giovedì 30 luglio 2015

L'Espresso, il caso Crocetta, i giornalisti indagati e l'informazione che da quando si prostituisce facendosi pagare dal potere ha perso ogni autonomia...


Il discorso è molto semplice ed è inutile ricamarci sopra. Lazzi e lezzi non aiutano a coprire il malfatto e peggior figura fanno quelle spiegazioni che gettando fumo cercano di nascondere proprie responsabilità. Qualcuno, forse abituato a farlo, ha giocato sporco e qualcun altro lo ha aiutato credendo di essere protetto. A qualche giornalista si sono impallati gli occhi per la voglia di far scoppiare una bomba, mentre un direttore che dovrebbe essere autonomo ha avuto l'ordine di sparare su chi, pur essendo del centro-sinistra come chi gli remava contro, al centro-sinistra sta "sulle balle". In poche parole, si è tentato il solito sporco gioco di potere capace di mangiare pedine e damoni, di far scattare dimissioni a raffica e poi, col tempo, di svanire come una bolla di sapone. Purtroppo per i cospiratori, invece, stavolta qualcosa non ha funzionato. Chi doveva dimettersi non si è dimesso e il settimanale L'Espresso, che ahinoi non è più quello dei tempi migliori che nessuno riusciva a condizionare e piegare al suo volere, si è giocato le ultime fiches di credibilità. Di chi è la colpa? Per forza del suo direttore, che ha deciso di pubblicare infamie senza avere l'intercettazione in mano perché qualcuno gli ha detto che lo doveva fare. Niente di nuovo, si potrebbe dire, da decenni il settimanale, comandato di un pool di industrie riconducibili alla CIR di De Benedetti e schierate col centro-sinistra (come il giornale che dal '70 lo affianca: La Repubblica), è in naftalina e cerca di restarvi senza danneggiare né la proprietà né gli sponsor. Infatti, basta una piccola ricerca per scoprire che nell'arco degli ultimi 25 anni i giornalisti del settimanale hanno portato a termine solo un paio di inchieste serie. E il cambiamento è epocale e si staglia lampante, visto che nei 25 anni precedenti erano almeno 13 le grandi inchieste che fecero storia e ancora oggi sono degne di essere ricordate.

Ma perché sporcare la copertina di un settimanale prestigioso? Perché si è deciso di trascrivere parte di una intercettazione che materialmente non si possedeva? Perché pubblicare una bufala alla vigilia di un importante appuntamento storico, se non per rovinare l'immagine pubblica di un governatore di regione, subito additato a mafioso e invitato a dimettersi, che capace o inetto che sia va comunque esautorato in maniera democratica? Perché impedirgli non solo di svolgere il proprio lavoro in totale serenità, ma anche di essere presente alla commemorazione programmata per l'anniversario della strage di Via D'Amelio?

Poco conta in questi casi di come si chiami la persona infangata, che sia una Crocetta o una Punteggiatura, che sia di destra o di sinistra. Quel che conta - e su cui occorre puntare il dito - è il continuo e sempre maggiore abuso che non solo la politica fa di uno strumento primario - chiamato "informazione" - che da quando è asservito al potere ha perso la propria autonomia ed è costretto a prostituirsi. Tutti la usano per i propri scopi.

I politici per non farsi dimenticare, per non perdere voti e far credere che il popolo sia in cima alla lista delle loro priorità (il faccione di Renzi, che una volta rottamava e oggi garantisce per l'Europa o promette ammiccante che le tasse scenderanno o inaugura anche la più piccola sciocchezza locale, è sugli schermi italiani una ventina di volte al giorno), i magistrati per rendere credibili indagini che somigliano a sceneggiature da cartoni animati (quando non sanno dove sbattere la testa mandano ai giornalisti amici le usuali indiscrezioni buone a spargere il pregiudizio e a far credere che gli asini volino), le multinazionali per far credere di essere gli angeli custodi della società e dei nostri figli (nei video pubblicitari ci mostrano famiglie felici con neonati e bambini sorridenti che saltellano in mezzo al bosco lontani dalle guerre senza che l'informazione - che si arricchisce grazie alla pubblicità che le stesse multinazionali per non aver problemi pagano a peso d'oro - neppure ci pensi a farci sapere che quelle aziende stanno facendo morire dei bambini e le loro famiglie in troppe nazioni, ad esempio disboscando 500.000 ettari di foreste ogni anno o acquisendo aziende che producono armi da vendere ai paesi in guerra) e i banchieri per convincere i risparmiatori ad affidare loro i soldi guadagnati con sudore e fatica (che fra l'altro sono sempre più virtuali da quando le banche si sono affiliate alla politica che costringe il lavoratore ad usare tessere elettroniche) o a comprare i loro prodotti (che ingrasseranno i ricconi e altro non sono se non pezzi di carta con numeri stampati che fan credere alla persona comune di avere denaro contante... ma solo fino a quando un consiglio sbagliato anticiperà un crack che li farà sparire nel buco nero della finanza).

Questo è lo stato tragico dell'informazione moderna che se ne frega del popolo e non si vergogna di essere al servizio del potente di turno (anche del proprio editore). Per cui il direttore de L'Espresso non ha fatto nulla di nuovo inchinandosi al volere altrui. Quando si hanno padroni che pagano gli agi e gli svaghi, è normale perdere la propria autonomia in favore del volere di chi comanda. E che sia stato il volere altrui a voler pubblicare e pubblicizzare l'intercettazione farlocca lo scrive lo stesso direttore de L'Espresso in un articolo votato a giustificare il proprio operato.

La frase con cui ammette di aver ascoltato altri è questa: "Lunedì 13 luglio, alla vigilia della pubblicazione del settimanale, Messina e Zoppi (i giornalisti ora indagati) incontrano un autorevole inquirente a cui sottopongono parola per parola il testo dell’intercettazione tra Tutino e Crocetta. Ricevono una conferma totale e chiara, assieme all'invito a procedere con la pubblicazione: Questa volta si va fino in fondo".

Sì, avete letto bene. Non è stato il direttore a decidere cosa pubblicare in autonomia, è stato l'autorevole inquirente a dirgli per interposta persona (il potente interpellato dai suoi giornalisti) che doveva andare fino in fondo. Peccato che i giornalisti, a quanto la stessa informazione ci dice (quindi il tutto va preso con le molle), dopo aver additato a informatore un investigatore - che come prassi ha negato e smentito ogni coinvolgimento ed è creduto, visto che il suo nome lo ha fatto Piero Messina e per questo è indagato anche per calunnia, si siano trincerati dietro quel silenzio legale che la stessa informazione disprezza pubblicamente quando ad usarlo sono persone indagate per omicidio.

Ma non preoccupatevi e state certi che nella rete cadranno solo i pesci piccoli. Inoltre, siatene sicuri, tempo qualche giorno e la stessa informazione, tacendo gli sviluppi, vi aiuterà a dimenticare la bufala del settimanale a cui, forse per un recondito pregiudizio preesistente, hanno creduto non solo gli italiani ma anche i familiari di Paolo Borsellino che neppure ci hanno pensato a fare qualche verifica verbale dopo aver letto l'articolo. Lucia Borsellino, infatti, con un paio di telefonate ai diretti interessati avrebbe potuto risolvere subito l'arcano. Invece ha inviato un sms al governatore Crocetta scrivendogli di non andare alla commemorazione del fratello perché non era una persona gradita. Salvatore Borsellino, dal canto suo, ha solo parzialmente creduto alla bontà dell'articolo de L'Espresso, dato che, saggiamente, ha subito sospeso ogni giudizio in attesa di verifiche che lo aiutassero a capire se il degrado della politica italiana fosse davvero sceso ad un livello intollerabile (parole sue).

Caro Salvatore, il caro è un segno di stima, la politica italiana non è scesa oggi a un livello intollerabile. Sono decenni che gioca sporco e perpetra i propri abusi di potere, i propri orrori, all'interno di caste che si nascondono all'ombra di una informazione malata che l'aiuta sia a distruggere che a proteggersi. Ma non devo essere io a dirtelo, sono certo che lo sai meglio di me...

homepage volandocontrovento

3 commenti:

PINO ha detto...

MASSIMO caro, è un poco prestino per tirare le reti.
Sarà necessario scavare più profondamente nel solco tracciato. Attendiamo che passi il periodo feriale e ne vedremo di belle.
Ciao! Ti auguro buone vacanze assieme ai tuoi cari: Un abbraccio, Pino

ENRICO ha detto...

Massimo,

in effetti anche io, come te , ho pensato che la famiglia Borsellino avrebbe dovuto essere più cauta nel giudizio.

In questa epoca di veleni niente è vero e niente è falso : tutto è criminalmente manipolato a nostro totale svantaggio

TommyS. ha detto...

Enrico

"in effetti anche io, come te , ho pensato che la famiglia Borsellino avrebbe dovuto essere più cauta nel giudizio."

Concordo. Tenuto poi conto anche del fatto che alla commemorazione era presente Antonino Di Matteo, che sebbene adesso venga riconosciuto come uno dei paladini dell'antimafia, proprio nel primo processo "Borsellino" (quello di Scarantino per intenderci) affiancava, sicuramente giovane e forse inesperto, i PM Anna Maria Palma e Carmelo Petralia. E non mi sembra si sia dissociato, come fatto da altri PM di Caltanissetta, dal ritenere Scarantino attendibile.