Articolo di Gilberto Migliorini
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C’è un nuovo personaggio nel Bel Paese che davvero fa tutta la differenza col passato politico. Si tratta di quello che piace tanto agli italiani perché di fronte al malaffare e alla corruzione riesce a fare qualcosa di veramente innovativo: si indigna. Potremmo perfino dire che si incazza se non fosse che mantiene ancora l’aplomb, come è giusto che sia, dell’uomo politico tutto d’un pezzo, superiore al lato torbido e venale della corruzione, che guarda dall’alto in basso avversari e compagni che sbagliano, collaboratori e un tempo sodali che si sono avventurati in operazioni illegali, che hanno abbandonato la via maestra della mediazione per darsi a quella più vantaggiosa del compromesso (per usare un eufemismo). Il personaggio se ne esce con quel tutti a casa (i corrotti), titolo che ricorda un film diretto da Luigi Comencini e con l’interpretazione impareggiabile di Alberto Sordi. Più di un programma di risanamento, è una nemesi e una maledizione per tutti quelli che più o meno incidentalmente sono inciampati in qualche mazzetta o hanno trovato sulla loro strada qualche tentazione diabolica.
No, non dice tutti in galera
- magari facendo in modo - programmando l’agenda politica e parlamentare – di
inasprire le pene e che tra il dire e il fare non ci sia più di mezzo un mare
di tolleranza e di omertà. A casa a calci in culo suona un po’ come un cartellino di ammonizione,
forse perfino una squalifica, magari proprio a godersi il limbo dalla vita
politica in una di quelle residenze così faticosamente costruite con voto di
scambio o attraverso spericolate acrobazie contabili. A casa può perfino
apparire, nonostante l’enfasi con la quale il fiorenzino incide su una c aspirata, come una sorta di buffetto per
tutti coloro che in qualsivoglia modo si sono lasciati prendere con le mani nel
sacco. È così bello indignarsi quando non costa niente, e quando il farlo
procura in tanti supporters quel brivido che corre lungo la schiena, quel lampo
di accondiscendenza, quello scatto di dignità di chi finalmente sente qualcuno
che di fronte ai mali del paese, al triste destino che lo attanaglia, alle
porcherie che lo immiseriscono… riesce a mostrare solidale consonanza con
quelli che si sdegnano all’unisono e ai quali si può dire finalmente e
vivaddio: mandiamoli tutti a casa (i
corrotti).
È pur vero che la canzone appare a tratti un déjà vu, un motivo
orecchiato in qualche festival canoro, richiama alla mente una strofa già
ascoltata, quel zum zum zum, una
musica in testa che sarà capitato anche a voi di ascoltare… È una specie di
orchestra che con cadenza periodica richiama tutta quella fenomenologia fatta
di sconcerto, incredulità, indignazione,
sdegno, risentimento, irritazione, scandalo…. Comunque, no, non si tratta
di un plagio, solo di quella retorica degli indignados che possono dire:
finalmente qualcuno con le palle, qualcuno che non le manda a dire, che di
fronte alle porcherie sa dire pane al pane e vino al vino, dichiara senza mezzi
termini e senza tentennamenti a chi ruba…. quel "a casa" che è più di un
programma, è una promessa di sanzioni e supplizi inenarrabili, un ammonimento e
una minaccia per tutti coloro che per il futuro fossero tentati di trasgredire
e di intascare, di arricchirsi alle spese del contribuente. Sembra di vedere e
sentire la preoccupazione di quelli che in qualsivoglia modo e per il futuro fossero
allettati a trasformare la cosa pubblica in un fatto di interesse privato… Sembra
di cogliere tutto lo sconcerto, l’angoscia e il terrore che quel a
casa può suscitare in chi si lascia tentare a infilare le mani nelle
tasche del paese. Brrr… un brivido di spavento…
Però nessun riferimento alla cosa,
nessun interrogativo sull’oggetto del contendere, quei lavori pubblici che al
di là delle mazzette costituiscono la sacralità del fare, quelli che muovono
mari e monti e, ahinoi, anche un po’ il malaffare. Non ci si interroga se i vari
TAV, MOSE, EXPO e tutte quegli acronimi che suonano così corposi e familiari, e anche
un po’ misteriosi, agli occhi di uno sprovveduto elettore abbiano davvero i
crismi della necessità, se siano davvero il risultato di una accorta
programmazione e in funzione delle esigenze del Paese… o se per caso non siano soltanto
l’occasione per un affare che riguardi più che altro qualche referente illustre
e qualche sodale, che muovano non si sa bene quali interessi (o si sa?). La
corruzione mette tutti d’accordo nel provvedere a emendare e correggere, sembra
perfino un passepartout per dare ancora maggior slancio ai lavori: una volta
puniti (si fa per dire) i disonesti occorre procedere senza tentennamenti, si è
già in ritardo, occorre far presto, i cantieri non possono aspettare. E bisogna
vederli e sentirli i fiancheggiatori a vario titolo che con un mare di
inchiostro (anche elettronico) fanno a gara per dare lustro e necessità a quel
fare (l’hegeliano scambiare il fare con la cosa da fare?),
perché si tratta della macchina produttiva, quella che alza il PIL, che fa fare
affari, che innesca la produzione, che fornisce stimoli all’economia.
Che poi
tutto questo serva veramente al benessere del Bel Paese, alla sua crescita e
alla salvaguardia del suo patrimonio, all’economia reale (quella dei beni veri
e duraturi, e non l’effimero dell’uovo oggi con tangente annessa), poco importa
a chi vuol fare affari… Le maestranze, i progettisti, gli imprenditori non
possono aspettare, c’è tutto un mondo produttivo che non si può fermare. E poi
ci sono gli opinionisti a vario titolo, vecchie cariatidi, salottieri incollati
sulle poltrone degli studi televisivi per scodellare la solita minestra di
frasi fatte, di distinguo, di quel sano realismo fatto di buon senso imbastito di
incrollabili certezze (gli assiomi della geometria degli affari) e di sano
gusto del potere (quello dei referenti noti e ignoti).
Ma nel sistema paese c’è anche
un altro elemento, quella x
incognita che qualcuno vorrebbe riferita a una sorta di oscuro oggetto del
desiderio. Viene in mente l’orwelliano ministero
dell’amore privo di aperture esterne e difeso come un bunker. L’amore è un
grimaldello che poi apre tutte le porte. In suo nome è possibile trasformare
proprio come gli alchimisti medioevali il piombo in oro. In nome dell’amore
(amore del potere e del denaro con i suoi immancabili connotati mistici e
soteriologici) si può davvero giustificare qualunque cosa, laicamente e
religiosamente. Gli interpreti passano in un ricambio fisiologico, ma hanno
tutti la cadenza dell’attore consumato, recitano a soggetto e gli spettatori
applaudono, non si sa bene se per l’interpretazione convincente dell’attore di
turno o perché credono davvero che sia tutto vero, che non si tratti soltanto
di un’ottima interpretazione teatrale. Comunque vada, l’oscar
sarà assicurato… the show must go on.
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