giovedì 9 aprile 2015

Airbus Germanwings e il caso Andreas Lubitz: Le stranezze ‘logiche’ di un suicidio che ha bruciato la vita di 150 passeggeri

Di Gilberto Migliorini

Andreas Lubitz
C’è qualcosa che non convince nello scenario del pilota suicida. Di primo acchito sembra tutto persuasivo, una ricostruzione che visivamente pare congrua, drammaticamente ci riempie di orrore mentre immaginiamo il comandante che tempesta la porta di pugni. All'avvicinarsi dei contrafforti montani l’aeromobile perde quota, inesorabilmente, e la gente urla di angoscia e terrore. Siamo come lì, in prima fila a veder scorrere il film. Ne leggiamo virtualmente la sceneggiatura, un po’ increduli e un po’ inorriditi. Davvero tutto plausibile, perfino la diagnosi di un uomo depresso che pilota le sue angosce e i suoi fantasmi a schiantarsi contro la montagna, ignaro dei suoi passeggeri, obnubilato dal malessere della vita... forse inconsapevole di quello che sta facendo? La prima scatola nera decifrata a tempo di record ci darebbe conferma che le cose sono andate così. La spiegazione inizialmente sembra persuasiva anche alla luce dei riscontri che ci parlano di un pilota in cura per problemi depressivi e che è riuscito a nascondere la sua patologia (a chi?). Psichiatri e neurologi ci raccontano di come la depressione possa portare un individuo disperato, che sente il futuro come un immane buco nero, a volgere la mano contro se stesso usando un velivolo come un grande pugnale e portando con sé centocinquanta figuranti: vittime e testimoni del suo insano gesto. Col senno di poi, fatti della vita privata di una persona (come accade regolarmente nei cold case) diventano materiale per un copione che apparentemente non fa una grinza, plausibile e consequenziale come un romanzo con tutti i capitoli al loro posto. Pian piano viene costruita una vera e propria sceneggiatura, proprio come in certi cold case nei quali si costruisce il copione pezzo a pezzo.

La rottura della relazione sentimentale del copilota, ci dicono, potrebbe essere stata la causa scatenante. Un motivo plausibile come in certo melodramma dove l’amante non corrisposto la fa finita. Poi non si sa bene chi abbia rotto il rapporto. Le situazioni del suo passato, cose che ha detto e fatto, opportunamente contestualizzate, offrono su un piatto d’argento tutti i nessi e i riferimenti in grado di narrare una storia dall'esito infausto. La depressione è un topos che non ha bisogno di molte specifiche, basta la parola e sembra che tutta l’opinione pubblica esprima assieme all'orrore anche una sorta di commiserazione, una comprensione sgomenta di quelle pulsioni che trasformano un innamorato, magari respinto, in un folle. Alla fine si stende il classico velo pietoso su un caso umano agghiacciante di un uomo che ha perso la ragione (anche se sembra che l'ospedale di Dusseldorf abbia smentito che il copilota della Germanwings fosse in cura nella propria struttura). 

Tutto torna e la follia fa passare in secondo piano anche che Andreas Lubitz aveva ricevuto un certificato di eccellenza della Federal Aviation Administration per aver superato i test americani - riguardo a elevati standard medici e di formazione. Insomma, notizie che si accavallano tra conferme e smentite e quel giornaliero prodursi di informazioni sempre più ‘coerenti’ e ‘organicamente interrelate’ rispetto a quella diagnosi psicotica... come se all'improvviso venisse scoperta l’acqua calda. 

Così si è stabilizzata una ricostruzione con qualche piccola incongruenza che non manca di sollevare sospetti e immaginare scenari alternativi. Vuoi di terrorismo, vuoi di guerra fredda o di esperimento militare finito male. Si sa che con la parola ‘complottismo’ si mettono a tacere tutti quelli che cercano di andare oltre una informazione di maniera, per non dire bardata di museruola e censurata. Opzioni liquidate dai soliti debunker, un po’ pompieri e un po’ epigoni. Dati alla mano, ci vien detto che il secondo pilota ha portato a termine un gesto folle per via di quel male oscuro…

Oltre agli aspetti tecnici, c’è però qualcosa nella ricostruzione che se a tutta prima sembra suggestivamente evidente, in seconda battuta e cercando di valutare l’evento con un distacco scevro da emozioni, senza fronzoli e allettamenti, in modo brutalmente obiettivo, non convince del tutto. Anzi, non convince per niente. La narrazione appare forzare qua e là la logica della situazione grazie a quelle belle e aggiornate notizie che ogni dì rincarano la dose del pilota alienato. Se mai a qualcuno ancora non del tutto convinto affiorasse qualche dubbio... magari che le cose non siano andate come ci viene raccontato a causa di quei nessi che coperti dal fragore della notizia solo all'apparenza appaiono coerenti. Già, perché a una disamina più attenta non sembrano poi così scontati, quei nessi, anche se qualcuno si sforza di dipingere una storia drammaticamente verosimile, con tutti gli elementi al posto giusto ed embricati in una sorta di affresco cromaticamente omogeneo e logicamente coerente. C’è la strana sensazione che qualcosa non torni e subentra la perplessità anche quando la ricostruzione appare così ben orchestrata, con tutti i riferimenti biografici del caso al loro posto.

In ogni fatto c’è una logica. Anche nella follia si può rintracciare un filo conduttore con il quale ricavare non solo il dipanarsi di un’azione, ma anche le pulsioni e i moventi che la promuovono, perfino quando la passione, il furore, la rabbia o la disperazione ne sorreggono il senso, anche quando la malattia dell’anima muove i fili. Le spiegazioni che ci danno sembrano pertinenti ed esaustive: era malato e lo nascose (possibile per un pilota di Airbus tener nascosta una patologia psichiatrica?) era in crisi con la fidanzata (come in una moltitudine di coppie)... una spiegazione un po’ generica. 

Tolta l’emotività immediata che ha tutte le carte in regola della suggestione dei media, quei moventi sembrano i classici passepartout, i jolly che immancabilmente ci spiegano tutto: dal giallo di un delitto fino al pilota kamikaze. La diagnosi non lascia dubbi, il classico schianto volontario e sulle spalle di Lubitz il peso e l’onere di una vicenda che non sembra dare spazio ad altri scenari. Ma vediamo se ‘logicamente’ l’azione che ci viene rappresentata, con dovizia di prove, regge a una disamina che tenga conto non solo di quello che ci viene raccontato ma anche di quello che costituisce l’azione nei suoi risvolti motivazionali e nella dinamica delle dramatis personae. Il romanzo è del tutto credibile? La storia così come viene ricostruita ha una verosimiglianza che ci convinca che sia andata proprio come ci raccontano?

Se è vera la ricostruzione della porta chiusa, siamo di fronte a due possibili interpretazioni:

1) L’azione era premeditata ancora prima della partenza dell’aeromobile: un suicidio pianificato e portato a termine con freddezza, senza lasciar trapelare al collega alcun segnale che potesse metterlo sull'avviso che qualcosa nel suo copilota non funzionasse a dovere, senza insospettirlo con qualche segnale di alterazione sul controllo degli impulsi e della coscienza della realtà (in tal caso non lo avrebbe di certo lasciato solo nella cabina di pilotaggio).

Si parla di sindrome di Burnout, quella degli scoppiati ed esauriti, il solito schema che mediante etichettatura risolve un caso, brillantemente, con una definizione psicodiagnostica. Il popolo mediatico tira un sospiro di sollievo. Tutto chiarito. Le autorità competenti prenderanno gli opportuni provvedimenti per nuove e più accurate procedure nella cabina di pilotaggio onde evitare che casi analoghi si ripetano per il futuro.

Trovare una parola per definire un ‘caso clinico’ di malattia dell’anima, offre l’opportunità di comprendere e definire situazioni di disagio professionale utilizzando un termine che riesce a compiere il miracolo di sintetizzare i disturbi più eterogenei. Peccato che sia così generico da far rientrare nella forma depressiva e bipolare una moltitudine tassonomica talmente ampia da abbracciare quasi tutte le patologie che riguardano i colletti bianchi che abbiano qualche forma di responsabilità verso gli altri. Laddove la perdita di controllo e della autostima risulta un sintomo piuttosto generico in una società dell’anomia e della spersonalizzazione. In un’azione premeditata ancor prima della partenza (dunque freddamente organizzata e pianificata sapendo che la sua morte avrebbe coinvolto 150 persone) la diagnosi depressiva non basta, occorre trovarci anche in presenza di uno psicopatico, di una persona che non sa provare empatia e mettersi nei panni degli altri). Strano per un pilota d’aereo che aveva superato i test rigorosi della F.A.A. Comunque poco convince una premeditazione che non implica la problematica dei passeggeri e le possibili reazioni del capitano dell’aereo. Forse nel caso ipotetico il copilota avrebbe avuto altre modalità meno onerose e conflittuali per pianificare e portare a termine il suo gesto suicida. Lo scenario di una pianificazione con 150 vittime appare irrealistica anche nella logica dell’insania. Poco convincente il fatto che, freddamente, Andreas Lubitz abbia voluto coinvolgere uomini, donne e bambini, senza che nessuno si fosse accorto, nonostante i numerosi test ai quali sono sottoposti i piloti, di trovarsi di fronte a un individuo non solo depresso ma anche senza scrupoli (psicopatico). 

Vediamo allora la seconda ipotesi

2) L’azione è stata determinata da un impulso del momento che ha fatto seguito a uno stato di alterazione, disagio e stress emotivo. Tale azione è plausibile. Un improvviso quanto irrefrenabile impulso può accecare per quei pochi momenti che bastano per produrre un’azione irreparabile. Chiudere la porta e far schiantare l’aeroplano può stare in quel lasso di tempo in cui una persona fuori di sé, non più in grado di controllare i propri impulsi, può perfino dimenticare che nella carlinga non è solo e molte persone si aspettano di arrivare sane e salve a destinazione.

Tale scenario pone però una serie di aporie difficili da sciogliere. Se si è trattato di un raptus è segno che l’uomo già quando è salito sull'aereo era in uno stato di depressione e di alterazione delle quali il capitano non avrebbe potuto non accorgersi. Il capitano di un velivolo sa perfettamente che la sicurezza del volo è legata non solo ai parametri fisici e all'efficienza del velivolo, ma anche ai parametri psicologici ed emotivi dell’equipaggio: alla macchina umana. Di sicuro si sarebbe reso conto che qualcosa turbava il copilota e in tal caso non lo avrebbe lasciato solo in cabina. Uno stato di alterazione si nota anche da piccoli dettagli e sarebbe strano che il comandante, peraltro con molte ore di volo sulle spalle, non sia stato addestrato anche alla gestione dell’equipaggio - nel versante emotivo - e a prendere opportuni provvedimenti quando ha anche solo il sospetto di un problema.

Non voglio pensar male, ma la spiegazione che ci dà l'autorità non sembra convincente. Il caso presenta troppi lati oscuri. Il profilo professionale e biografico del protagonista appare contraddittorio, tutta la ricostruzione che ci vien data sembra più simile a una fiction con tanto di copione…

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5 commenti:

Anonimo ha detto...

Che ne pensi di questo video? Per me andrebbe approfondito...
https://www.youtube.com/watch?v=0RcG_Hv7kG8
Cari saluti
Alessandra

Dudu' ha detto...

Credo che in molti abbiamo accolto con sospetto questa chiusura del caso. Nelle primissime ore era passata la notizia che l'Airbus aveva avuto precedentemente problemi meccanici. Non ricordo purtroppo dove avevo letto che in tv avevano mostrato dei pezzi del veicolo e dei commentatori di un articolo sostenevano che i pezzi mostrati erano di un modello antecedente. Per l'assenza di reazione da parte del pilota ,con semplicità si avrebbe potuto dire :"ragazzi,al pilota gli si è fermato il cuore,morte naturale" nessuna rottura,nessun errore,semplicemente è morto. Sapete quanti casi ci sono così? Tanti. Ma un pilota deve essere in odore di santità,i passeggeri non devono aver dubbi nel salirci su,devono sentirsi al sicuro al 100%,ed è comprensibile e pure necessario,giacché quando si sale sulla scaletta gli si affida la propria vita e/o quella dei famigliari.L'aereo è divenuto una necessità,molta gente si sposta per lavoro,sempre di più sono i scambi culturali,viaggiatori vari insomma gli si affidano.Sopra a tutto questo ci sta una bella targa : Business. Forse questa scelta è stata il male minore,o forse, è tutto vero? Di fatto son tutti già un po'(io no) più tranquilli.
Ciao Dudù

Anonimo ha detto...

Gilberto, articolo interessante e contrastante...
1) Non penso proprio che poteva essere una cosa premeditata, anche' perche' non si poteva comunque sia prevedere che il pilota andra' in bagno...
2) La depressione e' strana malattia, e quindi se il ragazzo era introverso, non puoi accorgerti se e' malato o solo si "e' svegliato con il piede sbagliato", credimi...perche' e' un percorso tutto interno e distruttivo...
La cosa che mi ha sconvolta da subito era (dalla prima box che hanno trovato subito!!!): "respiro normale, e' cosciente... si sentono i gridi dei passeggeri... ma mi domando, anche' quando uno ha deciso di suicidarsi e vede la montagna di fronte e si sta schiattando... non cambia il respiro?????!!!! Non ci credo!!!! Anche se sei depresso!!!

Alessandra,
bellissimo video... ma in questo caso...perche' hanno inventato la storia accollando tutto al copilota (anzi' lui e' morto, ma la sua famiglia e' VIVA!!!!!).... forse proprio perche' tutti sono morti e compagnia sapeva dei trattamenti farmaci che faceva il copilota...ed e' quindi piu' facile???!!! Ma se fosse cosi'....ragazzi...non e' una vergogna...e' un VOMITO vero e proprio!!! Schifooooo!!!!

Natasha

TommyS. ha detto...

Caro Gilberto

Condividiamo gli stessi dubbi sulle modalità con le quali è stata subito risolta l'indagine su questa disgrazia.

Anch'io ho avuto le stesse perplessità sull'individuazione delle cause nel presunto malessere psichico del co-pilota.

Senza tirare in mezzo le Scie Chimiche trovo strano che, ammesso quanto detto in merito alle registrazioni audio della cabina corrisponda al vero, una persona per quanto disturbata mentalmente si voglia suicidare in questo modo plateale senza proferire parola e senza manifestare alcuna alterazione del respiro. Mi sarei invero aspettato una qualche forma di monologo con la denuncia finale delle ingiustizie e del destino poco prima dell'impatto.

Per di più da qualche giorno mi domando se le analogie di questo disastro con la scomparsa misteriosa (in mare?) del volo Malaysia Airlines MH370 siano solamente coincidenze.
Dove sia finito questo aereo sembra non lo sappia nessuno, probabilmente nell'Oceano Indiano ma non dove l'hanno cercato i Malesi e gli Australiani. Tuttavia anche per questo volo potrebbe essere teoricamente fatta un'ipotesi analoga a quella del Germanwings.

Credo però non sapremo nient'altro e la versione ufficiale verrà sempre più consolidata e supportata da indizi tirati per i capelli fuori dal passato di Lubits.

Gilberto ha detto...

Carissimo TommyS.
Sì, anche nel web i dubbi imperversano. Curioso che proprio in questi giorni la corte d'appello di Palermo abbia concluso, riguardo alla Strage di Ustica, che il Dc-9 fu abbattuto da un missile e non fu un incidente. Comunque gli indizi della versione ufficiale riguardo al velivolo della Germanwings continuano a piovere (It's raining cats and dogs, dicono gli inglesi). Forse c’è un eccesso di zelo (il troppo storpia). Anche in una bella sceneggiatura occorre non esagerare con gli effetti speciali, altrimenti si sente puzza di bruciato…