I loro dirigenti aprono fabbriche o grandi uffici, gonfiando i costi anche grazie ai contributi statali o europei, e le chiudono quando si accorgono di aver operato male, o dopo aver voluto operare male, perdendo capitali, scientemente dispersi nei mari tropicali ed in isole pacifiche, anziché guadagnarne. Capita sovente che ad ogni chiusura di queste corrisponda la chiusura di tante altre piccole imprenditorie locali che a queste si erano appoggiate. Eppure i dirigenti dei colossi non vanno in carcere, anzi si ritrovano ad essere promossi ad incarichi di maggior prestigio. La sorte di tante piccole aziende, inoltre, dipende anche dalla "concorrenza" in atto fra le grandi catene che vendono il prodotto finito. E' logico che se una piccola realtà aziendale segue ogni procedura in maniera corretta, pagando tasse e contributi, il costo del suo prodotto, a pari qualità, non potrà essere inferiore al prezzo di mercato. E' logico e si sa. Ma la logica si scontra con la crisi economica e capita sempre più sovente di trovare merce a costi dimezzati. Nessuno si chiede il motivo per cui c'è chi riesce a dimezzare i prezzi, anzi il consumatore finale è ben felice di aver risparmiato, ma dato che non è possibile pensare ci sia chi si diverta a rimetterci, è logico che ogni "sottocosto" nasconde un marketing aziendale non propriamente corretto anche se in regola con le leggi in vigore.
Prendiamo ad esempio il settore dei trasporti. E' una branchia indispensabile che ogni giorno rifornisce i nostri supermercati ed i nostri negozi dandoci il modo di poter acquistare ciò che ci serve, dal latte alla carne al pesce. Il costo della distribuzione incide, quindi, in maniera solida sul prezzo finale. Le grandi catene di supermercati presenti in Italia, e non sono tutte italiane, grazie alle grosse aziende di trasporto riempiono i loro magazzini, sparsi in maniera regolare sul territorio, e si affidano ad aziende di trasporti locali per distribuirlo ai vari punti vendita. Queste devono essere aziende affidabili che non sgarrino nelle consegne, che non creino inconvenienti e permettano di avere i banchi sempre pieni. Quindi ci deve essere fra gli uni e gli altri una fiducia totale e talmente ampia da far sì che, sia il trasportatore che la grossa catena di alimentari, non debbano mai soffrire economicamente. Se fallisce il trasportatore i disagi si ripercuoterebbero nei giorni anche sul supermercato e, quindi, sul compratore finale che non trovando sugli scaffali quanto gli serve finisce per cambiare fornitore.
Eppure da anni, da quando la crisi ha innalzato il livello di guardia ed il governo ha tolto le tutele alla categoria, le grande catene di alimentari strozzano quei trasportatori che hanno con loro un contratto annuale portandoli sull'orlo della catastrofe. E questo capita grazie a quelle aziende che non rispettano le regole e prospettano costi inferiori per gli stessi trasporti. Aziende intestate a prestanome che servono solo per ripulire il denaro proveniente dai traffici poco leciti della grande criminalità. Quando la crisi impazza la criminalità organizzata guadagna, ma è chiaro che non è inserita solo nel settore trasporti e che si stende a macchia d'olio in ogni categoria e rovina tutta l'imprenditoria sana, tutte le aziende in regola con ogni pagamento. Queste aziende per non perdere il cliente abbasseranno a loro volta i prezzi, restando al limite della rimessa, ed in caso di congiunture sfavorevoli, di costi improvvisamente maggiorati, dal governo, dal comparto "autostradale" e dal "settore petrolifero" per citare solo pochi esempi, si troveranno a dover ricorrere a nuovi prestiti bancari, a nuovi finanziamenti che aumenteranno il loro debito e li costringeranno prima a ricorrere alla cassa integrazione poi alla chiusura.
Però non esistono solo queste categorie in Italia. In Italia ci sono anche piccoli imprenditori onesti che operano nel terziario e che nel tempo si sono creati una nuova famiglia, una famiglia fatta di operai ed impiegati diventati amici. Questo settore, che la crisi ai giorni nostri la risente più degli altri, è penalizzato in quanto gli operai che vi lavorano, non superando i limiti numerici previsti dalle leggi, hanno minori tutele, e chi le dirige non ha potere bancario. E non essendo forti economicamente faticano ad ottenere dagli istituti di credito il contante sufficiente a soddisfare le esigenze economiche dell'azienda e degli operai che vi lavorano. Questi non hanno cercato riparo nei paradisi fiscali, non hanno cercato di frodare le istituzioni, non hanno ceduto agli strozzini e non hanno venduto le loro "imprese" ai prestanome. Questi hanno resistito, e chi ce la fa resiste ancora, fino a quando hanno potuto. Chi non è riuscito a superare l'ostacolo, in alcuni casi anche per colpa dello Stato che l'IVA la ritorna, a chi l'ha pagata al momento dell'acquisto, in templi biblici, ha deciso che la morte è meglio della vergogna.
Ed ecco che l'informazione ci riporta, nascosta fra le notizie eclatanti del momento, fatti di suicidi. Come quello di Riccardo Rancan, imprenditore di Venezia che si è trovato impreparato alle difficoltà economiche, quello di Giovanni Schiavinato di Treviso, che si è gettato in un dirupo perché non riusciva più a trovare credito dalle banche, quello di Giovanni Schiavon di Padova, che si è sparato perché le banche non gli fornivano più liquidità, perché non riusciva a riavere L'IVA dallo Stato e neppure ad incassare i crediti dai suoi clienti, di Michele Calì di Santa Severina (CT), che si è sparato dopo l'ennesima visita dei Nas nel suo allevamento di polli, dopo l'ennesima multa che non avrebbe potuto pagare. Diversa la storia di Roberto Manganaro, già depresso di suo, che non ha sopportato il licenziamento di alcuni suoi operai nonostante questo non volesse dire chiudere l'azienda ma solo ristrutturare il lavoro, mentre a Trani Alessandro Losciale prima di impiccarsi ha scritto in un biglietto la sua disperazione, "non ce la faccio più a portare il pane a casa". E poi ancora Giancarlo Chiodini di Milano, che dopo trent'anni di lavoro aveva visto sparire le commesse (a causa di chi?), e Franco Nardi, proprietario di un distributore in provincia di Treviso e stritolato dai debiti.
E questi sono solo alcune delle persone suicidatesi negli ultimi trenta giorni. Un nuovo fenomeno che non saprei come qualificare se non inserendolo sotto la scritta "allarme sociale". Ci sarà chi si prenderà a cuore anche della nuova piaga o gli uomini del Palazzacci romani continueranno a chiudere gli occhi ed a pensare che questi suicidi non sono figli della crisi? Di quella crisi nata in America, nata a causa di grossi cartelli speculativi ma alimentata soprattutto dai continui litigi dei nostri politici, dalla pochezza economica che i governi hanno realizzato negli ultimi quindici anni, dal caos e dalla voglia di potere che negli anni non ha pensato ai bisogni del cittadino ma agli interessi di partito.
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7 commenti:
Dando per scontato che sarebbe preferibile di gran lunga che queste cose non avvenissero e non si mettesse nessuno in condizioni di tale disperazione, quando ciò avviene occorrerebbe teoricamente applicare ai diretti responsabili l'art. 580 C.P. (da uno a cinque anni di carcere), sull'istigazione al suicidio, ovviamente nel rispetto di tutte le garanzie ed esigenze probatorie del caso, di per sé difficile da provare.
Le notizie di suicidi per colpa della crisi sono trasversali alle categorie lavorative, cominciano a diventare un pò troppi, la situazione è pesante.
Se gli Stati non fossero governati da un'ideologia liberista, così ciecamente ottusa e fanatica, tutto sommato confusionaria e contraddittoria, potrebbero istituire un credito pubblico, attraverso una Banca statale che presti ad interessi equi, fondi ai lavoratori dipendenti e autonomi (piccoli artigiani), cooperative, mentre tali interessi dovrebbero essere più pesanti per i grossi industriali. In sostanza, non uno Stato imprenditore (come nello statalismo tradizionale), ma uno Stato finanziatore e prestatore. In tal modo si aiuterebbero i lavoratori di basso o mediocre reddito, si controllerebbe l'arricchimento dei grandi industraili, si limiterebbe prima, si pareggerebbe poi il debito pubblico attuale. In sostanza, una "rivoluzione copernicana" nel sistema finanziario pubblico. A questo rovesciamento di prospettiva, allo stato attuale si oppone la strategia della U.E., che, ossequiando l'alta finanza internazionale, lo impedisce (vedi attualmente l'Ungheria), e qui in Italia l'altissimo debito pubblico che impedisce, o rende estremamente difficoltoso, tale rovesciamento di prospettiva. Viceversa, il sistema attuale agisce da strozzino nei confronti dei lavoratori, soprattutto autonomi, e li spinge al fallimento prima, al suicidio poi.
@Manlio
come libera professionista in proprio e senza dipendenti mi auguro che la tua ultima previsione non si verifichi.
Per il resto di ciò che proponi, la sua analisi e la tua visione mi trova perfettamente d'accordo.
Ma non saprei da dove possano partire tutte quelle persone che adesso come adesso affrontano la crisi a muso duro, e non dirmi che la decisione di cambiare rotta deve cadere dall'alto, perchè ciò non accadrà mai.
Per carità, gentile Tabula, la mia previsione non era certo un fatto personale. Quello è il sistema, ovviamente non con tutti, e per fortuna direi, e non tutti devono finire per spararsi, anhe se le cose non dovessero andare secondo le previsioni migliori. Vi sono anche molte aziende che chiudono, ma senza fallimenti; altre ancora che svolgono in modo prospero la propria attività. Non capisco viceversa la Sua conclusione: cambiare rotta, ma chi, se non lo Stato, se è questo a cui allude, può farlo ? Teoricamente lo potrebbero fare anche i cittadini, ma l'iniziativa richiede mezzi e cultura specifici, che molti non hanno. Bisognerebbe incoraggiare le persone appunto dando una cosa e l'altra, ma ciò nel suo complesso può farlo solo lo Stato, non certo i grossi capitalisti e finanzieri che hanno ovviamente interessi esattamente contrari.
forse, Manlio, io compio un'errata assimilazione tra Stato e finanzieri capitalisti, nel senso che intendo i reciproci poteri intrecciati. Per questo motivo dico che sarà molto difficile che la decisione venga presa dall'alto.
In quanto alla cultura della massa, è molto influenzata dai media, governati dai due poteri sopracitati: consumismo e interessi politici.
Un piccolo risveglio dell'antico passaparola sta avvenendo con scambio di informazioni provenienti dal basso tramite i social network, ma il fenomeno ha un potere ancora allo stato embrionale, dovrà svilupparsi ancora parecchio.
Se l'anonimo delle 22.55 è sempre Tabula, devo dirle che, alle attuali condizioni, ha perfettamente ragione, anche su INTERNET che dà enormi opportunità, ma è assai male adoperata. Blogs, come il presente, e confronti seri tra i cittadini comunque fanno ben sperare, anche se giustamente ci vorrà tempo, perché, come si dimostra in Nordafrica o in Siria, una cosa è rovesciare o tentar di rovesciare un certo andamento, anche ribellarsi violentemente, ben altro far sì che il rovesciamento non sia solo di persone o apparente (vedi gattopardismo), ma serio e durevole, ovvero qualcosa che entri saldamente nella mente e nei cuori di una larga maggioranza dei cittadini.
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