lunedì 12 settembre 2016

L’Italia di sempre: quella delle vittime, quella dei furbi, quella della gente comune e quella degli intoccabili…


Di Gilberto Migliorini


Dopo ogni tragedia che colpisce il Paese si assiste al solito copione fatto di belle promesse, distinguo, recriminazioni... di tutte quelle formule può o meno roboanti che rappresentano una sorta di programma dei ‘buoni intenti’, di ravvedimento e di orgoglio, con la garanzia di provvedimenti ad hoc per risanare e ricostruire, emendare e correggere. Il sospetto è che si tratti del solito spot magistrale per un selfie con l’obiettivo d’immagine.

Tutto il sistema istituzionale galleggia con nonchalance sulle catastrofi con frequenza periodica e con il consueto trasformismo. Il dramma del Paese talvolta cade a puntino per ravvivare un’icona ingiallita, per dare nuovo lustro e credibilità a un Potere in fase calante, in uno sforzo di aggregazione e di consenso

Parole convenzionali a cadenza più o meno regolare risuonano nel Bel Paese con la retorica di circostanza e l’immancabile commozione rimarcata dal sistema mediatico, con contorno di buoni sentimenti ad effetto placebo. Per qualcuno si delineano già lucrosi affari, per altri la prospettiva di una favorevole ricaduta d’immagine. L’effetto catastrofe talora è meglio di un comizio e di una campagna elettorale, trova riscontro immediato nello share e aggrega consensi, ricompatta le maggioranze in bilico... Il palcoscenico del dopo evento traumatico per molti è come la manna dal cielo.

Case costruite con la sabbia? Speculazione? Mancanza di controlli? Professionalità inadeguata? Corruzione? Certo nessuno può fermare un terremoto; la demagogia è dietro l’angolo, insieme però a quel lato oscuro dove il confine tra errore umano e fatalità è quanto mai incerto, sfumato nelle ‘note a piè di pagina’ di una nazione dove la perenne emergenza serve per procedure d’urgenza e provvedimenti tampone. In fondo perfino il sospetto gioca a favore di un sistema dove le responsabilità sono quasi sempre diluite e invisibili nel calderone dei disastri e delle avversità. Ma qual è davvero il problema delle catastrofi più o meno naturali, quale il senso di tutto quello che in Italia costituisce l’emblema di una tragedia collettiva?

A fronte di tanti episodi di abnegazione, professionisti del soccorso che si prodigano con amore e gente comune che con generosità dà tutta se stessa, esiste poi quel lato oscuro, indeterminato e ineffabile, una palude ubiqua dai contorni incerti che ha unico riferimento tangibile l’opportunismo come molla motivazionale, la fotogenia applicata alle sciagure con quel tocco di efficienza, di determinazione e di spirito di servizio costruiti politicamente come supporto d’immagine.

Le analisi dopo una catastrofe si sprecano, si cercano le inadeguatezze, le carenze, le eventuali responsabilità… in un gioco che sa tanto di déjà vu. E così via, fino alla prossima occasione nella quale il repertorio, pur con qualche variante sistemica, verrà a riproporsi in una fiction (purtroppo realistica) che terrà banco drammaticamente per tutto il periodo convenzionale dell’emergenza con i connessi effetti di prestigio e di visibilità, con lo sponsor immancabile del sistema mediatico a dare lustro agli interpreti istituzionali. Un bagno di retorica con tutte le solite immancabili promesse, i provvedimenti draconiani dell’ultima ora e l’attesa della resurrezione. Poi tutto nel dimenticatoio, in attesa del nuovo refresh che riporterà in auge una sceneggiatura già pronta, con il corteo di galantuomini già attrezzato e collaudato, le frasi fatte e tutto il repertorio di luoghi comuni. La calamità burocratica farà seguito a quella naturale in un processo retroattivo, carnevale di carte da bollo, di ricorsi e di tavole rotonde...

Nelle catastrofi si palesa il carattere più autentico del sistema Bel Paese: l’opportunismo. Certo emerge anche la generosità e l’altruismo, quella della gente che non ha voce in capitolo nelle decisioni, la parte sana che rappresenta l’etica della responsabilità e del sentimento nazionale, della solidarietà e del senso di giustizia. L’immagine di un Paese nobile e altruista serve a promuovere quell’altra Italia del trasformismo, dei camaleonti e dei funamboli, di quel popolo di equilibristi che dalle tragedie traggono nuove opportunità, ripuliscono l’immagine eventualmente un po’ degradata in una palingenesi con nuovi affari e allettanti opportunità di rilancio.

C’è da chiedersi quale sia il modello culturale dell’emergenza che costituisce l’essenza socio-politica del Paese. Non si tratta di un sistema di leggi, di codici e di normative. Per quelle c’è sempre l’ermeneutica interpretativa, la ridondanza semantica, i distinguo e le immancabili sottigliezze lessicali. Si sa che nello spirito costituzionale le leggi hanno tutta quella latitudine interpretativa... Lì la quadratura del cerchio è sempre possibile, anzi assicurata da una mano lava l’altra. Il sistema istituzionale in tutte le sue articolazioni riesce sempre a dimostrare tutto e il suo contrario, retorica e dialettica sono strumenti infallibili in grado di rabberciare e capovolgere situazioni sfavorevoli e di riportare l’assenso in un elettorato sensibile alle lusinghe delle frasi ad effetto e alle scenografie televisive.

Le catastrofi sono come una cartina a tornasole: mettono in evidenza la vera essenza di sistema, i nessi istituzionali e gli interessi sottesi. Nelle catastrofi e nelle congiunture appare il carattere autentico del sistema Paese, la totale mancanza di senso morale. La morale non serve, salvo quel moralismo ampolloso e di facciata con trombe e fanfare. L’input non trova credenziali nel buon senso applicato alla ricerca del benessere collettivo. Non si tratta di risolvere dei problemi seguendo la via maestra, quella dell’ottemperare ai bisogni e alle necessità della convivenza sociale, si tratta di quell’affarismo verniciato di fresco sul quale poi si incollano gli orpelli motivazionali, le lusinghe sociologiche, i riferimenti costituzionali, le belle tirate oratorie. Una costituzione (magari con il look rifatto) a quello serve, a un make up di immagine con l’ermeneutica appropriata per dare il giusto effetto di scena.

Proprio quando le istituzioni, nei suoi rappresentanti e servitori, sono chiamate alla prova più rilevante, la ricostruzione, si evidenziano in tutta la loro cruda realtà i caratteri ‘organolettici’ che presiedono alle scelte del politically correct. La mancanza di moralità ha come suo contraltare un perbenismo portato alle estreme conseguenze come teatralità e melodramma, una fiction che non ha nulla da invidiare ai professionisti delle pompe funebri e alle prefiche, ma con in più tutta l’autorevolezza del potere e la dignità della rappresentanza politica. L’etica della situazione si traduce in un formidabile spot propagandistico dove la solidarietà diviene non il fine ma il mezzo di un allettante programma speculativo.

La politica dell’emergenza mette in evidenza il vuoto di moralità di un paese dove tutto ha un prezzo e dove niente si fonda sulle esigenze della collettività. I desideri e i bisogni hanno valore solo in quanto innescano i processi produttivi, solo in quanto mezzi propulsivi dell’economia del mercanteggiare, per il resto sono soltanto effetti scenografici.
I vari terremoti che hanno colpito il Bel Paese hanno ingrassato per decenni le tasche governative e filo-governative. Alle popolazioni senza più casa o reddito non è rimasto che il ricordo delle processionarie politiche "recatesi a visitare le loro macerie e a promettere" solo per mostrarsi in schermo agli elettori. Poi, passata l'emotività dei primi momenti, tutti arrangiarsi, a vivere in mezzi di fortuna a proprie spese (container e prefabbricati). Agli elettori emotivi colpiti inizialmente dal morbo televisivo-politico, hanno invece lasciato una nuova "tassa oscura" inserita come accise sul prezzo della benzina. Tassa ancora presente (link a conferma).

Questo dimostra che in nessun caso i bisogni reali delle popolazioni rappresentano il fine... anzi, nell’emergenza costituiscono il pretesto per dare l’input a tutti quei processi commisurati alle esigenze della produzione e dei profitti.




14 commenti:

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto,

analizzi una situazione antica e tragicamente sempre attuale. Nel mio ultimo lavoro ricordo anche la polemica tra Voltaire (contro la bontà del "migliore dei mondi possibili" leibniziano), e la risposta di Rousseau su tale argomento: i fenomeni naturali, pur terribili, sono il più delle volte distruttivi non tanto per se stessi, quanto per l'incuria e l'affarismo umani.

Con viva cordialità, Manlio

Gilberto ha detto...

Grazie Manlio
Aspetto di leggere il tuo prossimo articolo.
Ciao, Gilberto

PINO ha detto...

GILBERTO
Questa tua nuda ed amara verità si sfalderà completamente, come il virtuale castello dove dimorava la parola vergogna, a dimostrare quanto vero era il detto del filosofo: "l'uomo, noiosamente si ripete".
Ed a ripetersi, disgraziatamente per l'umanità tutta, vi è anche la scelleratezza che è congenita in un certo numero dei suoi rappresentanti.
Concludo questa triste e breve constatazione, condividendo, parola per parola, quanto coraggiosamente hai scritto!
Pino

Gilberto ha detto...

Caro Pino
Sapevo di trovarti in sintonia. Aggiungo però che forse il contenuto del mio articolo non è poi così originale, come non è originale il copione che si ripete ad ogni catastrofe nazionale. Di genuino c'è lo stupore che ogni volta ci sorprende quando occorre constatare che le istituzioni del Bel Paese replicano sempre la stessa commedia...

magica ha detto...

ci sara' una spiegazione per tutto quello che accade in questa parte d'ITALIA? non credo che gli abitanti di gemona e paesini limitrofi abbiano avuto un trattamento migliore di altri cittadini ,

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto, sono in ritardo col mio lavoro, per motivi esterni (intralci burocratici: ho dovuto perdere tempo per l'abbonamento RAI sulle bollette elettriche, mentre l'ho smesso dal 2011, più altre pratiche bancarie), e perché l'argomento che sto trattando, Illuminismo penale e Rivoluzione francese, argomento che sempre mi appassiona, lievita oltre ogni mia previsione. D'altronde si tratta di un periodo storico che è chiave di comprensione delle malefatte successive e dell'incapacità giudiziaria di tradurre le istanze razionaliste del tempo in misure effettive e realistiche anche a distanza di oltre due secoli. Certo, chiacchiere molte, ma, come ben sottolinei nei tuoi saggi ed articoli, i risultati sono piuttosto magretti, per non dire inesistenti. Sicché si tratta di capire storicamente perché avviene ciò tuttora, e non certo solo nella nostra miseranda Italia .

Manlio Tummolo ha detto...

Carissima Magica,

la storia del Friuli (1976 / 77) non è stata del tutto lineare come si vorrebbe. Forse non male come in altri casi, specie al sud, dove ben si sa come funzionino le cose: un discorso lunghissimo, penso a quando Mussolini, recatosi a Messina nel 1938 (esattamente 30 anni dopo il terremoto/maremoto) aveva promesso di far sparire tutte le baracche ancora esistenti dei terremotati, ma due anni doopo ci fu la guerra, e non mi meraviglierei che ancora oggi qualche nipote e pronipote di terremotati viva in quelle baracche che Benito aveva deprecato. A giustificazione dei tempi, occorrerebbe ricordare che nel 1915, proprio alla vigilia del nostro intervento in guerra, vi fu un altro tremendo terremoto in Molise e che buona parte del nord-est, devastata nella ritirata di Caporetto, fu completamente ricostruita in in vent'anni circa. Eppure avevano mezzi tecnici ben inferiori ai nostri...

Chissà quando giungeremo a vedere un terremoto, per quanto violento, solo come un periodo tempestoso, ma non distruttivo ?

magica ha detto...

buongiorno signor TUMMOLO , ha nominato BeNITO ., ahha , e per molti nominarlo equivale a nominare il diavolo .
eppure ci sarebbero molti nomi che a nominarli darebbero fastidio ma dagli a BENITO .
morto lui i posteri potevano rime
diare e far abbattere le baracche . invece da bravissimi politici osannati e riveriti sopratutto dalla storia , non fecero nulla!

manlio.tummolo ha detto...

Carissim Magica,

la storia, malgrado ciò che si crede, non è una scienza obiettiva, almeno nel termine degli ultimi tre secoli, pur avendo una metolofgia rigorosa nella ricerca, ma la questione è sempre lì: non basta la teoria, occorre pure onestà e buona volontà nella ricerca dei fatti, e se lo storico lavora come certi magistrati, allora le conclusioni sono del tutto faziose. Il "ventennio" per antonomasia ha commesso errori e colpe (instaurare una dittatura, quando non ce n'era bisogno, tanto per cominciare: bastava far leggi alla Renzi, ecc.), ma ha anche fatto cose che, considerati i mezzi tecnici e la tanto decantata "miseria" di quegli anni, oggi lasciano a bocca aperta.

magica ha detto...

appunto signor TUMMOLo. ci furono fatti devastanti . tuttavia viaggiando per l'ITALIA e ricordando un po' di bella storia ho visto zone , dove prima esisteva la malaria, e il nulla oppure paludi invivibili .. cittadine e paesotti molto fertili . chi fu quell'ingegnoso personaggio :da una parte pericoloso dittatore , dall'altra dare vita a questi luoghi malsani -

manlio.tummolo ha detto...

Carissima Magica,

per alcuni decenni era addirittura proibito nominarlo (se non male) e far sentire la sua voce, i suoi discorsi e gli applausi della folla (anche all'ultimo, quello a Milano nel dicembre 1944 !!!). Poi si cominciò cautamente alla RAI (attorno al 1967) a far sentire brani di discorso registrati dall'Istituto LUCE (filmati). I dischi con discorsi completi, da non far udire in pubblico perché rigorosamente vietati, giravano quasi clandestinamente. Prima esaltato, poi deriso, poi faticosamente analizzato, ma la storia del XX secolo è ancora tutta da fare.

Vanna ha detto...

Gilberto sono d'accordo con te in tutto. Ho risposto in ritardo, mentre aspettavo di vedere che fine avrebbero fatto i terremotati. Gran tristezza per tutto.
Intanto ogni giorno la Campania si agita sopra un oceano di magma, il Vesuvio si sta risvegliando, non oso pensare cosa accadrà.

Manlio Tummolo ha detto...

Cara Vanna,

ancora nel 1977 fui a Napoli per un Congresso e visitammo i centri vesuviani. Si calcolava ad ogni 40 anni circa l'eruzione del Vesuvio, quindi per il 1984. Non è successo nulla, e speriamo che si continui così, ma già allora avevano follemente costruito città intere sulle falde del vulcano, per cui dovesse venire un'altra eruzione non dico come quella del 79 d. C., ma del 1944, sarebbe un massacro. Una prova in più per quanto scrive Gilberto: la natura è quella che è, ma la nostra specie sicuramente, pur di lucrare, dimostra di non curarsi d'altro. Poi si piange, ma ahimé sempre tardi e sempre inutilmente.

Vanna ha detto...

Buongiorno Manlio, leggerai in ritardo.
OT
Ultimamente in un congresso un eminente scienziato giapponese ha parlato del Vesuvio, da tutti i monitoraggi che stanno eseguendo nella zona e che pare solo gli esperti posso leggere per intero, lui ha tuonato che a breve il vulcano avrebbe eruttato procurando una tragedia immane.
Sempre dagli ultimi studi, nel golfo di Napoli sono presenti bocche vulcaniche che mandano fuori materiale, è un fatto nuovo.
Se poi consideri che il Marsili lo stanno sollecitando da qualche anno per tirar fuori energia, viene fuori un quadro terrificante.
Chissà se qualcuno penserà di usare la sabbia per coprire la bocca del Vesuvio: la sabbia potrebbe essere la pietra filosofale che trasforma...