivano anche altre scienze, fondate esclusivamente su calcoli matematici, ma senza una verifica materiale o fattuale .

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio, è vero, in matematica non è importante porsi domande quali: “La matematica è un’invenzione, una scoperta, o entrambe? Perché?” ; per la matematica non è interessante l’essenza di un ente matematico, è importante definire ogni ente matematico che viene usato cercando di rappresentarlo con simboli; alla matematica importa , per esempio, definire i numeri e usarli coerentemente in base alla definizione scelta controllando che non arrivino contraddizioni; nella filosofia della matematica, invece, la domanda è importante e in base alla risposta che viene data da ogni matematico si può capire, comunque, quale possa essere la corrente di pensiero seguita, o le correnti di pensiero da lui seguite.
Nella tradizione occidentale (e non solo in quella occidentale!) la ricerca della prova dell’esistenza di Dio ha rappresentato uno stimolo eccezionale per mettere alla prova le capacità logiche umane (fides quaerens intellectum ), ma tali prove non funzionano.
Credo che anche gli argomenti quali quello cosmologico per la ricerca della “causa prima” e quello dell’”orologiaio” siano stati smontati dagli argomenti proposti da Darwin. Non c’è bisogno di supporre un Creatore che spieghi la creazione: sarebbe sufficiente il caso.
La “selezione naturale” spiega l’origine della complessità biologica senza far ricorso alla metafisica.
Dawkins ha spiegato come l’evoluzione nel campo dell’orologeria, avvenuta passando di generazione in generazione, rappresenti una dimostrazione della teoria di Darwin dell’accumulazione di variazioni continue nel passaggio storico, appunto, da una generazione all’altra.
L'assunzione di un essere necessario, o di una causa prima, è incompatibile con la logica matematica.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

ho qualche problema nello scrivere causa il tempo linitato (un'ora) che mi dànno a disposizione, ma perlomeno non pago nulla e non arricchisco direttamente le varie agenzie USA. Intanto: la questione tra noi due non consiste nel fatto se Dio esista o non esista. A ciascuno le sue convinzioni, su questo non piove. La questione è se la matematica sia o non sia adatta a dimostrare l'esistenza o l'inesistenza di Dio, per cui, in sostanza, la nostra questione verte sulla natura epistemologica della matematica stessa e la sua natura, a mio avviso del tutto inidionea a cogliere la realtà delle cose, in generale, ma capace solo di misurare ciò che è misurabile. Se pensiamo che, nella matematica stessa, si concepisce l'idea della incommensurabilità tra parti di linea (curva e retta), oppure ai numeri cosiddetti "irrazionali", ecc. più un'infinità d'altri aspetti non rientranti nella mia formazione che è tutto sommato "elementare", non si vede perché poi la matematica pretenda di misurare o decidere anche su cose la cui natura sfugge ad ogni misurazione (es. l'infinita piccolezza, l'infinita grandezza, la variabilità delle cose stesse).

Che cos'è dunque la matematica ? E' una scienza strumentale, necessaria alla mente umana per misurare le cose fisiche, ma non per conoscerle nella loro condizione ontologica. Valuta la quantità in senso astratto (ovvero, privo di ogni qualità, od omogeneo), la la misura della cosa non coincide per nulla con la cosa misurata, e perfino gli strumenti che noi utilizziamo le cose concretamente (il metro, il decimetro, ecc.) sono oggetti concreti e non metri lineari o decimetri lineari puri. Utilizziamo cose a forma di..., ma non utilizziamo propriamente la misura in sé.

D'altronde la mente umana procede come se eseguisse operazioni reali, ma così non è: vediamo un esempio. La prospettiva, regolata da leggi matematicche è inevitabile nell'osservazione delle cose: ovvero vediamo piccolo ciò che è lontano, grande ciò che ci è vicino; sembra che, muovendoci, le cose si ingrandiscano se ci avviciniamo, si impiccioliscano se ci allontaniamo. Ma le cose osservate mantengono le loro dimensioi effettive in tutti i casi. La prospettiva poi serve con la luce: nel buio assoluto non funziona e, muovendoci nel buio totale, rischiamo di sbattere la testa contro qualcosa oppure di cadere dalle scale. Questo perché la realtà funziona in altre condizioni che quelle che utilizziamo con la matematica e la prospettiva. (segue)

Manlio Tummolo ha detto...

Che cos'è il numero ? Semplicemernte una rappresentazione grafica della quantità, prescindendo da ogni differenza qualitativa, valuta il concetto di un "ente" (rappresentazione mentale) puramente ed astrattamente quantitativo, considerato come se fosse assolutamente omogeneo. Ciò quindi non può rappresentare una realtà fisica nella sua composita natura.
Che cos'è lo spazio, in senso geometrico ? L'infinito contenitore di un infinito contenuto che, con procedimento mentale, "estraiamo" con le sue caratteristiche materiali (solidità, mutabilità, composizione)
Che cos'è il punto ? Potremmo definirlo, con linguaggio hegeliano, l'antitesi logica allo spazio geometrico: come questo è tridimensionalmente infinito, così il punto non ha dimensione alcuna, nemmeno minima (non rappresenta l'atomo della geometria, ma la pura non-dimensione).

Spazio e punto, tuttavia, sempre con procedura mentale, sono poi i princìpi delle restanti raafigurazioni mentali: linea infinitamente unidimensionale, piano, infinitamente bi-dimensionale. E poi tutto il resto. La geometria quindi si rivela una deduzione "fideistica" di forme aperte o chiuse.

Così la matematica misura le cose ma non ha valore dimostrativo se non nel suo proprio ristretto ambito, ove, come nei problemi e nei teoremi, vi siano dei dati considerati certi e una o più passaggi da superare (domande). In tal modo, la matematica non coglie gli elementi qualitativi della realtà, ma li rappresenta solo come quantità pure.

Quando la matematica pretende di uscire da suo ambito e di identificarsi con la realtà stessa, finisce per procurare solo guai, come nelle reazioni atomiche e come nell'economia.

Se essa, in quanto scienza strumentale coopera nondimeno alla conoscenza dele cose fisiche, perché misurabili, certamente non può giungere a cogliere realtà metafisiche o, in tutti i casi, realtà non misurabili (perché infinitamente piccole, infinitamente grandi o perché in continua variazione. (segue)

Manlio Tummolo ha detto...

Infine: sulla dimostrabilità dell'esistenza o inesistenza di Dio.

Posto che esista, ogni nostro tentativo di dimostrarne l'inesistenza, non lo elimina dalla realtà Se non esiste, ogni tentativo di dimostrarne l'esistenza, non lo crea e non lo fabbrica. In ambedue i casi, si tratterebbe di puri esercizi retorici.
Tuttavia, per chi ponga la sua esistenza come principio necessario alla mente umana e alla regolazione delle proprie azioni, si presenta il dovere di determinarne i caratteri con procedura logica e coerente, non con pretese rivelazioni dirette.
Riguardo al rapporto tra i matematici e Dio, verifichiamo storicamente che da questi vennero su Dio le idee più balzane, da coloro che si rappresentarono un Dio matematico (lo stesso Galilei concepì la realtà dell'universo come pura matematica), a Pascal che si permise di far scommesse su Dio, come se fosse una moneta (testa o croce), a Newton che se lo rappresentò come un mostro con organi di senso, ma privo di corpo, ecc.

Eccoti, così carissima Ivana, in sintesi le mie convinzioni sul tema.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
proverò anch'io a sintetizzare le mie personali convinzioni sul tema, precisando che mi risulta sempre piacevole e arricchente il confronto sereno "inter nos".
Non avevo detto che con la matematica si può dimostrare l’inesistenza di Dio; avevo detto che nella teoria degli insiemi è stata dimostrata la contraddittorietà del concetto di “infinito assoluto”; non c’è un infinito massimo.
Personalmente sono d’accordo con gli intuizionisti per i quali non c’è ciò che ci può essere, ma c’è ciò che noi facciamo. In matematica ci sono le cose che i grandi matematici riescono a costruire attraverso gli strumenti che decidono di usare.
Mentre per le questioni metafisiche bisogna “credere per capire”, la matematica ci insegna a “capire per credere”.
In matematica “definire” significa creare liberamente (col solo vincolo della coerenza, della non contraddittorietà) nel senso che quanto viene definito esiste (cioè prende la propria esistenza) proprio nel momento della definizione e vive, appunto, nella definizione.
Bisogna stare attenti (io per prima!) alle insidie dell’ovvio: per esempio, sembrerebbe ovvio, per noi, considerare lo zero un numero; ma la storia della matematica ci insegna che, nella cultura occidentale, lo zero ha “faticato” molto a lungo prima di raggiungere la dignità di “numero”.
Se da un pugno chiuso di una mano si alza il dito medio sembra ovvio che si tratti di un gesto volgare e, invece, per chi conta in base 2 (utilizzando il pugno chiuso di una mano), quel dito medio alzato rappresenta semplicemente il quattro in binario.
Sembra ovvio che la “e” sia una congiunzione, ma può essere classificata in svariati modi più consoni alle caratteristiche semantiche dei periodi in cui appare, semplicemente “algebrizzando” la lingua. Bisogna tener conto dei ruoli effettivi che la "e" assume quando viene usata!
Sembra ovvio che il verbo essere sia un ausiliare, ma, in realtà, è un verbo complicato: ci sono ALMENO SEI significati diversi che può assumere in base all’uso che ne viene fatto.
I Greci e i Romani intendevano i numeri come misure di una quantità.
Per loro lo zero non era un numero.
Credo che, prima di Crisippo, neanche l’1 era considerato un numero perché il numero era considerato come misura di una molteplicità. Per Euclide stesso, uno non era un numero, non essendo una “pluralità composta di unità”.
Pensa che nel 1985 un autore di libri di testo di matematica per i licei protestò violentemente contro una Commissione che aveva inserito lo zero tra i numeri naturali; LIBERO lui di non inserire lo zero tra i numeri naturali, come sono altrettanto liberi coloro che lo collocano tra i numeri naturali!

(continua)

Ivana ha detto...

Le notazioni sono nomi che vengono assegnati ai numeri e come nomi sono nomi convenzionali.
Nella teoria degli insiemi il numero è ciò che c’è di comune fra gli insiemi che hanno lo stesso numero di elementi. L’uno è l’insieme che contiene solo un elemento (cioè lo zero); il due è considerato come l’insieme che contiene lo zero e l’uno ecc.
In matematica, “razionale” significa semplicemente “frazionario”.
I numeri irrazionali fanno parte dei numeri reali!
Il punto è un segmento di lunghezza nulla.
Riguardo agli infiniti matematici sono d’accordo con il grande Hilbert: “Nessuno riuscirà a cacciarci dal Paradiso che Cantor ha creato per noi”.
Credo che, attualmente, la teoria degli insiemi sia il linguaggio comune nel quale parlano i matematici di tutto il mondo.
Qual è l’essenza della matematica? Ritengo sia la libertà, come ci ha insegnato Cantor e penso che la matematica abbia, quindi, un valore anche dal punto di vista etico.
La matematica sviluppa il piacere della libertà e della critica.
Aristotele era solito dire che le sue lezioni erano più apprese che comprese ; io credo, invece, che la matematica, se studiata con amore e interesse, abitui a esercitare le capacità logiche per “capire”.
C’è chi ha affermato che "La matematica non si capisce; alla matematica ci si abitua." Io credo, invece, che la matematica debba prima essere capita per poterci abituare al suo linguaggio; qui, però, nasce un problema: la matematica è, aut ha, un linguaggio?
Capisco e continua a piacermi il più grande sogno di Leibniz la “characteristica universalis”: creare un linguaggio universale, di natura matematica, nel quale si possano esprimere tutte le scienze. Insomma una lingua simbolica universale formale, un “calculemus” meccanizzato.
Laibniz aveva, in pratica, lanciato la sfida alle generazioni successive: cominciare a studiare la logica usando i mezzi della matematica e, in particolare, costruire una lingua universale nella quale la matematica e le varie branche della scienza potessero essere espresse; formalizzare la logica mediante un linguaggio appropriato; costruire, quindi, lo strumento che era mancato agli Scolastici per poter continuare la loro impresa intellettuale. IN PARTE si è riusciti a realizzare questi sogni che sembravano irrealizzabili perché, nel corso della storia, sono stati trovati il linguaggio giusto e il metodo giusto per poter trasformare la logica in logica matematica. Il primo passo fu compiuto da Boole …

Vanna ha detto...

Manlio, e come faccio a dire il mio nulla matematico parere, se questo dialogo sta diventando per me incomprensibile tanto si sta avvitando intorno al numero che, per Pitagora era “la misura di tutte le cose”, mi pare di ricordare, invece per me, che non sono Pitagora, “il numero” è sempre stato un handicap, l’unico che conosco è quello che sta nel borsellino e che tiro fuori nel fare la spesa, che scocciatura il contare durante e dopo!
Il tuo eccellente saggio, mi si presenta come il canto di chi cerca Dio che, anche per me, “ Si rivela soltanto nell’intimo della coscienza e del pensiero umani, silenziosamente, dal momento stesso in cui ci fa nascere come esseri razionali bramosi di valori assoluti. ” E continui sondando i limiti della mente umana che si fa prendere dal Dubbio:…” La conoscenza dell’uomo, e non solo su Dio, ma su tutte le leggi della natura e pure su se stesso, è un lungo percorso che si compie ad opera dell’intera umanità nell’arco di millenni, e non sempre in avanti, ma talvolta anche ricadendo in vecchi errori, un po’ come il personaggio mitologico di Sisifo, costretto a portare un masso sul monte, per vederlo poi rotolare all’indietro, o più positivamente, come il marinaio che insegue, senza mai raggiungerlo, l’orizzonte, e nondimeno compie una lunga strada e scopre nuove cose del mondo. ” Oppure, aggiungo, quando vogliamo raggiungere l’arcobaleno che si allontana e dissolve i suoi colori nel cielo.
L’orizzonte e l’arcobaleno si spostano con noi, non possiamo misurarli o toccarli eppure ci sono perché li vediamo, li constatiamo e ci procurano sogni, desideri, speranze, stupori, sentimenti che, anche questi, non possiamo misurare né contare eppure esistono dentro di noi e ci emozionano e ci permettono di desiderare, di volare con la fantasia, alla quale la matematica non serve per esistere, “sentire”, immaginare.
La fantasia c'è e si sente.
Quindi, la penso come te, ciò che è spirito non è calcolabile in quantità, in peso, in grandezza ed è anche per questo motivo che il mondo sta andando in pezzi, perché si calcola la materia e su quella si mettono le basi della propria esistenza senza rispettare l’altro fuori di noi che sia uomo, animale o natura che, a sua volta ha sogni, desideri, speranze… proprio come noi e lo si vuole sopraffare….
Per ora mi fermo qui, devo terminare di leggere.
Ciao.
Vanna

Manlio Tummolo ha detto...

Cara Vanna,

grazie per le tue considerazioni e soprattutto per l'attenta lettura.

Cara Ivana,

mi sembra di capire che tu sia una docente di matematica e apprezzo il tuo enorme entusiasmo. Come è successo a gran parte dei matematici, c'è tuttavia il grosso rischio di uscire dai limiti epistemologici della matematica, e di farne una realtà assoluta, mentre è del tutto correlativa alla mente umana. Certo, noi non possiamo ragionare sulle cose se non impiegando concetti matematici, così come le vediamo in modo matematico (prospettiva, di cui si è detto), ma le cose materiali sono oggetto di calcolo matematico, non le cose immateriali o spirituali, così come non possiamo contare le idee in testa, né semplici, né complesse, appunto perché le idee non cadono sotto i nostri sensi e sono un elaborato del nostro cervello o, meglio,della nostra mente, che procede per simboli e per segni.

Come ho anche detto, perfino nella fisica, come nell'economia, come nella climatologia, noi, affidandoci al cieco calcolo matematico (che procede per astrazioni come gli aristotelici procedevano per sillogismi), rischiamo di compiere disastri perché scambiamo operazuioni mentali con reali fenomeni fisici, azzardando previsioni come se fossero certezze.

Insomma, non vorrei dilungarmi troppo su un tema che, tutto sommato, non riguarda strettamente il mio lavoro (essenzialmente sulle cose a cui ci porta il fanatismo, non solo religioso, ma come si vedrà anche dell'apparente razionalismo, quando questo non riconosce che se stesso, mentre la mente e la coscienza umana sono sistemi molto complessi, in cui gioca l'istinto di millenni, il sentimento, l'egoismo, come l'altruisnmo, tutte cose di cui, noi umani, dobbiamo renderci conto senza escluderli, per tenrli sotto controllo, mentre negandoli e basta, rischiamo di fare più danni, di quanti problemi crediamo di risolvere.

Manlio Tummolo ha detto...

PS) Ho lasciato la frase in sospeso, causa i miei tempi limitati. Essendo l'uomo, e soprattutto l'umanità, un'entita complessa, la più complessa esistente sul pianeta, è necessario che ogni studio razionale (filosofico o scientifico che sia) non ignori, ma si occupi anche degli aspetti irrazionali dell'uomo, per controllarli, seppure senza mai riuscire a dominarli del tutto. Una metodologia che l'Ottocento sviluppò al masismo livello, mentre il Novecento nel suo complesso ha ridotto a poche categorie, tutte con pretese universalistiche o generalizzanti, con le conseguenze che vediamo. Dunque, anche il puro razionalismo, quando non si rende conto della complessità umana negandone gli aspetti irrazionali o alogici, finisce per scadere nel più bieco fanatismo e distruggere se stesso (es. il Terrore della Rivoluzione francese; il sistema sovietico ed altri analoghi, mentre il nazifascismo si pose di per sé come irrazionale ed antirazionale, restando chiuso così nella sua brutale, ma "coerente", natura).

Ivana ha detto...

Credo che il pensiero matematico vada concepito SIA come libera attività creatrice (con l’unico vincolo della coerenza!) per cui occorrono ragione e immaginazione SIA, nel contempo, come garante e organizzatore dei saperi accumulati di generazione in generazione.

Ritengo che determinati sentimenti, quali il “sentimento del sublime” e le condizioni di spirito, che vengono risvegliate in molti dalle “grandi visioni naturali”, facciano riflettere, perché anche la musica, per esempio, suscita, in tanti, sentimenti analoghi, forti e indefiniti.
La natura mi appare spietata, perché c’è la lotta per l’esistenza e, come ben spiegato da Giacomo Leopardi, dietro l'apparente bellezza dei luoghi si nasconde una realtà sofferente : “[…]Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagion dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento.[…]
Comunque, l’esigenza di spiritualità è avvertita, anche attualmente, da determinati matematici, i cosiddetti “platonisti”, i quali hanno la sensazione di muoversi in un panorama di numeri e figure che pre-esistono alla loro ricerca … Sono convinti di non essere loro a creare l’ampia varietà di strutture matematiche astratte, ma semplicemente di “scoprirle” (cioè, di trovarle!).

Benedetto Croce era convinto, riguardo alla logica-matematica, dell’”inutilità presente e futura di qualunque sua applicazione” E, invece, è proprio dalla logica matematica che sono nati i computer ...

(continua)

Ivana ha detto...

Sul “fanatismo” sono d’accordo nel temere le sue terribili conseguenze (mi ha fatto piacere leggere che tu stesso, nel tuo trattato, hai ricordato anche Ipazia!) e credo si debba insistere costantemente sull’educazione volta alla cultura del rispetto e, personalmente, spero che una più intensa e saggia educazione alle scienze possa portare a una graduale illuminazione dell’intelletto umano, in modo che l’aspetto irrazionale possa essere riconosciuto e tenuto sotto controllo da ognuno …
Ho apprezzato moltissimo la tua dotta e chiara analisi giuridica presente nel tuo lavoro e, in particolare, mi sono soffermata su “Susanna e i due vecchi satiri”. Tale storia, però, letta da Michele Buoninconti a Roberto Amerio prima che il giudice si ritirasse in Camera di consiglio, mi aveva fatto riflettere sul contesto in cui era stata sottolineata e sulla persona che l'aveva proposta …
In tale lettura, effettuata dal Buoninconti in quella determinata aula giudiziaria, a me è parso di scorgere una provocazione, una sfida, in quanto mi sembra che l’imputato si sia voluto identificare con l’innocente Susanna, sì, ma ho pensato che Susanna era stata accusata ingiustamente proprio da due persone “in possesso di una certa autorità” perché “già eletti giudici dal popolo” e capaci di compiere nefandezze varie, tra cui il ricatto e la calunnia, pur di raggiungere i propri egoistici ed edonistici scopi(come se il Buoninconti avesse voluto sottolineare la corruzione dei giudici …) e avesse voluto dire al giudice: “Attenzione, dimostrami di non essere come i due satiri, assolvendomi”).
Comunque, si tratta di una mia interpretazione “contingente” perché avevo considerato solo quella particolare situazione in cui la storia di Susanna era stata letta dal Buoninconti .

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

sinceramente non so nulla di questo Boninconti: ormai, limitando le mie fonti d'informazione quasi esclusivamente a Radio RAI (per il mio divorzio dalla televisione e anche da INTERNET, salvo quello che posso fare grazie alle biblioteche locali), non sono affatto aggiornato su processi e discussioni. Benedetto Croce. come giovanni Gentile, andrebbero anche visti sotto il discorso polemico e critico che, a loro volta, riprendevano ambedue dalla filosofia vichiana (il Liceo Scientifico, con molto spazio alla matematico, è creato proprio dalla Riforma Gentile). Ma va pure ricordato che, nella loro epoca, l'Italia era all'avanguardia in merito allo studio scientifico e ale scoperte scientifiche. Il che non si può certo dire oggi.

Certamente, la matematica ha un'enorme importanza, ma - devo ripetere - come carattere strumentale, non ontologico. Quando pretende di "creare" la realtà o di conoscerla in modo assoluto, finisce per creare mostri e incubi anche nei campi delle scienze naturali e pure demografiche ed economiche. L'elenco sarebbe lungo. Già il grande Leibniz cerco di conciliare la concezione aristotelica della Scienza come un "cognoscere per causas" (ovvero, sui rapporti qualitativi tra le cose), e il conoscere come valutazione quantitativa delle cose stesse, ovvero il discorso matematico (Leibniz, con Newton è l'inventore del calcolo infinitesimale, sulla cui primogenitura polemizzarono fra loro). Ogni unilateralismo è antiscientifico, ma è anche antiscientifico l'eccesso scientista, ovvero quello di poter ridurre ogni scienza all'unico metodo matematico, dimenticando che ciascun oggetto di ricerca va valutato cogliendone le differenze dagli altri (non tutto è valutabile con un unico metodo e ogni scienza ha un suo metodo di ricerca, correlativo alla specifica natura di quell'oggetto), e che soltanto la Ragione o Logica, nella sua accezione generale, è la guida, il denominatore comune di ciascuna metodologia scientifica, ma deve essere intesa con una sua certa plasticità, altrimenti di nuovo si ricade nell'unilateralismo.

Ti ringrazio per le tue osservazioni personali, che indicano apprezzamento pur nella differenza di idee, il che non è molto frequente.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio, credo che gli estremismi (conducenti alle assolutizzazioni) siano altamente criticabili e direi fuorvianti soprattutto quando si confondono i diversi significati che assumono determinati concetti nei diversi ambiti del sapere. Reputo necessario relativizzare …
Per esempio, ci sono almeno tre diversi concetti di verità: il concetto di verità matematica, il concetto di verità scientifica e il concetto di verità di fede (in ambito religioso, in ambito storico, in ambito giuridico …)

(Poi, lo sappiamo, e io finora non condivido, ci sono coloro che arrivano a “risolvere” le contraddizioni dicendo “ Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini…”)
Giovanni Gentile diceva che le contraddizioni non si risolvono con la negazione di uno dei due termini contraddittori, che hanno sempre entrambi la loro profonda e ineluttabile ragion d'essere, ma che si risolvono con l'affermazione dell'unità superiore, in cui i contrari coincidono. Sinceramente non considero di valore scientifico tale punto di vista di Giovanni Gentile.)

Ora mi vorrei soffermare sui contributi di Leibniz alla logica, contributi che sono originali perché nuovi, diversi rispetto a quelli dei suoi predecessori e i logici contemporanei considerano Leibniz il loro ispiratore. Leibniz è considerato uno dei più grandi matematici vissuti dai tempi dei Greci…
Leibniz e Newton sono gli inventori (quasi simultanei e di certo indipendenti!) del calcolo infinitesimale e direi che la loro "aneddotica" disputa sia rivelatrice del carattere difficile che spesso i geni rivelano.
La relazione di complementarità tra derivate e integrali è il contenuto di quello che viene chiamato il teorema fondamentale dell’analisi ed è il teorema che è dovuto, appunto, a Leibniz e a Newton.

(Inoltre mi viene in mente che è proprio di Leibniz la meravigliosa dimostrazione matematica, meravigliosa per la sua semplicità ed eleganza, che la somma infinita degli inversi dei numeri triangolari è uguale a 2:
Insomma, è stato Leibniz a dimostrare che: 1 +1/3 + 1/6 + 1/10 + 1/15 + 1/21 + 1/28 + … = 2 )

(continua)

Ivana ha detto...

Riguardo al “Calculemus” di Leibniz (il suo grande sogno!) non doveva essere soltanto una nuova lingua in cui tradurre problemi, ma doveva essere un vero e proprio calcolo matematico. L’idea leibniziana era non soltanto di formalizzare, ma anche di meccanizzare l’intera impresa.
A livello della logica proposizionale e della logica sillogistica è possibile meccanizzare il calcolo, ma a livello dell’intera logica predicativa è, sì, possibile trovare una lingua universale, ma non è più possibile meccanizzare il calcolo.
Insomma, fino a un certo punto la logica moderna è riuscita a realizzare il sogno di Leibniz! Le limitazioni della logica moderna sono, comunque, limitazioni consapevoli; la logica moderna non soltanto conosce le proprie limitazioni, ma sa di aver realizzato ciò che poteva realizzare e ha dimostrato che ciò che non ha realizzato era irrealizzabile.
Inoltre la nozione di “mondi possibili” ha permesso a Kripke di costruire una semantica per la logica modale.
Insomma, almeno una parte delle idee all’avanguardia di Leibniz sono state realizzate dalla logica contemporanea.
Come avrai capito, Leibniz è tra i logici che prediligo e lo ammiro anche per la vastità dei suoi interessi: era un logico, un filosofo, un giurista, un ambasciatore , un consigliere politico …
Come è stato ben spiegato da Piergiorgio Odifreddi, Leibniz fu uno dei primi a cercare di studiare i paradossi di natura giuridica e il suo sogno, agli inizi, fu formulato proprio partendo dall’ambito giuridico, perché sperava che un giorno si potesse sviluppare una tecnica matematica in modo che le dispute giuridiche (o diplomatiche) potessero essere risolte dicendo semplicemente: "sediamoci a un tavolo e calcoliamo". Purtroppo, almeno finora,mi sembra che la logica deontica non sia riuscita a stabilire, in modo definitivo, quale sia il valore logico che si deve predicare delle norme e credo che i paradossi giuridici continuino a far discutere.

Manlio, ritengo che la diversità di idee rappresenti una ricchezza e la matematica mi ha insegnato a rispettare ogni “teoria” soprattutto se frutto di approfondimenti e ricerche minuziose …

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

scusa se rinvìo la risposta alle tue considerazioni, ma disguidi tecnici (INTERNET che funziona ad arbitrio) e di tempo disponibile (una sola fatidica ora) mi costringono a questo.

Leibniz era anche un grande storico. Uno di quegli uomini di cultura universale che oggi nemmeno cercandoli alla maniera di Diogene si ritroverebbero. Tuttavia, commise pure degli errori, e tu stessa nel celebre "migliore dei mondi possibili" li troveresti facilmente. Leibniz era comunque anche teista e la sua "Teodicea" (razionalizzazione del problema del male) lo dimostra, segno che pure la matematica non supera le contraddizioni ontologiche . Ma ne riparleremo con più calma.

Ivana ha detto...

Grazie, Manlio, attendo volentieri le tue considerazioni.

Sì, neanche i grandi geni possono essere immuni dagli errori. Lo stesso eccezionale logico-matematico Frege, proprio quando stava per pubblicare il suo secondo volume sui Principi dell’aritmetica ammise l’antinomia segnalatagli da B. Russell; pubblicò ugualmente il secondo volume precisando, con onestà intellettuale, la contraddizione scoperta da Russell. (COMUNQUE, personalmente preferisco Frege a Russell, perché reputo quest'ultimo fosse particolarmente furbo, capace di promuovere molto bene la propria immagine, capace di meritare un premio Nobel per la letteratura, ma NON grande quanto un leibniz)
Ritengo che al giorno d’oggi, data la vastità e la profondità delle conoscenze in ogni ambito di studio, sia veramente difficile poter essere come Leonardo o come Liebniz …
Di Leibniz ho apprezzato, in modo particolare, la sua “visione” ispiratrice dei successivi sviluppi della logica. Riguardo al “migliore dei mondi possibili” già Voltaire aveva ridicolizzato a sufficienza tale idea anche se penso che Voltaire non abbia capito il grande messaggio lanciato da Leibniz per quanto riguarda la logica …
Come ripeto, la matematica non si occupa di ontologia … :-)
Alla matematica non interessa che cosa siano gli oggetti matematici, alla matematica interessa che cosa può fare con tali oggetti preoccupandosi della “consistenza” (cioè alla matematica interessa non cadere nelle contraddizioni)

Ivana ha detto...

Errata corrige

perché reputo che quest'ultimo fosse particolarmente furbo, capace di promuovere molto bene la propria immagine, capace di meritare un premio Nobel per la letteratura, ma NON grande quanto un Leibniz

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana, anch'io farò un errata corrige su Agostino, ma prima devo rispondere a quanto scrivi. Mi pare che il punto iniziale di divergenza fra te e me, consisteva proprio sul fatto della natura non ontologica, ma strumentale e metodologica, della matematica, per cui essa non può dimostrare né l'esistenza, né l'inesistenza di Dio, il quale, come Idea (vera o falsa che sia) non ha caratteristiche misurabili o calcolabili quantitativamente. Per cui, a questo punto vedo che, al di là della naturale differenza di linguaggio dovuta alle rispettive formazioni di studio, non vi è alcuna contrapposizione particolarmente profonda.

Vengo ad Agostino: nel soprastante saggio scrivevo che Agostino d'Ippona non seppe dire sulla Trinità divina, nulla di più di quella narrazione sul bambino che vuole vuotare il mare con un cuchiaio e un secchiello. In effetti, ero convinto che tale apologo fosse espresso in una delle opere rimasteci di Agostino, a partire dal "De Trinitate Dei". Invece, nelle opere rimasteci nulla ci è rimasto che dimostri risalire proprio a lui questa storiellina, ben più agnostica che fideistica sulla possibilità per l'uomo di comprendere e dimostrare l'esistenza di un Dio uno e trino. Eppure molti pittori hanno rappresentato questa scena, e su INTERNET vi sono molte riproduzioni di tali immagini, ma nelle opere di Agostino non appare nulla. Nel De Trinitate, egli anzi si sforza, non di dimostrare, ma di far capire come la trinità in modi analogici sia pure presente anche nell'uomo, e la paragona al rapporto affettivo tra amante-amato-amore, il che proverebbe una dualità, in quanto l'amore non è persona, ma semplice sentimento tra le persone. Comunque, non ha molta importanza: in effetti, la teologia cristiana da tempo ha ridotto il fatto a puro dogma o mistero della fede, non ad oggetto di eventuale dimostrazione, quindi poco si modifica di quanto da me scritto sull'argomento.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio, avevo da subito precisato che è la filosofia della matematica, non la matematica, a occuparsi di ontologia …

La verità matematica si determina attraverso dimostrazioni.
Per i matematici moderni, l’Universo (V) della teoria degli insiemi è l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a sé stessi; l’infinito assoluto non c’è perché è un concetto contraddittorio; se si vogliono usare le leggi della logica, non si può parlare in maniera consistente, cioè senza cadere in contraddizione, dell’infinito assoluto.

Quelle che Leibniz chiamava “Le verità di ragione” (oggi i logici dicono “le verità della logica”) sono, in effetti vere in tutti i mondi possibili, hanno la caratteristica della necessità (sono verità necessarie) e si possono dimostrare con le dimostrazioni della logica (dimostrazioni finite).
La logica proposizionale è completa e decidibile;  (Il problema della completezza per l’analisi della logica proposizionale del linguaggio era stato dimostrato da Emil Post).
La logica predicativa è anch’essa completa, (l’ ha dimostrato Gödel) ma non è decidibile (Sono stati Turing eChurch a dimostrare, in modo indipendente e diverso, che la risposta al problema della decisione, per la logica predicativa, era una risposta negativa).

Per la matematica è stato dimostrato da Gödel (con i suoi teoremi di incompletezza) che qualsiasi sistema matematicamente corretto (cioè non dimostrante falsità) e sufficientemente potente (cioè in grado di esprimere autoreferenze e concetti quali la dimostrabilità) è incompleto. Sempre Gödel ha dimostrato che, a differenza della logica, la matematica NON è completa, non può essere completa, perché non possono esistere sistemi di assiomi che formalizzino l'intera matematica all'interno del sistema di assiomi considerato.
Una delle conseguenze dei teoremi di incompletezza è che la consistenza dell'aritmetica è indimostrabile. Anche per le verità aritmetiche ci sono verità indimostrabili dall'interno, cioè nel sistema che si sta considerando.


Credo che molti scienziati e molti matematici (tra cui lo stesso Odifreddi) accettino la vecchia religione degli stoici e dei Pitagorici, cioè la fede nel Logos, credo che non abbiano difficoltà a credere che, in un certo senso, la razionalità umana sia capace di comprendere (solo in parte!) la razionalità dell'Universo; credo che non accettino, invece, il passaggio da tale Logos (vel Armonia dell'Universo) al Dio delle religioni istituzionali.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

le religioni istituzionali, pretese rivelate, sono per autodefinizione fuori da ogni logica, e sono necessariamente fondate sul mito, ovvero su una concezione sentimentale, affettiva, che esprime poeticamente (anche se non sempre esteticamente) il senso che ogni uomo ha della propria inferiorità e della superiorità del Tutto in cui vive. Non tutti condividono che la Realtà sia retta da un Logos, anzi taluni (i materialisti veri e propri) ritengono che essa sia semplicemente Caos, in cui leggi e fenomenti "ordinati" siano semplicemente dovuti al caso. Non si spiegano tuttavia come fenomeni "casuali" durino milioni di anni, o comunque tempi ben più lunghi di quelli della storia umana. Ciò che nasce per caso finisce per caso. Tornando al Logos, come ben sai, non è che uno dei molti nomi che si attribuscono al Principio Creatore od Ordinatore del mondo, in pratica null'altro che una delle forme umane con cui si cerca di individuare la divinità, in modo razionale e non semplicemente sentimentale

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
è sempre un piacere dialogare con te!
Potrei non condividere, ma non potrei non continuare a esprimere stima per la tua saggezza, per la tua profonda cultura e per i tuoi modi gentili e sempre rispettosi nei miei confronti.

Credo che sul Dio creatore molti scienziati e molti matematici nutrano vari dubbi; mi sembra che attualmente la scienza ci dica che forse non c'è stato alcun inizio dell'Universo; se non ricordo male, Odifreddi ha spiegato che il Big Ben non è un inizio, man mano che ci si avvicina, cercando di procedere a ritroso verso il cosiddetto Big Ben, si scopre che rappresenta un limite verso cui si tende, ma al quale mai si arriva; le nozioni di spazio e di tempo "si sciolgono", non c'è più il tempo come lo intendiamo noi. Insomma, sembra che il Dio creatore non sia un concetto necessario, sappiamo solo che andando all'indietro non si capisce più nulla.
Ormai il cosiddetto "dogmatismo razionale" non può essere associato alla attuale posizione di molti scienziati e di molti matematici; anche in matematica è stato dimostrato che ci sono verità indimostrabili. In matematica ci sono affermazioni che non si possono né dimostrare né refutare!
In fisica c'è il principio di indeterminazione di Heisenberg ...
L'immagine che la scienza oggi presenta non è l'immagine ottocentesca; oggi gli scienziati sono consapevoli di sapere soltanto una minima parte di ciò che, in teoria, si potrebbe sapere.
La ragione rappresenta il modo che abbiamo di conoscere le cose e gli scienziati dubitano che ci siano altri metodi, altre modalità con cui poter arrivare dove la ragione non può arrivare.
Il grande matematico Hilbert (il maggior rappresentante del formalismo) aveva detto: "Dobbiamo sapere. Sapremo!" e, invece... "ignorabimus"!
Ora nella scienza c'è un sentimento di modestia, ma non per questo molti scienziati si sentono sminuiti, anzi accettano le loro limitazioni ...

Manlio Tummolo ha detto...

Certo, carissima Ivana, la scienza è innanzitutto dubbio e ricerca. L'epistemologia lo conferma, dando alla scinza il valore di confronto continuo serrato etero- ed autoconfutatorio. Questo il metodo: ma se ci riducessimo al metodo "scettico o agnostico", dovremmo concludere che è meglio vivere alla giornata, il che implicherebbe la distruzione di ogni forma di civiltà, né staremmo qui a scriverci su questo argomento se nulla potessimo sapere. Invece, il metodo serve a farci trovare qualcosa, lentamente e collegialmente, nel corso dei secoli e finché l'uomo sentirà questo impulso dominante a cercare per sapere, avere, costruire, vivrà e crescerà, ma quando non l'avrà più, sparirà anche la sua specie. Quest'impulso è esistente in noi, e forte come lo è la nostra coscienza di essere, e di essere per un fine: qual sia possiamo intuirlo con maggiore o minore precisione, ma sussiste inevitabile e inesorabile. L'attuale secolo, non "breve" ma ben lungo (ahi, ahi, ahinoi !!!), è viceversa caratterizzato da una tendenza del peggior materialismo possibile, per cui oltre che il proprio comodo, nulla si cerca, e così si prospetta per noi un nuovo imbarbarimento, secondo il ciclo vichiano. Infatti procediamo, con totale inerzia di pensiero e di azione, finché questa non si esaurirà oppure finché qualcosa di nuovamente forte non ci darà una nuova spinta, un impulso che potremmo dire "religioso" (nel senso illuministico, romantico e positivista del termine, in una parola ottocentesco), ma non fideistico e rivelazionista, tornare al Pensiero forte e fortissimo, non al pensierino debole debole, oggi tanto di moda.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio, come ho già scritto, penso che la ragione giunga dove può arrivare e credo che la ragione sia il migliore dei metodi possibili per conoscere ciò che possiamo conoscere.  La posizione della scienza (in particolare della "scienza matematica") ha perduto ogni superbia;  la scienza è consapevole che non può spiegare tutto (l’affermazione di Hilbert “Non ignorabimus!” ha perso vigore!), ma ritengo NON affidabili altri metodi, in particolare dubito dell’efficacia del metodo della metafisica.
Credo che la domanda “metafisica”: “Qual è il senso della vita” sia una  di quelle domande che genererebbero altre precise domande:  Che cos’è il senso? Il senso è una proprietà degli eventi? So che, dal punto di vista della logica, il senso è una proprietà delle frasi del linguaggio, non è una proprietà degli eventi.
Molti scienziati e molti matematici prediligono l’etica laica il cui compito dovrebbe essere quello di insegnare a capire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, a distinguere le azioni permesse da quelle non consentite e ad avere doveri, diritti e valori, squisitamente umani, condivisi.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

chiedersi ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, nella nostra vita quotidiana, come pure nella realtà dell'Universo, è già porsi una questione metafisica (ovvero, oltre la fisica, nel senso quasi etimologico del termine), la scienza dell'Essere in quanto Essere, cercare la ragione del Tutto (causa ed effetto, principio e fine). Kein mehr Metaphisik (mai più metafisica !) era il motto del positivismo tedesco. Eppure anche i positivisti, con Ernst Haeckel in testa, non solo fecero della metafisica a loro modo (il principio evoluzionistico è metafisico), ma addirittura arrivarono a forme religiose, sebbene non codificate od organizzate. Ogni evento deve avere un senso, carissima Ivana, anche se non sappiamo quale sia, e riusciamo solo ad ipotizzarlo. Il senso del linguaggio ha senso se corrisponde ad un senso della realtà. La logica è realtà del pensiero, ma è anche la realtà del mondo, sebbene si manifesti in termini talvolta o spesso oscuri per noi. Un mondo senza senza un proprio senso non potrebbe nemmeno essere studiato.

I metodi della metafisica sono tantissimi: si cominciò con poemi fisici per capire il primo principio della natura, e si è andati avanti con metodi critici, naturalisti, sperimentali. Ogni qualvolta ci chiediamo il rapporto tra realtà e apparenza facciamo della metafisica. La matematica è pure metafisica (perlomeno da Pitagora in poi), rappresentando la realtà come quantità astratta e rapporto tra le quantità. Negare la metafisica è negare il pensiero in tutte le sue complesse ed articolate manifestazioni.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
credo che il concetto di giustizia possa intendersi laicamente senza ricorrere alla metafisica (cioè la giustizia può essere intesa laicamente nel significato naturale di onestà, correttezza e non lesività del prossimo).
Hawking afferma: “«Poiché esistono leggi come quella della gravità, l'universo può crearsi e si crea dal nulla. La creazione spontanea è il motivo per cui c'è qualcosa anziché nulla, per cui l'universo esiste, per cui noi esistiamo! Non è necessario invocare Dio”
Nel linguaggio ci possono essere frasi che APPAIONO sensate, ma che non corrispondono alla realtà: es: “Il re di Francia è calvo.” Ne ha discusso Russell per trovare il valore di verità a tale frase e ha cercato di risolvere il problema della denotazione trovando una soluzione che è ritenuta poco convincente da molti matematici …
Per Wittgenstein la struttura del mondo viene riflessa nella struttura del nostro pensiero e questa struttura si riflette nel linguaggio. Tale filosofia appare “pericolosa” per molti matematici (es. Odifreddi) perché non condividono l’idea che per capire il mondo basti guardare come è fatto il linguaggio.

Credo che tutte le ragioni (le motivazioni sensate) che è possibile trovare per un determinato evento (es. il fatto che Cesare passò il Rubicone), possano essere sufficienti a spiegarlo, ma non a dimostrarne la necessità, nel senso di mostrare che il passaggio del Rubicone è una determinazione, una proprietà che è inerente al concetto di Cesare.  Per gli accadimenti non c'è un Senso (alto!) dimostrabile .
Personalmente continuo ad avere i miei dubbi sulla validità del metodo metafisico …
Ritengo che la matematica e la metafisica partano da due distinte posizioni: in matematica bisogna "capire per credere", mentre nella metafisica bisogna "credere per capire".

Ivana ha detto...

Errata corrige

Naturalmente intendevo scrivere: Big Bang :-)
Mi sono accorta del mio errore di distrazione, rileggendo i nostri vari commenti ...

Manlio Tummolo ha detto...

Hawking,

un nome celebre che si sta rimangiando parecchie cose. Se c'è la forza di gravità questa esiste, perché esiste qualcosa che la produce. Ex nihilo nihil. Non ho mai capito il negativismo, il nullismo, che pretende di spiegare tutto con il nulla. Gorgia lo espresse, ma solo per irridere alle teorie dell'Essere immutabile di Parmenide e dei suoi opposti seguaci, Zenone e Melisso. I nichilisti moderni esprimono il Nulla, solo perché hanno nulla dentro di loro. O perché nulla sanno spiegarsi.

Solo da qualcosa può sorgere il qualcosa. L'umanità, se vuol cercare deve partire dalla certezza della possibilità di trovare. Altrimenti sia più onesta e si dia alla crapula ed alla copula, quello che pare il destino di un essere destinato a sparire dal pianeta anche più rapidamente dei Dinosauri e delle Nummuliti giganti

Questa, carissima Ivana, la mia convizione nel merito del pensiero novecentesco e "duemillesco".

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
l'argomento "solo da qualcosa può sorgere il qualcosa" mi fa venire in mente la seconda "via" proposta da San Tommaso: un evento avrà delle cause, a loro volta queste cause sono degli eventi, quindi avranno a loro volta delle cause e così via: abbiamo due possibilità, o andiamo indietro all'infinito, o ci fermiamo a un evento che è causa dei successivi, ma anche causa di sé stesso, quindi non è causato da niente altro. Se ci fermiamo alla seconda possibilità vuol dire che rifiutiamo l'infinito, ma ora ... l'infinito è trattato disinvoltamente dai matematici.

Credo che il problema sia questo: l'idea della creazione sembra essere qualcosa che conduce a contraddizione. Già Kant (da due sue dimostrazioni, entrambe, per lui, apparentemente senza errori, l'una dimostrante che il mondo deve aver avuto un inizio e l'altra dimostrante che il mondo non può aver avuto un inizio) aveva dedotto che il problema stesso di chiedersi se il mondo ha avuto un inizio oppure no, è un problema che non ha senso per la ragione, perché provoca delle antinomie.
Con la scoperta della relatività generale, risultano possibili vari modelli, tra cui c'è anche il modello "stazionario" di Hoyle e in questo modello non ci può essere stato un inizio e non ci può essere stata una fine. Insomma, mi pare che il problema (che sembrava squisitamente teologico): "Il mondo è stato creato?" trattato dal punto di vista della fisica moderna conduce a dedurre che la creazione sia una possibilità (perché ci sono dei modelli della relatività che hanno un "inizio"), ma che non sia una necessità perché ci sono altri modelli (altrettanto plausibili) in cui non c'è un "inizio". Quindi la risposta della scienza attuale, riguardo alla domanda della creazione, sarebbe che una creazione, almeno nel senso fisico, potrebbe essere avvenuta, ma non è detto che sia effettivamente avvenuta.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

il primo termine della questione è il significato del termine "creazione". Se esso, che neppure nel Genesi si identifica col "Nulla", significa appunto fare dal Nulla, si creano tutte quelle aporie o difficoltà che poi sorgono nel pesiero umano. A partire dal Male metafisico, fisico e morale. Infatti, la zoroastriana Avesta, rappresentava le cose negative fatte da un Dio speciale in opposizione al Dio del Bene. Era una soluzione semplice, anche semplicistica, se vogliamo, ma tutto sommato forse la più razionale tra quelle sostenute dalle religioni rivelate.

I Greci antichi rifiutavano l'idea di una Creazione dal nulla, immaginando alla radice delle cose il Caos, come materia dispersa e senza leggi, su cui la Divinità, unica o plurale, opera. Per questa via, il problema del Male può essere risolto col concetto di evoluzione o di progresso, il cui motore sarebbe la divinità stessa. Il Nulla può quindi essere inteso come un indeterminato che va progressivamente determinandosi, ma pur sempre qualcosa di esistente di per sé.

Gli esempi che tu mi riporti si ispirano ad una matematica con pretese non di misurazione della realtà, ma di natura ontologica, il che mi negavi ad un certo punto. La matematica misura, ma risolve le cose solo nell'ambito delle misure. Che cos'è un "modello"? una rappresentazione matemtica di un'ipotesi, ma poi qual riscontro ha, o può avere con la realtà ? Spesso assolutamente nulla. Le antinomie kantiane vengono risolte da Kant nella ragion pratica, che -a differenza di quanto sostengono certi critici- non è affatto separata e contrapposta alla ragione pura, ma ne è semplicemente una continuità, tanto è vero che le conclusioni della Critica della Ragion Pura preparano gli argomenti della Ragion Pratica. Ma Kant non si era affatto limitato a queste opere. Così i manuali e certi interpreti separano il Kant "pre-critico" dal Kant "critico", ma esaminando le opere nella loro successione non c'è una pretesa opposizione tra un Kant "dogmatico" (acritico) ed un Kant "critico". Quella di kant è, nel complesso, ua grande metodologia ed una grande epistemologia, senza sue pretese di arrivare a conclusioni definitive, che non siano appunto quelle del "primato della ragion pratica". Un discorso che sarebbe lunghissimo e che qui si può affronatre solo molto superficialmente.

Ivana ha detto...

Se alludi alla seconda "via" di San Tommaso, è la logica matematica a contestare una dimostrazione basata sul rifiuto del regresso all'infinito, proprio perché oggi l'infinito è uno dei tanti "oggetti astratti" con cui lavorano sia i logici matematici, sia i matematici. Che cosa c'entra l'ontologia?
I "modelli" a cui avevo accennato, nel mio precedente intervento, si riferivano alla fisica.
Riguardo a Kant sono d'accordo che l'argomento si possa affrontare nei nostri interventi solo in modo superficiale, comunque, condivido il punto di vista di chi considera la filosofia Kantiana il punto di arrivo del pensiero illuministico. Kant ha detto che il motto dell'illuminismo è "sapere aude" (abbi il coraggio di servirti della ragione).
Nel periodo tra il 1756 e il 1770 comincia quello che Kant stesso ha chiamato il suo "risveglio dal sonno dogmatico" , comincia, cioè, l'accettazione del punto di vista humiano per cui l'uso della ragione non deve sorpassare i limiti di un'esperienza possibile.
Lo stesso Kant confuta l'argomento ontologico di Sant'Anselmo facendo vedere che l'esistenza non è una predicato implicito nel concetto di una cosa.
Penso che la critica alla metafisica raggiunga il suo punto di maggiore evidenza nello scritto sui sogni di un visionario: nel sogno ognuno vive in un suo mondo particolare, mentre nella "veglia" tutti vivono in un mondo pubblico e comune. Ne ho dedotto che quando diversi uomini hanno ciascuno il proprio mondo (come nel caso dei metafisici, aut dei mistici?) essi sognano.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
aggiungo che a me Kant interessa soprattutto dal punto di vista della “Critica della ragion pura” (che, se non erro, prima era stata chiamata "I limiti della sensibilità e della ragione"), perché proprio lì vengono “anticipate” posizioni moderne inerenti alla filosofia della matematica.
Kant è riuscito a capire che se noi vogliamo che la ragione non abbia limiti, se, cioè, vogliamo considerarla completa, quindi se vogliamo poter parlare delle cose trascendentali, ecco che troviamo delle antinomie (le famose quattro antinomie).
Insomma, se la ragione cerca di essere completa, allora cade nell’inconsistenza. Ciò rappresenta un’anticipazione dei teoremi di Gödel: se non vogliamo cadere nella contraddizione, se vogliamo, quindi, mantenere ferma la consistenza, dobbiamo accettare il fatto che la ragione non sia completa ed è proprio ciò che verrà dimostrato da Godel riguardo alla matematica: dobbiamo accettare il fatto che la matematica sia incompleta, se vogliamo che sia consistente.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

mi pare che stiamo girando sullo stesso punto, senza evidentemente capirci. La confutazione di qualcosa è sempre ontologica, mai matematica. La matematica, anche nella sua pretesa veste "filosofica" (la matematica è puro calcolo su segni, non su cose, anche se si applica alle cose), non confuta assolutamente nulla: confutare significa dimostrare falsa o erronea una certa tesi, il che la matematica non fa e non può fare. Nessuno può regredire all'infinito o avanzare all'infinito, per il semplice, banale, ovvio fatto che noi siamo finiti, e operiamo in un ambiente finito, non perché ce lo dica un teorema matematico. Sia che lavoriamo su fogli di carta, sia che lavoriamo al computer, il mezzo sul quale scriviamo è finito e quindi non possiamo far altro che operare sul finito in modo finito. la stessa parola "infinito" non è che la negazione verbale, tramite una paerticella negativa, un prefisso o una congiunzione, di qualcosa che è per se stessa finita. Per questo non mi servono affatto teoremi matematici o teorie matematiche, che pure, quando fa comodo, presuppongono l'infinito (vedi linea, piano,spazio, nel senso geometrico euclideo). Ma all'uomo è data la capacità di immaginarsi l'infinito comne una continuità tra le cose e tra gli spazi: ogni limite è contatto e continuità tra un qualcosa e un qualcosa di diverso. Anche quando parliamo di spazio fisico ce lo possiamo immaginare vastissimo ma delimitato, quanto a sistemi stellari, nebulose ecc., ma dobbiamo immaginarci qualcosa che vada oltre questo spazio organizzato, in quanto insieme di particelle disperse non soggette a leggi di gravità. Questo perché il limitato è sempre limitato da qualcosa di diverso, limitante, che però non è del tutto opposto sostanzialmente al limitato (comunque e sempre materia).

Tornando a Kant, va detto che o si legge in tutte le sue opere, o si rischia di capirlo molto poco. Va pure tenuto conto, storicamente, che Kant era costretto a barcamenarsi tra le sue quattro autonomie per non rischiare di perdere il suo posto di docente universitario, come viceversa sarebbe successo a Fichte. Fu costretto a non esprimere certe convinzioni perché ciò gli era stato comandato soprattutto in sede religiosa, come dovresti ben sapere. Limitarsi alla sola "ragion pura", che va letta tutta e fino in fondo, non da semplici manuali o antologie, significa non capire Kant nella sua integrità. Mica che ha scritto altre due "Critiche" e poi varie opere "minori" solo per perdere tempo, ma perché ne era convinto. Kant afferma una sua importante metodologia ed epistemologia, ma non rigettava certe fondamentali credenze metafisiche ed etiche.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
non sono d'accordo: per me la seconda "via" di San Tommaso non è una via "ontologica" (parte infatti dalla nozione di "causa efficiente") e la logica matematica si limita a considerarla una "via" basata sul rifiuto del "regresso all'infinito": l'infinito attuale all'epoca di San Tommaso non era accettato, oggi sì! I matematici moderni hanno costituito un'artimetica dell'infinito!
Direi che fino a Dedekind e a Cantor l'infinito potenziale sia stato il prediletto.
Lo stesso Cantor, quando scoprì che ci sono tanti infiniti, andò in Vaticano per chiedere il permesso di pubblicare i risultati delle sue ricerche: si preoccupava del teorema matematico che dimostrava l'esistenza di tanti infiniti. Il cardinale che ascoltò Cantor fece studiare, per due anni, ai suoi "segretari" domenicani la teoria degli insiemi e, infine, disse a Cantor che aveva commesso un errore nell'uso della terminologia: chiese a Cantor di non chiamarli "infiniti" e Cantor li chiamò "tranfiniti" (oggi vengono detti "cardinali" rappresentando il cardine della teoria degli insiemi).
Riguardo a Kant avevo letto le sue opere principali molti anni fa, ma attualmente, come ribadisco, ho preferito approfondire quella che ritengo, dal mio punto di vista, la sua opera più interessante.
Comunque, penso che ognuno abbia i propri interessi culturali specifici e finisca per fare "scoperte" personali e riletture critiche sotto una determinata ottica, in base alla formazione scientifica o unanistica seguita e in base al proprio stile cognitivo.

Approfitto di questo messaggio per fare a te, a Massimo Prati, a tutti i lettori e a tutti coloro che intervengono in questo blog i miei più cari auguri di buone feste natalizie!

Ivana ha detto...

Leggasi "transfiniti"
Grazie

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana, la nostra epoca (secolo XX e 2° decennio del XXI: il futuro si vedrà) ama trastullarsi nel dubbio e nell'incertezza, più per atteggiamento che per convinzione. Nessuno farebbe, come dice una leggenda satirica su Pirrone che andava a sbattere contro i più vari ostacoli, non credendo che fossero reali, ma puramente apparenti. Oggi nessuno dubita veramente, ma recita con se stesso ed altri quei famosi versi dell'Amleto. to by o no to by (spero di non avere trascritto l'inglese in modo errato, ma non è la mia lingua straniera prediletta).

Ontologia ? In matematica non so, ma il termine fu inventato, se non erro, da Christian Wolff, il maestro del Kant "precritico" (non acritico, come taluno ritiene, sulla base di quella sua autovalutazione veramnente non esatta, ma solo espressione di modestia), e significa "scienza dell'ente", ovvero una parte della metafisica, se non la stessa metafisica. La concatenazione delle cause fa parte di una procedura logica induttiva, che però tende (o tendeva) a dimostrare l'esistenza dell'Essere in assoluto, ovvero Dio. Quindi, più "ontologica" di così non si sarebbe potuto. Oggi si parla di finito ed infinito, scambiando una serie di segni e di simboli, scollegati da ogni realtà, con una qualche metodologia filosofica o pretesa tale. Quindi, c'è chi lo nega, c'è chi lo afferma e chi ne dubita. Il fatto è, tornando alle origini del nostro discorso, che il matematico dovrebbe fare il matematico e non divagare su cose di cui non si rende conto; così pure qualunque scienza speciale, che abbia metodi speciali. Secolo disperante il nostro, che l'unica cosa di grande ha inventato è la bomba atomica, ovvero l'arma più distruttiva possibile e che "grazie a Dio" non ci ha portato a quella disgregazione "infinita" di atomi a cui poteva portare, nel nostro pianeta. E questo per confondere la formula matematica, bella sulla carta, con la realtà. Secolo devastante, incapace di ogni cosa positiva, ridotto a pura tecnolatria, con tutte le miserie annesse.

Se non ci liberiamo da questa mentalità, devastante per l'umanità, non vi saranno più di due o tre secoli di esistennza per essa, nell'ipotesi migliore.

Comunque, malgrado questo mio pessimismo assoluto sull'epoca che stiamo vivendo, mando a te e a tutti i migliori auguri. Sperare si deve, perché la speranza è la vita. Manlio

Manlio Tummolo ha detto...

Piccola nota sul'infinito geometrico: nulla di nuovo sulla molteplicità degli infiniti. Già Euclide, se non i Pitagorici, scoprirono l'esistenza di più infiniti: le linee sono infiniti ad una dimensione, il piano a due dimensioni, lo spazio a tre dimensioni. La linea retta potrebbe essere considerata come la linea infinita più breve rispetto ad ogni altra. Possiamo poi immaginarci superfici curve infinite, anche quelle maggiori o minori secondo le rispettive curvature e irregolarità, ecc. ecc. Che vi sarebbe dunque di nuovo ? Direi nulla. A che potrebbero servirci ? Probabilmente a nulla. La geometria è un prodotto della mente umana, non una realtà esterna a noi. Platone, quando vietava l'ingresso nella sua Accademia a chi ignorasse la geometria, non esprimeva altro che la convinzione che il suo Mondo delle Idee (l'Iperuranio, l' "al di là del cielo") fosse la vera Realtà e puramente geometrica. Il nostro miserando secolo spaccia per grandi scoperte il rimestare dottrine antiche.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
credo che abbiamo due modi forse inconciliabili(ma considero la pluralità di idee è una ricchezza!)di vedere gli argomenti che trattiamo.
Continuo a credere che le "vie" (è stato lo stesso San Tommaso a chiamarle così!) riguardino la "Teologia naturale" (il punto di partenza è l'osservazione del mondo naturale); fu Sant'Anselmo a dedicarsi alla "Teologia analitica" e a scoprire l'argomento "ontologico"; fu, quindi, Sant'Anselmo a inaugurare una "teologia razionale" (il punto di partenza è il ragionamento).

Riguardo al concetto di "infinito", Aristotele nella "Fisica" ha scritto: "L'infinito ha un'esistenza in potenza...Non vi sarà un infinito in atto" Credo che per lui non esistessero oggetti infiniti, ma solo processi infiniti. Fin dall'antichità, veniva preso in considerazione, in matematica, l'infinito potenziale sia come "grandezza" (che può continuare a crescere, MA viene considerato il valore finito) sia come "molteplicità" (a cui si possono aggiungere sempre nuovi elementi, che, però, saranno, volta per volta, in numero finito). Era MOLTO controverso il concetto di infinito attuale in ognuna delle due forme: di "grandezza interamente data" e con misura infinita e di "totalità in sé conclusa contenente infiniti elementi".
Galileo aveva notato che ogni numero naturale poteva essere messo in corrispondenza biunivoca con il proprio quadrato, ma per lui c'era qualcosa di sospetto nelle grandezze infinite. Fu Bolzano a rivendicare la trattabilità dell'infinito attuale, ma fu Cantor che percepì l'importanza del principio di corrispondenza biunivoca e fu lui a definire l'insieme infinito.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Ivana,

come ho scritto nel mio saggio, Anselmo d'Aosta va letto sia nel Proslogion sia nel Monologion; tanto la via induttiva, quanto deduttiva giungono a suo parere (anche per me, ma in termini diversi) a indicare, far intuire, l'esistenza di un Essere Primo ed Assoluto; la successione delle cause deve giungere (già in Aristotele) ad una Causa Prima efficiente, a cui il mondo si adegua nel continuo processo del Divenire che è di per sé infinito. Certo, gli infiniti sono da cogliere in più sensi: in quello puramente spaziale (geometrico ed ontologico, materiale), in quello di successione degli eventi (cronologico), in quello di Immutabilità Continua, come Eterno Presente, ecc. L'importante è non fare come coloro che, avendo una cultura settoriale, scambiano il proprio settore come l'unico valido ed allora confondono situazioni diverse, che richiedono metodi e oggetti di studio diversi. La filosofia, invece, è la madre delle scienze e ha, se intesa correttamente (non come nel XX secolo, ahinoi), una visione universale degli argomenti e una varietà di metodi della ricerca, anche se prevalentemente razionale. Questo è il suo vantaggio, ma anche una complessità di interpretazioni notevole, tanto da apparire al massimo litigiosa, spesso su singoli termini che ciascuno tende a leggere in modo diverso, quando non opposto. Eppure, la filosofia è una, tanto è vero che noi continuiamo ad approfondire quei temi e problemi che avevano posto gli antichi Greci (soprattutto): quella greca è una filosofia del dibattito, come quelle asiatiche tendono soprattutto alla meditazione interiore.

Ivana ha detto...

Carissimo Manlio,
io parto dall’idea dell’importanza dell’unitarietà del sapere, anche se, poi, naturalmente in base al percorso formativo seguito e alla forma mentis di ognuno, si osservano e si studiano gli argomenti sotto ottiche diversificate. La filosofia, comunque, mi è sempre piaciuta moltissimo.
Reputo San Tommaso “teologo della natura” perché la nozione che lui aveva di Dio ha a che fare con il mondo, cercando di andare “per aspera ad astra”; invece la nozione di Dio che aveva Sant’Anselmo è una nozione astratta della Divinità.
Anselmo d'Aosta si dedicò alla "teologia analitica", cercando un unico argomento fondato sulla logica “che non avesse bisogno di altra giustificazione che sé stesso”. Egli ha creato un argomento che ha resistito, è stato studiato, perfezionato, discusso e criticato fino ai giorni nostri …
Ce n’è una versione (credo già da parte di Cartesio) interessante, portata avanti nella filosofia, versione che presenta una struttura matematica: assioma, definizione, teorema e dimostrazione.
Definizione: Dio è l’essere perfettissimo (ha tutte le perfezioni)
Assioma: L’esistenza è una perfezione
Teorema: Dio esiste
La dimostrazione, a questo punto, è banale: poiché Dio ha tutte le perfezioni ed essendo l'esistenza una perfezione, Dio ha anche tale perfezione, quindi esiste.
L’idea è bella, ma come dimostrerà già Kant l’esistenza non è una proprietà (oggi i logici dicono che non è un predicato, ma un quantificatore)
Inoltre c’è chi ha scritto che "Dio è talmente perfetto che non ha bisogno di esistere”.
Anselmo, comunque, ha inaugurato una ” teologia razionale” e ne era consapevole, infatti dapprima aveva intitolato la propria opera "Fides quaerens intellectum” , anche se, poi, il titolo fu cambiato in "Proslogion", che venne definito da Anselmo stesso come "colloquio".
La teologia naturale si basa sulla conoscenza del mondo ed è sintetica e a posteriori; la prova ontologica si fonda sulla ragione ed è analitica e a priori.