Uccidere una persona non è facile. Ucciderla senza lasciare tracce è ancora più difficile. Come si dice in questi casi l'assassino lascia sempre la sua impronta. Ed è quello che ha fatto chi ha ucciso Yara Gambirasio. Questa volta le indiscrezioni paiono serie, anche se la ricostruzione che la dottoressa Cattaneo sta per consegnare al Pm Letizia Ruggeri è cruda e veramente triste. Le anticipa Renzo Parodi, giornalista de "Il Secolo XIX", e come vedremo non si può dire che la piccola non abbia sofferto, come non si può dire non si sia difesa strenuamente da quel rapimento che inizialmente è nato a scopo di stupro. Non ce l'ha fatta l'assassino a violentarla, non c'è riuscito perché Yara ha cercato di resistere e di ribellarsi a quanto le volevano fare. La ricostruzione è la copia fedele di quella da me inserita nell'articolo del 14 gennaio intitolato "Finalmente si sa come e dove è stata rapita", ma anche fosse leggermente diversa poco cambierebbe perché il finale purtroppo non è cambiato. Gli aggressori probabilmente l'avevano già notata nei giorni precedenti e pensavano di poter disporre di quello scricciolo tredicenne come meglio credevano.
Ho scritto gli aggressori perché erano almeno in due. E probabilmente si tratta delle persone, una con un auto rossa, notate dalla donna che abita nelle vicinanze di via Morlotti di cui ho parlato nell'articolo di qualche giorno fa. La brutta fine di Yara parte dunque verso le 18.40 quando esce dalla palestra e si avvia verso casa. Percorre la via Morlotti, dove mezz'ora prima erano i due notati dall'ultima testimone, e si incammina verso la via di casa sua, la Rampinelli. Ed è qui che la nota Enrico Tironi, mentre sta tornando alla sua abitazione, accompagnata da due uomini. Questi sono certamente quelli incontrati dieci minuti prima dalla signora Abeni mentre portava a spasso i cani. Il ragazzo vede anche l'auto rossa sul ciglio della strada, poi volta e si inserisce nella via di casa sua. Ed è in quell'istante che dallo specchietto non vede più né la ragazzina né chi l'accompagnava. Ma un altro in quel momento li intercetta con lo sguardo, è il signor Toracco, anch'egli è fuori con il cane, che li vede e li sente litigare.
Scambia l'alterco per un litigio fra innamorati e non vi da peso. E non pesa a sufficienza neppure le strattonate che l'uomo da a quella che per lui era una donna. Ed invece era di certo Yara che gridava e cercava, dimenandosi, di liberarsi dalla morsa di chi la stava per caricare su un'auto o su un furgoncino. Fino a quel punto le testimonianze erano state visive, e non tutte credute dagli inquirenti, e nessuno sapeva cosa fosse accaduto dopo. Questo vuoto lo ha ricostruito la dottoressa Cattaneo che nei tre mesi in cui ha avuto a disposizione il corpo della piccola ne ha controllato ogni millimetro. E la sua costanza l'ha premiata. Infatti impigliato nell'apparecchio dentale della ragazzina era rimasto un piccolo brandello di pelle. La pelle dell'assassino. Come ho scritto in precedenza la ricostruzione dell'accaduto da ora in avanti si fa cruda per cui cercherò di non esagerare con le parole.
Quindi Yara verso le 18.50 è in balia dei suoi aguzzini. Non si sa dove venga portata nell'immediatezza, forse al cantiere o in un altro capannone industriale dove erano comunque presenti sacchi di juta. Ed è qui che inizia per lei il martirio. L'assassino si spoglia e la prende per i capelli. Le abbassa la testa, la obbliga a fare certe cose ma non ci riesce perché yara lo morde dove è facilmente intuibile. E non è un morso da poco perché il lembo di pelle proviene proprio da una parte molto delicata dell'uomo o del ragazzo che poi la ucciderà. Purtroppo il morso scatena la reazione dell'assassino che la colpisce più volte con un oggetto pesante sulla testa. Una volta liberatosi nella sua mano si materializza una sorta di lama, non si sa se un coltello o cos'altro, ed è in quel momento che ancora dolorante comincia a colpire più volte Yara.
Ma non la uccide, le ferite non hanno attinto organi vitali e, seppure sfregiata e col corpo pieno di ferite, la ragazzina è ancora viva. E' in quei momenti che l'assassino ed i suoi complici cercano un luogo dove nasconderla. A Brembate è partita la caccia ai rapitori ed è rischioso muoversi subito, meglio aspettare. Così viene lasciata su dei sacchi di juta per qualche ora poi, probabilmente a tarda notte, portata a Chignolo d'Isola e scaricata al centro del campo. Forse uno degli aggressori era in auto due chilometri avanti all'altro, che probabilmente lo seguiva con un furgone, pronto ad avvisarlo se per strada fosse stata presente una pattuglia della Polizia o comunque qualche pericolo. Il destino difficilmente è bastardo con chi non merita nulla e quella notte, una volta di più, li ha aiutati ad andare a sbarazzarsi della piccola Gambirasio, quasi fosse un cane randagio investito da un'auto, ed a tornare senza essere visti.
E mentre fanno ritorno al luogo del massacro sanno che Yara, stesa in quel campo e nonostante il tempo trascorso, è viva e si potrebbe salvare. Lo sanno bene ma vogliono che muoia. Lei non ha forza nei muscoli indeboliti dalla perdita di sangue, ma il suo ciclo vitale ancora lavora e solo il freddo della notte e l'emorragia che continua le fanno perdere, nelle ore successive, la vita.
E' una storia triste la storia di Yara Gambirasio. Una storia che fa ulteriormente capire quanto sia malvagio una parte del genere umano, volevo dire animale. Certa gente non ha i neuroni al posto giusto, certa gente deve finire i suoi giorni in carcere. E prima o poi l'assassino di Yara ci finirà in carcere perché Letizia Ruggeri ha dichiarato che verrà controllato il dna di ogni persona, individuata tramite il passaggio del cellulare, presente quella sera a Brembate. Addirittura s'è spinta oltre affermando che se questo non fosse sufficiente allargherà i controlli a quelli presenti nei paesi limitrofi. Un lavoro immenso ma giusto, Yara ci ha fatto capire come e da chi è stata uccisa. Di lasciarlo libero proprio non se ne parla. E questo pensiero potrebbe rendere anche meno amari i funerali previsti per Sabato 28 Maggio.
Sarah Scazzi
Melania Rea
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6 commenti:
Povera Yara, spero che li prendano e buttino via la chiave!!!!!!
Ciao Massimo. Effettivamente la ricostruzione che ne esce, e che ricalca quella da te gia' ipotizzata, comincia a basarsi su fatti concreti. Come la ferita che Yara ha fatto al suo aggressore, come il lembo di pelle che é rimasto e che inchiodera' un assassino malato e disgustoso. Uno che non si fermerebbe a Yara, e chissa' se lei qui o altrove era la prima. Questi predatori vivono, lavorano, vanno avanti ma il pensiero fisso é la ricerca di una nuova preda, tutto ruota attorno alla loro esigenza di fare del male per trarre soddisfazione. Quindi ben venga la ricerca di un dna compatibile, dovesse durare anche a lungo. Sara' dunque Yara, che i suoi rapitori credevano piccola e fragile, a farli trovare, a perseguitarli, ad assicurali alla Giustizia. Allora, fiduciosa che questo possa davvero succedere, mi auguro con tutta me stessa che una volta individuati i responsabili la pena sia per sempre. Fuori di galera continuerebbero ad essere pericolosi, la loro é una natura maligna che non si ferma davanti a niente. Un solo dubbio Massimo: la reazione di Yara ha certamente spiazzato i suoi aggressori, ma io ho sempre pensato si potesse trattare di una vera e propria organizzazione, insomma di uomini abituati a gestire situazioni limite. In questo caso pero', soprattutto considerando che erano almeno due, penso che sarebbero riusciti a portare a termine la violenza, mentre invece mi sembra l'operato di pazzi che hanno perso la bussola, insomma che tanto organizzati non erano. Chissa' che non ci sia da tenere ancora un po' l'attenzione puntata sui balordi giovani locali, che magari conoscono Chignolo e il maledetto campo perché davanti alla discoteca piu' frequentata della zona....
Bravo Massimo, la tua ricostruzione è molto verosimile, e la condivido pienamente.
Ma, a questo punto cosa ne facciamo della pista segnalata dai cani, cosidetti molecolari?
Volendo fare una piccola "ricucitura" anch'io, locherei il punto del tentato stupro in quella baracca situata nel cantiere, dove appunto i cani si fermarono.
Così non discrediteremmo questi nostri fedeli amici.
Il grande scoglio da superare, però, è grande e tenace: trovare a chi, il dna appartiene.
E quì ci vorrà molta fortuna, oltre che perseveranza.
Ciao, mercutio.
non ci sono commenti da fare io un'idea dell'assassino l'avrei ho provato a giocare come i puzzle il discorso fila.............
Ciao Massimo,
penso ai genitori che ora aggiungeranno dolore ad altro dolore, avranno per sempre in mente la scena orribile, il terrore provato dalla piccola e non ultima l'agonia lenta della morte.
La possibilità di intercettare le persone tramite le celle speriamo porti a qualcosa, se "le bestie" erano privi di cellulare perchè consci di poter essere rintracciati?
Se non ricordo male quello di Yara è stato trovato con la batteria staccata, accortezza che avvalorerebbe la possibilità di cui sopra.
Sira
Premetto che non sono pratico di investigazioni, però voglio buttarla lì.
Visto che la procura pare pronta a verificare tutte le utenze che il 26 novembre hanno gravitato intorno alle celle di Brembate, Mapello e Chignolo, non si potrebbe verificare, tramite controlli incrociati, se il proprietario di un determinato numero telefonico corrisponda con il proprietario di un'auto rossa? Se poi riuscissero a trovare anche che l'auto oltre ad essere rossa, fosse anche una Citroen (come disse le prime volte Enrico Tironi), la procura avrebbe fatto bingo.
Ma credo che questo tipo di controlli siano, ad oggi, possibili solo nei film.
Io darei un pò di importanza in più, anche al ritrovamento della juta. In tal senso ho iniziato qualche ricerca, nella speranza di potervi dare, presto, qualche dato su cui riflettere.
ERGASTOLO per gli assasini.
R.I.P. Yara
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