giovedì 20 gennaio 2011

Ma Luca Sanna cosa ci faceva in Afghanistan?

L'Afghanistan è una nazione in cui vivono trenta milioni di persone divise in 7 e più etnie. La gente afgana da millenni è costretta a combattere gli invasori. Non tutti sanno che per 96 anni, dal 1823 al 1919, fu annessa all'Impero Britannico. In quel secolo vi furono innumerevoli guerre di indipendenza che culminarono con la riconquista del territorio e la cacciata degli inglesi. Ma non sono stati gli unici ad essere cacciati da quelle terre; nei tremila anni precedenti  tanti furono i popoli che tentarono una conquista, ma nessuno è rimasto all'interno di quei confini perché quella gente, in un modo o nell'altro, se li è ripresi. Gli indoariani, i medi, i persiani, i greci, i maurya, quelli dell'impero Kushan, gli unni bianchi, i sasanidi, gli arabi, i mongoli, i turchi, tutti sono stati rispediti al mittente grazie ai luoghi aspri e montuosi che non permettevano un vero e totale controllo delle varie province.
Nel 1973, dopo oltre un mezzo secolo di monarchia, venne instaurata la prima Repubblica afgana. Nel '78 vi fu un colpo di stato e la presidenza andò ad un filo-sovietico. Nel '79 fu ucciso e la Russia mandò i carri armati ad occupare Kabul cercando di prendere il potere su tutto il territorio. Ma si era negli anni della guerra fredda e pertanto gli americani dell'allora presidente Carter, e del successivo presidente Reagan, finanziarono i mujahidin ed insegnarono loro tutti i trucchi imparati dai marines sulla propria pelle nel conflitto vietnamita da poco terminato. Nel '89 i sovietici si accorsero di quanto fosse titanica l'impresa, e di quanto gli costasse in termini di vite umane, e decisero di ritirarsi. Tutti contenti?

No perché i mujahidin, quelli finanziati dagli Stati Uniti d'America e dall'Arabia Saudita, non erano proprio personcine a modo; i combattenti della Jiahd, questo significa la parola mujahidin,  si divisero in vari gruppi combattendosi aspramente fra di loro fino a quando ebbero la meglio i talebani, gli insegnanti estremisti dell'islam. I loro ideali politici e religiosi non erano, e non sono, il massimo; se negli anni della repubblica le donne erano costrette a togliersi il burca e ad andare a scuola, e gli uomini a radersi la barba, sotto il regime talebano, in fondo filo-americano perché nato per cacciare i sovietici, fu reintrodotto il velo, vietata l'istruzione femminile ed obbligata la barba. A chi non la portava, o non ne aveva in misura giusta, venivano inflitte punizioni corporali che potevano arrivare finanche alla pena di morte. Ma alle altre nazioni, in quel periodo, poco importavano questi dettagli repressivi e restrittivi della libertà.

Il problema sorse, si disse, quando Osama Bin Laden fu cacciato dal Sudan e riuscì a trovare un accordo, anche se in precedenza aveva combattuto i sovietici con i mujahidin dell'Alleanza del Nord, coi talebani insediatisi al potere. E da qui inizia la storia dei giorni nostri. Anzi, inizia qualche anno prima perché Bin Laden era un terrorista che organizzava attentati contro gli americani già da tempo. Al governo afgano fu chiesta varie volte l'estradizione del capo di Al Qaeda, che fu sempre negata, l'ultima volta nei giorni successivi agli attentati del 11 Settembre 2001.

Neppure dieci giorni dopo i dirottamenti aerei che portarono alla distruzione delle Torri Gemelle, ed alla morte di 3000 persone, una coalizione U.S.A.- Regno Unito avviò i bombardamenti sul suolo afgano che si presumeva, ed ancora si presume, fosse la base di Osama Bin Laden. In meno di un mese i talebani, anziché farsi trucidare, si ritirarono al confine col Pakistan, tradizionalmente in quel periodo un loro paese amico, e ripresero a praticare i metodi che gli americani gli avevano insegnato negli anni dell'occupazione sovietica. Nel frattempo a Kabul, dopo libere elezioni, fu instaurato un governo, che ancora oggi è in carica, e dato mandato all'Onu affinche forze alleate aiutassero a mantenere l'ordine nel paese.

Questo è un riassunto molto sommario che serve a capire con chi hanno a che fare i nostri soldati in quella terra formata quasi completamente di montagne ed altopiani. Ciò che io mi chiedo è se al momento della firma, cioè prima di partire per l'Afghanistan, viene spiegato ai ragazzi italiani che avranno a che fare con una etnia islamico estremista che ha nel dna il gene della guerriglia. Con uomini che vivono la morte come fosse una nuova vita, una resurrezione. Con mujahidin che non provano alcun ribrezzo nell'amputare pezzi di carne a persone vive.

I nostri cari e ridicoli ministri, e non si sentano abbandonati perché la maggioranza di quelli che comanda il mondo è come loro, sanno in che luogo e contro chi mandano i nostri connazionali? Oppure si fidano ciecamente degli americani tanto da credere che con due satelliti sempre spenti e tre radar malfunzionanti i militari della coalizione internazionale si possano proteggere? A me piacerebbe essere l'ossigeno di un pensiero ministeriale per scoprire se dietro lo sguardo triste che espongono ogni volta che in quelle maledette terre muore un italiano padre di famiglia, o un ragazzo appena diventato uomo, c'è il calore di un dolore o il freddo di un menefreghismo. Perché in fondo, diciamocela tutta, potrebbero anche pensare che 36 morti in sette anni non sono un dramma se rapportato al numero di chi ci rimette la vita negli incidenti stradali di un week end.

I politici italiani, qualsiasi colore abbiano addosso, hanno deciso di aderire ad una coalizione internazionale che sta perdendo uomini ogni giorno, di aderire ad un progetto che non è un progetto in quanto si sa quando si è entrati ma non si sa quando se ne uscirà. Portare la Pace è cosa buona e giusta, nessuno lo discute, ma partire come fece Brancaleone quando andò alle Crociate senza un minimo di strategia o di piano, sia quinquennale decennale o ventennale, è una cosa che dovrebbe farci tutti incazzare.

Premesso quindi che Luca Sanna era partito da Oristano per andare in un paese in guerra sapendo, come Matteo Miotto, di non essere sicuro di tornare, che la missione così come è concepita non ha alcun senso in quanto si potrebbe restare a portar pace per un altro secolo e scoprire fra cent'anni di non aver ancora portato nulla, che i guerriglieri prima di fare gli attentati studiano un sistema e poi lo attuano, possiamo concludere e finalmente capire che i Talebani hanno un piano e sanno cosa fare e noi no, che siamo in Afghanistan da quasi un decennio ed ancora non sappiamo cosa potrebbe risanare quella nazione e farci tornare a casa.
Ma non solo noi, neppure gli altri alleati lo sanno!

Ha un senso il far partire tanti bersagli umani, non c'è altro termine purtroppo, senza avere ben chiaro quale vantaggio darà la nostra presenza ad un piano di stabilità che non esiste? Voi sapete qualcosa che io non so? Se sì, riuscite a spiegarmi cosa ci fanno in Afghanistan i nostri soldati?


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