sabato 7 giugno 2014

I partiti politici sono consorterie col vizio privato della pubblica tangente...

Di Gilberto Migliorini


Nella Francia di Napoleone III (che prende il potere con il colpo di stato del dicembre 1851) si afferma il sistema dei plebisciti. Luigi Napoleone fa occupare il Parlamento dai soldati e scioglie l’Assemblea ristabilendo il suffragio universale (Plebiscito=voto diretto del popolo). Le elezioni del 21 dicembre confermano il suo operato e la sua presidenza seguita dall’approvazione di una nuova costituzione (poteri per dieci anni al principe presidente). Il suffragio universale (comunque solo maschile in quanto all’epoca le donne erano ritenute giuridicamente incapaci) è indice di un fatto democratico in questo fatto storico? Assolutamente no! La camera aveva un potere puramente consultivo (le leggi venivano proposte dal presidente. Il senato era di nomina presidenziale. La consultazione popolare attraverso plebisciti con il voto diretto del popolo prevedeva solo un sì o un no. La camera era eletta a suffragio universale, ma con candidature imposte dalle Prefetture. Il controllo sulla stampa consentiva infine di orientare l’elettorato, per quel poco che poteva contare, cioè meno di niente, salvo la carnevalata plebiscitaria. Il modello in parola è stato definito democrazia autoritaria in quanto delega completamente all’esecutivo in un cortocircuito delle assemblee parlamentari). Alla fine del 1852 verrà sempre attraverso plebiscito restaurato l’Impero (il secondo impero). La politica di Napoleone III oscillerà poi tra autoritarismo e paternalismo. Vi ricorda qualcosa tutto questo, qualche analogia, mutatis mutandis, con l’attualità del presente?

Ma andiamo avanti non per dire dei corsi e ricorsi della storia, non solo per rimemorare il passato, ma anche per rilevare eventuali discrepanze (le analogie sono talvolta decettive o da cogliere in filigrana). Il titolo diviene dunque ereditario con l’appoggio del clero, dei cattolici, dei moderati con l’opposizione dei repubblicani, legittimisti (borbonici e orleanisti) e dei radicali. Se la storia è maestra di vita dobbiamo ricavare un insegnamento piuttosto banale: il suffragio universale è condizione necessaria ma non sufficiente di un sistema democratico, sia in senso formale, sia in senso sostanziale, sia cioè in un quadro normativo di rappresentanze, sia in un sistema politico nel quale l’informazione è manipolata da gruppi di potere omogenei e nel quale l’opposizione viene controllata e/o repressa, o alla quale viene impedito con i più vari espedienti di lavorare per capovolgere democraticamente i rapporti di forza esistenti. Il suffragio universale in Germania nel 1871, per fare un altro esempio, più che un evento democratico è una strategia per contrastare le spinte centrifughe particolaristiche dei vari stati del puzzle della Confederazione germanica.

A quanto sopra bisogna aggiungere che per avere un sistema democratico di rappresentanze occorre che esista una assenza di costrizioni (dirette o indirette, compresi i voti di scambio e la mancanza della libertà di stampa), una propaganda leale e uno spoglio delle schede onesto (non so in quanti paesi si realizza tutto questo…). Il caso di Napoleone III (ma qualcosa suggerisce che il sistema è clonato e se ne danno esempi attuali) rimanda non solo al primo e secondo impero, ma anche al regime Bismarckiano tedesco e via via anche ad altri sistemi non proprio limpidi di democrazia (europea e non). I moderni partiti politici non sono più semplici consorterie o club che vivono di vita effimera all’avvicinarsi delle elezioni, sin dall'inizio del novecento sono istituzioni permanenti con apparati di propaganda e segreterie stabili, costituiti in sezioni e sostenuti da militanti. Il gruppo parlamentare viene subordinato al partito. Qui però occorre operare una distinzione e segnalare un equivoco. Il partito non è un fatto pubblico, ma privato. Solo i suoi rappresentanti eletti sono un fatto pubblico.

Su questo si gioca gran parte degli equivoci che nell’immaginario collettivo trasformano i partiti in attori pubblici e non già in private consorterie, sia pure appoggiate da una massa più o meno ampia di sostenitori. Le elezioni non trasformano un partito in un organo pubblico, pubblici sono solo i rappresentanti indicati sulla scheda o indicati dal partito e votati dagli elettori. Un partito è e rimane un sistema privato che fa capo a interessi che non sono e non possono essere collettivi, ma sempre riferiti a gruppi di interesse (economico, ideologico e sociale). Dai rappresentanti pubblici nominati ci si può invece aspettare che essi agiscano nell’interesse generale (che poi ciò non accada è un altro paio di maniche). Negli ultimi trenta/quarant’anni della vita politica italiana, si è riaffacciato il modello del partito consorteria, un giano bifronte che del moderno partito politico conserva tutti gli apparati di massa, una iconografia ideologica, un sistema di rappresentanze, uno statuto e un programma sulla base di una visione della gestione dello stato (comprendendo gli intenti etici e le finalità idealmente definite come progettualità politica) che di fatto persegue il controllo degli apparati dello stesso stato mediante la partecipazione alle elezioni (occupazione delle cariche elettive).

Dall’altro lato il partito consorteria, al di là degli elementi tipicamente ideologici (la vetrina predisposta per i supporters) con la quale gli apparati propagandistici offrono un’immagine pubblica ai suoi sostenitori ed elettori con tutte le tipiche scenografie suggestive e gli slogan ad effetto (sventolii di bandiere, inquadrature televisive, adunate di massa, proclami, talkshow, comizi…), perseguono interessi e finalità non sempre dichiarati all’elettore e promuovono politiche che fanno capo agli interessi dei finanziatori e referenti più o meno occulti. In parole più semplici possiamo dire che i partiti - un po’ come per la dottrina filosofica della doppia verità - hanno un versante riservato alla massa degli elettori (considerati alla stregua di una mandria da guidare o di un elettorato da ammaestrare) e un versante riservato agli interessi della propria consorteria, intesa come gruppo ristretto di interessi più o meno dichiarati. I sistemi democratici vivono nella dialettica esterno/interno, ufficiale/ufficioso essoterico/esoterico, volgo/iniziati, verità palese/verità segreta, massa/consorteria e in definitiva costituiscono sempre al di là di qualsivoglia retorica e demagogia una forma massonica più o meno accentuata senza per questo che i suoi aderenti ne siano necessariamente consapevoli. 

Non è da dimenticare che all’origine dei moderni partiti politici ci sono quelle società segrete ottocentesche (reazionarie, liberali e socialiste) nelle quali oltre alla clandestinità vige la compartimentazione e dove le conoscenze delle finalità sono relative al livello gerarchico: le masse sullo sfondo erano un esercito di manovra delle sette. Nella supersetta dei Sublimi Maestri Perfetti di Filippo Buonarroti, gli obiettivi andavano al di là dello stesso liberalismo e della stessa democrazia - con finalità note solo ai vertici dell’apparato).

Gli interessi economici che girano intorno alla politica sono tali da mobilitare tutti i potenziali attori che possono ricavare vantaggi a livello personale o del gruppo di appartenenza, dei propri referenti e di tutti quei fiancheggiatori che ricevono adeguate contropartite. Il sistema dei lavori pubblici e le relative commesse costituisce l’ambito privilegiato con il quale gli interessi della consorteria si realizzano attraverso un sistema di clientele che rimanda soprattutto in certe realtà politiche ai sistemi di vassallaggio medioevale. In particolare le grandi opere costituiscono le occasioni privilegiate con le quali il partito consorteria realizza gli interessi suoi e dei propri referenti attraverso giustificazioni politiche adducendo motivazioni in genere sostenute con termini generici ma di effetto presso l’elettorato (sviluppo, posti di lavoro, il paese ce lo chiede, modernizzazione, salvaguardia ambientale, adeguamento…) ma di fatto promossi per utilizzare fondi pubblici in vista di interessi privati e di consorteria che spesso non solo non rispondono ad un reale interesse per la collettività e il benessere sociale, ma oltre che costituire uno sperpero di denaro pubblico determinano pesanti danni ambientali e forniscono ancora più potere a quei gruppi che usano lo stato per procacciare interessi personali e clientelari. 

In trasmissioni televisive si sente spesso dire basta con lo stato, in realtà è proprio lo stato a costituire uno strumento di una politica di gruppi privati con un volto pubblico di mera convenienza.

Le grandi opere sono emblematiche di tale politica double face. Emblematiche perché dimostrano come qualunque lavoro pubblico può essere giustificato utilizzando idonei apparati propagandistici e opportuni studi sull’impatto ambientale opportunamente pilotati. Il consumo di suolo nel Bel Paese è sotto gli occhi di tutti, il degrado e l’inquinamento di aree sempre più vaste del paese costituisce un’evidenza che non ha bisogno del riconoscimento di studi di settore. Eppure esiste sempre e comunque la possibilità di giustificare le opere più o meno grandi (e quelle più grandi ovviamente hanno una resa maggiore in termini di ricaduta per gli interessi di consorteria e clientela) in funzione delle suddette generiche giustificazioni che rappresentano un passepartout in grado di promuovere politiche ad hoc. Il problema corruzione in definitiva è solo una foglia di fico di fronte a una problematica ben più ampia, quella dell’interesse collettivo. Il suffragio generale in un contesto di un elettorato incapace di comprendere le problematiche e di valutare gli effetti delle politiche economiche, ci rimanda a quelle formule plebiscitarie alla Napoleone III nelle quali l’elettore è soltanto il destinatario passivo e ignaro di politiche decise dall’alto e suffragate dagli apparati propagandistici di una stampa asservita ai potentati economici, sempre in grado di promuovere il consenso con una informazione sapientemente pilotata.

Paradossalmente la rivendicazione del diritto al lavoro nella rivoluzione parigina del 1848 (che precede il colpo di stato di Luigi Napoleone) con l’istituzione degli Atelier Nationeaux (fabbriche nazionali) e l’utilizzo della manodopera operaia per effettuare lavori di sterro (scavare buche e poi ricoprirle nuovamente) facevano meno danni all’ambiente e alla collettività di quanto oggi fanno molte opere pubbliche tanto ciclopiche quanto inutili. I vecchi scandali (mani pulite su tutti) e i recenti (Expo - Mose - ecc...) in teoria dovrebbero far ragionare l'elettore sulla disonestà politica che grava economicamente su tutta la collettività. Ovviamente una politica economica in funzione della collettività (e la gran parte del territorio italiano delle epoche passate è testimone della lungimiranza dei nostri progenitori) dovrebbe scaturire da amministratori onesti e soprattutto da una popolazione consapevole e in grado di valutare le politiche economiche dei suoi rappresentanti.

L’elettorato italiano si qualifica invece storicamente (pensiamo all’affermazione del fascismo proprio grazie al suffragio universale appena introdotto nel primo dopoguerra, 1919) come una massa amorfa e facilmente influenzabile dagli apparati propagandistici. Tutta la storia degli ultimi trenta-quaranta anni lo dimostra. La facilità disarmante con la quale il potere usa la demagogia e la retorica più grossolane, costituisce prova di un degrado del paese che oltre che ambientale è anche antropologico e culturale. La televisione spazzatura ha creato l’humus per un elettore asservito agli slogan e incapace di distinguere tra propaganda e informazione... e le recenti elezioni lo attestano in modo inequivocabile.


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1 commento:

Anonimo ha detto...

STUPIDITA HO CALCOLO?
Voltiamo pagina spazzando via Tutta La classe politica

Che ha permesso la nascita de l’era BERLUSCONIANA Riportandoci al (medio evo) dove il padrone dettava LEGGE.

la crisi MONDIALE fa da spia i paesi emergenti invadono i mercati con produzioni a basso costo
chi governa impegnato a risolvere gli interessi delle lobby tralascia i veri problemi che aggravano la situazione ITALIANA.


Dopo due GUERRE e lotte sindacali in questi ultimi 100 anni cosa abbiamo ottenuto dai padroni solo sacrifici e tante chiacchiere.


Rispetto ha 66 anni fa le risorse energetiche sono agli sgoccioli I mercati sono saturi
Per risolvere la crisi? ( semplice ) Scateneranno la terza GUERRA MONDIALE
Cosi con una fava prenderanno due piccioni livelleranno la popolazione MONDIALE
e/ i sopravvissuti ? saranno i nuovi schiavi .
Il Declino de Le Generazioni del dopo guerra cresciute ne l'opulenza si dividono in due
Categorie classe politica serva delle lobby e i succubi (Beoti ) Troppo presi da droga divertimenti diete e stronzate varie
Non si sono resi conto che il declino è iniziato negli anni 80 con l’evento al Governo di B. Craxi
Il debito pubblico a incominciato ha crescere a dismisura naufragando
Con L’ultimo Governo di SB suo delfino.
Che per fare i suoi interessi ha dato il colpo di grazia.

Hanno scoperto che rende di più quotarsi in borsa e spostare gli stabilimenti nei paesi comunitari dove il lavoro costa meno.

Quando il lavoro a basso costo nei paesi sottosviluppati finirà scongeleranno i nostri precari
ne l’attesa fra crisi e sacrifici ci riabitueremo al peggio tanto da osannare i futuri sfruttatori W. L'ITALIA.
PS

Ho lavorato per 18 anni alla stazione di Santa Maria Novella di Firenze ciò che descrivo nel post è verità il tutto rispecchia la nostra società e ciò che saremo. DOMANI
Anime sospese le ho viste aggirarsi in tutte le stazioni in cerca della loro identità perduta. Vita vissuta ai margini della dignità imposta da una società malata, priva di amore verso i più umili che stanchi di lottare si sono arresi assistendo impassibili a quella vita che non gli appartiene più. Vita ricercata nella folla frettolosa schiava del tempo che passa veloce, come fossero automi. Taluni offrono una moneta tenendo in vita queste anime sospese condannate a fare da specchio a tutta l’umanità. VITTORIO