mercoledì 6 luglio 2011

Malagiustizia a Milano. Tre processi ed otto mesi di carcere per rendersi conto che "El Gordo" non è lui

El Gordo             Josè Ripoll 
La storia è questa ed è allucinante. Nel 2000 il reparto Antidroga di Milano scoprì un giro internazionale di stupefacenti, un giro vasto tanto che il giudice autorizzò intercettazioni e fece partire pedinamenti. Capitò che al casello autostradale di Carmagnola venne identificato un signore corpulento, ma davvero corpulento, dalla carnagione olivastra, che agli agenti consegnò un passaporto spagnolo in cui figurava chiamarsi Josè Vincent Piera Ripoll, un medico specialista in osteopatia. Capitò poi che lo stesso signore venisse intercettato al Motel Ritz di Varedo mentre faceva affari loschi, molto loschi. Le intercettazioni erano chiare, quell'uomo grasso, molto grasso, in tutte le telefonate chiamato "El Gordo", era un trafficante internazionale di droga. Partirono gli arresti ma di El Gordo non si trovò traccia. Che fine aveva fatto il trafficante corpulento che vendeva quintali di sostanze stupefacenti ed incassava tanti quattrini? Dove fosse sparito nessuno seppe dirlo, d'altronde perché cercarlo dato che alla narcotici avevano il nome e l'indirizzo...

Per cui le indagini vennero chiuse e gli incartamenti inviati al giudice che diede il via ai processi. Come prassi a tutti gli indagati vennero spedite le lettere di comparizione, le "notifiche", ma quelle dirette al medico spagnolo tornarono tutte al mittente senza che mai lui si presentasse al processo. Quindi perché mandare un agente spagnolo, come sarebbe stato giusto fare, a consegnarne una personalmente? Se la persona esiste e la stanno processando avrà ben il diritto di saperlo, o no? Ma la legge è chiara, una volta tornate al mittente le notifiche valgono come fossero state ricevute e si prosegue considerando l'imputato "contumace". E la giustizia operò bene e, dato che c'erano tutte le prove, condannò tutti i partecipanti al traffico di droga. La condanna più pesante, chiaramente, fu inflitta al narcotrafficante che inviava la droga in Italia ed incassava i lauti guadagni, quindi al Josè Vincent Piera Ripoll vennero comminati 15 anni di carcere.

Il suo legale d'ufficio, altro fenomeno che poco si è interessato dell'esistenza del suo cliente (tanto l'ha pagato lo Stato italiano), portò il caso in Appello e quindi in Cassazione, chiaramente per ricevere più indennizzi, ma la condanna fu sempre confermata per cui, dopo l'ultima sentenza dell'aprile 2008, da "contumace" il Ripoll diventò "latitante" e costrinse gli organi competenti a spiccare un mandato di cattura internazionale. In questo modo, diversamente da quanto capitato con le notifiche, il medico spagnolo venne subito rintracciato. La Polizia si presentò a casa sua all'alba, è una prassi, lo caricò in un aereo e lo spedì in Italia dove iniziò a soggiornare, 15 lunghi anni doveva viverci, al carcere di Opera. 

E qui lui inizia a dare in escandescenze, non ci sta ad essere in carcere da innocente e dice che c'è un errore, che nel 1999 gli avevano rubato il passaporto e che aveva fatto anche una denuncia... chi gli crede? Tutti dicono di essere innocenti, tutti dicono di essere vittime di errori giudiziari. Ma lui insiste e dice di non essere mai stato In Italia e che nel passaporto di chi è stato controllato, quello a suo nome ma usato da un altro, c'è scritto che l'uomo raffigurato nella foto ha una figlia mentre lui ha un figlio... ed allora?

Una volta in carcere legge tutti gli Atti dei processi a cui non ha potuto partecipare e si accorge subito che, sia nelle intercettazioni che nei verbali, viene qualificato col soprannome "El Gordo" e viene descritto quale uomo grasso dalla pelle olivastra. Lui non è così! Non lo è mai stato! Lui è un chiodo che più chiodo non si può ed ha la pelle chiara, si vede ad occhio. Chiama il primo avvocato, glielo fa notare ma non c'è nulla da fare e si sente dire: "Si rassegni, si comporti bene e vedrà che fra una decina di anni potrà uscire". Allucinante! Fino a qualche mese prima viveva in una bella casa con la moglie e la figlia, aveva un ambulatorio medico con tanti pazienti ed era rispettato. Ora tutti, anche al suo paese, pensano sia un narcotrafficante e ci sono stati anche i titoloni sui giornali, perché pure in Spagna hanno alcune nostre usanze, e se rimane in carcere avrà la vita completamente rovinata. Altre persone nella sua situazione avrebbero cercato nel suicidio la soluzione del male, invece lui si adegua ed inizia a fare vita da galeotto.

Ed è girando per i vari padiglioni che incontra un uomo dal viso conosciuto, M.B.. Anche lui è spagnolo e riconosce subito il dottore perché si ricorda bene di quando ha portato la moglie al suo ambulatorio per una visita specialistica, di quando rimasto solo nello studio si era impossessato del suo Passaporto poi venduto ad "El Gordo". I due si parlano, si chiariscono, ed M.B., ora diventato collaboratore di giustizia, chiama subito i procuratori e rilascia dichiarazioni spontanee che scagionano Josè Ripoll. El Gordo, dice, non è il dottor Ripoll ma un sudamericano che si chiama Paulo George da Silva Sousa. A quel punto entrano in scena gli avvocati che devono assolutamente trovare la copia del passaporto portato al processo. Non è un'impresa facile, per settimane si cerca fra gli Atti e fra le carte del tribunale senza trovare nulla poi, grazie ad un carabiniere di Monza che per scrupolo ne aveva conservata una copia, si ha la prova che l'uomo ritratto non può essere il medico spagnolo. Si va subito dalla Corte, con tutti gli elementi chiari e lampanti in mano pare un gioco da ragazzi, ma i giudici, incredibilmente e non si sa per quale motivo, negano la scarcerazione. Si ricorre subito al tribunale del riesame che, finalmente dopo otto mesi di carcere, libera Josè Vincent Piera Ripoll. A questo primo ed importante passo, per ottenere un risarcimento dell'ingiusta detenzione, devono seguire tutti vari passaggi processuali che annullino la condanna inflitta per errore. Trascorre più di un anno ed a gennaio del 2011 tutto viene rimesso a norma. 

E siamo arrivati a Lunedì 4 luglio quando sul tavolo di  tre giudici milanesi arriva la richiesta di risarcimento e loro dovrebbero quantificarla usando le tabelle che, da quando s'è scoperto l'enormità di errori giudiziari, sono state adeguate verso il basso (ultimamente costano troppo allo Stato gli sbagli della giustizia), per cui il medico spagnolo non dovrebbe ottenere più di 58.000 euro. I giudici hanno sussultato leggendo la storia ed alzato la quota portando il risarcimento a 85.000 euro, ma non gli hanno fatto ottenere neppure il pareggio dei costi che sarebbe stato di 95,000 euro (47000 di spese legali più 48000 per tre anni di non lavoro). Inoltre, ancora una volta perché non è la prima e tanti sono i ricorsi, non si è tenuto conto delle conseguenze che la sua vita, che la sua famiglia, che suo figlio, hanno dovuto sopportare in questi anni e che dovranno sopportare ancora perché, a parte il disagio psichico, i pazienti che non ha più, in quanto andati in cura da altri, non torneranno facilmente da un medico che è stato otto mesi in prigione.

Ma nonostante tutto gli è andata bene. Il caso lo ha fatto uscire dal carcere e la fortuna, nonostante il risarcimento inconsistente, ora fa sì che possa lamentarsi da uomo libero del trattamento riservatogli... e non capita sempre.


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1 commento:

Mercutio ha detto...

Il caso che hai riportato, Massimo, è certamente allucinante, e nella storia giudiziaria di tutti i Paesi ve ne sono stati e ve ne sono tutt'ora.
Ci solleva, comunque, il fatto che non sia una prassi.
Vorrei conoscere, però, il motivo per cui l'hai riportato in questo blog.
Non era tua intenzione paragonarlo ai casi Scazzi-Rea-Gambirasio, ed ai metodi adottati dalle relative Procure vero?
Ciao, Mercutio