Fino a qualche giorno fa viveva fra noi un militare ventinovenne soddisfatto della sua vita, del suo lavoro. Era in Afghanistan per scelta, non voleva lasciare il popolo afgano in balia degli estremisti e degli attentatori. A lui piaceva aiutare gli altri, sentimento condiviso da tutti i soldati che vanno in quelle pseudo missioni chiamate di Pace che di pace non hanno assolutamente nulla di nulla, specialmente se stazionate in luoghi del terrore. Degli afgani ho già parlato approfonditamente in un altro articolo scritto in occasione della morte di Luca Sanna; non è un popolo comune dato che da sempre vive assediato, da sempre viene conquistato e da sempre è abituato a liberarsi del nemico. Ed ora il nemico lo ha in casa, è l'integralismo che vuole riprendere il sopravvento e se ci riuscirà saranno guai grossi per chi chiede solo anni continui di stabile serenità. Gli integralisti, per riprendere il controllo del territorio e della popolazione che fino a pochi anni fa era succube, terrorizzano gli esseri inermi, non loro fratelli di terra perché di diverse etnie, che cercano di barcamenarsi quotidianamente fra il niente ed il poco o nulla. In quella nazione non passa giorno in cui non ci siano attentati con decine di morti. A noi vengono riportati solo quelli che si tramutano in stragi, come gli ultimi, uno ad un albergo di Kabul ed uno ad un mercato rionale nel sud del paese, in questo sono morti, oltre ad una decina di uomini, anche tre donne e quattro bambini. Entrambi gli atti terroristici sono di poco antecedenti l'esplosione che ha ucciso il nostro soldato.
Ed ogni volta che uno dei nostri muore si dice in giro che la missione è giusta e serve ad evitare attentati a tutti i popoli del mondo. Ed ogni volta devo ripetermi e dire che decine sono le nazioni che costruiscono gli attentatori sin dall'infanzia, che decine sono le nazioni che a pagamento lasciano addestrare i terroristi sul loro suolo e le alleanze occidentali mai riusciranno a bloccarle tutte. E dato questo occorre cambiare strategia e non insistere nelle invasioni di pace. Noi non siamo in missione di pace, le missioni di pace sono un'altra cosa e sono ben differenti, noi siamo in quella nazione martoriata ad aiutare la gente nell'attesa che qualcuno piazzi una bomba, o si faccia esplodere, accanto ai nostri ragazzi che, senza avere gli appoggi adeguati di chi l'ha missione l'ha voluta, è un bersaglio libero. Insisto con ciò che in altri articoli ho affermato, e precisamente in occasione della morte di Matteo Miotto, perché credo sia l'unico modo di salvare più vite umane. Voglio dire che basterebbero postazioni satellitari collegate a una sala comando, in continuo controllo territoriale, con tecnici specializzati che possano avvisare le squadre di artificieri. E' logico che non si potrà controllare ogni persona, ma l'assembramento, lo spostamento di convogli, anche animali, extra-militari, sarebbe controllabile. E se si anticipassero le mosse e non esplodessero più ordigni non avrebbe senso per i terroristi metterne altri. Nello stesso modo, sempre attraverso i satelliti, si potrebbero controllare i confini e scoprire da dove arrivano le armi. Lo fanno già? Ed allora perché continuano ad arrivare in maniera esponenziale?
Chi ha mandato in guerra i nostri soldati non lo ha fatto calcolando e preventivando una linea difensiva sicura, come si dovrebbe fare per salvaguardare più vite umane, li ha mandati all'arrembaggio perché costretto da una alleanza che al periodo aveva nel suo maggior esponente il suo peggior nemico. Ed alle famiglie dei nostri 39 ragazzi morti occorrerebbe spiegare che i loro figli sono deceduti a causa della poca professionalità usata negli anni da parte di chi ora ha deciso, grazie alle innumerevoli perdite di vite umane, di organizzare la "Transition strategy", di uscire cioè dal conflitto afgano, non da una missione di pace, entro il 2014 a testa alta come se le forze alleate avessero vinto. Devono sapere che i loro figli sono morti a causa dei giochi di potere di alcuni, a causa di chi, volendo, poteva mandare sul campo migliaia di soldati in meno ed una buona tecnologia a supporto in più. Meglio 1000 video e 1000 militari davanti agli schermi collegati a più satelliti piuttosto che 1000 soldati in una sterminata distesa polverosa che non sanno chi ci può essere dietro la carcassa di un'auto bruciata su un lato della strada.
Ed a chi pensa che fra meno di tre anni i militari e le forze dell'ordine afgane saranno indipendenti e potranno contrastare i terroristi, dico che è un sognatore. E a chi pensa di uscirne, negli anni che restano, con meno danni e meno vite umane perse, dico che è un altro sognatore. Perché a mano a mano che i contingenti si sgonfieranno aumenteranno gli attentati e caleranno le difese, e noi avremo altre vittime, altri fratelli che torneranno senza respiro stesi all'interno di una bara avvolta nella bandiera italiana. Così ogni volta ci sarà l'Istituzione che si prostrerà ai piedi della famiglia, che chiederà scusa e parteciperà ai funerali solenni, che per qualche giorno dirà basta e poi dimenticherà di averlo detto. Ogni volta la solita tiritera, quella che annoia e non coinvolge più lo spettatore. In questo modo, come sempre, solo la famiglia del militare ucciso resterà a piangere nel ricordo di ciò che per noi è solo un numero, perché chi non è coinvolto non ha memoria ed i nomi dei soldati uccisi li scorda dopo 24 ore quasi sia, a questo ci hanno abituato negli anni, una prassi comune mandare i nostri ragazzi a morire in altre nazioni.
Chi ha mandato in guerra i nostri soldati non lo ha fatto calcolando e preventivando una linea difensiva sicura, come si dovrebbe fare per salvaguardare più vite umane, li ha mandati all'arrembaggio perché costretto da una alleanza che al periodo aveva nel suo maggior esponente il suo peggior nemico. Ed alle famiglie dei nostri 39 ragazzi morti occorrerebbe spiegare che i loro figli sono deceduti a causa della poca professionalità usata negli anni da parte di chi ora ha deciso, grazie alle innumerevoli perdite di vite umane, di organizzare la "Transition strategy", di uscire cioè dal conflitto afgano, non da una missione di pace, entro il 2014 a testa alta come se le forze alleate avessero vinto. Devono sapere che i loro figli sono morti a causa dei giochi di potere di alcuni, a causa di chi, volendo, poteva mandare sul campo migliaia di soldati in meno ed una buona tecnologia a supporto in più. Meglio 1000 video e 1000 militari davanti agli schermi collegati a più satelliti piuttosto che 1000 soldati in una sterminata distesa polverosa che non sanno chi ci può essere dietro la carcassa di un'auto bruciata su un lato della strada.
Ed a chi pensa che fra meno di tre anni i militari e le forze dell'ordine afgane saranno indipendenti e potranno contrastare i terroristi, dico che è un sognatore. E a chi pensa di uscirne, negli anni che restano, con meno danni e meno vite umane perse, dico che è un altro sognatore. Perché a mano a mano che i contingenti si sgonfieranno aumenteranno gli attentati e caleranno le difese, e noi avremo altre vittime, altri fratelli che torneranno senza respiro stesi all'interno di una bara avvolta nella bandiera italiana. Così ogni volta ci sarà l'Istituzione che si prostrerà ai piedi della famiglia, che chiederà scusa e parteciperà ai funerali solenni, che per qualche giorno dirà basta e poi dimenticherà di averlo detto. Ogni volta la solita tiritera, quella che annoia e non coinvolge più lo spettatore. In questo modo, come sempre, solo la famiglia del militare ucciso resterà a piangere nel ricordo di ciò che per noi è solo un numero, perché chi non è coinvolto non ha memoria ed i nomi dei soldati uccisi li scorda dopo 24 ore quasi sia, a questo ci hanno abituato negli anni, una prassi comune mandare i nostri ragazzi a morire in altre nazioni.
Oggi si celebrerà il funerale della trentanovesima vittima italiana, solo in Afghanistan perché il totale dei nostri ragazzi morti in missioni di pace in altre nazioni ha toccato quota 123, si chiamava Gaetano Tuccillo, aveva ventinove anni ed era in forza al battaglione logistico Ariete di Maniago. Era sposato, viveva con sua moglie a pochi chilometri dalla sua caserma ed i suoi genitori, i suoi parenti, i suoi amici, vivevano in Campania. Gli piaceva il suo lavoro ed era felice di farlo. Come detto dal suo superiore in grado era un ragazzo solare sempre pronto ad aiutare gli altri ed aveva scelto io di tornare in Afghanistan perché le mani di quei bambini sporchi di polvere che chiedevano aiuto gli avevano toccato il cuore e sperava di fare qualcosa per aiutarli.
Peccato che lo Stato che doveva difendere lui negli anni non abbia spinto con gli alleati per trovare un sistema di difesa più sicuro.
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2 commenti:
Caro Massimo, il tuo scritto e toccante, oltre che sincero.
Sarebbe sacrilego non condividerlo!
In nostro potere abbiamo solo la parola, per sprimere, insufficientemente il nostro sdegno per l'approvazione e la conduzione di imprese non volute dal popolo.
Saluti cari, Mercutio
Ciao Massimo, forse progettare una missione di pace con strumenti tecnologici, e il controllo di persone, da una postazione sicura, sarebbe troppo costoso?
Puo essere?
In fondo, un militare in missione di pace, oltre lo stipendio fisso, rischia la propria vita giorno per giorno per vocazione, altruismo, o per bisogni economici, per la modica cifra di circa 144 euro al giorno(se le fonti non sono errate).
E di persone che fanno queste missioni, per guadagnare in qualche anno una cifra tale che gli consenta di aiutare i propri figli a crearsi un futuro, che gli consenta di dare a loro quel contributo che, con lo stipendio medio percepito in Italia, dove non si riesce neppure a coprire le spese per vivere, altrimenti non gli potrebbero dare.
E si sa quanto un genitore vorrebbe assicurare ad un proprio figlio, che magari ha cresciuto con mille sacrifici, un tetto sotto cui vivere, per non costringerlo a lavorare per pagarsi solo l'affitto.
(Qui a Roma l'affitto per un immobile di 50 mq va dai 700 ai 1000 euro, in base alla collocazione dello stesso, uno stipendio medio si aggira intorno ai 1000 euro)
Quanti uomini lascerebbero la moglie, la figlia piccola, la serenità e la sicurezza, per andare incontro al pericolo, pur mossi da motivazioni meritevoli?
Quanti Massimo, io credo che la molla principale sia quella economica, per la nobile causa detta sopra, e questo i nostri politici lo sanno, e sanno che non mancheranno mai uomini disposti a sacrificare il proprio futuro in nome del futuro dei loro figli.
Quindi perchè preoccuparsi tanto ed investire più risorse, la vita mica è la loro o dei loro cari, a fine mese loro non hanno problemi ad arrivare.
Pensa che c'è un deputato del partito radicale che sta prendendo la pensione a vita di circa 1700 euro al mese per un solo giorno di mandato.
Fortunatamente ora non sarebbe più possibile, ma lascia che ti facciano 5 anni e la casa per i figli è assicurata.
I loro 5 anni però sono al riparo dagli ordigni.
Scusa per gli errori, ho scritto tutto d'un fiato e grazie, un articolo molto toccante,
Ciao Sira
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