Di Gilberto Migliorini
Un uomo, padre di famiglia,
buon lavoratore e incensurato, sulla cresta dell’onda mediatica come il mostro
della porta accanto. Tenuto in carcere molti mesi ed esposto alla gogna, al pubblico ludibrio, con una perseveranza e un accanimento degni di un processo all’untore
di manzoniana memoria. Una spesa colossale per investigazioni (tanto pagano i
contribuenti) e una famiglia, quella dell’imputato, sottoposta a drenaggio
economico per potersi difendere adeguatamente. Difendersi da che cosa? Da un Dna.
La nuova frontiera della prova è infatti qualcosa che di reale non ha quasi più
nulla, si tratta di un codice evanescente come i numeri che si giocano
al lotto. Nella fattispecie purtroppo non si vince nulla ma si perde tutto,
si finisce in galera e grazie ai media alla tortura mediatica.
Ma si sa… la scienza non sbaglia. E' il leitmotiv di tanta criminologia nostrana, con quegli azzeccagarbugli che popolano gli studi televisivi e con quell’espressione da Sherlock Holmes ti dicono con aria saputa: Elementare Watson! Il collaboratore non fa una piega e si limita a
guardare il maestro con un misto di meraviglia e di compiacimento.
L’investigatore dallo sguardo acuto e penetrante, dal caratteristico naso
aquilino, se ne esce con quel suo aforisma da lasciare tutti di stucco: “una volta eliminato l’impossibile, ciò che
resta, per quanto improbabile, deve essere la verità”.
Nonostante materiale
biologico esposto per mesi alle intemperie e agli sbalzi termici, nonostante
qualche nanogrammo dietro a un francobollo mescolato al solvente della colla…
la hybris di tanto scientismo da avanspettacolo con la sicumera alla quale
tanti operatori da laboratorio del Csi ci hanno abituati con quelle atmosfere
rarefatte e sfolgoranti di marchingegni più o meno misteriosi... e soprattutto
quei camici bianchi che fanno tanto effetto scenografico. Atmosfere incontaminate
come quelle del campo di Chignolo e paternità decretate con arditi
procedimenti di estrazione di salive invecchiate più di un vino pregiato.
Ma facciamo un passo indietro
per capire come la prova scientifica (termine quanto mai fuorviante) sia diventata la nuova testimone protagonista delle indagini, in barba alla
epistemologia e perfino al buon senso. L’effetto Csi ha colpito ancora, come se
si trattasse di un virus che ha contagiato, oltre alla scientifica (nome quanto mai evocativo di procedimenti infallibili), milioni di sherlock in erba ormai attrezzati di alambicchi e micro-pipette (virtuali)
che seguono con acritica ammirazione le performance del moderno detective armato
di cartine al tornasole, agitatori molecolari e una buona dose di fede
incrollabile in una metodologia che purtroppo al di fuori del laboratorio e
delle situazioni controllate può dar luogo a spiacevoli equivoci... e talvolta a
colossali qui pro quo.
Per i criminologi televisivi
che saltano tra i canali, si tratta di blaterare di mitocondriale, nucleare,
clonale… e chi più ne ha ne metta, l’importante è creare quell’aura di scienza
esoterica che evoca i camici bianchi, tecnici alla Jurassic Park che ti
sfornano un nuovo Tyrannosaurus Rex perfettamente clonato da dare in pasto a
un’opinione pubblica assetata di creature mostruose e di un colpevole
inchiodato con l’acido desossiribonucleico. Meglio ancora se si tratta di
prodotti di sintesi costruiti in provetta e fatti crescere amorevolmente a
forza di scoop e di rivelazioni dell’ultimo minuto, centellinate a puntate per dare suspense
al popolo mediatico che pende dalle labbra di qualche esperto dall’aria
criminalista e dall’occhio assatanato. Perché... ciack, si gira.
Come in qualsiasi
fiction che si rispetti c’è anche il colpo di scena del nuovo testimone che a distanza di anni ha dei ricordi improvvisi, vere
illuminazioni che squarciano le tenebre… insieme a tutto quel corteo di amanti
e di testimoni dell’ultima ora che rievocano storie belle e terribili piene di
pathos e di sconvolgenti rivelazioni. Lo spettacolo è servito, sull’onda di
quella parola magica totipotente e evocativa come un film di Spielberg: Dna. La parola è di quelle che mettono
tutti d’accordo, meglio perfino di abracadabra
e più evocativa di un incantesimo molecolare. Quando risuona l’acronimo tutti
si mettono sull’attenti come se si trattasse della Marsigliese, per quanto dietro ci possa essere il vuoto sostanziale
e perfino, a volte, solo un po’ d’aria fritta. Ma si sa… gli odori sono
ottimi indizi per il fiuto di un detective come Holmes che, è noto, aveva un
profonda conoscenza della chimica e che occasionalmente, quando non digiunava o
si accontentava di scatolette e pesche sciroppate, amava anche la buona cucina.
Allora purtroppo il Dna era ancora di là da venire in ambito criminologico e
bisognava accontentarsi più modestamente di un po’ di medicina legale.
Finalmente dopo i dinosauri del mondo
perduto il grande pubblico, e non solo, si è a tal punto affezionato alla
genetica che oramai anche le massaie di vattelapesca
conoscono a menadito cos’è un acido nucleico e i suoi nucleotidi, per non
parlare dell’informazione genetica e relativi processi di trascrizione…
Tutti dovrebbero sapere in
cosa consiste un procedimento scientifico e quali sono i limiti di validità di un
metodo quando si è in presenza di situazioni non controllate. Il progresso scientifico è avvenuto attraverso
esperimenti che hanno riprodotto in laboratorio alcuni aspetti della ‘realtà’
isolandoli da altri in modo da poter formulare ipotesi e trarre conclusioni
nella distinzione tra variabili dipendenti e variabili indipendenti, quindi pesando le une e le altre in un
procedimento che mediante controlli fattuali e misure quantitative potesse
creare dei nessi certi tra i fenomeni studiati, isolati nella situazione
controllata del laboratorio e riprodotti vieppiù (nella riproducibilità
dell’esperimento) per avere conferma che nessun elemento o variabile estranea
fosse intervenuta a falsare i risultati della situazione sperimentale.
L'area di un delitto è
quanto di più lontano ci possa essere e si riesca ad immaginare dalla situazione
controllata del laboratorio. Anche quando si provveda a isolare il luogo con
tutte quelle precauzioni atte a congelare la scena del crimine, la procedura
non offre alcuna garanzia che la contaminazione non ci sia già stata. Cosa
comunque impossibile anche nell’evenienza ideale che nessuno dopo l’uscita di
scena dell’assassino abbia avuto accesso alla scena del delitto. Le situazioni
reali per definizione sono troppo complesse per poter estrapolare dati certi. Non
parliamo di un cadavere ritrovato dopo mesi dalla morte in una zona dove
chiunque poteva aver manipolato la scena, sia volontariamente e sia
involontariamente, e dove il materiale si sarebbe degradato alle intemperie.
Anche nel caso che quel Dna fosse davvero di Bossetti, l’indizio sarebbe
rimasto tale… a meno di suonare la grancassa mediatica (come al solito) al
punto che sarebbe di sicuro saltato fuori qualche testimone, anche perfettamente
in buona fede... ed anche le prove a posteriori, quelle che si formano per procedimento
induttivo (ciò che si usa ancora nei tribunali nonostante l’epistemologia
contemporanea popperiana ne abbia dimostrato l’inconsistenza sul piano logico e
su quello scientifico).
L’immagine di una polizia
scientifica in grado di risolvere un delitto soltanto con qualche analisi di
laboratorio si scontra con la realtà concreta, quel quotidiano mestiere di
vivere (e talvolta di delinquere) che non è un laboratorio isolato e dove la
contaminazione, l’aggiunta e la sottrazione di elementi, costituisce una
normalità irriducibile all’esame oggettivo - che invece presuppone situazioni
completamente controllate che non si realizzano mai nella realtà di un
omicidio. A meno di sapere in anticipo quando avverrà così da predisporre tutti i sensori per
rilevare ogni traccia possibile? In realtà nemmeno in quel caso avremmo probabilmente
certezza sull’autore del delitto. Tutti i sistemi di registrazione automatica,
senza un osservatore in carne ed ossa che segua procedimenti deduttivi logici, sono
suscettibili di errore o bachi, o semplicemente estrapolano dei dati parziali.
I cosiddetti sistemi esperti soffrono di una inguaribile patologia: sono miopi
al contorno. Se da un lato focalizzano bene alcuni elementi, dall’altro proprio
l’accuratezza mirata ad estrapolare alcuni dati li rende del tutto insensibili e
miopi a tutte quelle condizioni al
contorno che potrebbero, invece, dimostrare che il sistema sta prendendo una
solenne cantonata.
Questo significa che gli esami
di laboratorio in nessun caso possono produrre certezze e che la loro utilità
è indubbiamente quella di suggerire ulteriori sviluppi investigativi, anche di
tipo tradizionale. La differenza è epistemologicamente sostanziale: un conto
sono esami di laboratorio atti a suggerire percorsi investigativi (e in questo
senso la scientifica fornisce un apporto insostituibile), e un conto sono esami
di laboratorio che abbiano la pretesa di cavar fuori il nome di un assassino
come se si trattasse di una macchina magica: da un lato si introduce un
pezzetto di mondo e dall’altro capo salta fuori la ricostruzione puntuale di un
delitto. Purtroppo molta cattiva divulgazione scientifica ha convinto non solo
un’opinione pubblica credulona, ma anche molti addetti ai lavori in campo
criminologico, giuridico e forense. Lo scienziato ha assunto una tale
mitizzazione, da confonderlo spesso con il tecnologo che conosce solo il suo
orticello e che non si è mai posto a riflettere su problemi di metodo e di
validità dei protocolli che utilizza nel suo campo di ricerca al di fuori del
suo laboratorio di analisi.
A complicare ulteriormente la
scena del crimine c’è il ruolo dell’osservatore che, per inciso, non è quello
della meccanica quantistica, ma semplicemente la convinzione che l’inquirente
ci mette nel perseguire l'uomo (o la donna) che considera l’assassino. Il caso di Avetrana docet e testimonia di come di
una relazione scientifica si finisce per considerare attendibile quello che
conferma l’idea che l’investigatore si è già fatto. L’esempio emblematico è
quello della relazione del professor Arbarello (una relazione scientifica di
tutto rilievo) che avrebbe dovuto offrire suggerimenti e stimoli per ulteriori
approfondimenti ed investigazioni e che invece è apparsa inspiegabilmente come
lettera morta, a dimostrazione che l’indagine scientifica in definitiva
conserva una sua neutralità e che proprio chi ha l’onere di investigare può, se
lo vuole, ricavarne stimoli e direzioni
investigative.
Un passo della relazione del professor
Arbarello, direttore del Dipartimento di scienze
anatomiche, istologiche, medico-legali e dell’apparato locomotore
dell’università La Sapienza di Roma, cita:
“Non ci sono elementi per affermare con
certezza che la sfortunata ragazza sia morta per strangolamento” e “il livello
in cui si colloca la lesione non è compatibile con lo strangolamento. Guardando
le foto, la fascia è molto sotto il mento. Non c'è una ragione che mi spieghi,
anche in termini isto-patologici, perché la cute della povera ragazza immersa
in acqua abbia questa fascia preservata.”...
Il solco biancastro rilevato sarebbe,
secondo Arbarello, più compatibile con l’impiccamento. La compressione del
collo, ha inoltre precisato, avrebbe dovuto provocare un’emorragia che non è
stata riscontrata in sede di esame autoptico.
Conclusioni chiare e inequivocabili in questo caso, vera scienza, che
forse avrebbero dovuto suggerire anche altre direzioni investigative tenuto
conto che l’impiccamento suggerisce scenari anche molto eterogenei… che però
gli inquirenti hanno preferito non approfondire.
Dunque un uso appropriato della prova scientifica, scevro da
pregiudizi investigativi e innamoramenti di una tesi criminologica, può
risultare molto produttivo in una indagine e fornire nuovi suggerimenti
investigativi e direzioni di ricerca. È ancora una volta è la sensibilità
dell’inquirente che deve cogliere i suggerimenti opportuni per evitare le facili
suggestioni di una scienza-spettacolo alla Jurassic Park. Quando la scienza
diventa spettacolarizzazione e procedimento induttivo, come nel caso Bossetti, la
cantonata è davvero dietro l’angolo.
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2 commenti:
Ottima esposizione di una realtà di fatto che avrebbe bisogno di una raddrizzata, ma che forse è troppo conveniente così com'è.
Farsi veri dubbi scientifici comporta creare ragionevoli dubbi in dibattimento: non sia mai!
Ben scritto Gilberto!
CHAPEAU!
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