mercoledì 12 novembre 2014

Cold Case: suggestioni epistemologiche e letterarie...

Saggio di Gilberto Migliorini


Un tempo c’era il commissario Maigret di Simenon con la sua pipa e la flemma compassata del vero detective che faceva lavorare la sua materia grigia. Oppure Agatha Christie con atmosfere intriganti, descrizioni accurate e soprattutto il senso della suspense. L’antesignano? Edgar Allan Poe con il racconto The Murders in the Rue Morgue con quell’Auguste Dupin che con acume straordinario scopre che l’autore del duplice omicidio è un animale, un enorme orango del Borneo fuggito a un marinaio di una nave maltese. La scimmia ominide aveva cercato di imitare il padrone con il suo rasoio da barba facendo pratica sul collo di Madame L'Espanaye... Chissà in quanti delitti c’è di mezzo uno di quelli che le indagini e le simulazioni le fanno coi piedi proprio come un quadrumane.

Oggi? Oggi c'è il camice bianco, l’agitatore molecolare e naturalmente il test, quello del film Blade Runner dove l’androide fa fuori chi lo vorrebbe smascherare... nel nostro caso per scoprire se il criminologo pensa davvero o è solo una sofisticata macchina con uno chassis umano in gommapiuma e pelle sintetica. Se il computer che gioca a scacchi è ormai in grado di battere qualsiasi Fischer, perché un sistema esperto criminologico non potrebbe mettere nel sacco Jack lo squartatore - in versione aggiornata - o un diabolico serial killer con tanto di pedigree? Si tratta del moderno detective con tutto l’armamentario up tu date: un po’ di Cesare Beccaria, frenologia e fisiognomica di Gall e Lavater, antropologia criminale lombrosiana e finalmente le scienze biologiche e i reattivi psicodiagnostici. Tutto in un computer con codice penale incorporato. Eclettismo metodologico condito anche con le scienze normative e naturalmente il software miracoloso che sforna sentenze da una macchina inferenziale introducendo una moneta e premendo un pulsante. Vien fuori insieme al suo DNA il nome del colpevole. Elementare Watson.

Epistemologia? Chissà quanti criminologi e detective nostrani hanno letto un testo di epistemologia. In realtà, anche chi non l'ha mai frequentata può usarla egregiamente con il fiuto dell’investigatore che si muove senza pregiudizi e con l’esperienza sul campo, sapendo che il mondo è sempre più complesso di quanto crediamo. Come ebbe a dire il poeta: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.A scanso di equivoci qui per filosofia si può intendere anche la hybris di tanto scientismo nostrano. 

Shakespeare era uomo di mondo dismagato al punto da conoscere gli inganni e le disillusioni che ci riservano le nostre certezze. Qualcun altro ha tradotto la formula shakespeariana nel linguaggio dell’episteme. Farò un passo indietro a Mach (Ernst Mach 1838-1916), quello del numero della velocità del suono. Lo scienziato era approdato a un’idea della ricerca come processo di adattamento liberando l’osservazione da tutte quelle nozioni che accettiamo come assolute, evidenti e immodificabili. Quanti scientisti oggi ripercorrono invece quella religione tecnologica che è stata instillata da tanta divulgazione di bassa lega che ha convinto una platea un po’ sprovveduta che la scienza ci offra certezze, soprattutto quando si confonde la realtà concreta, in tutte le sue indeterminazioni, con le situazioni controllate del laboratorio. Per non parlare poi della matematica che con i suoi procedimenti sotto l’egida quantitativa presume di produrre sempre oggetti realmente esistenti. 

Nel mondo reale, dove il delitto è anche quello del quotidiano mestiere di vivere, occorre anche il fiuto del detective: come un Hercule Poirot con il suo olfatto straordinario unito a ordine, metodo e perspicacia. Oggi con la biologia molecolare, l’apprendista stregone - che gioca a fare Dio e assemblare il meccano biologico - pensa davvero di avere tutto sotto controllo e che presto, come Faust, conosceremo tutti i segreti del mondo e potremo modificare un po’ qua e un po’ là la nostra natura ubiqua e imperfetta. Otterremo il nuovo Prometeo direttamente in scatola di montaggio con le istruzioni per l’uso. Si tratta del sogno dell’homunculus in provetta e di quel Mondo nuovo alla Huxley - antesignano dell’attualità di una scienza al servizio del potere.

Secondo Mach nelle pieghe della ricerca scientifica si nasconde la metafisica come, ad esempio, nella meccanica classica (galileiano-newtoniana), senza togliere nulla ai grandi iniziatori della scienza moderna. E chi l’avrebbe detto? Il pericolo è che la scienza si trasformi in un sistema dogmatico all'apparenza neutrale. Il detective letterario invece mantiene in genere un sano scetticismo, sa che l’assassino è proprio quello che non ti aspetti e che potrebbe non conformarsi agli standard criminologici da manuale. Il vero detective non si adagia sugli schematismi psico-diagnostici e sull'aritmetica delle neuroscienze come fossero un passepartout nei labirinti del delitto, si mantiene possibilista sapendo che le forze in gioco sono spesso ignote, misteriose e complesse.

Lo scienziato è un po’ come un detective che crede di aver smascherato il colpevole. Alla fine dell’800 si pensava che la fisica fosse una disciplina praticamente conchiusa. Mancava è vero qualche dettaglio, bisognava mettere a posto qualche indizio… ma ormai era cosa fatta, il mondo era già bell'e e incasellato nelle equazioni e si riteneva che tutto ormai trovasse consonanza, proprio come per un delitto con il colpevole finalmente smascherato. Poi sono arrivati i paradossi dei gemelli, i gatti di Schrödinger. E le certezze sono sfumate: il luogo e perfino l’ora del delitto sono apparsi indecidibili in un universo improvvisamente molto più complesso e indeterminato. Certo anche oggi ci sono i nuovi sostenitori delle teorie del tutto, per non parlare di tutti quei sacerdoti per i quali la scienza è disciplina elitaria fatta di aristocratici che ricordano un po’ l’Accademia platonica... non tanto il Maestro quanto gli epigoni.

Lo scienziato, in genere di sesso maschile, salvo qualche Marie Curie, sembrava un tempo dimostrare che la logica e la matematica non fossero particolarmente idonee per il gentil sesso - inquadrato come la fisica in una sorta di profilo convenzionale (e naturalmente anche per gli schiavi e i nullatenenti non c’era trippa per gatti). Il Buon Dio li aveva non a caso creati maschio e femmina, padroni e servi, allo stesso modo di quello spazio assoluto newtoniano dove i corpi si muovevano per quella legge della 'attrazione' universale (dove la femmina faceva solo da consorte tra il letto e le faccende di casa). Nemmeno Ibsen con il suo Casa di Bambola che alludeva a una emancipazione femminile avrebbe scosso più di tanto quel ruolo addomesticato di donna di rappresentanza, incubatrice per far figli o femmina di piacere, quando non si trovava in fabbrica a far le veci del marito impegnato al fronte.

Agatha Christie ci ha provato con la vecchietta indagatrice Miss Marple a emancipare perfino la donna della terza età nelle faccende criminologiche, sia pure tergiversando con il lavoro a maglia che rimaneva pur sempre la normale prerogativa dell’abile criminalista amante del bird watching - oltre che del pettegolezzo. Con lo pseudonimo di Mary Westmacott alla signora Christie il romanzo rosa non era riuscito altrettanto bene del giallo. Dopo che il marito le aveva chiesto il divorzio (lui la tradiva con la segretaria) la brillante scrittrice si era nascosta in un hotel facendo perdere per qualche tempo le sue tracce, si dice in stato di amnesia. I maligni sussurravano che lo aveva fatto perché l’ex consorte, il fedifrago, venisse incolpato del suo omicidio e dell’occultamento del cadavere.... Deformazione professionale

La maggior parte degli investigatori, quelli letterari, sono single, essendo in genere uomini, e hanno un fondo di misoginia anche se sono affascinati dal gentil sesso. È il caso di Philip Marlow - nato dalla penna di Raymond Thornton Chandler – un solitario detective che indulge al fumo e all'alcol ma difensore dei deboli e come tanti suoi colleghi criminologi (quelli letterari) in perenne conflitto di ruolo contro lo statu quo e il conformismo investigativo di tanti opinionisti che indossano la mise del detective come se si trattasse dell’abito talare con la cotta, la mozzetta e la croce pettorale. L’anticonformismo, almeno dell’investigatore letterario, è uno dei caratteri che lo fanno un innovatore, un po’ come lo scienziato che apre nuove strade e originali metodi investigativi, magari andando contro la mentalità chiusa di un capo miope e per giunta politicamente corretto. L’immagine è quella di un detective che vuole infrangere le barriere dell’indagine tradizionale e che non si accontenta del primo riscontro, non come quegli inquirenti che per chiudere il caso in bellezza mandano in prigione un povero cristo che c’entra col delitto come i cavoli a merenda.

Nella scienza vera, non quella di una divulgazione spettacolare e suggestiva che mescola un po’ di fiction, si tratta la distinzione tra scienza normale e scienza straordinaria - resa celebre da Thomas Kuhn che con la sua opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) affronta il problema della scoperta usando formule innovative, un po’ come un detective che butta all’aria i vecchi metodi ormai obsoleti. Non a caso i concetti che introduce (paradigma, crisi, conversione, anomalia, incommensurabilità) sembrano stravolgere l’idea che la scienza sia un processo cumulativo, bensì un nuovo modo di guardare il mondo, proprio come un detective che coglie quello che altri non vedono mediante una originale attrezzatura investigativa, un cambiamento di paradigma, con occhio disincantato e mente aperta.

Da un lato c’è una scienza normale, quella del detective della routine che usa tecniche consolidate un po’ come un travet (la scienza ortodossa e convergente) e senza voli pindarici (ma talvolta un po’ miope da non vedere le anomalie, da non accorgersi che le sue conclusioni non reggono). Dall'altro c’è una scienza straordinaria (connessa alle cosiddette rivoluzioni scientifiche) dove subentra il dissenso e la crisi (le modalità investigative vengono sostituite con nuovi paradigmi, diverse attrezzature intellettuali e manipolative). I rompicapo scientifici (o delittuosi) spesso non si possono risolvere nell'ambito di conoscenze e strumenti convenzionali, la realtà è sempre più complessa di qualsiasi formula già pronta all'uso. La scienza, come l’investigatore, può avere la tendenza a rifiutare tutti quei problemi che non sono riconducibili ai suoi criteri metodologici e concettuali. In realtà il detective scafato può avere il dubbio, intuitivamente, che qualcosa non torna e sentire la necessità di approfondire un’indagine magari in altre direzioni e con diversi strumenti (salvo quelli che si innamorano delle loro tesi e continuano imperterriti a ritenere che la Terra sia al centro dell’universo e magari anche piatta).

Nella finzione letteraria, ma talvolta anche nella realtà quotidiana, assistiamo al colpo di scena. L’investigatore testardo e innovativo - sia che si tratti di Marlow, di Magret, di Padre Brawn o di qualche oscuro ma efficiente poliziotto che non sia alla ricerca della fama ma soltanto della giustizia - cerca di riorientare l’indagine, di guardare i fatti in modo nuovo, senza il vecchio pregiudizio, puntando l’attenzione su quello che in un primo tempo era sembrato trascurabile e senza importanza. Allo stesso modo lo scienziato della scienza normale può tendere, secondo Kuhn a non vedere o a minimizzare le anomalie che possono metter in crisi il consueto paradigma. Fra i due tipi, è l’innovatore che ha il coraggio di sconvolgere i vecchi modelli e di avventurarsi in congetture nuove e non ortodosse.

Si sa che il detective letterario ha anche in sé alcune idiosincrasie e deformazioni professionali, proprio come lo scienziato che mantiene sempre quella sua prerogativa di neutralità anche quando appare eccentrico e geniale. In realtà l’immagine oleografica dell’uomo di scienza votato alla ricerca disinteressata e alla comprensione della bellezza della natura, non sempre risulta in sintonia con il falso, la frode, il plagio, l’inganno che hanno talora punteggiato la pratica scientifica così solennemente magnificata nella divulgazione, e non, senza omettere il carattere arrogante di certi suoi celebranti. La misoginia al maschile, non esente talvolta da presunzione metodologica, al femminile può diventare una sorta di imitazione dell’universo fallico. Difficile trovare donne scienziato che non abbiano acquistato un'aura scarna, almeno in parte, una virilità intellettualmente che le accompagna perfino quando discorrono di faccende domestiche. È che l’universo maschile talvolta attrae e deforma perfino la souplesse e la sensualità del gentil sesso… un vero peccato…

La misoginia di Marlow informa anche il corpulento e pesante Nero Wolfe: aggraziato buongustaio (come Maigret), coltivatore di orchidee e rimuginatore di delitti che se ne sta comodamente in casa, tra la serra pensile e la cucina, deambulando nei luoghi omicidiari tramite le gambe dell’assistente tuttofare Archie Goodwin (una sorta di Watson che ricorda Sherlock Holmes al punto che qualcuno ha avanzato l’ipotesi che Nero Wolfe di Sherlock Holmes sia figlio - illegittimo?). Le somiglianze fanno infatti pensare a un analogo codice genetico. Purtroppo all'epoca non si poteva ancora effettuare il famoso test del Dna, e neppure oggi dal momento che i cadaveri sarebbero in veste meramente letteraria. Però non si può mai dire, con le giuste coincidenze si potrebbe scoprire la paternità sul retro di qualche francobollo celebrativo.

Le idee di Mach influenzeranno tutta la fisica del '900 e sono alla base della epistemologia contemporanea: non esistono leggi capaci di garantire a priori la validità delle leggi scientifiche e queste non ci svelano qualche realtà sottostante - più profonda rispetto a quella empirica (e forse questo potrebbe essere un limite del metodo sperimentale). Lo scienziato dunque non fa altro che astrarre le relazioni che collegano un gruppo di fenomeni ad un altro. La vita, come la scienza, è il tentativo di risolvere problemi attraverso ipotesi e osservazioni che danno incentivo a nuove ipotesi e a nuove ricerche, ampliando la nostra esperienza in un progressivo tentativo di adattamento all'ambiente. Le leggi scientifiche in definitiva hanno solo un carattere finzionale (non causale). Lo scienziato può avere la tendenza a negare i dati osservativi anziché a modificare la legge credendo di aver trovato il Santo Graal. E se poi qualche dato osservativo non conforta come dovrebbe l’impianto teorico costruito con cura amorevole, si può dargli sostegno con qualche innocente aiutino, alterando qualche frazione numerica, inventandosi qualche esperimento fantasma o addirittura assemblando con estro immaginifico le ossa di qualche anello mancante… 

Con una serie infinita di stratagemmi convenzionalistici, di modifiche, si negano i fatti osservativi o li si aggiustano all'uopo per renderli conformi a una teorizzazione di volta in volta ricorretta e rimaneggiata. 

Anche il detective che trova incongruenze nella ricostruzione di un delitto può essere tentato - proprio come uno scienziato affezionato alla sua teoria - di aggiustare un po’ qua e un po’ là il movente e la dinamica per dare un abito su misura al presunto assassino. Se poi il vestito non gli va a pennello c’è sempre qualche nuova relazione tecnica commissionata a pagamento a qualche prestigioso studio di esperti del settore che può render giustizia anche alle eventuali incongruenze...

Padre Brown, sacerdote cattolico e detective, è il protagonista del raffinato scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton. Il pretucolo non ha nulla del fascino ombroso e misterioso di tanti indagatori dell’incubo alla Dylan Dog, anche se il suo prototipo realmente esistito è un parroco dello Yorkshire, tale O’ Connor che sarà uno degli ispiratori della conversione dello scrittore al cattolicesimo. Padre Brown con il suo spessore letterario è il contraltare di Sherlock Holmes, investigatore dall'aria proverbiale talvolta oggettivamente un po’ noioso e petulante. Il curato invece attinge alla deduzione e alla introspezione affinate nell'ascolto dei suoi parrocchiani nel confessionale, dove di sicuro non manca materiale interessante per fare pratica con il movente di un delitto...

Riprendendo l’excursus machiano ci poniamo di fronte a un primo spunto: l’esperienza si limita a rilevare dei dati (come la presenza di materiale biologico e l’estrazione del relativo DNA), però l’analisi del reperto, nel caso di un delitto, è solo un dato, non un fatto. Per il positivismo - con la sua immagine ingenua della scienza - i fatti erano entità oggettive, per Mach invece i fatti sono costruzioni che assemblano gli elementi originari dell’esperienza: le singole sensazioni non sono originate dai corpi esterni, ma sono i corpi ad essere generati dalle sensazioni (insomma, la realtà oggettiva sfuma nell'organizzazione che noi diamo alle sensazioni per favorire i nostri apparati di difesa e dominio dell’ambiente). Le leggi di natura non sono altro che tentativi di cogliere regolarità e uniformità nella nostra esperienza, dunque non esiste nessuna relazione necessaria tra le sensazioni: l’impresa scientifica è economia di pensiero e riduzione della complessità. L’attività scientifica non persegue la registrazione protocollare dei fatti, quanto l’organizzazione della massa fluida dell’esperienza.

Siamo a una bella distanza dall'immagine galileiana della scienza (e forse anche Bellarmino con il suo strumentalismo un po’ di ragione ce l’aveva): le teorie scientifiche non rispecchiano la natura delle cose, sono solo strumenti pragmatici per organizzare nel modo più economico la molteplicità dei dati sensoriali. Senza Mach forse Einstein non avrebbe avuto le sue intuizioni di un tempo relativo all’osservatore e di moto secondo una geodetica con la massa dei corpi che modifica la geometria dello spazio, palle da biliardo disposte sul tessuto cedevole di un continuum deformabile.

Sherlock Holmes, l’icona di Conan Doyle col suo sguardo acuto e penetrante e dalle indubbie abilità deduttive, oltre che dilettarsi col violino sembra avesse una buona conoscenza delle sostanze stupefacenti delle quali faceva uso occasionale (morfina e cocaina), poi derubricate con quella pipa che sembra sia accessorio indispensabile per la maggior parte dei detective. Buon conoscitore di chimica e anatomia, logica penetrante e mento prominente... Per quanto l’archetipo del moderno criminologo si tenesse lontano dalle donne per tenere la mente sgombra dalle suggestioni emotivamente conturbanti, non disdegnava una approfondita conoscenza della letteratura scandalistica (precursore e antesignano di quel metodo mediatico che oggi va tanto per la maggiore) e di quei procedimenti induttivi che di solito (nella realtà) raccolgono cocenti delusioni.

È il caso del tacchino di Russell. La storiella la conosciamo un po’ tutti e riguarda il ragionamento induttivo. La racconto in modo leggermente diverso per creare un po’ di suspense e anche per spirito animalista:

Un tacchino viene portato in un pollaio e osserva che il padrone gli porta il cibo sempre alle nove del mattino. Ma essendo un tacchino induttivista prima di arrivare a conclusioni precipitose fa altre osservazioni in diverse circostanze: di martedì e di mercoledì, di sabato e di domenica, d’inverno e d’estate, a inizio mese e a fine mese, quando piove e quando c’è il sole…. Ad un certo punto ritenendosi pago della mole delle sue osservazioni e dei dati raccolti produce una inferenza induttiva del tipo” il padrone del pollaio mi dà sempre il cibo alle nove del mattino”. La conclusione si rivela falsa alla Vigilia di Natale quando (gli induttivisti che già conoscono la storia diranno) anziché venir nutrito viene sgozzato. Sbagliato! Il finale che si potrebbe ritenere probabile nella mia storia è: La conclusione si rileva falsa alla vigilia di Natale quando il padrone muore per un colpo apoplettico

Sì, anche fondare l’induzione sull'induzione porta a conclusioni deludenti…

Nel caso di un delitto l’induzione può assumere la forma pseudologica del tipo: Chi se non lui?, ritenendo di aver preso in considerazione tutti i casi possibili alternativi (induzione per eliminazione). In realtà non possiamo conoscere tutti i casi possibili: dato un problema ‘p’ esiste sempre un’infinità di soluzioni logicamente possibili (i metodi basati sulla routine sono inadeguati). Proposizioni dl tipo: Se x è stato ucciso con una forbice l'assassino dev'essere una sarta; se aveva calce nei polmoni dev'essere responsabile un muratore e se la vittima non aveva nemici e quella sera aveva litigato col marito…se c’era il suo Dna sul luogo o sul corpo del delitto... dunque… 

Tutte queste ipotesi basate sulla statistica, secondo Popper portano solo a conclusioni illusorie. Qualunque criterio induttivo fonda generalizzazioni del tutto arbitrarie, non si tratta di scienza ma di pseudoscienza. Non possiamo mai conoscere per enumerazione tutti i casi possibili che ci conducano per esclusione a ritenere che non esistano ipotesi alternative, diversamente da quelle inferenze deduttive per le quali da due premesse vere se ne ricava di necessità la conclusione.

Qualcuno si è preso la briga di stendere un ritratto psico-attitudinale di Sherlock Holmes, uomo dai vasti interessi che spaziano dalla filosofia alla letteratura alle arti marziali, oltre alla logica e all'apicoltura (dopo il ritiro pensionistico). Il suo aforisma che fa del metodo induttivo una sorta di passepartout è: Una volta eliminato l'impossibile, ciò che resta, per quanto possa apparire improbabile, deve essere la verità”. Insomma, ciò che rimane per esclusione da un’indagine è l’unica spiegazione logicamente corretta. Oltre a Popper non sarebbe d’accordo neppure Dylan Dog, il personaggio in red and black and jeans and clarks d’ordinanza, che per definizione è il detective dell’impossibile. E forse neppure Philip Marlow nell'interpretazione di Humphrey Bogart (Il grande sonno) in un pezzo di grande cinema: quel cinema dentro il cinema, gioco di ombre allusive con uno spettatore catturato dalla magia delle immagini, dal gioco delle vedute oggettive e soggettive dove l’induzione è la macchina inferenziale per antonomasia dell’illusorio cinematografico.

Popper però va oltre la critica dell’induzione e solleva il problema del pregiudizio. Il pregiudizio è in qualche modo fondamentale nel procedimento scientifico. Il fatto può sorprendere. La nostra mente non è tabula rasa. L'osservativismo - ci dice Popper - è un mito. Quando osserviamo il mondo siamo sempre orientati dalle nostre aspettative teoriche, la mente purgata dai pregiudizi non è una mente pura, è solo una mente vuota. L’osservazione implica sempre una teoria che ne sta alla base, un pregiudizio (aspettative, ipotesi, conoscenze pregresse) che comunque può essere disilluso e corretto alla luce dell’esperienza.

Un topos del romanzo e del film poliziesco è quello di un’indagine che inizialmente prende la direzione più ovvia, quella che lascia immaginare uno scenario del tutto naturale sulla base dell’esperienza del detective e anche di quella del lettore-spettatore che in quanto voyeur del delitto si serve dei suoi vissuti esistenziali e delle sue esperienze criminali (criminologiche) per organizzare la logica della storia. Il colpo di scena finale è tale solo per coloro non abbastanza smaliziati che si sono fossilizzati sull'iniziale ricostruzione del delitto, ipnotizzati dai primi riscontri, senza riuscire a derubricare via via gli elementi difformi e le incongruenze.

In un delitto il pregiudizio è sempre al lavoro, di per sé non è un fatto negativo, e implica una direzione di ricerca che altrimenti non saprebbe in quale direzione muoversi. L'importante però è che il pregiudizio venga messo al vaglio dell'osservazione. Purtroppo, però, talvolta si scambiano dei meri dati (indipendentemente dalla loro correttezza formale) per delle prove. La prova è tale solo all'interno di un sistema concettuale (ipotetico-deduttivo). Un sistema di indizi può costituire solo l’orientamento verso ulteriori osservazioni, come avviene nel procedimento scientifico, alla ricerca di regolarità. L’indizio presuppone dei criteri di controllo che non sono mere verifiche (e qui entriamo nell'altro aspetto dell’epistemologia popperiana, il falsificazionismo).

Una teoria per essere provata deve essere falsificabile, cioè è possibile estrarne conseguenze che possono essere confutate, cioè falsificate dai fatti (l’insieme dei falsificatori potenziali non deve essere vuoto). Detto in altro modo, la scientificità di una teoria comporta la reale possibilità di estrarre conseguenze passibili di controllo fattuale (smentibili in linea di principio e di fatto). La conferma di una teoria, ci dice Popper non è mai definitiva. Per quante conferme una teoria abbia avuto, non è mai certa, un ulteriore controllo la può smentire (magari trovando una teoria migliore che renda giustizia di quei fatti e di quelle osservazioni in disaccordo). Proprio l’errore è il centro del metodo scientifico e ne promuove gli sviluppi. Nelle parole di Popper: …un sistema empirico deve poter essere confutato dall'esperienza…

La frase domani pioverà o non pioverà non è una asserzione empirica perché non può essere confutata (la previsione è comunque vera e dunque non falsificabile). Un imputato che non parla del delitto fornisce un indizio di colpevolezza a causa di un silenzio ritenuto anomalo, se invece ne parla fornisce un indizio di colpevolezza perché non può fare a meno di parlarne. Se l'imputato ha precedenti penali è pericoloso e deve restare in carcere, se invece non ne ha occorre tenerlo in carcere comunque perché non essendo un omicida abituale potrebbe perdere il controllo in qualunque momento (sono proposizioni sempre vere, non falsificabili).

Nell'Assassinio sull’Orient Express (forse il più celebre romanzo poliziesco di Agatha Christie) in un continuo alternarsi di colpi di scena, fatti di falsi indizi e depistaggi, Hercule Poirot arriva alla soluzione del caso mettendo insieme e facendo combaciare i tanti tasselli sconnessi scartando via via le varie ipotesi, mettendole a confronto con gli ulteriori dati ricavati dall'indagine e alla molteplicità di moventi che solo un'osservazione empirica al vaglio di potenziali falsificatori può far emergere. La conclusione dell’indagine è davvero poco intuitiva: dodici pugnalate sulla vittima vibrate da dodici diverse persone…

La verità nella scienza non riguarda i fatti (esempio il Dna compatibile con il codice genetico di un sospetto), ma le teorie che li rappresentano all'interno di una configurazione deduttiva. Una teoria è vera quando rispecchia i fatti (le sue conseguenze) che devono poter essere falsificabili almeno in linea di principio. Non c’è alcuna teoria falsificabile dove esistono dati di laboratorio orfani di un sistema indiziario dal quale non si possano ricavare conseguenze confutabili empiricamente. E non c’è neppure un sistema indiziario sulla base di elementi tautologici, come ad esempio celle telefoniche e transiti in un ambiente di vita condiviso che rimandano ad asserzioni non empiriche del tipo pioverà o non pioverà (sempre vere). 

È pur vero che per falsificare un’ipotesi ho bisogno di ipotesi ausiliarie. Potrebbe risultare falsa non l’ipotesi sotto controllo, quanto piuttosto gli asserti usati per falsificarla. Esiste una differenza tra la falsificazione logica (sempre corretta) e falsificazione metodologica che non sempre è corretta e conclusiva. Posso ad esempio stabilire che x non sia figlio di y (il padre legale) attraverso un’indagine genetica dietro un francobollo o su un cadavere. Ma potrebbero proprio gli asserti (i controlli) usati per falsificare la paternità a non risultare corretti. Solo nel caso che esistano falsificatori empirici (ad esempio un test di paternità tra x e il padre legale) si rende eventualmente falsificabile il risultato scientifico dal quale risulta che la paternità di x non è y.

La letteratura, non solo quella poliziesca ci ha dato un’idea piuttosto convincente, anche se in forma suggestiva, del modus operandi dell’investigatore. Il commissario Maigret, buon bevitore, burbero e amante della buona cucina, rappresenta l’istinto del detective, quello che è in grado di immedesimarsi empaticamente coi personaggi abbandonando il cliché d’un romanzo poliziesco d’élite sociologica (quello alla Agatha Christie). Il commissario parigino impernia la sua indagine più che sugli indizi materiali sul movente umano ed esistenziale. Rappresenta l’investigatore che sa aspettare prima di saltare a conclusioni affrettate, dimostra la sua capacità di ruminare con pazienza gli indizi prima di avventurarsi in un giudizio di colpevolezza, al contrario di altri che senza indugio indicano il colpevole prima ancora di fornire prove convincenti o che ricavano conclusioni apodittiche fidandosi di un unico dato orfano di connessioni con un organico sistema indiziario.

A chi chiedeva a Maigret quale fosse il suo metodo, il commissario rispondeva di non avere un metodo - espresso nel bisogno di uscire dal suo ufficio - e di calarsi nell'ambientazione del delitto, nella personalità e nelle idiosincrasie dei personaggi, per immergersi completamente nell'atmosfera dell’inchiesta, talvolta con quel malcelato antagonismo con il giudice istruttore e l’insofferenza per le pratiche burocratiche. Il personaggio di Maigret introduce l’epistemologia di Paul Feyerabend che trova in quel saggio Contro il metodo proprio un nesso con l’atteggiamento un po’ dissacrante del personaggio del commissario parigino.

L’anarchismo metodologico di Paul Feyerabend, allievo di Popper e poi suo critico, amico di Kuhn dal quale dissente pur nella stima, attacca la fede incrollabile nell'empirismo e nel razionalismo. Sembrerebbe una posizione di retrovia, per certi versi oscurantista. In realtà il filosofo austriaco mette alla berlina l’intolleranza di un sapere che per certi versi riporta al dogmatismo. È l’insofferenza a qualsiasi principio di autorità. Il pluralismo teorico è essenziale in qualsiasi conoscenza che si proclami oggettiva, mentre l’empirismo logico incoraggia l’uniformità metodologica e teorica più adatte a una chiesa o a un partito politico.  Lo scienziato - per Feyerabend - non è il devoto delle leggi fondamentali custodite da qualche sommo sacerdote, è un ‘opportunista’ che utilizza i risultati ai fini della sua ricerca. Una posizione polemica che porta a sfumare qualsiasi demarcazione tra sapere scientifico e altri ambiti conoscitivi (come l’arte, la poesia e il mito). Per quanto tale posizione sia estremizzante è stata ripresa anche da illustri scienziati che mettono in guardia dal dogmatismo metodologico.

La figura del detective continua ad avere un fascino, come quella del criminologo, anche se il moderno Sherlock Holmes si è un po’ annacquato con un armamentario tecnologico da laboratorio, così lontano dalle situazioni reali, e senza più quell'olfatto in grado di riconoscere a naso i caratteri organolettici di un delitto. Il moderno detective sembra una macchina, nella quale la scienza attuale lo sta trasformando. Il processo è analogo a quel test di Turing che cerchi di smascherare l’androide e che alla fine non potrà che concludere che i robot siamo noi, indifferentemente vittime o carnefici, macchine deterministiche con illusori gradi di libertà e dunque prevedibili con un adeguato software criminologico.


Un altro illustre detective, in veste letteraria, Guglielmo da Baskerville (Il nome della Rosa di Eco) persegue invece l’indagine con la logica e il ragionamento, ma anche con il fiuto del segugio, senza darsi troppa pena dei galli neri e dei riti satanici. Anche lì c’è di mezzo la saliva, sulle pagine di un manoscritto greco custodito nella labirintica biblioteca del monastero dove avvengono misteriosi delitti. 

Alle volte non si può mai sapere chi sfoglia le pagine avvelenate o chi lecca il retro di un francobollo... in entrambi i casi, però, l’assassino potrebbe non essere quello che ti aspetti che sia.


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1 commento:

Ivana ha detto...

Per non parlare poi della matematica che con i suoi procedimenti sotto l’egida quantitativa presume di produrre sempre oggetti realmente esistenti.


Credo che l’essenza della matematica non abbia a che vedere con il “quantificare”; sono d’accordo con Georg Cantor: l’essenza della matematica è la libertà!

Inoltre reputo significative le seguenti parole attribuite al grande Hilbert: «Sai, per essere un matematico non aveva abbastanza immaginazione; ma ora è diventato un poeta e se la cava davvero bene...» (Hilbert, riguardo a un vecchio studente)

Parafrasando Bertrand Russell, ritengo che la matematica dovrebbe essere studiata non per amore delle risposte precise alle domande che pone, perché nessuna risposta precisa può essere data per vera con assoluta certezza, ma piuttosto va studiata per amore delle domande stesse che arricchiscono la nostra immaginazione intellettiva e aprono la mente alla speculazione