Papa Francesco,
scusa, sono di nuovo io, ti ho già scritto una volta. E lo rifaccio ancora. So che in questi ultimi tempi, da quando hai abolito l’ergastolo in Vaticano, ti stanno scrivendo molti ergastolani per chiederti di fare qualcosa anche per loro.
Io invece questa volta se scrivo di nuovo è per raccontarti un episodio della mia infanzia.
Papa Francesco, una volta in collegio un prete mi raccontò la storia di un bambino che parlava con Gesù. Si chiamava Marcellino. Era un trovatello. E i frati si erano presi cura di lui. Un giorno Marcellino aveva trovato nel solaio del convento un grande crocefisso con un Gesù inchiodato. Lui iniziò a parlargli. E Gesù a rispondergli. Marcellino iniziò pure a portargli un po’ di pane e vino. E per questo in seguito i frati chiamarono il bambino “Marcellino pane e vino”. La storia finiva bene. Bene per modo di dire, a seconda dei punti di vista: Marcellino si era gravemente ammalato. Ed era morto. E Gesù se l’era portato in cielo.
Papa Francesco, anch’io volevo che la mia storia finisse bene. E dopo un paio di giorni che avevo sentito questo racconto ero andato in chiesa di nascosto per parlare con Gesù. Lui stava inchiodato in un grosso crocefisso di legno con la testa inclinata da un lato. Gli parlai guardandolo negli occhi. Gli domandai cosa dovevo fare nella vita. Se c’era differenza fra morire e vivere. E poi piansi davanti a lui per essere nato diverso dagli altri bambini. Piansi per i sogni che avevo diversi dagli altri bambini. Piansi per essere nato grande. Piansi per essere nato senza amore intorno a me. Piansi perché immaginavo che un giorno sarei diventato quello che non avrei voluto. Piansi per la vita che non avrei mai avuto. Piansi perché non riuscivo a smettere di piangere.
Papa Francesco, quel giorno chiesi a Dio se faceva morire anche a me. E se mi portava in cielo con lui, come aveva fatto con Marcellino. Una volta montai persino su una sedia per arrivare fino a lui per baciargli la fronte. E per dirgli in un orecchio: “Ti voglio bene”. Un’altra volta cercai di togliergli la corona di spine che aveva in testa. Un giorno piansi per tanto tempo, ma se il cuore di Dio è duro, quello di Gesù lo fu ancora di più, perché continuò a non rispondermi.
E un altro giorno vidi persino che Gesù abbassava gli occhi per non guardarmi.
Papa Francesco, devi sapere che Gesù non mi rispose mai. Non mi parlò il primo giorno. E neppure tutti gli altri giorni che lo andai a trovare di nascosto. Neppure quando, per arruffianarmelo, gli portai un po’ di pane e un po’ di vino che avevo rubato dalla dispensa dei preti. Si potrebbe dire che il primo furto l’ho fatto per Gesù. E per ringraziamento lui non si degnò mai di scendere neppure un attimo da quella croce. Non mosse mai un muscolo. Neppure quella volta quando lo abbracciai. Quando gli baciai i piedi inchiodati nella croce. E quando lo pregai di farmi morire come aveva fatto con Marcellino pane e vino. Già a quell’età non vedevo nessuna differenza fra vivere e morire.
Papa Francesco, a quel tempo qualche preghiera l’avevo imparata, ma le stelle per me non hanno mai brillato. E non c’è stato nulla da fare. Nonostante le mie preghiere Gesù non mi rispose mai. E mentre quel fortunato di Marcellino pane e vino se lo era portato in Cielo, a me aveva lasciato in questo disgraziato di mondo.
Papa Francesco, ti ho raccontato questo episodio della mia infanzia perché nella mia prima lettera ti avevo scritto che gli uomini ombra del carcere di Padova ti aspettavano, io per primo.
Tu però non sei venuto, non ancora. Lo so che hai tante cose da fare, devi vedere tante persone e non puoi sprecare il tuo tempo per un migliaio e poco più di ergastolani ostativi, né morti né vivi.
Io lo sapevo che non saresti potuto venire, non so se neppure Papa Francesco potrebbe osare tanto da andare a trovare gli ultimi dannati della terra, ma il bambino dell’episodio che ti ho raccontato, che è ancora dentro di me, crede ancora ai miracoli.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, 2013
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14 commenti:
Molto di tristemente poetico in questo scritto, ma forse l'Autore dimentica un dettaglio per nulla trascurabile in tutte le religioni rivelate, quindi anche nel Cristianesimo: per i peccatori non pentiti adeguatamente ed in tempo, non c'è solo un ergastolo che dura una sola vita, ma la pena eterna nell'Inferno (sia pure metaforicamente inteso), con i tormenti inflitti dai demòni.
Mi spiace contraddirti, Manlio, ma non si può paragonare Musumeci (e chissà quanti altri) ad un “peccatore non pentito” solo perché non ha fatto la spia. Certe persone, di un certo ambiente, hanno dei codici d’onore insinuati nelle midolla (nemmeno nei collegi di un tempo, dove ha vissuto mio marito, orfano di guerra, o nell’asilo delle suore frequentato a suo tempo da mia figlia, si potevano fare i nomi del “colpevole”).
Tra l’altro, basta il concetto di “spione” (“Chi fa la spia non è figlio di Maria”, era la cantilena fanciullesca) per catalogare un soggetto come indegno della comunità.
Però, nel Cristianesimo (e finalmente Papa Francesco ha ripreso il dogma teologico della infinita Misericordia del Creatore), qualunque peccatore, anche il peggiore, anche chi si toglie la vita o la toglie ad altri, ha la possibilità di salvarsi dalla pena eterna dell’Inferno, perché solo Lui vede e legge nei cuori, e non importa cosa “appare” agli occhi umani (e a coloro che giudicano con i parametri terreni), al Divino basta un barlume di pentimento, di riconoscimento dell’errore, di analisi cruda della propria vita, della sofferenza inflitta e di quella patita, per evitare “i tormenti inflitti dai demòni”.
Il guaio per gli atei e i miscredenti è che pure loro hanno l’anima dentro di sé, anche se la ingnorano, e con quella faranno i conti nell’ultimo secondo della loro esistenza umana! Detto ciò, sono certa che Musumeci (e chissà quanti altri) seguirà la fine del malfattore crocefisso alla destra di Cristo: andrà, prima o dopo, in Paradiso anche lui, dopo aver espiato l'Inferno su questa terra.
Carissima Mimosa,
io non sono affatto ateo, perché non è che le religioni rivelate (ovvero con tanto di Libro sacro), abbiano il monopolio della credenza in Dio e nell'immortalità dell'anima. La filosofia, fino almeno da Senofane, ne ha determinato vari concetti legati alla ragione, e non alla pura credenza data da abitudini e riti familiari e sociali. Scambiamo per Verità ciò a cui siamo stati abituati fin dall'infanzia. Personalmente, essendo nato in una famiglia in cui mio padre era un ateo spiritualista (ovvero, credente in un Assoluto non personificato) e mia madre, cattolica praticante ma senza fanatismi, con una storia familiare precedente ancora più complessa, che non sto qui a riassumere, ho sempre sentito vivamente il problema religioso come problema quotidiano da mettere in discussione continuamente.
Nel commento precedente ho solo sottolineato che, se l'uomo può condannare al massimo per una vita (o per quel che resta di essa), le religioni rivelate condannano spesso per l'eternità. Basterebbe citare Dante Alighieri, o la Bibbia, ovvero il Corano. Mentre viceversa religioni orientali credono in una progressiva purificazione dell'anima attraverso reincarnazioni.
Riguardo alle decisioni di Dio sui singoli individui, nulla possiamo sapere, ma accettiamo quello che ci viene detto dai testi sacri e dai loro interpreti.
Aggiungo pure che le religioni rivelate si sono macchiate di orrori e di fanatismi, anche riferendosi ad un medesino testo sacro, e questo basti per quanto valga la loro credibilità sul piano razionale, appunto, e storico.
Riguardo a quanto scrive il Musumeci, non ho letto il suo libro, e quindi non lo giudico come opera letteraria o autobiografica che sia. Non era quello il mio intento.
Il dialogo con Dio non avviene di fronte ad un manufatto umano, ma nell'intimo dell'uomo, come già sosteneva S. Agostino. E questo dialogo si realizza ogni qualvolta l'uomo si chieda se faccia bene o male ad agire in un certo modo. Non serve che si inginocchi, si batta il petto, si prosterni a terra, vada a celebrare riti settimanalmente, ma attui ciò che la coscienza etica e razionale gli detta ogni qualvolta si trova di fronte ad un bivio, scegliendo ciò che gli risulta Bene ed evitando ciò che gli risulta Male. Può errare, ma non con intenzione, deve assolutamente agire secondo canoni universali, che ben espresse Kant nelle tre formule dell'imperativo categorico.
Infine, di fronte all'interrogativo di Pascal rispetto al pensiero di Cartesio, quando si chiese che rapporto vi fosse tra il Dio-Ragione dei filosofi e il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, ebbene la mia scelta è molto ferma: quello dei Filosofi, non quello dei santoni.
PS) Se Dio manderà in Paradiso questo Carmelo Musumeci (Paradiso che non è un luogo materiale, ma una condizione dello spirito di perfetta beatitudine, secondo la teologia cattolica), dove dovrebbe mandare una Lea Garofalo torturata, seviziata, uccisa e bruciata ?
Ho letto su un sito INTERNET (Agorà) che questo Carmelo Musumeci si è fatto praticamente tutti i gradi di studio nel carcere, fino alla laurea in Giurisprudenza. Complimenti per la sua forza di carattere. Ma mi chiedo: è tanto male il carcere italiano, e soprattutto il 41 bis, se consente addirittura di fare ciò che, se fosse rimasto libero, probabilmente non avrebbe mai fatto ?
Allo stato di beatitudine si arriva per gradi, chi prima chi dopo, chi ci mette più tempo per ripulirsi l'anima chi meno, e una volta "purificati" siamo tutti uguali.
Persino la società dovrebbe accettare il pieno reintegro nel proprio consesso di un reo che abbia espiato la sua pena, perché "ha pagato il debito" con la giustizia terrena ... vuoi che la Giustizia Divina sia meno accogliente?
Cara Mimosa, per la teologia cattolica e cristiana più in generale, il sincero pentimento è dovuto, ma è un fatto interiore. Si sconta tutto ciò che c'è da scontare senza lamenti, e dopo si è "puri". Il vero pentimento è manifestato non tanto dalle parole, ma dalla "contrizione", dal voler scontare ciò che c'è da scontare, senza - scusa il gioco di parole - esigere sconti e riduzioni di pena. Parlo ovviamente di coloro che sappiano di aver agito in modo criminale.
Io credo che, in materia di pene, per reati di particolare gravità dal genocidio alla strage, agli omicidi efferati e ripetuti (tipo: Mostro di Firenze - pedofili assassini - torturatori, ecc. Ho letto oggi di un 'ndranghetaro che ha dato in pasto ai porci un nemico morente, Dimmi cone può veramente pentirsi un essere, un vero mostro, che compia atti simili e se ne diverta) l'ergastolo sia un atto dovuto. Se quello è il massimo, il resto dovrebbe essere correlativo progressivamente alla gravità del reato (ovviamente se compiuto dal condannato), senza sconti, perdoni, grazie, amnistie, indulti.
Quanto a Dio, non so se un cattolico o un credente in altre fedi possa giudicare il giudizio di Dio, che per definizione è Imperscrutabile ed Inconoscibile, ma certo non può mettere "sub specie aeternitatis" sullo stesso piano il martire o l'onesto, con il delinquente sia pure tardivamente pentito. Lo stato di beatitudine, insegnano i teologi (e Dante lo ha sottolineato poeticamente), non è uguale per tutti.
Questo pensiero è tipico delle religioni rivelate: rispetto alla ragione pura, non sappiamo che cosa esista dopo la morte e in quale senso le anime possano essere punite, visto che il peccato non è commesso dal solo corpo, o dalla sola anima, bensì da quello che Aristotele chiama "sinolo",ovvero l'unione di anima e di corpo. Cambiando la condizione, si può ragionevolmente supporre che all'anima di un defunto resti solo la consapevolezza di un maggiore o minore successo nel compiere il Bene, nella vita cosiddetta terrena.
Ho guardato alcune cose del suo blog: parole molte, storie romanzate anche, ma non ho capito che cosa abbia fatto per ottenere l'ergastolo ed essere considerato una "belva".
Ecco quanto sono riuscito a trovare sulla biografia di questo scrittore "ergastolano ostativo". Peccato che, per capire veramente che cosa lo abbia spinto all'ergastolo, manca proprio quello che il biografo dice che non interessa, ovvero i percorsi per i quali è arrivato a quello. Ciò servirebbe per capire meglio la situazione, ma ovviamente non si vuole farlo sapere (un ottimo modo per riconoscere i propri errori: non dirli! delinquere non è certo consigliato o sollecitato dai medici curanti...).
Questi signori dovrebbero rileggersi una delle opere fondamentali nella storia del Diritto penale, ovvero "Dei Delitti e delle Pene" di Cesare Beccaria, dove appunto si proponeva la schiavitù perpetua (lavori forzati a vita), al posto dela pena di morte, allora applicata con metodi atroci, non va dimenticato. Né si dimentichi che la pena di morte è una condanna di tutti gli uomini, compresi i più innocenti. Molti che si associano a questa curiosa dottrina addirittura elogiano la pena di morte rispetto all'ergastolo, tornando indietro di un secolo o più (Mussolini la fece ripristinare per gravi delitti). Qualcuno parla di fini rieducativi della pena: più rieducativi che riuscire a prendersi una laurea triennale, una quinquennale e fare altri corsi universitari, pubblicare libri, ecc., che cosa può esserci ? cosa che non avrebbe probabilmente ottenuto standosene libero...!
Che cosa vuol dire essere amico di clericali e di marxisti atei insieme !
Etna style
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Carmelo Musumeci, un figlio dell’Etna
Jusy Accetta+ 19 aprile 2012 Costume e Società
“E mentre maledico
il giorno che deve
ancora venire
cado in preda
al passato per
avvertire il gelo
della solitudine
del maledetto
presente…
Mi alzo e lego
il lenzuolo
ma penso…
perché morire
senza prima vivere
o vedere vivere
e slego il lenzuolo…
Carmelo Musumeci - Uomini Ombra
Carmelo cresce, diventa uomo e sceglie, per volontà o destino, (non ci interessa saperlo) percorsi e cammini tali , che un bel giorno all’età di 36 anni lo portano, inevitabilmente, a scoprire un altro mondo: il carcere, condannato all’ergastolo ostativo, una pena a vita senza sconti e regali.
Un prezzo pagato per avere scelto di non essere un infame e di non rovinare la vita altrui pur di ottenere un salvataggio che altro non sarebbe stato che un surrogato di una pietosa e deleteria esistenza.ta)
• Il sito ufficiale di Carmelo Musumeci
•Urla dal silenzio
•Informacarcere
Aci Sant'Antonio
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PER COMPLETEZZA D'INFORMAZIONE, ALMENO PARZIALE
Il notissimo art. 41-bis, contro il quale protestano ovviamente tutti i mafiosi incarcerati e capicosche, appartiene all'Ordinamento penitenziario, esattamente alla legge n. 354 del 26 luglio 1975 (l'articolo in questione venne aggiunto nel 1986 e successivamente ancora modificato). Viene intitolato Situazioni di emergenza. Al comma 1 vi si dice:
In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro di grazia e giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto...".
Più avanti, si dice che tale articolo si applica ai membri di associazioni criminali, terroristiche o eversive. Le misure preventive e repressive consistono nell'impedimento dei contatti con l'associazione di appartenenza, la riduzione dei colloqui a due al mese come massimo, colloqui controllabili con intercettazioni. Sono esclusi i colloqui con non familiari; vengono limitate somme disponibili e ricevibili dall'esterno; esclusione dalle rappresentanze dei detenuti; censura sulla corrispondenza, con eccezione di autorità parlamentari nazionali ed europee; limitazione delle ore d'aria. Si prevede la possibilità di reclami, a cui si deve rispondere entro 10 giorni, ma il ricorso non comporta interruzione del trattamento.
Ora, sia ben chiaro: io considero indispensabile che tutte le procedure diindagine, di giudizio e di esecuzione di una condanna siano sempre rispettose delle norme previste per legge nel modo più rigoroso, ma non sono favorevole ai perdonismi, agli omaggi personali, agli sconti dati ad arbitrio. La pena deve certo avere funzione rieducativa, ma la può avere solo con chi sia, generalmente parlando, rieducabile e rieducato, anche auto-educato. Non tutti i soggetti, specialmente criminali incalliti, sono rieducabili. E' relativamente facile apparire "buoni", quando si impedisce materialmente di fare il male, ma non è per nulla detto che, nella condizione di poterlo fare, non lo si compia in forme anche peggiori. Il caso del Circeo dimostra, a titolo di esempio, l'incurabilità di certi soggetti e la necessità di tutela di altre possibili vittime. Un certo tipo di reati, particolarmente efferati, fanno presumere che il soggetto non possa essere "rieducato" in nessun modo, e quindi per la propria ed altrui sicurezza deve rimanere in carcere per il resto dell'esistenza, o perlomeno finché l'indebolimento fisico o mentale non lo renda obiettivamente innocuo.
Fa poi tristezza che molti di coloro che cantano cori alla rieducabilità non si siano peritati di violare una norma generale del Diritto penale: la morte del reo prescrive il reato. Abbiamo visto, nel caso Priebke, che questi trombettieri del perdono hanno inscenato manifestazioni poco gradevoli perfino durante il funerale di un centenario, sicuramente non più pericoloso per forza di cose. Ciò ricorda i periodi più tetri del Diritto con il disseppellimento di Papa Formoso (secolo X d.C) e di Oliver Cromwell (nel XVII secolo). Processare e condannare i morti, qualunque cosa abbiano fatto da vivi, non è sicuramente un atto di giustizia e neppure di coraggio.
Infine, almeno per ora, un discorso agli ecclesiastici e ai loro seguaci: la Chiesa Cattolica, fino a non molto tempo fa, nel proprio Catechismo Generale ammetteva la pena di morte. Quando le truppe italiane entrarono in Roma il XX Settembre 1870 trovarono nele carceri prigionieri politici (non criminali comuni), incatenati alle pareti, come si usava almeno un secolo prima. Le pene di morte non erano certo tra le più gradevoli, in pieno Ottocento, nello Stato Pontificio: una di queste, descritta ne "Il Conte di Montecristo" fu la mazzolatura, consistente nel massacrare il condannato con mazze da spaccapietra.
Sappiamo che papa Benedetto XVI ha espresso, un po' tardivamente per quel che riguarda la Chiesa di cui allora era papa e vicario di Cristo, riconoscimenti nei confronti di Galilei, minacciato di tortura in tarda età e quasi cieco, ma non mi risulta che mai la Chiesa abbia chiesto ancora perdono a uomini come Arnaldo da Brescia, Gerolamo Savonarola o Giordano Bruno. Quest'ultimo fu condotto al rogo con la "mordacchia", strumento orrendo che, a chi tentava di parlare, piantava chiodi di ferro nella bocca, un modo non direi propriamente "cristiano" di far tacere la gente. E questi uomini non erano certi colpevoli di reati, se non il primo di affermare l'autorità del popolo romano, il secondo di chiedere che la Chiesa si moralizzasse, il terzo sostenendo che l'universo è infinito e che la Terra non ne era il centro, ma solo uno dei frammenti infiniti. Reati d'opinione sarebbero definiti oggi, puniti con selvaggia crudeltà, ad opera di chi si è sempre riempito la bocca di amore per gli altri.
Quando vedremo papa Bergoglio pregare presso le statue di Arnaldo, di Gerolamo e di Giordano?
Salve Tummolo,
le invio il link di un'intervista in cui il Musumeci accenna qualcosa riguardo i suoi reati e dove risponde a domande sul "pentimento".
http://www.agoravox.it/Intervista-all-ergastolano-Carmelo.html
Buona serata, Sira
Grazie Sira,
avevo cercato su quel sito, ma non vi ho trovato dati specifici: una cosa è certa, il 41 bis non viene dato a tutti, ma a mafiosi d'alto bordo (vedi Totò Riina) e gente che ha diversi morti sulla cocienza, oppure a terroristi. Sicuramente la non-collaborazione con i magistrati riduce le attenuanti, ma non ha aggravanti e soprattutto, da sola, non determina una pena detentiva di quel tipo.
Ho rivisto per sicurezza, ma si parla molto di vita carceraria e della sua opera di scrittore, qualcosa si accenna all'infanzia, ma del perché sia stato condannato non si dice. Il punto interrogativo verte appunto su questo. Egli non sostiene di essere stato condannato per errore, come tentò di fare in vari libri il celebre Cheryl Chessman negli USA (anni '50), condannato a morte dopo vari rinvii grazie alla strenua lotta che egli sostenne difendendosi da solo (in America allora si poteva fare, evidentemente). Dice solo che l'ergastolo è una pena crudele. Posso pure essere d'accordo, ma anche fare il male ad altri non è certo segno di bontà, e non è certo un obbligo per mantenerci in salute. L'Italia eccede semmai in buonismo, piuttosto che in severità: prove ne siano le sue lauree e le sue pubblicazioni.
La notizia della fuga di un pluriomicida sadico, grazie ad una "licenza premio per buona condotta" (come se nel carcere si potessero fare delitti a ripetizione !!), dimostra ancora una volta come certe ideologie, in sé positive, ma malissimo analizzate e non sottoposte a critica razionale accurata, diventino di conseguenza assolutamente negative, sterili e controproducenti.
Relativamente alla rieducabilità di certe persone è opportuno distinguere tra chi ha compiuto gravissimi delitti contro la persona una volta sola e d'impeto (che - in linea generale - possono pentirsi e rieducarsi), chi uccide una volta con premeditazione e chi invece fa dell'omicidio una professione da ripetersi secondo la convenienza, il denaro ricevuto, o il puro gusto sadico di fare del male. I frequenti premeditatori di omicidi e i pluriomicidi, PER DEFINIZIONE non sono rieducabili proprio perché il gusto dell'omicidio ripetuto dimostra la stortura cerebrale e morale congenita in tali personaggi. Si tratta di individui che concepiscono la morte altrui come una soluzione dei propri problemi, e questa visione del mondo non è certo eliminabile con le prediche e le lezioni di morale o di Diritto.
L'idea della conversione, di natura religiosa, soprattutto cristiana e cattolica, applicata poi in modo buffonesco e contraddittorio (per cui uno non ancora condannato in via definitiva per un solo omicidio resta chiuso in carcere per anni !!! - vedi Sabrina e Cosima Misseri - mentre pluriomicidi condannati più volte e in via definitiva, possono andare in licenza premio), non ha fondamenti scientifici né in psicologia, né in criminologia o antropologia criminale, né in psichiatria criminale.
E' essenziale, non solo utile, che le indagini siano condotte in modo assolutamente legittimo, che le leggi siano razionali e ragionevoli, che i processi siano condotti seriamente, professionalmente e con onestà, che il popolo segua le procedure con saggio spirito critico senza condurre suoi processi, ma una volta che si giunga alla sentenza definitiva, tale sentenza deve essere definitiva (salvo dimostrati errori giudiziari), e non riducibile a piacimento del giudice Tizio o del giudice Caio, o del ministro Sempronio, o del presidente della repubblica Mevio, o di chi altri in nome di una malintesa pietà umana, che trascura la vittima e santifica il carnefice.
Chi ha sbagliato paghi in esatta, per quanto possibile, proporzione per ciò che ha fatto. Il pentimento vero è accettazione della giusta punizione.
Se le carceri sono gravemente difettose in materia di spazi e di igiene, è un conto, per cui occorre costruirne di moderni adeguati alla vita d'oggi, non certo di allentare la catena a cani feroci.
Quando fuggono, poi è vano ed ipocrita piagnucolare, battersi il petto, buttarsi in ginocchio, pregare Dio e la Madonna insieme ai Santi, con tutto il cerimoniale che dimostra l'immaturità della specie umana, quando non educata dalla Ragione.
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