lunedì 9 novembre 2015

La Metamorfosi ‘alimentare’ del Bel Paese: c’era una volta l’Italian Food

Di Gilberto Migliorini


Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che alzasse un po' la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra, si reggeva a malapena. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante - Franz Kafka  La metamorfosi

Gregor Samsa, al risveglio, si ritrova trasformato in un bacherozzo. Anche la sua voce è cambiata e per la sua nuova condizione da scarafaggio gli è perfino difficile tirarsi su dai guanciali. Quando alla fine, a fatica, rotola giù dal letto e apre la porta della camera… fa scappare tutti i familiari inorriditi. Solo il padre riesce con un bastone a ricacciarlo nella stanza. Gregor è costretto ad adeguarsi al suo nuovo status, con un diverso stile di vita...

La trasformazione del protagonista del più celebre racconto di Kafka avviene in una notte, una mutazione che prelude a una nuova classificazione morfologica e soprattutto a una nuova condizione esistenziale. Anche l’Italia e l’italiano sembrano aver imboccato la strada di una metamorfosi che, se non proprio in una notte, sta trasformando il Bel Paese e i suoi cittadini, in un processo evolutivo vagamente darwiniano. La metamorfosi non sembra però quella della crisalide, non si tratta di modificazioni genetiche, come qualcuno vorrebbe addebitare a scenari da biologia molecolare, sembra piuttosto un lento e impercettibile cambiamento culturale, un morphing dove i fotogrammi sono istantanee psico-attitudinali e le fasi preludono come nel famoso romanzo di Stevenson (Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde) a un mutamento morale e attitudinale. La dissociazione riguarda da un lato il piano dei sogni e delle aspirazioni, e dall’altro quella quotidianità del mestiere di vivere improntata al tirare a campare, con un colpo al cerchio e quell’altro alla botte…

Gli italiani brava gente a partire non si sa da quando… hanno imparato non solo a sopravvivere, ma anche a modificarsi strutturalmente come personaggi pirandellianamente in cerca d’autore. Ne è nato una sorta di protagonista mediologico usato negli studi televisivi come soggetto sperimentale (lì si affinano le strategie behavioriste, si misura il consenso e si ritaglia il profilo psico-sociale dell’utente usando gli infallibili metodi quantitativi). Un italiano fotografato con l’auditel e qualche altra scansione sociologica, profilazioni di consumo, vettori di conformità ideologica, applausometri e tutte le diavolerie tecnologiche per misurare le risposte agli stimoli multimediali di un utente ormai disperso come un Pollicino tra telenovele, giochi a quiz, festival e salotti televisivi.  I labirinti mediatici con le classiche esche -  specchi e lustrini per narcisismi, esibizionismi e megalomanie, la freudiana sessualità polimorfo perversa - hanno formattato la mentalità dell’utente televisivo fornendogli il substrato culturale nazional-popolare di cui aveva tanto bisogno. 

Un complesso ambaradan di giochi, premi e cotillon ha ottemperato ai bisogni funzionali di un telespettatore un po’ convenzionale, un po’ edulcorato e… un po’ taroccato. Il mondo della televendita e della conformità ideologica, del si dice e del pour parler ha poi trovato il supporto indispensabile dell’opinionista ad agevolare la peristalsi intestinale. Il giudizio, quello mediatico, ha l’attrattiva del sentito dire, del gossip, di quelle voci che corrono che diventano certezze sulle labbra di fini dicitori, incantatori, mallevadori, comunicatori, propagandisti… L’opinione non ha neppure più l’onere del fatto conclamato, è la mera trascrizione del moto dell’animo, l’insindacabile assunto come vero in quanto autorevolmente declamato da una finestra televisiva, dal pulpito di un intermezzo di ‘approfondimento’ con tanto di expertise del maître à penser. 

Dopo i bagni di folla del fascismo e delle adunate di massa, i cittadini del Bel Paese nel dopoguerra hanno iniziato a sviluppare una nuova identità, quella seconda natura mediale, le ‘qualità artistiche ed educative’ di tante trasmissioni e performance televisive. Lì ci si può cullare alle lusinghe di una informazione catartica e suggestiva, approssimata al luogo comune e al sentito dire. Il proverbiale genio italico viene espresso con nuovi valori sociali formati tra Vite in diretta, Tribune politiche, Prove del cuoco e Novantesimi minuti: gossip creativo,  pubblicità commerciale, arte culinaria, e il classico e intramontabile calcio di rigore...

Il vecchio Pinocchio collodiano - controfigura per antonomasia dell’italico burattino - all’epoca scopriva le insidie del Bel Paese nel gatto e la volpe, nel paese dei balocchi e nel mare con gli squali… Il suo emulo aggiornato ha fatto di necessità virtù cogliendo tutte le opportunità di una sociologia dell’immaginario che i mass media vanno offrendo con dovizia di modelli e stili di consumo. Le vecchie e obsolete suffragette sono diventate veline e letterine; gli intellettuali organici si sono convertiti in commentatori da salotto; molti giornalisti son diventati esperti calligrafici di scrittura ornamentale o provetti sponsor istituzionali; gli asceti son diventati cuochi sopraffini di pietanze sensuali e creative... Perfino la fatina dai capelli turchini si è data alla politica con risultati del tutto lusinghieri. Gli inossidabili dispensatori di sogni (e tragedie nazionali) adesso la suonano e la cantano con lo zelo del pastore di anime, come sacerdoti del Verbo, un po’ edonistico e un po’ messianico.

Lo sprovveduto burattino del Lorenzini, trasformato insieme a Lucignolo nell’asinello da Circo, alla fine delle sue avventure aveva trovato proprio nel ventre dello squalo la forza di emanciparsi e diventare moralmente consapevole, un italiano vero, non solo il suo involucro esteriore, una autentica coscienza civile. Forse l’ottimismo del Collodi non aveva messo in conto che l’italiano per qualche perverso meccanismo involutivo ri-diventasse un burattino. Nemmeno le magie della fatina dai capelli turchini hanno impedito la metamorfosi. Il grillo parlante sta ancora là spiaccicato sul muro.

Un mattino, al risveglio, non si sa dove né quando, l’italiano di ancestrale memoria - quello letterario, ma anche quello temprato dall’arte della sopravvivenza e dei passaggi epocali che hanno segnato drammaticamente la sua storia - si è scoperto trasformato in pupazzo.

Il Pinocchio aggiornato ha tutte le credenziali che ne attestano la comprovata attitudine e le competenze necessarie per recitare nel teatrino di Mangiafuoco, e con quell’opportunismo che lo rende tanto proverbialmente malleabile e plasmabile.  Le emittenti televisive sono diventate un tutt’uno in un network integrato dove confluiscono i modelli culturali del connazionale educato a imparare l’arte della sopravvivenza sull’isola dei famosi o come internauta in qualche casa del fratello orwelliano. L’ideologia, in tutte le sue varianti creative ha implementato valori e disvalori sotto forma di modelli e retoriche nazional-popolari. I pinocchietti hanno visto allungarsi il naso a dismisura mentre recitavano il copione con spontanea improvvisazione

Ci attende una nuova fase evolutiva? Per quanto sia facile da manovrare e indirizzare il burattino talvolta ha la testa dura, tira calci e non sempre si lascia guidare, per via di quella sua natura eccentrica e ostinata. Per quanto gli si cerchi di inculcare i rudimenti del bon ton e della buona creanza, c’è ancora un residuo di protesta e di scatto eversivo, il pupazzo talvolta è uno scavezzacollo e perfino un ribelle. Si rende necessario un nuovo salto evolutivo? Trasformare il pinocchietto in una bacherozzo, proprio come il personaggio kafkiano, dove non c’è neppure il naso che si allunga a far da cartina al tornasole. Le bugie imperversano in incognito e la menzogna diventa strutturale. L’ambiente mediatico è quanto di meglio si possa offrire per alimentare l’insetto, dove lo scarafaggio possa razzolare beatamente tra i suoi coproliti.

C’è però qualche problema alimentare, la carne rossa e perfino il caffè sembra gli facciano male. 

Il semiologo-nutrizionista di turno spiega il nuovo menù: mangiare alghe, ragni, vermi, cavallette, larve... e perfino i grilli, quelli parlanti - per completare degnamente la metamorfosi kafkiana in un regime alimentare al passo coi tempi: un Novel food con nano-materiali... e naturalmente sul piatto non può mancare il bacherozzo!

3 commenti:

Manlio Tummolo ha detto...

Come sempre molto efficaci i tuoi articoli ed interventi, carissimo Gilberto. Esprimi idee e fatti che in larga parte condivido. Ricordo che, nell'ormai lontanissimo 1977, al Congresso di Napoli dell'Associazione Mazziniana, Francesco Compagna, allora considerato un importante economista o simile del PRI, ci disse con bellissima cadenza partenopea: "Vi prometto che vi parlerò di pomodori, ma non soltanto di pomodori". Questo in riferimento alla paventata concorrenza dei pomodori spagnoli, quando la Spagna sarebbe entrata nell'allora Comunità Europea. Nemmeno lui, però avrebbe immaginato che nei nostri supermercati, invece di pomodori spagnoli, sarebbero venuti a farci concorrenza i pomodori olandesi... Capirei i tulipani o i mulini a vento, o i celebri zoccoli dalla punta ricurva, ma proprio i pomodori...

Nelle nostre metamorfosi, sempre in senso peggiorativo, e mai di perfezionamento, siamo diventati maestri dell'horror, anche più dello scarafaggio di Kafka... Dobiamo ringraziare una nefanda classe politica e, più generalmente, dirigente che ci conduce ad un precipizio senza fondo .

Gilberto ha detto...

Carissimo Manlio
Ho iniziato a leggere il tuo saggio corposo. Già bello di primo acchito. Ne ho letto solo poche pagine ma l'impressione è che merita la carta stampata. Se sarà anche in libreria ne prenoto fin da subito una copia.
Ciao
Gilberto

Manlio Tummolo ha detto...

E magari, carissimo Gilberto. Ho già una grande soddisfazione che il nostro Massimo l'abbia pubblicato. Non so quanti altri lo farebbero, non tanto per l'argomento, quanto perché non ho dietro potentati che mi sostengano, editori illustri, partitocrati di varia risma. Comunque non fa nulla: è a libera disposizione di tutti coloro che si interessano alle cause dei fatti, senza ripetere luoghi troppo comuni. Grazie a te, che meriteresti altrettanto o maggiore apprezzamento per i tuoi lavori, e grazie a tutti coloro che hanno o avranno la pazienza di leggerlo (note comprese e commenti bibliografici). Manlio