mercoledì 6 gennaio 2016

My name is innocent...

Di Gilberto Migliorini


Non si facciano idee sbagliate i lettori. Come si usa dire “ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale”. La storia che vado a raccontare attinge, qua e là, dalla cronaca dei nostri tempi colmi di spunti e suggerimenti narrativi, materiale per un giallo, trasfigurato in forma letteraria, con un pizzico di suspense. Il genere thrilling non parrebbe appropriato per un pubblico ancora beatamente ipnotizzato da quel televisore che quotidianamente ci racconta la favola bella, imbastita di ninna nanne, canzoncine, tiritere e gli immancabili scioglilingua, senza farci mancare l’oroscopo e il quiz. Le suadenti veline danno al Bel Paese un carattere oleografico, infiocchettato e arzigogolato, quello di Bengodi, l’utopia dove gli assassini sono assicurati alla giustizia e le persone per bene guardano il format criminologico alla tivù.

Se a qualche telespettatore ancora avvolto nel proverbiale oggetto transizionale, la coperta di Linus o l’orsacchiotto, capitasse di sintonizzarsi sul caso che sto per raccontare, non credo che ne sarebbe turbato. L’utente manterrebbe l’aplomb, nel suo corredino ideologico che lo tiene sempre in caldo e protetto dai dubbi perniciosi, all’occorrenza usando il telecomando per sintonizzarsi sulle news.

La storia spero invece susciti interesse per un lettore che non disdegni il paradosso e che voglia provare l’ebrezza del delitto, letterariamente parlando, senza dolersi di potersi imbattere nell’assassino. Potrebbe perfino far da vittima, in senso figurato, finendo virtualmente accoltellato e morto accoppato, o magari maciullato nel bel tritacarne mediatico... Poi, vivaddio, spogliati gli abiti di scena, ciascuno può tornare serenamente alle sue quotidiane occupazioni e continuare il solito tran tran abbandonando il presunto colpevole al suo destino.

Se il lettore avesse per caso il sospetto riguardo a qualcuno di professione imputato, uno che gli è familiare, non si faccia illusioni, qui il mestiere è sempre e solo quello dell’assassino con tanto di diploma e attestato di specializzazione a seconda dell’arma, del movente, della crudeltà, della efferatezza e perfino dello stile delittuoso…

La lettura di un libro mi ha dato il là, ma assicuro che non si tratta di plagio, il testo in questione mi ha solo fornito l’incipit per raccontare la mia di storia (il mio personaggio letterario) che per inciso è tutta farina del mio sacco, purtroppo della mia via crucis, ma non saprei dire se finirà in crusca come quella del diavolo o avrà gli onori di un link, sperando che non mi porti dritto in qualche girone infernale.

Il libro che mi ha ispirato è “L’assassinio come una delle belle arti” di Thomas de Quincey, scrittore ottocentesco, erudito grecista e giornalista inglese. Lo so, il titolo sembrerebbe disdicevole nonostante si parli di Abele, di Cesare, del duca di Berry, di Guglielmo I d’Orange, dei tre Enrichi di Francia (brillante costellazione di omicidi politici) del duca di Buckingham - e via via, cammin facendo - tutti bellamente ammazzati da mano assassina. Per la nostra attualità omicidiaria non c’è che l’imbarazzo della scelta, comprese stragi e carneficine… Oggidì la cronaca ne offre per tutti i gusti e per qualsivoglia inclinazione al delitto, con alcuni esempi esteticamente ragguardevoli e di tutto rispetto...

Ciascuno si può identificare con il presunto assassino, il sottoscritto secondo gli inquirenti, o con la vittima, anonima per una questione di privacy, per il gusto di fantasticare perfino della nobile arte del delitto, dei suoi esegeti, detrattori, epigoni e ispiratori.

Ma ecco qua la mia storia

Quando erano venuti a prendermi ero intento alla mia occupazione, lavoro di concetto, impilar scatoloni con il muletto. Con me una decina di colleghi ciascuno dedito alle attività connesse al lavoro del magazzino. Nel trambusto generale, quando la polizia aveva fatto irruzione nel capannone, lì per lì non capivo cosa stesse accadendo. Non ne avevo avuto il tempo, in un attimo mi ero trovato immobilizzato, come i vitelli al rodeo, con quel rude e deciso protocollo, senza preamboli o infingimenti, strabaltato come una marionetta, piegato in due e poi in quattro come un plico postale. Dicono che volevo scappare. I nerboruti poliziotti mi avevano portato via di peso, ammanettato come fossi stato un pericoloso assassino... e a quanto pare, secondo il mandato di cattura, con mio grande stupore lo ero per davvero. I miei colleghi di lavoro mi avevano guardato come se avessero visto per la prima volta chi ero... sotto le mentite spoglie del magazziniere. Ero un manzo da portare al macello.

Trattandosi solo di finzione letteraria, confesso che era stato divertente, perfino spassoso, come nei giochi televisivi… una fiction di quelle dove diventi ricco e famoso. Però intuivo già che la vicenda ne avrebbe avuto di colpi di scena… e non potevo che sentirmi lusingato di trovarmi così di punto in bianco con un ruolo da protagonista, indiscusso e acclarato, meritevole di primi piani e perfino di una claque che applaudiva e gridava parole euforiche e allusive, mentre l’auto della police mi portava via nell’entusiasmo e l’eccitazione generale. Ero già famoso e rinomato, addirittura pronto per la nomination. Davvero un’entrata in scena da divo del cinema di quelle che danno al pubblico in sala l’esatta percezione di quanto sia importante e di rilievo sociale il ruolo d’imputato di un delitto efferato.

Ecco, la mia storia è cominciata letterariamente così, e ancora non ci credo che proprio io abbia avuto l’onore d’indossare la nobile veste dell’assassino, vero o taroccato non è poi così importante agli effetti del successo mediatico. Un caso giudiziario che avrebbe poi fatto versare fiumi di inchiostro e innescato quel dibattito acceso, talora virulento, tra opposte fazioni. Certo qualcuno dice che la letteratura è la vita e che da protagonista si interpreta la parte che ci è stata assegnata, vuoi per destino e vuoi per decreto. Fa fede il mio proverbiale ottimismo circa l’esito di tutta la vicenda, fidandomi della competenza dei miei giudici, ma soprattutto della divina provvidenza.

Però non aspettatevi che parli del processo che poi ne è seguito, per quello occorrerebbe un intero romanzo, perfino un’enciclopedia tematica, una dissertazione scientifica con note a piè di pagina e apparato bibliografico. Non ne sono all’altezza... e nemmeno per un romanzo epistolare. Già per scrivere questo zibaldone ho dovuto dar fondo a tutta la mia vena creativa. A me qui interessa andare al sodo della vicenda, così come la interpreto in prima persona, descrivendo i miei vissuti da presunto criminale con i connessi stati d’animo in un accavallarsi di angosce, paure e illusioni. Soprattutto nutro la speranza dentro di me di venir prosciolto dal romanzo criminale nel quale mi hanno affibbiato il ruolo così impegnativo del colpevole. Insomma voglio raccontare tutto quello che passa per la testa a chi se ne sta dietro le sbarre e si chiede quale il finale della storia: commedia, dramma, tragedia… o magari slapstick? Altri, letterariamente, mi gratificano di epiteti evocativi e suggestivi, mi fanno fare da modello sul quale adattare l’abito dell’assassino, ritagliandomelo addosso con cura amorevole e appassionata dedizione. Molti mi danno già per un caso chiuso, attore consacrato in un film di sicuro successo, con l’esecuzione sommaria già programmata.

L’accusa è d’omicidio intenzionale. Sarei un potenziale serial killer, assai pericoloso, dicono, con o senza il braccialetto elettronico. Mi è infatti stata negata la libertà provvisoria, per via del rischio di reiterazione del reato (mi aggiorno sulla terminologia con i format criminalisti dove figuro sempre in fotografie di repertorio con un’aria in sintonia col personaggio che devo interpretare).

Per raccontare della pubblica accusa, degli avvocati, delle prove scientifiche, del dibattimento e di tutto l’ambaradan del caso giudiziario… occorrerebbe ben altro delle osservazioni di un povero imputato che a detta del pubblico ministero ha come unico titolo di studio quello del killer, per giunta in odore di serialità. Per parlare del processo ci vuole il consulente, l’esperto, lo scienziato, il criminologo… Eventualmente anche l’astrologo potrebbe spiegare come una perversa congiunzione astrale abbia scatenato la follia omicida o al contrario abbia inguaiato un innocente.

All’interrogatorio, che ne era seguito, non avevo fatto scena muta, tutt’altro, mi ero fatto in quattro per spiegare e raccontare, in risposta alle contestazioni degli addebiti, credo che si dica così, che mi cadevano tra capo e collo. Avevo cercato di aiutare gli inquirenti supponendo scenari alternativi, per illustrare come fossi finito per errore a rivestire un ruolo che non era il mio. In perfetta buona fede ritenevo che per quella parte non avessi né il fisico adatto né le idonee credenziali. Non era giusto che interpretassi una parte talmente di rilievo senza averne l’adeguato background formativo e le necessarie competenze espressive. Soprattutto non mi sembrava corretto indossare gli abiti di un personaggio che non ero io. Il mio zelo aveva però finito per tirarmi la zappa sui piedi e per aggiungermi altri capi d’imputazione. Forse avrei dovuto starmene zitto, ma io purtroppo sono fatto così… e poi forse il copione lo prevedeva e io mi sono calato nel ruolo del protagonista con tutto l’entusiasmo e l’ingenuità dell’imputato ancora alle prime armi, del tutto ignaro dei trabocchetti delle procedure legali.

Vorrei raccontare come sul cadavere c’era, a detta degli inquirenti, inequivocabile la mia firma biologica. Non voglio entrare nei dettagli, sono questioni da esperti. Hanno cercato di spiegarmi... Mi contestavano che sulla salma c’era proprio scritto il mio nome. Non vorrei passare per sprovveduto, ma lo confesso, per quanto cerchi di tenermi informato non sapevo a cosa alludessero. Mi hanno accennato a nucleotidi, Dna, nucleare, mitocondriale… ma per quanto abbia cercato di capire e di almanaccarmi con quel poco che conosco, per aver visto talvolta quark e qualche altra trasmissione di scienza divulgativa, confesso che non ci ho capito un’acca. Se mi avessero parlato in arabo o ostrogoto forse avrei afferrato qualcosa di più. Quel linguaggio criptico non mi incoraggiava, era come se mi parlassero della fisica della materia oscura.

Mi si chiedeva con insistenza di spiegare come il mio Dna fosse finito sulle mutande della vittima. Con quel topos sfido chiunque a non preoccuparsi almeno un po’. La faccenda mi metteva in ansia soprattutto per il fatto che se avessero trovato che so la mia carta d’identità almeno avrei potuto por mente locale di dove l’avevo smarrita, ma per il mio autografo genetico… non saprei nemmeno dire come è fatto, di che colore è, se m’è caduto dal fazzoletto o per via della mia incontinenza l’ho perso per strada, se me l’hanno sottratto in modo fraudolento o se si tratta magari di uno sfortunato quiproquo... A conti fatti devo ammettere che non ne ho la più pallida idea. Insomma, non saprei proprio come spiegare qualcosa che nemmeno capisco bene cosa sia. Ne prendo atto... Alla fine mi son fatto l’immagine di una polverina magica, come nelle fiabe che ci raccontavano da bambini, impalpabile e invisibile, qualcosa che solo i maghi della scienza sanno vedere e maneggiare.

Rimane il fatto, mi dicono, che sul cadavere e proprio là in quella posizione così singolare… c’era la mia sottoscrizione vidimata e ratificata, una sorta di prova regina, di quelle che non ti danno scampo e che altri sanno vedere e leggere in modo infallibile e con inequivocabile certezza. A complicare ulteriormente le cose ho scoperto che sono figlio illegittimo, almeno così dicono, per quanto non ne sia del tutto convinto. Attraverso una cronistoria che risale all’arca di Noé sembra siano arrivati proprio alla mia firma sul cadavere. Una sfiga pazzesca che dall’albero genealogico abbiano pescato proprio il nome del sottoscritto. Ma tant’è, anche per un personaggio di fantasia come me c’è il problema degli ascendenti... come ben sa la critica letteraria che non fa mistero del problema delle origini, anche se talvolta colloca l’autore in un contesto storico che non è il suo.

Se non fosse che c’è di mezzo la scienza ci sarebbe perfino da sbellicarsi dal ridere, ma purtroppo è il sottoscritto ad esserci andato di mezzo. Per quanto io sia solo una finzione letteraria, protagonista magari innocente, non mi garba l’idea di rimanere imprigionato in questo giallo, fosse anche avvincente per chi lo legge.

Non voglio comunque entrare nel merito della firma biologica, se sia la mia oppure no, son cose da esperti e da quel che mi è parso di capire ognuno ha una sua idea a riguardo, c’è chi la racconta in un modo e chi in un altro, chi sa essere più convincente e chi meno, chi grida più forte e chi fa lo gnorri. Per qualcuno la faccenda è palese e non merita di spenderci nemmeno un po’ di inchiostro, anche se, si sussurra, che il mio di caso sia un unicum nella storia della genetica, fatto talmente eccezionale (ma non chiedete a me il perché) che non se ne trova traccia in nessuna relazione, trattato e dissertazione scientifica. E questo, ovvio, mi rende vieppiù importante, caso eclatante, che rischia di diventare perfino più famoso della autenticità della sacra sindone. Da un lato la cosa mi inorgoglisce perché il mio caso sembra perfino antesignano di una nuova clamorosa scoperta, così dicono, che potrebbe perfino sconvolgere la biologia, d’altro lato però sembra che non giovi né punto e né poco alla mia condizione di imputato con un codice genetico che potrebbe essere perfino alieno, imparentato con qualche marziano.

Le contraddizioni che per altri sono lì da vedere e pongono seri dubbi sull’autenticità del mio autografo, per l’accusa sono solo quisquiglie spiegate per via di straordinarie anomalie e con quei termini che per me sono come il cinese mandarino. In ogni caso i consulenti fanno a gara per dire che sono già con la corda al collo e pronto per il girone infernale (metaforicamente) e cotto a puntino.

Soprattutto ora, so quanto incidono sull’opinione pubblica quei giornalisti che sanno impostare così bene il canovaccio usando il linguaggio appropriato e le formule più consone per farmi sentire inguaiato. Te la suonano e te cantano talmente bene che alla fine anche tu rischi di crederci. E il sospetto di essere l’assassino l’ho avuto per davvero quando mi hanno descritto per filo e per segno come avessi accalappiato la vittima, trasportata sul mio trabiccolo e lasciata agonizzante sul greto di un fiume. Il film me l’hanno raccontato così dettagliatamente che la storia della firma genetica mi aveva quasi convinto che soffrissi di qualche amnesia o fossi un caso esemplare di doppia personalità: buon padre di famiglia e… perverso criminale. Però per quanto avessi fatto una accurata analisi di coscienza, purtroppo per la resa letteraria e lo sponsor mediatico, ero e rimango innocente, per chi mi vuol credere.

Il fatto è che i lettori, a differenza del sottoscritto, son tutti esperti di genetica, parlano come uno Spallanzani nella famosa controversia con Needham (vedete che qualcosina ho letto anch’io…). È pur vero che allora si parlava di animaletti rilevati dall’occhio armato del microscopio, la generazione spontanea per l’inglese. Oggi, mi dicono, è un software che fa tutto da solo e ti scodella lì bell’e pronto il nome dell’assassino con tutta la sua biografia, compresa la descrizione puntuale dei rapporti coniugali. Io purtroppo devo essermi perso qualche puntata di superquark.

Inutile ribadire che sono innocente, soprattutto se il lettore è un colpevolista, inutile raccontare che ho sempre rigato dritto e lavorato duro per mantenere la famiglia, che non ho mai avuto nessun precedente con la giustizia. C’è sempre una prima volta direbbero gli scettici. Lo so e li capisco. Dicono tutti così, che sono innocenti, nei palazzi del potere... Poi a rendere la cosa ancora più intrigante son saltate fuori storie incredibili, fatti sconvolgenti come quelli che frequentavo una sauna svedese, che avevo acquistato un quintale di pomodori, che qualche volta sul lavoro sparavo qualche cazzata per rompere un po’ la monotonia… e tanti altri fatti che avevo sempre considerato cose innocenti e senza rilevanza penale.

Per la sauna lo ammetto che avevo un debole, e per i pomodori era mia moglie che voleva aver la scorta di passata da tenere in cantina per il ragù. Sul computer, mi dicono, han trovato una ricerca sospetta sulla sessualità dei macachi. Ma non voglio perdermi in quisquiglie, c’è quel macigno della mia firma biologica che fa la differenza e trasforma perfino le mie puntate al gioco del lotto come un segnale di crisi del mio rapporto coniugale e possibile movente del delitto.

Però una cosa la voglio dire in mia difesa e raccontare a tutti, anche quelli che mi hanno già considerato bell’e colpevole e condannato, che la verità non è double face come qualcuno pretende, che la verità è una sola, per quanto mi si dica che bisogna distinguere tra verità reale e verità processuale. Sarò anche colpevole, ma non sono stupido e per quanto si cerchi di arrampicarsi sugli specchi non mi convinceranno mai della dottrina della doppia verità. Ce ne parlava il curato a proposito di un certo Averroè… Sì, per quanto non abbia letto di greco e di latino, nel mio piccolo, ho assaggiato qua e là, non dico di essermi fatto una vera cultura, però una infarinatura quella sì, e so discernere chi te la racconta giusta da chi tenta di quadrare il cerchio.

Sento dire che purtroppo le due verità non combaciano sempre, per qualcuno addirittura quasi mai. Io che non ho fatto il liceo e neppure l’università, ho solo la quinta elementare, ma un po’ autodidatta, sono però persuaso che la verità è sempre una sola. Se mi vengono a dire che la verità del processo sarà una cosa e la verità della realtà sarà un’altra cosa… allora mi arrabbio e dico senza mezzi termini che è un bell’inganno, che è come mettere le mani avanti per imbastire una scusante e per giustificare l’eventuale cantonata.

Sono è vero ignorante e non so quale sia la logica processuale, ma di certo il buon senso mi dice che se le verità non collimano qualcuno di sicuro ha sbagliato e dovrebbe pagare proprio come me (se davvero fossi colpevole). Gli opportunisti direbbero che non tutte le ciambelle escono col buco, che il berlingozzo è comunque stato confezionato a dovere, seguendo minuziosamente la ricetta (che non so bene quale sia…)

Lo so, si tratta solo di finzione letteraria… sono solo un personaggio di carta. Nella realtà le cose vanno sicuramente in modo diverso. Oppure no?

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7 commenti:

Anonimo ha detto...

Bellissima finzione letteraria, Gilberto. Leggere te e Massimo è sempre un po' sentirsi meno soli, in questo "water umano", dove difendere sembra diventato davvero impossibile. Se un giorno avremo occasione, vi regalerò la copia di un documentario - Juruna, o espirito da floresta -, la storia del primo deputato indigeno del Brasile. Il ministro a cui si rivolse Juruna (per discutere la demarcazione delle terre indigene) e al quale portò la registrazione di un discorso dello stesso ministro, negò di aver pronunciato le sue stesse parole. Con la sua stessa voce. Non so perché, in certi casi, come quello del tuo personaggio, mi viene sempre in mente...Vi prego, non smettete mai di scrivere. Sashinka

Anonimo ha detto...

"All’interrogatorio [...] mi ero fatto in quattro per spiegare e raccontare, in risposta alle contestazioni degli addebiti [...] che mi cadevano tra capo e collo. Avevo cercato di aiutare gli inquirenti supponendo scenari alternativi, per illustrare come fossi finito per errore a rivestire un ruolo che non era il mio. [...] Il mio zelo aveva però finito per tirarmi la zappa sui piedi e per aggiungermi altri capi d’imputazione. Forse avrei dovuto starmene zitto, ma io purtroppo sono fatto così… "

Quello che ancora mi chiedo è se al primo interrogatorio Bossetti era con o senza il suo avvocato. Se era senza è comprensibile che abbia cantato come un fringuellino, mettendosi ancor di più nei guai (ma quello che a detto non dovrebbe essere inutilizzabile?); ma era col suo avvocato, non avrebbe fatto meglio a dirgli di star zitto intuendo che tutto ciò che il suo assistito diceva gli si veniva ritorto contro.

Dudu' ha detto...

Bravissimo Gilberto!

Riporto anche qui un link che segnala Wolf sotto il precedente articolo sul caso

https://www.change.org/p/on-andrea-orlando-chiediamo-gli-arresti-domiciliari-per-massimo-bossetti-2b3fbebc-7aa1-4a9e-a42b-937cf5ce9171

E poi segnalo a tutti questa perizia, inerente un altro caso, pertinente a mio avviso anche sul dna qui in esame , PaoloA credo la gradira'.

https://www.google.it/url?sa=t&source=web&rct=j&url=http://www.crimine.it/images/articoli/allegati/Perizia_Poggi_finale.pdf&ved=0ahUKEwi86KHOgpbKAhXH7Q4KHVMZBfsQFgghMAE&usg=AFQjCNETA7Bz_eD8LePSzPScwLO4Jh4pFw&sig2=H1fO3aVO2SoDOlpbSr4OOg

Paolo A ha detto...

Per Dudu'
Grazie del link, ho letto velocemente la parte della perizia che riguarda i pedali della bici, da pag 65 a pag 90, ebbene i dubbi che avevo espresso si sono materializzati in forma chiara e per di più in forma ufficiale, in pratica i periti hanno smontato la consulenza del RIS in tutti i punti; inoltre c'è un passaggio clamoroso dove si afferma che la traccia, se è di tipo ematico deve essere visibile a occhio nudo, nella relazione RIS riguardante il delitto Gambirasio, il campione della porzione 31g20 è dichiarato come invisibile.
Inoltre a pag 90 i periti del GIP dichiarano che non condividono l'opinione che il materiale presente sui pedali debba essere attribuito con alta probabilità al sangue di Chiara Poggi.
Questo giochetto lo stanno facendo da molto.
Per documentarsi circa la formazione dei tecnici della polizia scientifica vi consiglio di vedere questo video, così vi rendete conto la preparazione che hanno:
https://www.youtube.com/watch?v=nFPO5PCzRo8

Gilberto ha detto...

@Sashinka
Grazie per l'apprezzamento. Troppo buona. Sono curioso riguardo al documentario. Mi sembra un tema emblematico e di attualità proprio in rapporto a quella conferenza sul clima e alle connesse politiche colonialistiche dove non c'è solo l'esproprio della terra ma anche del mare e del cielo...

Anonimo ha detto...

Mi chiedo e mi richiedo e strarichiedo ;
se davvero la madre di Bossetti dice che non ha avuto relazioni con Guerinoni, ma perchè non vanno a fare un test del Dna alla sorella di Bossetti o del Bossetti stesso in modo da avere u test di paternità chiaro e limpido e se poi dovesse venir fuori che la storia di Guerinoni è tutta una montaturam non sarebbe un valido motivo per dichiarare Bossetti innocente? Ma perchè cavolo non lo fanno se sono così sicuri? E' la strada più veloce per porre fine a sta storia!!

ENRICO ha detto...

@Anonimo

ce lo siamo chiesto, richiesto e strarichiesto in molti e non siamo mai riusciti ad ottenere una risposta logica
( compreso il Gip Ezia Maccora la quale, a suo tempo invitò il PM ad effettuare questo confronto risolutivo ma gli fu risposto picche !
http://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/ma-sul-dna-e-scontro-tra-i-giudici-sul-prelievo-al-padre-di-bossetti_1063608_11/)