| Saluti dal tarocco |
Ma per il momento i giornalisti lasciamoli alla loro ingenuità, ne riparleremo dopo, e concentriamoci su quanto accaduto venerdì nel tribunale di Bergamo dove da giorni parlava solo l'arma letale dell'accusa, il tenente colonnello Giampietro Lago che ad ogni domanda del pubblico ministero sprecava ore e ore in spiegazioni soporifere per lodare e rendere ancor più bello e professionale il lavoro svolto dal reparto scientifico che ancora comanda. Forse credeva anche che quanto dichiarava fosse sicuro e provato, come lo credevano i giurati che lo ascoltavano, e forse pensava di aver già chiuso il discorso quando si è trovato di fronte l'avvocato Claudio Salvagni. Forse in quel momento ha pure creduto che rispetto alla sua credibilità quella del difensore valesse zero e che se ne sarebbe sbarazzato facilmente usando altre lunghe disquisizioni. Questo fino a quando non si è parlato del furgone.
"Colonnello, perché se Bossetti è passato sotto mille telecamere ha analizzato solo il filmato della ditta Polynt? Perché avendo il furgone a disposizione non lo avete fatto passare in quella strada, sotto quella stessa telecamera? Non era l'unico modo per fare misure giuste, analisi professionali e non alla pressappoco? Colonnello, avete appurato se il furgone ripreso da altre videocamere fosse quello di Bossetti?".
Ed ecco che da una domandina facile facile è nata quell'escalation che di lì a poco avrebbe fatto alzare i toni e cambiare le certezze di chi il colonnello aveva convinto. Il dottor Lago, che navigava sulla sicurezza di aver fatto un bel lavoro accusatorio anche a processo, prende la domanda alla leggera e senza rendersene conto inizia a squarciare il velo.
"Il furgone lo volevamo portare, ma la procura non ha voluto per ragioni di ordine pubblico. Per quanto attiene gli altri video, abbiamo analizzato solo quello della Polynt, in cui c'è un'alta compatibilità, perché le altre immagini non erano scientificamente analizzabili"
Era questa la risposta che voleva l'avvocato Salvagni che, fingendo noncuranza, a quel punto ha mostrato al colonnello le immagini del filmato che tutti gli italiani conoscono a memoria, quello in cui si vede un furgone che transita in orari anche molto diversi sulle strade di Brembate di Sopra, quello che i media ci hanno propinato ad ogni ora facendocelo mangiare a colazione, a merenda, a pranzo, durante uno spuntino pomeridiano e anche a cena e a notte fonda. E' il furgone che per la procura è guidato a mò di pedofilo assatanato dall'orco famelico Bossetti che si aggira attorno alla palestra in attesa della sua vittima. Questo asserivano sorridenti anche i media.
Invece non è così e ora sappiamo che quel filmato è una bufala colossale montata ad hoc con immagini non verificate perché, come ha affermato il colonnello, non erano analizabili. "E' un video concordato con la procura a fronte delle numerose richieste di chiarimento", sono state le parole di Giampietro Lago in aula.
In pratica, significa che il filmato concordato dal Ris con la procura contiene immagini prese da tutte le videocamere della zona, che solo due di queste sono compatibili col furgone di Bossetti (quelle della Polynt), mentre tutte le altre, non analizzabili, sono state inserite in malafede per dare al popolo la certezza che il furgone fosse proprio quello di Bossetti, così da validare mediaticamente la ricostruzione accusatoria e far credere che il carpentiere quella sera andasse a caccia di una preda...
e scoppia il putiferio.
"Colonnello, perché se Bossetti è passato sotto mille telecamere ha analizzato solo il filmato della ditta Polynt? Perché avendo il furgone a disposizione non lo avete fatto passare in quella strada, sotto quella stessa telecamera? Non era l'unico modo per fare misure giuste, analisi professionali e non alla pressappoco? Colonnello, avete appurato se il furgone ripreso da altre videocamere fosse quello di Bossetti?".
Ed ecco che da una domandina facile facile è nata quell'escalation che di lì a poco avrebbe fatto alzare i toni e cambiare le certezze di chi il colonnello aveva convinto. Il dottor Lago, che navigava sulla sicurezza di aver fatto un bel lavoro accusatorio anche a processo, prende la domanda alla leggera e senza rendersene conto inizia a squarciare il velo.
"Il furgone lo volevamo portare, ma la procura non ha voluto per ragioni di ordine pubblico. Per quanto attiene gli altri video, abbiamo analizzato solo quello della Polynt, in cui c'è un'alta compatibilità, perché le altre immagini non erano scientificamente analizzabili"
Era questa la risposta che voleva l'avvocato Salvagni che, fingendo noncuranza, a quel punto ha mostrato al colonnello le immagini del filmato che tutti gli italiani conoscono a memoria, quello in cui si vede un furgone che transita in orari anche molto diversi sulle strade di Brembate di Sopra, quello che i media ci hanno propinato ad ogni ora facendocelo mangiare a colazione, a merenda, a pranzo, durante uno spuntino pomeridiano e anche a cena e a notte fonda. E' il furgone che per la procura è guidato a mò di pedofilo assatanato dall'orco famelico Bossetti che si aggira attorno alla palestra in attesa della sua vittima. Questo asserivano sorridenti anche i media.
Invece non è così e ora sappiamo che quel filmato è una bufala colossale montata ad hoc con immagini non verificate perché, come ha affermato il colonnello, non erano analizabili. "E' un video concordato con la procura a fronte delle numerose richieste di chiarimento", sono state le parole di Giampietro Lago in aula.
In pratica, significa che il filmato concordato dal Ris con la procura contiene immagini prese da tutte le videocamere della zona, che solo due di queste sono compatibili col furgone di Bossetti (quelle della Polynt), mentre tutte le altre, non analizzabili, sono state inserite in malafede per dare al popolo la certezza che il furgone fosse proprio quello di Bossetti, così da validare mediaticamente la ricostruzione accusatoria e far credere che il carpentiere quella sera andasse a caccia di una preda...
e scoppia il putiferio.
"Mi oppongo! Mi oppongo! Presidente, questo video non è nella relazione che abbiamo consegnato! Presidente! Quel filmato non è agli atti e non si può mostrare a processo!". Parole di una arrabbiatissima dottoressa Ruggeri. "Quel filmato lo avete fatto voi, è un vostro documento e sopra c'è lo stemma del Ris". Parole della difesa. "Ma non è nel fascicolo e non lo potete mostrare in aula". Ancora la Ruggeri. "Se non è agli atti non ci interessa minimamente". Parole di un giudice che interpreta la legge per come va interpretata. "Chiedo che sia messo a disposizione della Corte l'intero materiale acquisito con le telecamere di videosorveglianza!". Parole dell'avvocato Camporini che batte sul ferro caldo.
Un caos che lascerà strasichi e anticiperà la disfatta, perché poi il colonnello farà capire che tutte le certezze che aveva inculcato nei giurati in tre giorni di testimonianza non erano assolutamente da considerarsi certezze. Ammetterà di non aver analizzato né gli abiti dei familiari di Yara né quelli di chi frequenta Brembate (per capire quante sferette metalliche contenessero). Ammetterà che i professionisti del Ris di Parma preferirono analizzare gli abiti di quattro studenti della loro città, figli di colleghi dell'Arma, piuttosto che perdere due ore per andare a Brembate. Che preferirono analizzare le tute di operai della zona, tute di cui neppure si sa quanto fossero sporche o pulite. Ammetterà di aver fatto indossare un paio di leggings a un'appartenente dell'Arma. Di averla fatta sedere sul sedile del furgone di Bossetti per scoprire quante e quali fibre ci avrebbe lasciato sopra. Ma ammetterà anche di non aver scelto i leggings basandosi su quelli indossati da Yara, di averli presi a caso e di non sapere di quale materiale fossero. Ma la loro città non è Bergamasca e non tutti i leggings sono fatti con lo stesso tessuto... quindi i parametri sono completamente diversi e professionalità voleva che si facessero analisi che meritassero questo nome. Ma oltre a questo, il colonnello ha ammesso anche di non aver analizzato né i sedili dell'auto dei Gambirasio, pur se nella loro disponibilità, né quelli del pulmino della palestra che la sera del 26 novembre alcuni testimoni videro girare per Brembate Sopra, né quelli di qualsiasi altro mezzo.
Non c'è che dire! Davvero un'indagine professionale e consona alla situazione venutasi a creare, prima con la cremazione di chi poteva dare risposte alla corte e poi con l'arresto di Massimo Bossetti. Consona ai tanti dinieghi pronunciati dalla procura di Bergamo e accettati dai giudici. Non ultimo l'opposizione alle riprese televisive in aula che impedisce di fissare la realtà delle testimonianze da mostrare alla pubblica opinione... tanto cara alle procure.
Ma fortuna vuole che qualche giornalista serio ancora esista, e grazie a uno di questi ora sappiamo non solo che si è indagato e analizzato in maniera unilaterale, ma anche che la procura di Bergamo ha ordinato a una istituzione d'eccellenza, per questo dal popolo creduta quasi aliena e non formata da esseri umani fallibili e corruttibili (come tanti nostrani politici e manager), di creare un filmato con materiale che scientificamente non poteva dare alcuna risposta. Questo per influenzare le menti degli italiani e far loro pensare che le indagini fossero buone indagini, che il Dna fosse sicuramente di Massimo Bossetti e che le analisi del Ris fossero professionali e scrupolose. Si voleva creare, e si è creata, una sorta di prova del nove che confermasse alla popolazione la ricostruzione accusatoria. Prova del nove che essendo farlocca doveva restare all'interno del circuito mediatico e non entrare in un'aula di giustizia.
Questo è quanto è stato e c'è poco da ridire, bisognerebbe solo indignarsi e strillare sui giornali che la giustizia italiana è allo sbando e usa i media per condannare in anteprima gli imputati scelti fra il popolo. Invece la maggioranza dei giornalisti tacciono. Solo quelli da sempre bravi intervengono. Perché?
A fronte di questo silenzio fa specie e infastidisce che un gruppo di cronisti lombardi, che per lavoro fanno cronaca e frequentano procure e tribunali, che sanno di essere gli strumenti delle istituzioni (e nella loro pagina facebook lo ammettono anche) diramino un comunicato come se in questi anni non si fossero accorti di nulla. Ricordo a tutti che è lo stesso gruppo di cronisti che ha difeso l'indifendibile "el director Biavardi", di cui certo conoscono il settimanale e le notizie pregiudizievoli che assieme ad altri sparge ai quattro venti, quando Claudio Salvagni usando una metafora scrisse una parola scomoda. Un gruppo frequentato anche da moltissimi giornalisti seri che però, se davvero scrive in buonafede i suoi comunicati, si mostra di una ingenuinità preoccupante. Un gruppo che vuol far credere di non avere colpe e mette le mani avanti additando la sola procura ma scordandosi di quei suoi affiliati che pur di fare uno scoop pubblicherebbero di tutto... subito e senza controllare nulla. Un gruppo che pur parlando bene, perché scrivere:
Vede egregio procuratore, forse avete immaginato che la stampa sia un gregge ammaestrato, e purtroppo qualche volta ve ne abbiamo dato ragione. Ma a noi continua a risultare curioso che in questo Paese due istituzioni (la procura e l’arma dei carabinieri) considerino i giornalisti uno strumento per fare “pressione” a favore della propria tesi, propinando falsi all'opinione pubblica che non hanno alcun valore processuale, utilizzando la stampa in maniera strumentale. E ci permettiamo, vergognosa.
significa parlare bene, chiede conto dei fatti accaduti in un comunicato che come un fantasmino appare e poi scompare. Un gruppo che anche della sparizione del comunicato incolpa altri. Gli ipotetici commentatori che si scannavano fra loro e che li hanno costretti a rimuoverlo. Quindi non c'è stata nessuna pressione da parte di nessuno? Ne siamo certi? Beata l'ingenuità che si mostra pura in chi crede alle loro scuse e non sa che basterebbe poco per risolvere il "problema commenti" senza eliminare il comunicato.
E per capire un qualcosina di più, basta verificare quanti dei quotidiani per cui lavorano i cronisti lombardi hanno riportato la notizia del video taroccato. Il Giorno riassume l'udienza alla buona ed evita di toccare l'argomento tarocco (quanti cronisti del Il Giorno sono iscritti al gruppo?), il Corriere della Sera, giornale per cui lavora addirittura il presidente del gruppo, fa ancora peggio perché non solo non parla del video, ma dedica l'articolo al Dna e incensa il colonnello Giampietro Lago (qui l'articolo scritto dopo l'udienza di venerdì).
No signori miei, un gruppo di cronisti che si dichiara disponibile a migliorare deve prima di tutto guardarsi all'interno, fare autocritica e allontanare le pecore nere senza farsi condizionare dalla linea editoriale. Fare un comunicato per liberarsi del fardello d'essere stati l'arma della procura è facile, ma poi si deve avere il coraggio delle proprie azioni e perseverare... non calare le braghe. Perché nessun cronista lombardo questa sera ha pubblicato un comunicato per criticare uno dei fac totum che tifa per la procura? Parlo del fraticello che scrive sul panorama, quel pio ometto che sceglie a caso le sue vittime e solo se viene croce accetta di difendere l'imputato, di dichiarare urlando che è l'accusa a dover dimostrare la colpevolezza e non il contrario. Peccato che se dalla moneta vede spuntare una testa, per lui non sarà più l'accusa a dover provare il delitto ma la difesa a doversi discolpare con prove valide. Beata ipocrisia!
Ma che volete farci, è fatto così e per questo in un articolo ci ha spiegato che Luca Telese non ha capito nulla di nulla, povero giornalista che travisa, anche se Telese era in aula col suo taccuino e lui da tutt'altra parte. Per questo ci ha spiegato che i cattivi sono gli avvocati difensori che volevano far polvere e polvere han fatto, non chi ha commisionato un filmato per influenzare la pubblica opinione. E' vero, scrive, che il filmato per come mostrato per mesi al popolo non esiste, ma non è un tarocco perché le immagini inserite dal Ris esistono, dato che le videocamere effettivamente hanno filmato un furgone passare avanti e indietro per le vie del paese (di chi sia non si sa perché sono filmati non analizzabili, ma forse anche per lui tutti i furgoni che circolano per Brembate sono di Bossetti). E su quelle immagini, che non possono dire nulla di scientifico come ammesso dal colonnello Lago, si discuterà a processo.
In pratica, visto che le immagini esistono, il fraticello ci vuol far credere che il video passato ai giornalisti per influenzare l'opinione pubblica non è un tarocco ma un originale. Che in fondo basterebbe dare una tirata d'orecchie a chi l'ha commisionato e realizzato, magari criticare il sistema per qualche giorno e poi andare avanti perché la colpa di quanto accaduto è tutta della difesa che non si arrende all'evidenza e lotta con l'accusa usando le sue stesse armi.
Insomma, per come ce l'ha esposta il fraticello, è vero che agli atti non c'è il video montato e consegnato ai media per scopi che esulano dalla vera giustizia e oscurano la professionalità di persone ai vertici delle istituzioni. Però ci sono tutti i frame delle videocamere di Brembate Sopra. Da questi non si capisce una mazza e il Ris stesso dichiara che non sono utilizzabili per analisi scientifiche, ma per ognuno c'è una relazione scritta da poliziotti della giudiziaria che andranno a processo a testimoniare.
Cosa testimonieranno? Non certo che si vede il furgone di Bossetti. Forse per non dichiarare il falso a domanda diretta della difesa potranno al massimo rispondere che quanto si intravede nell'oscurità non è un elefante con gli occhiali a specchio ma un qualcosa che somiglia a un furgone. Sempre sperando che, viste le tante favole raccontateci, nessun testimone ricordi improvvisamente di aver visto Massimo Bossetti girare nei dintorni della palestra seduto sul groppone di un elefante con gli occhiali a specchio...
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