Di Gilberto Migliorini
Nell'informazione italiana si mescolano diversi livelli espressivi, dalla carta stampata ai blog passando attraverso la televisione e il cinema. Al di là della specificità dell’elemento tecnico e della modalità di comunicazione, permane l'imprinting mentale dell’italiano medio: un'icona distorta da stereotipi nei quali si dovrebbe riconoscere il suo vero volto. Quello che si vede nel fondo dell’occhio è un'immagine che si riflette su specchi deformanti, ed è da questi che a forza di insegnamenti mediatici l’opinione pubblica ha imparato a riconoscersi. Si tratta dell'idealtipo dell'abitante del Bel Paese descritto anche da tanta filmografia. Il format mediatico ha contribuito a mantenere e consolidare il cliché accentuandolo in tutte le sue forme, dando vita con l’effetto Pigmalione all'emblematico burattino collodiano; non solo metafora esistenziale dell’uomo in generale, ma anche icona antropologica di quel simbionte italico, un avatar alla ricerca di una identità psico-sociale.
Nell'informazione italiana si mescolano diversi livelli espressivi, dalla carta stampata ai blog passando attraverso la televisione e il cinema. Al di là della specificità dell’elemento tecnico e della modalità di comunicazione, permane l'imprinting mentale dell’italiano medio: un'icona distorta da stereotipi nei quali si dovrebbe riconoscere il suo vero volto. Quello che si vede nel fondo dell’occhio è un'immagine che si riflette su specchi deformanti, ed è da questi che a forza di insegnamenti mediatici l’opinione pubblica ha imparato a riconoscersi. Si tratta dell'idealtipo dell'abitante del Bel Paese descritto anche da tanta filmografia. Il format mediatico ha contribuito a mantenere e consolidare il cliché accentuandolo in tutte le sue forme, dando vita con l’effetto Pigmalione all'emblematico burattino collodiano; non solo metafora esistenziale dell’uomo in generale, ma anche icona antropologica di quel simbionte italico, un avatar alla ricerca di una identità psico-sociale.
Alla base della pochezza
culturale del paese c’è una scuola che ha fallito miseramente proprio dove
avrebbe dovuto creare le premesse per formare
un cittadino consapevole e in grado di comprendere la realtà in cui vive. Realtà
è un concetto astratto, qualcosa che richiama immediatamente l’esigenza di
problematizzare, andare oltre i luoghi comuni e le verità già bell'e
confezionate. Realtà è quella che
sfugge sempre, una entità indefinita, e per questo occorre svelarne i risvolti
e i doppi fondi, avvicinarsi alla sua essenza invisibile. Realtà è quella che ci fa essere duttili, curiosi ed aperti, perché
sfida le nostre certezze. Realtà è
quella che cerchiamo di comprendere tra mille difficoltà e contraddizioni, ma
senza l’arroganza di chi crede di conoscerla già per intero e senza mai
esercitare l’arte del sospetto.
La vera cultura è quella che
si misura nella capacità di guardare il mondo con scetticismo disincantato, con
la volontà di andare oltre le apparenze che ci attraggono nell'orbita delle
false certezze, quelle del si dice, delle
verità già confezionate e pronte all'uso. Una cultura dove i classici della nostra letteratura non siano solo cariatidi
ingessate e mortifere, ma elemento attualizzante di riflessione, riscoperta
delle nostre radici come propulsore di rinascita
e di appartenenza consapevole al nostro passato e progettualità del nostro
futuro. La scuola italiana nell'imprinting dei decreti delegati ha invece trasformato l’elemento educativo in un
sistema convenzionale dove i media hanno fatto il loro ingresso
surrettiziamente per interposta persona (le famiglie) con tutto il peso degli
stereotipi. La democrazia è stata intesa come un mero opinare e come una sorta
di arbitraria presa di posizione, un carnevale di maschere e un caleidoscopio
di illusioni speculari.
Un illustre semiologo ha argomentato che “i social media danno diritto di parola a
legioni di imbecilli”. Si tratta però
di stabilire chi lo sono per davvero, a meno di considerare accademici, benpensanti e personaggi di
rango (illuminati o cariatidi?) come i soli in grado di effettuare la
cernita (dei cretini e non) dall'alto
di qualche infallibile e indiscussa autorità. Nel blob degli opinionisti nessuno
può dirsi escluso dalla selezione, nessuno può chiamarsene fuori. O forse
qualche deus ex machina, noblesse oblige,
possiede le stimmate della verità per via di qualche titolo accademico o laurea
honoris causa?
I media hanno saputo affinare
tutti i loro strumenti di persuasione su un target (il popolo italiano) sempre
più povero di strumenti culturali, sempre più in balia di imbonitori e
suggeritori, sempre più integrato in un sistema di rinforzi (positivi e
negativi) che lo hanno eletto a ignaro destinatario di un esperimento di
controllo e persuasione. Il burattino alla ricerca della sua identità è stato immerso in un habitat dove la
propaganda e la manipolazione hanno assunto i caratteri suadenti
dell’intrattenimento, dell’informazione e della partecipazione. Il concetto di
democrazia - replicato in tutte le salse e declinato con le figure retoriche
dell’enfasi e dell’iperbole - è risuonato come un mantra nelle aule
parlamentari, nelle piazze e nei comizi. La parola magica è echeggiata
soprattutto in quel frame dei teleschermi
dove il mondo là fuori è a portata di un dito con lo zapping e con la magia di
un cambio di canale repentino.
Democrazia come scelta libera di canale tra
quelli offerti da qualche proprietà (pubblica e privata), compresa quella del
teatrino di Mangiafuoco, con tutte le lusinghe di un gioco di ruolo (con ricchi
premi e cotillon) dove l’utente partecipa e recita insieme alla compagnia degli attori, con Arlecchino e
Pulcinella e l’immancabile Colombina. Gli slogan altisonanti, le seduzioni
cromatiche, le allusioni erotiche e le retoriche del moralismo accattivante hanno
circuito e assecondato la dabbenaggine e la superficialità di un italiano medio educato a pensare per
slogan, a utilizzare i luoghi comuni, le ricette preconfezionate di una cultura
usa e getta. Il target è stato trasformato
in una cavia da laboratorio, illuso di essere il soggetto che sceglie e non
l’ignaro oggetto di adescamento e manipolazione.
Tanto più il sistema mediatico
è riuscito a occultare le sue procedure di influenza ‘culturale’ con l’enfasi della retorica e della demagogia, tanto
più la forza persuasiva ha intaccato i residui di razionalità dell'Homunculus italicus, quello degli spot.
Il buon senso è stato annacquato in un chiacchiericcio insulso e banale,
nell'incapacità di interpretare la realtà mediatica, di penetrarne i meccanismi
sottostanti e gli algoritmi che presiedono al controllo e alla persuasione. Il
burattino ha fatto da comparsa e da fumetto in un diagramma di flusso, una riga
di istruzioni in un copione, convinto di essere protagonista sulla scena... non
solo cavia e zimbello. La società italiana è diventata preda di automatismi
mentali, talora in modo inconsapevole, influenzata da tutte quelle forze più o
meno occulte sotto l’egida di un potere invisibile.
Il gioco dei grandi numeri e
delle medie statistiche (una profilazione di carte fidaty e fragranti biscottini) si è trasformato in una
ingegneria politico-istituzionale per regalare all'utente un’immagine sempre
più fedele, per conoscerne i gusti, le predilezioni, le idiosincrasie, i
desideri e perfino i pensieri. Un programma per il futuro? Un disegno utopico?
Un non-luogo più simile a una chimera, un progetto senza capo né coda, ma mosso
dal desiderio di controllo e di potere. Il fine che nel Principe del segretario fiorentino (Machiavelli) aveva comunque la
sua giustificazione in un sistema di governo ordinato, è diventato quello di un
potere che ha in se stesso l’unica giustificazione. È un Bel Paese governato da
gruppi che negoziano con le forze antagoniste per curare i propri interessi di
parte. Il cinico mazziere utilizza in modo scaltro e senza remore morali tutti
gli strumenti in suo possesso per manipolare e controllare un’opinione pubblica
sotto tutela, un po’ con la bacchetta e un po’ con i mezzi suadenti
dell’imbonitore. Il bastone e la carota in una commistione di minacce e di seduzioni
amalgamate in forma di kermesse hanno educato l’italiano ad un opportunismo di
sopravvivenza, un suddito sempre alla ricerca di escamotage in grado di far fronte
alla protervia e all'arbitrio di governanti che promuovono gli interessi del loro
clan.
Il risultato è una società plasmata
da slogan, controllata da un sistema mediatico in grado di indurre stili di
consumo, comportamenti, modi di pensare e reazioni emotive. Un Paese dove gli
opportunisti perseguono i loro interessi correggendo e modulando di volta in
volta obiettivi e finalità in ragione di programmi occasionali in prospettive
miopi e di corto respiro. Pensare che il Bel Paese abbia delle teste pensanti
in grado di elaborare strategie a medio e lungo termine, sia pure orientate a
degli interessi occulti, significa ritenere che la nave Italia abbia davvero un
comandante, sia pure celato nell'ombra, in grado di sapere sempre esattamente
dove l’imbarcazione sta andando. La realtà è invece quella di tanti piccoli
ammiragli che con i loro piccoli cannocchiali scrutano gli oggetti meschini
della brama di potere in una miopia negoziale fatta di compromessi e di
opportunismi che hanno come meta quel galleggiare tra Scilla e Cariddi,
mantenersi in sella nella prospettiva del comando.
Un carpe diem coniugato nella forma dell’occasionalismo e del dirigismo
a spizzico, sia pure in un quadro di alleanze internazionali e all'interno di
un mercato globale. Un programma ben definito nel suo obiettivo, il potere, ed elementare nei suoi metodi,
con le empiriche correzioni di rotta per non scafare…
Il paradosso italiano è che
nel paese cattolico per eccellenza l’etica è quella di un moralismo da galateo,
un senso di giustizia che si appella a una precettistica, alla correttezza
(spesso solo illusoria) dei procedimenti formalmente ineccepibili, vuoti e
altisonanti, e alle belle intenzioni che nascondono interessi di bottega. Le
caste hanno tradotto il loro meschino interesse nella forma di protocolli
legislativi e normativi che ne assicurano protezione e sopravvivenza sotto
forma di un labirinto di codici ricorsivi inespugnabili. Il povero Pinocchio
finisce sempre per essere inseguito dai briganti e impiccato. Il provvidenziale
soccorso al burattino indossa le vesti di una figura salvifica: lo squalo può
assumere perfino le innocue e allettanti sembianze di una bella e accattivante
fatina dai capelli turchini.
Descrivere una macchina
organizzativa composta di istituzioni e organismi sembra un’impresa da fisica
sociale applicata alla sociometria e all'economia. I sistemi sociali ed
economici sono più o meno stabili nel breve o nel lungo periodo. L’evoluzione è
il tratto di tutti i sistemi reali. In qualche caso esistono perfino quelle
scosse sismiche che vanno sotto il nome di rivoluzioni dove le società
collassano e subiscono trasformazioni violente. L’immagine dell’equilibrista è
evocativa per un sistema che da sempre possiede una capacità ‘creativa’ di sopravvivere
modificandosi in ragione degli opportunismi. Il sistema Italia si regge su una
stabilità assicurata dalla compartimentazione, una piramide stratificata dal
vertice fino alla base. Non si tratta di una impossibilità delle persone di
ascendere o discendere nella piramide sociale quanto di un sistema di chiusure
che non a caso ricordano il nostro medioevo, una compartimentazione per gruppi
sociali e soprattutto professionali, un sistema di garanzie e di protezioni alla
base anche di quei sistemi mafiosi che in qualche modo traggono ispirazione e
imitano, sia pure al di fuori della legalità,
le idiosincrasie culturali delle nostre istituzioni.
Per comprendere la logica
del sistema Italia (e della sua mentalità) occorrerebbe, prima di effettuare
una analisi di tali chiusure (con privilegi e immunità), fare un passo indietro
e guardare al medioevo italiano che rappresenta la nostra matrice culturale. I modelli istituzionali - sia pure con la
connessa innovazione tecnologica - mantengono un assetto immutabile al di là
delle trasformazioni di facciata. Il potere è riuscito a camuffarsi con
garanzie legislative e norme di tutela come meri specchietti per le allodole.
L’evoluzione politica e istituzionale non ha inciso più di tanto sulla
mentalità e il costume, ma soprattutto sull'organizzazione sociale. Il sistema Italia,
nonostante le presunte innovazioni strutturali, rimane palesemente feudale.
Il feudo che viene
generalmente pensato come una entità territoriale ha gradualmente assunto una
fisionomia più simile a un software evanescente che a un hardware fisico: le
strutture del potere, in parte anche interiorizzate sotto forma di ideologie,
hanno dissimulato variamente il loro carattere corporativo negli escamotage
normativi che hanno mantenuto strutturalmente il paese in una condizione di
immobilismo: i privilegi e le immunità hanno assunto una forma indeterminata e
ubiqua, occultandosi dietro le formule propagandistiche e con un sistema
mediatico esso stesso parte integrante delle egemonie sociali e delle strutture
di potere. Il feudo da luogo fisico circoscritto, e da pertinenza ideologica
dell’ortodossia di un gruppo politico, è diventato consorteria di interessi
condivisi dei clan che spartiscono prebende e privilegi.
I nuovi signori di banno hanno tradotto in senso
metaforico il dominatus loci, mentre
l’allodio (la piena proprietà) ha assunto il carattere sfumato della
concessione in un giuramento di fedeltà con un diffuso sfruttamento del potere
per interessi privati. Nella nuova realtà italica il feudo è costituito da un sistema di coperture che delimitano dei
perimetri di potere, sistemi normativi che fungano da cinture di sicurezza e
scambi di favore. Il diritto reale ha assunto il carattere di una rendita (di
denaro e potere) in cambio non tanto di una specifica prestazione professionale
(elemento accessorio) quanto di una fedeltà e consonanza che si esprime
nell'omertà e nella complicità comunque legalizzate nei formalismi giuridici,
nei codicilli e nelle norme ad personam.
Le caste nel sistema Italia
sono rappresentate da quei gruppi (anche istituzionali) che si mantengono
rigorosamente chiusi in privilegi senza nessun rischio di essere smascherati
come portatori di interessi di parte e al di fuori di una legalità che non sia
solo di facciata. La possibilità di sfuggire a qualsiasi forma di controllo
autenticamente democratico è data da un sistema normativo che nella
indeterminatezza è sempre in grado di giustificare i suoi atti formali. La
quadratura del cerchio è rappresentata da quelle formule ubique che possono
essere lette variabilmente e derubricate a conferma che tutto è sempre fatto
secondo scienza e coscienza. Le leggi rappresentano un flatus vocis dove l’interprete (quello istituzionalmente
legittimato) può sempre fornire la decodifica di un nominalismo linguistico formalmente
ineccepibile. I codici interpretativi hanno infatti la souplesse necessaria a
tradurre i fatti conclamati sic et non
a seconda della convenienza, delle circostanze e soprattutto degli interessi di
riferimento.
Il risultato è che le
contraddizioni, le manchevolezze, le inadeguatezze e le incapacità dei vari
strati della piramide sociale – di fatto impermeabili a un controllo e a una
razionalizzazione che non sia soltanto di facciata – dal vertice e scendendo
via via nel sistema delle istituzioni e delle connesse professioni - è sempre
in grado di scaricare alla base tutte le sue incapacità e le sue magagne. Chi
paga è sempre la palude degli utenti in un sistema di inefficienze e di abusi.
Il sistema Italia, al di là delle belle formule di democrazia liberale e delle
tirate ideali, rimane un paese feudale nella mentalità e nella qualità delle
sue istituzioni che godono di quell'immunità derivata da un sistema largamente
autoreferenziale e basato sulla discrezionalità mascherata dai formalismi
giuridici e su forme di legalità di facciata. La divisione dei poteri nel
sistema Italia costituisce non solo l’illusione di una società libera ed
aperta, ma una sorta di divide et impera
- sui generis - che trova autogiustificazione in un rapporto di reciproca
legittimazione dei poteri nella loro completa autonomia e nella loro assoluta
discrezionalità in quanto interpreti di norme tanto vaghe e indeterminate da
poter sempre essere ascritte agli interessi di camarille e corporazioni.
L’idea
di una responsabilità che risulti indipendente dalla casta di appartenenza e
dalle connesse protezioni e agevolazioni, è quanto di più alieno e
inammissibile per un sistema dove l’individuo è sempre e soltanto in funzione
degli interessi del suo clan (e del sistema di alleanze tra gruppi di potere) e
non già della società nel suo complesso.
Ognuno colga a piacere i
riferimenti appropriati…
5 commenti:
Caro Gastone, si potrebbe ricordare (forse nella fretta mi è sfuggito) anche il "Re Travicello" di Giuseppe Giusti, quel caro toscanaccio. "Al Re Travicello, piovuto ai ranocchi, mi levo il cappello e piego i ginocchi. Lo predico anch'io, cascato da Dio: è comodo e bello, un re Travicello... ecc.". Pensiamo di essere tanto moderni, tanto globalizzati, ecc., ma in fin dei conti, stringendo e stringendo, ci troviamo veramente ancora in un sistema fedudale o peggio che feudale (sicuramente con gente che sa perseguire solo la ricchezza a spese altrui, e ha perso anche quel poco di cavalleresco che avevano gli antichi feudatari, soldatacci feroci, ma anche coraggiosi).
Manlio
Si sente la tua mancanza. Qualcuno che quando canta fuori dal coro è davvero voce stonata (nel senso migliore del significato, cioè quello che parla fuori dai denti). Avrei davvero piacere in un tuoi ritorno, sia come articolista e sia come commentatore, anche scomodo e irriverente. Ciao Gilberto
Nella favola di Fedro (o Esopo?) con la versione in versi di Giusti due sono le immagini 1) il pezzo di legno che galleggia (il re travicello metafora di un sovrano che tira a campare) e 2) la serpe che divora le rane che avevano chiesto un re 'di polso'. Meglio governanti incapaci o autoritari? Il Bel Paese ha messo tutti d'accordo con una bella sintesi.
Caro Gastone,
è in arrivo domani o al massimo giovedì, un mio nuovo mattone intitolato "Karl Marx e gli attuali problemi umanitari", una specie di compendio storico-filosofico e politico-sociale delle attuali questioni. Quanto ai miei commenti, sono ora necessariamente molto più rari, perché dalle biblioteche si ha solo un'ora a disposizione. Comunque, non molti sentiranno la mia mancanza. Grazie e ciao, Manlio
Caro Gilberto,
man mano che divento vecchio, faccio sempre più confusione con i nomi: il guaio è anche che un mio conoscente, che si chiamava Pagliarini, aveva per nome Gastone. Tra qualche tempo, dovrò guardare i miei documenti per ricordarmi come mi chiamo. Scusami tanto: "Gastone" va letto come "Gilberto". Ciao, Manlio
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