sabato 2 maggio 2015

Paese mio che stai "sulla collina" (si fa per dire...)

Di Gilberto Migliorini


Italia mia, benché ’l parlar sia indarno/a le piaghe mortali/che nel bel corpo tuo sí spesse veggio… Certo Petrarca nel suo canzoniere poteva perfino rappresentare il Bel Paese con quella capacità di guardare al futuro, non già la guerra tra Estensi e Gonzaga e alle beghe dei principi italiani con i loro particolarismi, ma proprio il nostro presente, quello dell’Italicum e del Truman Show, con qualche muratore come protagonista inconsapevole di recitare in un reality o quelle aule sorde e grigie di ventennale memoria...

Insomma in tutta la letteratura fin dalle origini c’è come il presentimento astrologico che l’Italia sia come sotto l’egida di una stella votata alle sventure e alle défaillance, nata da posizione podalica e con un forcipe che ne maltratta la testa fetale. Solo perché sarà ancora più meritevole il regno dei cieli e la visione utopica di un paese finalmente risanato dalla Giustizia e dal Bene? Si tratta di quelle prove che come in qualsiasi sceneggiatura che si rispetti occorre affrontare, proprio come quel viaggio dell’eroe (l’homunculus italico) che attraverso i secoli, sia pure tra mille peripezie, alti e bassi del machiavellico fiume della fortuna e delle immancabili tragedie di un popolo in marcia con le scarpe di cartone di memoria littoria, ci ha condotti fin qui. Ma qui dove? Ci si guarda attorno spaesati e increduli.

“Qui come venn'io, o quando?; credendo d'esser in ciel, non là dov'era” per usare ancora il verso petrarchesco. La domanda meriterebbe una approfondita analisi sociale, una di quelle che vengono illustrate con dovizia di dati e statistiche che ci dicono come siamo e come saremo.... Si tratta di equazioni evolutive con tanto di grafici e diagrammi di flusso. La scienza della statistica viene in aiuto con database e formule che all'occorrenza ti scodellano dati e previsioni con l’ausilio della matematica e dei procedimenti stocastici, una fisica sociale con quelle belle proiezioni rappresentative di un futuro tra l’incerto e il possibile, ma sempre migliore... ci dicono, perché tanto al peggio non c’è mai fine… 

Eppure anche un povero Cristo digiuno di equazioni e algoritmi potrebbe con buona approssimazione formulare delle previsioni abbastanza puntuali e precise quanto basta per fare bella figura in un convegno di economisti. In fondo non occorre essere né indovini e né sociologi per scodellare proiezioni scientifiche sul bel Paese, basta il buon senso alla Totò e il proverbiale scetticismo del gattopardo. Previsioni magari non sempre precise nel dettaglio, ma in sintesi sempre azzeccate, alla buona ma con tanto di puntuale verifica, anche se a spanne, comunque piuttosto realistica.

Sì, si galleggia come sempre... e non c’è neppure bisogno di conoscere il principio di Archimede. Si va per intuito e con quella naturale propensione a lasciare andare la barca finché va, e se non va dalle una spinta e vedrai che partirà, come sembra suggerire una canzone. Come nel coro dell’Aida è un partiam partiam, senza mai smuovere il culo da quella palude dove si sguazza più o meno beatamente un po’ nel fango e un po’ nella merde... per dirla alla francese. Guardandoci attorno, però, c’è anche motivo di orgoglio, non a caso siamo un paese di navigatori. Un tempo si andava per mari, oggi per web, lasciando ad altri l’onere di attraversar d’africa il mare, ma sempre con quello stile da Colombi viaggiatori indefessi e da Ulisse che vorrebbero ritrovar la casa e la patria perduta. Qualche volta si finisce sugli scogli. Ma che sarà mai, normale amministrazione per una ciurma abituata ai naufragi. Ci si rialza e si riprende la rotta con lo zelo del nocchiero ardito e intraprendente, guardandosi attorno magari un po’ stralunati ma sempre ardimentosi e instancabili. 

Spericolati naviganti davanti alla tv a fare zapping tra intingoli in cucina, tra criminologi e genetisti che ti sfornano un colpevole al giorno, opinionisti e letterine… e quel gossip adorabile sul periplo di personaggi da copertina così ricchi di pathos e di reminiscenze letterarie. Per dove si va non si sa, ma è il bello dell’andare a diporto. L’isola lunata di utopia sembra perfino là a un tiro di schioppo, almeno alle prime luci dell’aurora con quella magia della fata morgana. Se non fosse per quelle brume mattutine si direbbe un eden con evocative nudità. Ci stiamo arrivando nella terra promessa, già si intravede la siluette slanciata di qualche odalisca, sembra l’isola dei famosi con il solito Venerdì a far ambientazione: un vu cumprà con tanto di cellulare e tablet a supporto. Niente paura, lì si mangia a sbafo e si rimorchia e si cucca.

Poi quando il sole è un po’ più alto all'orizzonte, la maledetta insula lunata scompare alla vista. Forse si trattava solo di un miraggio, quello solito che ci fa credere di essere giunti finalmente in porto. Solo uno scoglio, un maledetto scoglio dove per giunta ci si va a sbattere. Ci assicurano che sarà per domani, le riforme in atto finalmente ci daranno le esatte coordinate, si tratta di regolare il sestante e di procedere alacremente fino alla meta: l’isola c’è, è lì da vedere sulla carta nautica, occorre solo correggere la rotta. Il portolano la indica, ma in fondo si naviga a vista, un colpo al cerchio e quell'altro alla botte, come sempre da tempo immemorabile scrutando quegli scogli a babordo e quelle secche a tribordo. È perfino bella la sfida, mantenersi a galla anche quando si fa naufragio, perfino quando si ha l’acqua alla gola. Non c’è gusto a guadagnare il paradiso senza passare per quell'inferno dantesco così stimolante ed evocativo... Bisogna soffrire per gustare poi il risultato, passare attraverso le forche caudine per approdare finalmente nella terra promessa. Sarà ancora più bello farsi una scorpacciata di delizie.

L’analisi freudiana direbbe "masochismo con quegli istinti aggressivi rivolti verso se stessi", come diceva la pubblicità del carosello con il pulcino nero: e lo vuoi fare lo stesso? Ma sì, in fondo siamo anche un popolo di santi e la santità comporta il cilicio, l’autoflagellazione, la purificazione attraverso il calvario ad imitazione di Cristo. Per qualcuno certo si tratta solo di un fatto puramente estetico, una sorta di sceneggiata, passata la festa gabbato lo santo come si dice, una via crucis con tanto di discorsi edificanti e poi una bella scorpacciata, un pranzo luculliano alla faccia della miseria. L’importante che il copione serva da stimolo e da insegnamento edificante per quel volgo da ammaestrare e condurre sulla retta via, si tratta solo di dare il buon esempio, un cenno e via, mica bisogna mostrargli per intero tutto il percorso di ravvedimento, alla massa dei reprobi. L’importante è dare il là… infondere fiducia, far leva sui buoni sentimenti e inneggiare allo spirito di sacrificio. 

Il buon esempio è soprattutto in formato compresso, illustrando dove serve e accennando quanto basta. La ricetta indica tutti gli ingredienti, poi ciascuno faccia la sua parte con spirito di abnegazione. C’è chi cucina e chi mangia. Si tratta di funzioni distinte e di status-ruoli predisposti al buon funzionamento della Nave-Italia, proprio come alla prova del cuoco. Per dare un orientamento anche esteticamente valido ci sono i poeti, quelli che della retorica ne fanno un mantra pubblicitario con tanto di figure di stile apparecchiate per dare consistenza alle pietanze. L’apparenza e la presentazione sono parte integrante del menù di degustazione, un bell'antipasto di crudità per i neofiti dell’utopia. Che i sogni finiscano all'alba non è un dramma, l’importante è perseverare e chissà che prima o poi ci si risvegli nel paese di Bengodi, dove si canta e si balla.

A' pucchiacca è furnuta man'e criature, dicono i napoletani. Vero che il Bel Paese è davvero bello. Peccato solo che nelle mani dei bambini non è valorizzato come dovrebbe, per non parlare di tutti quelli che lo amministrano e lo governano con quella infantile ingenuità e con quel disarmante candore, tempi duri per i troppo buoni.... Troppo fiduciosi in un volgo digiuno di prelibatezze e poco attrezzato a comprendere la nouvelle cuisine. Perfino la Giustizia è ormai patrimonio di onestà e disinteresse, governata con quella lungimirante attenzione per i diseredati, per la gente comune, le casalinghe, i sottufficiali, i carpentieri… e dura e intransigente per quei colletti bianchi di rango. Un vero bijou. Un’informazione zelante e spassionata, impreziosita da un’etica fa di tutto per emendare gli istinti belluini del volgo… ma che non ci pone al vertice dei paesi che brillano per la libertà di stampa, sotto al Niger, e nonostante la bella retorica con la quale si celebra il 25 aprile. 

Siamo anche un paese incompreso e sottostimato… Abbiamo quegli straordinari format televisivi criminologici che, sempre controcorrente, spaccano in quattro la notizia e mettono alla berlina malgoverno e corruzione senza peli sulla lingua.

Come racconta Raffaele Itloideo (il marinaio-filosofo, contaballe come dal nome – Itloideo=raccontatore di bugie) nel Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia, esiste una società perfetta che fa da contrasto a quella esistente corrotta e imperfetta. Si tratta di un ottimo luogo che si caratterizza per il carattere inesistente, sia per la sua ubicazione, sia per la sua irrealizzabilità in quanto non-luogo appunto.

In fondo, come dice un altro filosofo con sano realismo, siamo nel migliore dei mondi possibili, almeno qui dove si naviga a vista cercando l’isola che non c’è… e galleggiando come sempre nella merde...

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Purtroppo, Gilberto, non vedo neanche in lontananza mezzi per purificare il mare su cui galleggiamo.
Lo dico con immensa amarezza, anche se il tuo pungente articolo mi ha fatto sorridere, in alcuni punti. Arriva un momento in cui sembra esistere un'unica soluzione, andare il più lontano possibile senza voltarsi indietro. E ti giuro che se potessi lo farei, dopo aver amato e servito il mio paese (malgrado tutto).
Grazie per le acute osservazioni.
Nautilina