giovedì 2 luglio 2015

Nella palude mediatica si nascondono gli interessi corporativi di una Italia ancora mentalmente e istituzionalmente feudale...




Di Gilberto Migliorini

Nell'informazione italiana si mescolano diversi livelli espressivi, dalla carta stampata ai blog passando attraverso la televisione e il cinema. Al di là della specificità dell’elemento tecnico e della modalità di comunicazione, permane l'imprinting mentale dell’italiano medio: un'icona distorta da stereotipi nei quali si dovrebbe riconoscere il suo vero volto. Quello che si vede nel fondo dell’occhio è un'immagine che si riflette su specchi deformanti, ed è da questi che a forza di insegnamenti mediatici l’opinione pubblica ha imparato a riconoscersi. Si tratta dell'idealtipo dell'abitante del Bel Paese descritto anche da tanta filmografia. Il format mediatico ha contribuito a mantenere e consolidare il cliché accentuandolo in tutte le sue forme, dando vita con l’effetto Pigmalione all'emblematico burattino collodiano; non solo metafora esistenziale dell’uomo in generale, ma anche icona antropologica di quel simbionte italico, un avatar alla ricerca di una identità psico-sociale.

Alla base della pochezza culturale del paese c’è una scuola che ha fallito miseramente proprio dove avrebbe dovuto creare le premesse per formare un cittadino consapevole e in grado di comprendere la realtà in cui vive. Realtà è un concetto astratto, qualcosa che richiama immediatamente l’esigenza di problematizzare, andare oltre i luoghi comuni e le verità già bell'e confezionate. Realtà è quella che sfugge sempre, una entità indefinita, e per questo occorre svelarne i risvolti e i doppi fondi, avvicinarsi alla sua essenza invisibile. Realtà è quella che ci fa essere duttili, curiosi ed aperti, perché sfida le nostre certezze. Realtà è quella che cerchiamo di comprendere tra mille difficoltà e contraddizioni, ma senza l’arroganza di chi crede di conoscerla già per intero e senza mai esercitare l’arte del sospetto.

La vera cultura è quella che si misura nella capacità di guardare il mondo con scetticismo disincantato, con la volontà di andare oltre le apparenze che ci attraggono nell'orbita delle false certezze, quelle del si dice, delle verità già confezionate e pronte all'uso. Una cultura dove i classici della nostra letteratura non siano solo cariatidi ingessate e mortifere, ma elemento attualizzante di riflessione, riscoperta delle nostre radici come propulsore di rinascita e di appartenenza consapevole al nostro passato e progettualità del nostro futuro. La scuola italiana nell'imprinting dei decreti delegati ha invece trasformato l’elemento educativo in un sistema convenzionale dove i media hanno fatto il loro ingresso surrettiziamente per interposta persona (le famiglie) con tutto il peso degli stereotipi. La democrazia è stata intesa come un mero opinare e come una sorta di arbitraria presa di posizione, un carnevale di maschere e un caleidoscopio di illusioni speculari. 

Un illustre semiologo ha argomentato che “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”.  Si tratta però di stabilire chi lo sono per davvero, a meno di considerare accademici, benpensanti e personaggi di rango (illuminati o cariatidi?) come i soli in grado di effettuare la cernita (dei cretini e non) dall'alto di qualche infallibile e indiscussa autorità. Nel blob degli opinionisti nessuno può dirsi escluso dalla selezione, nessuno può chiamarsene fuori. O forse qualche deus ex machina, noblesse oblige, possiede le stimmate della verità per via di qualche titolo accademico o laurea honoris causa?

I media hanno saputo affinare tutti i loro strumenti di persuasione su un target (il popolo italiano) sempre più povero di strumenti culturali, sempre più in balia di imbonitori e suggeritori, sempre più integrato in un sistema di rinforzi (positivi e negativi) che lo hanno eletto a ignaro destinatario di un esperimento di controllo e persuasione. Il burattino alla ricerca della sua identità  è stato immerso in un habitat dove la propaganda e la manipolazione hanno assunto i caratteri suadenti dell’intrattenimento, dell’informazione e della partecipazione. Il concetto di democrazia - replicato in tutte le salse e declinato con le figure retoriche dell’enfasi e dell’iperbole - è risuonato come un mantra nelle aule parlamentari, nelle piazze e nei comizi. La parola magica è echeggiata soprattutto in quel frame dei teleschermi dove il mondo là fuori è a portata di un dito con lo zapping e con la magia di un cambio di canale repentino. 

Democrazia come scelta libera di canale tra quelli offerti da qualche proprietà (pubblica e privata), compresa quella del teatrino di Mangiafuoco, con tutte le lusinghe di un gioco di ruolo (con ricchi premi e cotillon) dove l’utente partecipa e recita insieme alla compagnia degli attori, con Arlecchino e Pulcinella e l’immancabile Colombina. Gli slogan altisonanti, le seduzioni cromatiche, le allusioni erotiche e le retoriche del moralismo accattivante hanno circuito e assecondato la dabbenaggine e la superficialità di un italiano medio educato a pensare per slogan, a utilizzare i luoghi comuni, le ricette preconfezionate di una cultura usa e getta. Il target è stato trasformato in una cavia da laboratorio, illuso di essere il soggetto che sceglie e non l’ignaro oggetto di adescamento e manipolazione.

Tanto più il sistema mediatico è riuscito a occultare le sue procedure di influenza ‘culturale’ con l’enfasi della retorica e della demagogia, tanto più la forza persuasiva ha intaccato i residui di razionalità dell'Homunculus italicus, quello degli spot. Il buon senso è stato annacquato in un chiacchiericcio insulso e banale, nell'incapacità di interpretare la realtà mediatica, di penetrarne i meccanismi sottostanti e gli algoritmi che presiedono al controllo e alla persuasione. Il burattino ha fatto da comparsa e da fumetto in un diagramma di flusso, una riga di istruzioni in un copione, convinto di essere protagonista sulla scena... non solo cavia e zimbello. La società italiana è diventata preda di automatismi mentali, talora in modo inconsapevole, influenzata da tutte quelle forze più o meno occulte sotto l’egida di un potere invisibile.

Il gioco dei grandi numeri e delle medie statistiche (una profilazione di carte fidaty e fragranti biscottini) si è trasformato in una ingegneria politico-istituzionale per regalare all'utente un’immagine sempre più fedele, per conoscerne i gusti, le predilezioni, le idiosincrasie, i desideri e perfino i pensieri. Un programma per il futuro? Un disegno utopico? Un non-luogo più simile a una chimera, un progetto senza capo né coda, ma mosso dal desiderio di controllo e di potere. Il fine che nel Principe del segretario fiorentino (Machiavelli) aveva comunque la sua giustificazione in un sistema di governo ordinato, è diventato quello di un potere che ha in se stesso l’unica giustificazione. È un Bel Paese governato da gruppi che negoziano con le forze antagoniste per curare i propri interessi di parte. Il cinico mazziere utilizza in modo scaltro e senza remore morali tutti gli strumenti in suo possesso per manipolare e controllare un’opinione pubblica sotto tutela, un po’ con la bacchetta e un po’ con i mezzi suadenti dell’imbonitore. Il bastone e la carota in una commistione di minacce e di seduzioni amalgamate in forma di kermesse hanno educato l’italiano ad un opportunismo di sopravvivenza, un suddito sempre alla ricerca di escamotage in grado di far fronte alla protervia e all'arbitrio di governanti che promuovono gli interessi del loro clan.

Il risultato è una società plasmata da slogan, controllata da un sistema mediatico in grado di indurre stili di consumo, comportamenti, modi di pensare e reazioni emotive. Un Paese dove gli opportunisti perseguono i loro interessi correggendo e modulando di volta in volta obiettivi e finalità in ragione di programmi occasionali in prospettive miopi e di corto respiro. Pensare che il Bel Paese abbia delle teste pensanti in grado di elaborare strategie a medio e lungo termine, sia pure orientate a degli interessi occulti, significa ritenere che la nave Italia abbia davvero un comandante, sia pure celato nell'ombra, in grado di sapere sempre esattamente dove l’imbarcazione sta andando. La realtà è invece quella di tanti piccoli ammiragli che con i loro piccoli cannocchiali scrutano gli oggetti meschini della brama di potere in una miopia negoziale fatta di compromessi e di opportunismi che hanno come meta quel galleggiare tra Scilla e Cariddi, mantenersi in sella nella prospettiva del comando. 

Un carpe diem coniugato nella forma dell’occasionalismo e del dirigismo a spizzico, sia pure in un quadro di alleanze internazionali e all'interno di un mercato globale. Un programma ben definito nel suo obiettivo, il potere, ed elementare nei suoi metodi, con le empiriche correzioni di rotta per non scafare…

Il paradosso italiano è che nel paese cattolico per eccellenza l’etica è quella di un moralismo da galateo, un senso di giustizia che si appella a una precettistica, alla correttezza (spesso solo illusoria) dei procedimenti formalmente ineccepibili, vuoti e altisonanti, e alle belle intenzioni che nascondono interessi di bottega. Le caste hanno tradotto il loro meschino interesse nella forma di protocolli legislativi e normativi che ne assicurano protezione e sopravvivenza sotto forma di un labirinto di codici ricorsivi inespugnabili. Il povero Pinocchio finisce sempre per essere inseguito dai briganti e impiccato. Il provvidenziale soccorso al burattino indossa le vesti di una figura salvifica: lo squalo può assumere perfino le innocue e allettanti sembianze di una bella e accattivante fatina dai capelli turchini.

Descrivere una macchina organizzativa composta di istituzioni e organismi sembra un’impresa da fisica sociale applicata alla sociometria e all'economia. I sistemi sociali ed economici sono più o meno stabili nel breve o nel lungo periodo. L’evoluzione è il tratto di tutti i sistemi reali. In qualche caso esistono perfino quelle scosse sismiche che vanno sotto il nome di rivoluzioni dove le società collassano e subiscono trasformazioni violente. L’immagine dell’equilibrista è evocativa per un sistema che da sempre possiede una capacità ‘creativa’ di sopravvivere modificandosi in ragione degli opportunismi. Il sistema Italia si regge su una stabilità assicurata dalla compartimentazione, una piramide stratificata dal vertice fino alla base. Non si tratta di una impossibilità delle persone di ascendere o discendere nella piramide sociale quanto di un sistema di chiusure che non a caso ricordano il nostro medioevo, una compartimentazione per gruppi sociali e soprattutto professionali, un sistema di garanzie e di protezioni alla base anche di quei sistemi mafiosi che in qualche modo traggono ispirazione e imitano, sia pure al di fuori della legalità, le idiosincrasie culturali delle nostre istituzioni. 

Per comprendere la logica del sistema Italia (e della sua mentalità) occorrerebbe, prima di effettuare una analisi di tali chiusure (con privilegi e immunità), fare un passo indietro e guardare al medioevo italiano che rappresenta la nostra matrice culturale. I modelli istituzionali - sia pure con la connessa innovazione tecnologica - mantengono un assetto immutabile al di là delle trasformazioni di facciata. Il potere è riuscito a camuffarsi con garanzie legislative e norme di tutela come meri specchietti per le allodole. L’evoluzione politica e istituzionale non ha inciso più di tanto sulla mentalità e il costume, ma soprattutto sull'organizzazione sociale. Il sistema Italia, nonostante le presunte innovazioni strutturali, rimane palesemente feudale.

Il feudo che viene generalmente pensato come una entità territoriale ha gradualmente assunto una fisionomia più simile a un software evanescente che a un hardware fisico: le strutture del potere, in parte anche interiorizzate sotto forma di ideologie, hanno dissimulato variamente il loro carattere corporativo negli escamotage normativi che hanno mantenuto strutturalmente il paese in una condizione di immobilismo: i privilegi e le immunità hanno assunto una forma indeterminata e ubiqua, occultandosi dietro le formule propagandistiche e con un sistema mediatico esso stesso parte integrante delle egemonie sociali e delle strutture di potere. Il feudo da luogo fisico circoscritto, e da pertinenza ideologica dell’ortodossia di un gruppo politico, è diventato consorteria di interessi condivisi dei clan che spartiscono prebende e privilegi. 

I nuovi signori di banno hanno tradotto in senso metaforico il dominatus loci, mentre l’allodio (la piena proprietà) ha assunto il carattere sfumato della concessione in un giuramento di fedeltà con un diffuso sfruttamento del potere per interessi privati. Nella nuova realtà italica il feudo è costituito da un sistema di coperture che delimitano dei perimetri di potere, sistemi normativi che fungano da cinture di sicurezza e scambi di favore. Il diritto reale ha assunto il carattere di una rendita (di denaro e potere) in cambio non tanto di una specifica prestazione professionale (elemento accessorio) quanto di una fedeltà e consonanza che si esprime nell'omertà e nella complicità comunque legalizzate nei formalismi giuridici, nei codicilli e nelle norme ad personam.

Le caste nel sistema Italia sono rappresentate da quei gruppi (anche istituzionali) che si mantengono rigorosamente chiusi in privilegi senza nessun rischio di essere smascherati come portatori di interessi di parte e al di fuori di una legalità che non sia solo di facciata. La possibilità di sfuggire a qualsiasi forma di controllo autenticamente democratico è data da un sistema normativo che nella indeterminatezza è sempre in grado di giustificare i suoi atti formali. La quadratura del cerchio è rappresentata da quelle formule ubique che possono essere lette variabilmente e derubricate a conferma che tutto è sempre fatto secondo scienza e coscienza. Le leggi rappresentano un flatus vocis dove l’interprete (quello istituzionalmente legittimato) può sempre fornire la decodifica di un nominalismo linguistico formalmente ineccepibile. I codici interpretativi hanno infatti la souplesse necessaria a tradurre i fatti conclamati sic et non a seconda della convenienza, delle circostanze e soprattutto degli interessi di riferimento.

Il risultato è che le contraddizioni, le manchevolezze, le inadeguatezze e le incapacità dei vari strati della piramide sociale – di fatto impermeabili a un controllo e a una razionalizzazione che non sia soltanto di facciata – dal vertice e scendendo via via nel sistema delle istituzioni e delle connesse professioni - è sempre in grado di scaricare alla base tutte le sue incapacità e le sue magagne. Chi paga è sempre la palude degli utenti in un sistema di inefficienze e di abusi. Il sistema Italia, al di là delle belle formule di democrazia liberale e delle tirate ideali, rimane un paese feudale nella mentalità e nella qualità delle sue istituzioni che godono di quell'immunità derivata da un sistema largamente autoreferenziale e basato sulla discrezionalità mascherata dai formalismi giuridici e su forme di legalità di facciata. La divisione dei poteri nel sistema Italia costituisce non solo l’illusione di una società libera ed aperta, ma una sorta di divide et impera - sui generis - che trova autogiustificazione in un rapporto di reciproca legittimazione dei poteri nella loro completa autonomia e nella loro assoluta discrezionalità in quanto interpreti di norme tanto vaghe e indeterminate da poter sempre essere ascritte agli interessi di camarille e corporazioni. 

L’idea di una responsabilità che risulti indipendente dalla casta di appartenenza e dalle connesse protezioni e agevolazioni, è quanto di più alieno e inammissibile per un sistema dove l’individuo è sempre e soltanto in funzione degli interessi del suo clan (e del sistema di alleanze tra gruppi di potere) e non già della società nel suo complesso.


Ognuno colga a piacere i riferimenti appropriati…



Homepage volandocontrovento

5 commenti:

Manlio Tummolo ha detto...

Caro Gastone, si potrebbe ricordare (forse nella fretta mi è sfuggito) anche il "Re Travicello" di Giuseppe Giusti, quel caro toscanaccio. "Al Re Travicello, piovuto ai ranocchi, mi levo il cappello e piego i ginocchi. Lo predico anch'io, cascato da Dio: è comodo e bello, un re Travicello... ecc.". Pensiamo di essere tanto moderni, tanto globalizzati, ecc., ma in fin dei conti, stringendo e stringendo, ci troviamo veramente ancora in un sistema fedudale o peggio che feudale (sicuramente con gente che sa perseguire solo la ricchezza a spese altrui, e ha perso anche quel poco di cavalleresco che avevano gli antichi feudatari, soldatacci feroci, ma anche coraggiosi).

Gilberto ha detto...

Manlio
Si sente la tua mancanza. Qualcuno che quando canta fuori dal coro è davvero voce stonata (nel senso migliore del significato, cioè quello che parla fuori dai denti). Avrei davvero piacere in un tuoi ritorno, sia come articolista e sia come commentatore, anche scomodo e irriverente. Ciao Gilberto

Gilberto ha detto...

Nella favola di Fedro (o Esopo?) con la versione in versi di Giusti due sono le immagini 1) il pezzo di legno che galleggia (il re travicello metafora di un sovrano che tira a campare) e 2) la serpe che divora le rane che avevano chiesto un re 'di polso'. Meglio governanti incapaci o autoritari? Il Bel Paese ha messo tutti d'accordo con una bella sintesi.

Manlio Tummolo ha detto...

Caro Gastone,

è in arrivo domani o al massimo giovedì, un mio nuovo mattone intitolato "Karl Marx e gli attuali problemi umanitari", una specie di compendio storico-filosofico e politico-sociale delle attuali questioni. Quanto ai miei commenti, sono ora necessariamente molto più rari, perché dalle biblioteche si ha solo un'ora a disposizione. Comunque, non molti sentiranno la mia mancanza. Grazie e ciao, Manlio

Manlio Tummolo ha detto...

Caro Gilberto,

man mano che divento vecchio, faccio sempre più confusione con i nomi: il guaio è anche che un mio conoscente, che si chiamava Pagliarini, aveva per nome Gastone. Tra qualche tempo, dovrò guardare i miei documenti per ricordarmi come mi chiamo. Scusami tanto: "Gastone" va letto come "Gilberto". Ciao, Manlio