sabato 28 febbraio 2015

Questioni politiche vs cultura, mentalità e… etica della situazione































Di Gilberto Migliorini

Una riforma della Costituzione è in sé un fatto tecnico, richiede competenze specifiche in ordine ad assetti istituzionali in grado di ridisegnare non solo i rapporti di forza nell’organigramma dei partiti, ma anche di trasformare attitudini e prerogative in ragione di interessi più o meno occulti e con implicazioni relative a future alleanze. In altri termini, e a differenza dei costituenti del dopoguerra, l’input non sembra quello dell’idea del bene comune, quanto quello dell’opportunità, o meglio dell’opportunismo negli equilibri di potere.

Si ha come la sensazione che il propulsore determinante di molte riforme sia perfino al di là degli interessi che si delineano strada facendo quando gli interlocutori arrivano ad accordi, mediazioni e compromessi. Se l’Italia, per dirla con Leopardi, non cangia stile, forse il motivo è di natura più profonda, un ingorgo di energie e di iniziative che non rimanda solo a una disparità di idee, di interessi e di ideologie tra gruppi e partiti, quanto paradossalmente, e al di là di differenze apparenti e contingenti, proprio a quella cultura e mentalità monocordi che informano un intero paese in tutte le sue manifestazioni. Alla base c’è una cultura fondata su di un conformismo culturale che si manifesta anche quando gli si predica contro, perfino là dove si direbbe che esiste una vera opposizione e un contraddittorio. 

Al di là dei gruppi contrapposti e delle lotte intestine (situazione che ha caratterizzato storicamente tutta la storia del Paese) ci sarebbe allora un blocco di tipo monolitico che costituisce, pur nelle contrapposizioni, quel comune sentire che va sotto il nome di abito mentale o modo di pensare: un imprinting di tutta la cultura italiana nei vari ambiti sociali ed istituzionali.

I termini ideologia e mentalità sono forme ibride e risultanze di una terminologia già contaminata da un immaginario sociologico che vorrebbe esprimere una critica dell’esistente, ma che di fatto riproduce gli schematismi utilizzando semplicemente dei surrogati. Ogni gruppo in contrapposizione si riferisce a un antagonista in negativo riservando per sé le vere idealità, ma di fatto riproponendo gli stessi stereotipi in forme nuove, aggiornate con orpelli, patine e decalcomanie dietro le quali c’è quell'obbiettivo condiviso: il potere, eventualmente da spartire. La mentalità, al di là della suggestione che la parola riesce a evocare, rimanda a delle attitudini e automatismi di pensiero per lo più inconsapevoli.

Occorrerebbe indicare le coordinate di tale cultura che informa il Bel Paese e che è come l’aria che respiriamo, qualcosa di invisibile perché trasparente, troppo quotidianamente implicito nell'atto di viverlo da risultare del tutto naturale e imponderabile. Difficile rendersi conto delle proprie idiosincrasie culturali e della propria mentalità all'interno dei vissuti quotidiani dove tutto appare ovvio, anche le mostruosità alle quali ci si è ormai assuefatti. Le chimere e gli ircocervi sono qualcosa che attiene alla normale programmazione, non sembrano deformità da laboratorio dell’orrore. Perfino i sogni (e gli incubi) sono appannaggio di un immaginario che si nutre del medesimo habitat e di una temperie che avvolge tutto quello che in una società forma lo spirito di un popolo.

Nella disanima antropologica del popolo italico il rischio è quello di usare criteri interpretativi di natura psico-sociale con la pretesa di comprendere le idiosincrasie e le ripugnanze di una nazione con l’ausilio dei metodi quantitativi che misurano per lo più i comportamenti nel loro versante osservabile. La gran parte dell’anima di un popolo sfugge a quei sistemi di rilevazione… I riferimenti storici penetrano più in profondità, ma hanno il potenziale difetto del determinismo. La constatazione che il Paese non abbia mai fatto i conti col suo passato risulta del tutto pertinente, ma sembra un passepartout che non spiega niente e che anzi ripropone dei luoghi comuni. Le analisi storiche e psico-sociali sembrano esprimere più che altro stereotipi. 

Il peccato originale della cultura italiana è la sua incapacità organica di venir fuori dai propri modelli ideologici perfino quando cerca di approfondirne i difetti e prenderne le distanze. Se volessimo rilevare quale sia il carattere peculiare di questi processi culturali sottostanti, dovremmo usare l’immagine metaforica della materia oscura, cioè quella realtà fisica che sfugge a qualsiasi osservazione diretta. Quale sarebbe questo quid invisibile che permea tutta la vita culturale del Bel Paese, in un diffuso e onnipresente conformismo e che - al di là delle contrapposizioni ideologiche e politiche - costituisce l’humus e l’ambiente vitale di un malgoverno che il popolo italiano sostiene ed approva anche quando si lamenta, perfino quando come adesso sta peggio di prima? Si è spesso invocato il sistema mediatico come propulsore e informatore di un popolo analfabeta e facilmente manipolabile. Ma in fondo anche i media esprimono l’anima di un popolo e i suoi limiti caratteriali nel gusto, nelle preferenze etiche ed estetiche. 

Il paese cattolicissimo per antonomasia è un paese senza morale. O, meglio, di una morale dell’accomodamento per la quale si invoca il proprio punto di vista come quello eticamente ineccepibile, in quanto produttivo dei propri interessi e del proprio tornaconto, o di quello di amici e commensali del banchetto. Nel popolo italiano e nelle sue istituzioni l’idea dell’universalità dell’etica in quanto valore indipendente dagli apparati ideologici e dai galatei consortili, è qualcosa non solo di sconosciuto ma anche di inconcepibile. Pensare al bene comune - e non a quello della propria camarilla di riferimento - è impossibile per quella cultura italica che permea tutte le istituzioni. Che l’interesse collettivo significhi anche il proprio vantaggio sembra un assurdo per un popolo abituato alle contrattazioni sottobanco, alle mafie massoniche, agli scambi di favore, ai do ut des, ai compromessi… in una parola ai particolarismi. Più che il Principe di Macchiavelli il modello è quello del ‘particulare’ di Guicciardini, inteso in riferimento all'interesse di un gruppo sociale o di una conventicola. 

Nello stile educativo e nelle modalità di pensiero - implementate da una pedagogia non solo mediatica - tutto è commisurato agli interessi di parte, di volta in volta e a seconda di necessità e opportunità declinati come virtù, valore, progresso, sviluppo… insomma gli interessi di bottega spacciati per il bene comune. La scuola dei decreti delegati è un fulgido esempio di particolarismo spacciato per democrazia, una forma di compromesso esemplare nella quale perfino l’educazione viene ricondotta a una faccenda di negoziazione e di marketing. Il cielo delle idealità universali (dove dovrebbe brillare il bene come idea suprema) è un cielo vuoto e sgombro che all'occorrenza si può riempire con gli arredi di un moralismo senza moralità e di un’etica della situazione (modulata caso per caso) spacciata per interesse collettivo. Il sistema politico in fondo non è altro che l’espressione di una cultura che si innerva in tutto il paese e in tutti gli strati della piramide sociale. 

Il nuovo e avanzante monopolio dell’informazione, a parole stoppato con quel limite del 49%, è il segno tangibile che l’aula parlamentare è ormai solo l’appendice di giochi che si svolgono altrove. Non è solo questione di contenuti e contenitori, di cavi, di fili e piloni, di antenne e di tutto quell'ambaradan che con il mercato delle fusioni editoriali forma appunto un blocco monolitico. Anche i patti di bottega ormai si occultano in modalità eterodosse, apparentemente infrante nell'elezione del Capo dello stato, in accordi ben più corposi e importanti. C’è un trust di infrastrutture e network che vuole il monopolio di televisioni, telecomunicazioni e banda larga, ma c’è anche un trust impalpabile ed evanescente, il software mentale di un’intera nazione che di fatto ha reso possibile prima il fascismo e poi la nuova realtà di un Grande Fratello che si manifesta con una fenomenologia sempre più ubiqua e invisibile.

In fondo sono proprio gli spettacoli nazional-popolari, sanremesi e da isole dei famosi, la vera cartina di tornasole dello stato e del gusto di un paese. Le leggi ad personam e i patti di potere sono soltanto espressioni contingenti dell’anima di un popolo. Se una rivoluzione è possibile per il Bel Paese non sarà certo quella parlamentare, espressione della cultura degli egoismi e del moralismo diffusa in tutta la piramide sociale. Una rivoluzione culturale presuppone un orgoglio nazionale, un senso di appartenenza a un’idea di bene comune che al momento si esprime nell'adesione alla squadra del cuore o tutt'al più nel voto per una canzone o per eliminare un concorrente in un gioco di ruolo. 

Nonostante tutto, l’italiano - anche quando si dice nauseato dal sistema politico - non sembra davvero stanco della cultura che lo ha reso uno zimbello, quando si tratta di scegliere vuole andare sul sicuro con la solita canzone anima e core… Chi gliela canta in fondo sa bene quello che vuole…

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9 commenti:

PINO ha detto...

BRAVO GILBERTO!
Hai vivisezionato un mostro che solo una cultura degenerata poteva plasmare.
Pino

Gilberto ha detto...

Grazie Pino
Alle volte mi chiedo se sono troppo pessimista. Però mi dico che posso sempre essere smentito dai fatti, e ovviamente ne sarei felice...

PINO ha detto...

GILBERTO
Spero anch'io che i fatti possano smentirti, per il bene di un popolo tartassato in mille modi, ma credo che tale speranza sia una grossa utopia.
Mi chiedo: quale potrà mai essere l'evento storico che frenerà questa corsa verso l'abbrutimento politico, morale e sociale verso cui siamo diretti?

Anonimo ha detto...

L'articolo 85 della costituzione non vieta la rieleggibilita' di un Presidente. Ma solo che il presidente della camera convoca il parlamento a sezioni riunite con i delegati regionali per la nomina del nuovo Presidente. E cosi' e' avvenuto. Napolitano dette la disponibilità' per un secondo mandato e venne eletto mi sembra alla sesta votazione.
Alex

Anonimo ha detto...

assemblea costituente commissione per la costituzione 19 dicembre 1946 pagina 6 articolo 4 ...
il presidente della repubblica è eletto per sette anni (è approvato)
mette ai voti il seguente emendamento aggiuntivo "e non è rieleggibile"
( è approvato)

l'ex presidente napolitano è complice se non addirittura è stato il burattinaio. (come dimenticarsi le leggi-porcata firmate al volo) e quando la gente per strada gli chiedeva il motivo lui : me le avrebbero ripresentate tali e quali dopo perciò.... le firmava subito...
ma il rimandarle indietro con spiegazione non esisteva per lui, come detto anche da Ciampi.

poi l'intellighenzia delle nuove leve, e non solo, la si vede in tv.
basta apparire, fare un balletto, cantare.
poi se partecipi ad un giuoco (es. l'eredità)alle domande stupide, presentate da un personaggio che era stato "trombato" dalla tv, non sai rispondere... e il presentatore con quel fare odioso tra risatine e facce da c..o dice: hai sbagliato, mi dispiace.

luca

sorianablu ha detto...

Questo disegno era allegato anche alla denuncia di Fergnani-Vitali-Pezzullo,...... se qualcuno non l'ha letta eccola, è molto interessante:

http://www.albamediterranea.com/index.php?option=com_content&view=article&id=130%3Aquerela-contro-parlamento-tutto-per-colpo-di-stato-ed-occupazione-abusiva-delle-massime-sedi-istituzionali-e-relativi-ruoli-e-funzioni&catid=1%3Aultime&Itemid=50

Però forse qualcuno sappia come è andata a finire?

Anonimo ha detto...

@Luca
Dai
Verbali della Assemblea Costituente:

Il 19 dicembre 1946 la prima Sezione della Seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione
Mise ai voti il seguente emendamento aggiuntivo “e non e’ rieleggibile” (e’ approvato).
,,,,,,,,
Il 22 ottobre 1947 l’Assemblea Costituente prosegue l’esame degli emendamenti agli articoli del Titolo secondo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Capo dello Stato».

Presidente Terracini:

L'onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma, dopo le parole: per sette anni, aggiungere: e non è rieleggibile».
Ha facoltà di svolgerlo.

Lami Starnuti. Rinunzio all'emendamento.

Presidente Terracini. Sta bene.

Pertanto l’articolo 85 risulta approvato nella seguente forma:
“Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.
«Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca l'Assemblea per l'elezione del Presidente della Repubblica.
«Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro 15 giorni dalla Costituzione delle nuove Camere. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

Onde per cui la conferma di Napolitano non e’ stata per niente anticostituzionale essendo stato eletto in conformita’ al dettato dell’art. 85 della Costituzione

Anonimo ha detto...

http://www.albamediterranea.com/index.php?option=com_content&view=article&id=130%3Aquerela-contro-parlamento-tutto-per-colpo-di-stato-ed-occupazione-abusiva-delle-massime-sedi-istituzionali-e-relativi-ruoli-e-funzioni&catid=1%3Aultime&Itemid=50
Impressionante, LEGGETELO

Ivana ha detto...

Massimo, complimenti per la realizzazione della mappa concettuale… Hai usato Cmap Tools?

Riguardo alla possibilità dell'eventuale rielezione del Presidente della Repubblica sono d'accordo con Alex; so che il mandato dura sette anni a partire dalla data del giuramento e che la stessa previsione di tale settennato impedisce, di fatto, che un presidente possa essere rieletto dalle stesse Camere, perché queste hanno mandato quinquennale.
A me non risulta che l’articolo 85 della costituzione vieti espressamente che il Presidente della Repubblica possa essere rieletto… e considero permesso ciò che non sia espressamente vietato…