domenica 27 aprile 2014

Il Rottamaio rottamato? A proposito di marketing e dei suoi effetti collaterali: tanto va la gatta al lardo...

Articolo di Gilberto Migliorini

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L’arte divinatoria non è una mia prerogativa, purtroppo non ho la sfera di cristallo, e pur tuttavia una vocina mi dice che anche il rottamaio potrebbe esser rottamato. No, no, non ci sono i segni, diranno i supporter. È vero, Lui ha il consenso dell’opinione pubblica. Gli fanno eco perfino i suoi oppositori, per via di quegli ottanta denari così evocativi e persuasivi, una mossa davvero azzeccata, un magnifico spot elettorale. Eppure proprio quegli spudorati ottanta euro potrebbero tirargli la zappa sui piedi... Perché? Bisogna fare una piccola premessa per capire come anche in uno spot ci possa essere un effetto boomerang: è quello che sta accadendo surrettiziamente? I sondaggi stanno lentamente cambiando di segno? Sarà una vittoria di Pirro? Cosa c’è che non funziona in quegli ottanta euro sbandierati ad ogni piè sospinto? Per produrre una campagna pubblicitaria di successo (e ovviamente si vendono sia un partito che un governo come qualsiasi altra merce, nel mondo in cui viviamo funziona purtroppo così) occorre studiare una strategia di marketing vincente, predisporre la lezione, il prodotto da commercializzare… come aveva insegnato il grande guru del mondo della pubblicità David Ogilvy. Il prodotto in questo caso (spero di non scandalizzare nessuno) è semplicemente rendere digeribile il proverbiale boccone amaro fatto della solita austerity, sacrifici e riduzione della qualità della vita che sembrano da anni il leitmotiv della situazione sociale italiana (ma non credo solo nel Bel Paese). Si tratta, per dirla senza peli sulla lingua, di un digestivo piuttosto amaro al quale bisogna aggiungere un dolcificante per rendere lo sciroppo ingurgitabile... se non proprio appetibile. 

Fin qui niente di strano, compresa la fede che poi il malato starà meglio, nonostante la medicina sia una variazione sul tema di quella propinata senza mai successo da molti anni a questa parte. Palliativi. Cure che non solo non hanno mai funzionato, ma hanno reso ancora più precaria la situazione del malato fornendogli ulteriori motivi di preoccupazione per la sua salute. Per intenderci, la medicina è la privatizzazione e la finanza creativa, cioè la svendita del paese spacciata per terapia miracolosa. Gli ottanta euri sembrano funzionare. Sono uno spot con tutti i crismi del plus e del benefit che mette bene in mostra tutti i vantaggi rispetto alla concorrenza... sbaragliata con disinvolta e spregiudicata irruenza (non importa se veri o se, semplicemente, un surplus suggestivo). Il problema è che in fase di positioning del prodotto non si è tenuto conto di alcuni effetti perversi:

a) Il primo effetto perverso sta carattere ridondante e ripetitivo dello slogan degli ottanta euro, una sorta di mantra che però sta innescando un effetto saturazione ben prima che i denari finiscano fisicamente nelle tasche degli italiani. Si tratta comunque di un bonus solo per un target circoscritto (6/7 milioni di persone) e sempre con quell'alone virtuale al quale da tempo nel Bel Paese ci si è abituati: far scomparire e ricomparire debiti e crediti come carte di un gioco di prestigio.

b) Il secondo effetto perverso è più complicato da piegare e riguarda il carattere spudorato dello spot che risultando platealmente e furbescamente troppo orientato può indurre il target, dopo l’entusiasmo iniziale, a sentire il peso (e la vanità) di un’espediente meramente contabile (più un’operazione di marketing che una elargizione di ricchi premi e cotillon). Una buona pubblicità commerciale deve occultarsi nello slogan sotto forma di advertising, cioè di un contenuto informativo ed esplicativo - sia pure tradotto nella modalità della persuasione occulta - ma senza mai dar l’idea di forzare la mano all’interlocutore. Qui oggettivamente si è andati oltre perfino lo stile di un venditore da mercato rionale che strilla il prodotto ai quattro venti con l’enfasi dell’imbonitore. Per quanto l’italiano sia di bocca buona, la sponsorizzazione a forza di spot ha assunto un carattere grottesco, una pubblicità così spudorata alla lunga non può non suscitare sentimenti di fastidio in un target che si sente troppo tirato per i capelli (e forse preso per i fondelli) per non subodorare la solita fregatura. Dietro al florilegio di eclatanti promesse c’è più che altro la volontà di svuotare le rappresentanze dei cittadini per sostituirle con quelle delle segreterie di partito. 

Quando ci si affida a una Brand image troppo smaccatamente basata sui plus e sui benefit (dichiarati in modo martellante e ripetitivo), senza una vera cura dell’immagine (la qualità rappresentata da uno stile, da una confezione che salvi almeno le apparenze, e in sintonia con la natura del prodotto da reclamizzare), è facile si finisca per proporre una marca senza spessore, una réclame senza mordente, uno spot moscio e scadente. Uno stile di vendita senza il lievito di idee, senza visione né immaginario, non risulta vincente neppure nei confronti di un target piuttosto sprovveduto come quello nostrano. È vero che in fondo si consumano solo immagini, quelle che si riescono a implementare nel consumatore, sia che si tratti di un acquirente di acqua minerale sia che si tratti di un elettore. Ma è anche vero che scrivere un testo pubblicitario (o propagandistico) è un’arte sottile. Si richiede che lo spot duri nel tempo, per quanto il prodotto sia scadente come un vino annacquato, anche se il consumatore si accontenta di bersi solo l’immagine (attraverso l’etichetta del brand). Un’immagine replicata non basta per affermare un prodotto, come non basta un atteggiamento tutto teso al consenso della pubblica opinione. Non basta rivolgersi agli elettori magnificando il prodotto con uno stile da telegrafista. Non è sufficiente twittare su una tastiera e atteggiarsi a salvatore della patria, a traghettatore di anime nel nuovo Eldorado con un Senato museale e un sistema elettorale con l’elettore a far da mera cariatide. 

Come insegnano i grandi pubblicitari, senza una grande idea (nel senso propagandistico) il consumatore, dopo qualche assaggio di circostanza, non comprerà il prodotto e finirà per lasciarlo lì sul bancone anche se promosso con lo sconto della carta fidaty. Oggettivamente l’idea degli ottanta euro che evocano il modello di consumatore razionale, ha assai poco di quella creatività che è richiesta in qualsiasi campagna pubblicitaria di successo. Puntare su un benefit di natura economica (una tantum sia pure reiterata negli anni) dà tutto sommato un’immagine di precarietà che è destinata a durare nel tempo (la provvisorietà di uno slogan senza il lievito del futuro). Gli ottanta sesterzi si spendono per pagare le nuove tasse che nel frattempo spuntano come funghi, quelle locali, quelle nazionali, quelle occulte e quelle invisibili (insomma son già bell’e impegnati prima ancora di trovarseli in saccoccia). Il consumatore ha bisogno anche di sogni. Un beneficio di ottanta euro sembra più che altro la svendita del futuro, l’acquietarsi dei sogni in un presente forse allietato da qualche euro in più; una moneta tintinnante nella tasca (mera sonorità virtuale che illude l’udito più che il palato) ma senza una vera profondità di campo, senza una prospettiva fatta di immagini di un domani migliore. 

Un governante scaltro suscita immagini ed emozioni, parla all’inconscio, all’immaginario e non solo al lato aritmetico e digitale dell’elettore. Per dirla con Erasmo da Rotterdam, quando le monete risuonano nella cassetta un’anima sale in cielo (ma non è detto che un voto cada nell’urna). Gli ottanta euro sembrano la pubblicità di un detersivo con lo slogan che lava più bianco, ma con l’immagine un po’ sbiadita di una massaia che appende soltanto più mutande ad asciugare (quindi senza gloria né erotismo per un elettore che guardi al futuro). Per quanto l’immagine della velocità evochi lo sprint, si tratta di uno spot senza mordente e un po’ asfittico, l’immagine di un elettore scialbo e pantofolaio che col gruzzoletto va finalmente al ristorante con tutta la famiglia o al supermercato a fare una spesa supplementare innescando quel processo virtuoso, la scintilla dei misteriosi meccanismi di mercato.... Insomma un copywriter con poche idee e con uno stereotipo dell’italiano un po’ datato, quello di uno che tira calci a un pallone e che pende dalle labbra del suo allenatore, ma che va allo stadio per la partita del core. Sembra davvero l’Italia da libro cuore

c) Il terzo elemento perverso è il nesso imprescindibile tra il do e il des, cioè quell’attitudine di qualsiasi merce alla vendita. Il protagonismo del prodotto sta nel suo annuncio, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Nel nostro caso le aspettative dell’opinione pubblica (stanca e sfiduciata da anni di magra e da una disoccupazione a due cifre) disposta a dar credito al nuovo venditore che si presenta sulla scena nella speranza di averne trovato uno buono e dotato di carisma. Per questo gli viene offerto un vantaggio, un credito in bianco, corroborato anche dal fatto che si è presentato con uno stile che d’emblée è apparso (all’italiano medio) nuovo e accattivante, sicuramente un punto di partenza con tutti i crismi per suscitare curiosità ed attenzione. Ma si sa che non sempre la prima impressione è quella che fa fede. In risposta al tourbillon (un polverone) di provvedimenti (di tutto un po’) si sta lentamente palesando nell’audience un certo scetticismo. Al di là dell’ammirazione e delle speranze sta cominciando a farsi strada sconcerto per una campagna contraddittoria, con slogan che alla lunga si dimostrano ripetitivi, senza il lievito di fatti tangibili se non il leitmotiv della rottamazione. 

Il brain storming che dovrebbe indicare l’estro e la strategia di rottura rispetto al passato, appare come una fuga in avanti, come un furore distruttivo in grado di cambiar tutto senza cambiare niente, come un semplice rimescolamento delle carte con qualche concessione alla retorica e alla demagogia (naturalmente tenendo ben fermi i paletti nella sostanza di un paese pur sempre cristallizzato in privilegi e corruzione). L’ambizione, elemento non da disprezzare se usata al servizio di un’idea, si è trasformata in una autoproclamazione di intenti un po’ velleitari. Gli ottanta euro ribaditi ad oltranza appaiono sempre più come voto di scambio in una dinamica dove l’acquirente sembra sospettare che non si voglia solo vendere un prodotto, ma anche fare campagna acquisti. Il direct marketing funziona meglio quando le cose vanno bene, nei periodi di crisi le promesse hanno le gambe corte. L’originalità un po’ millantata (soprattutto se scevra dalla coerenza e dalla credibilità) non è detto che alla lunga faccia vendere il prodotto.

Uno spot per funzionare al di là di un primo impatto nel quale lo slogan fa presa, ha bisogno di qualcosa in più di uno stile tipo Speedy Gonzales e di un brand dalla personalità usa e getta. Nella fattispecie si tratta di un modello adeguato per un mercato rionale (oggi qui e domani là senza troppe preoccupazioni per una clientela che si vorrebbe fedele e affezionata al logo), ma non per un paese che è passato attraverso tutta una gamma di modelli di marketing creativi e che è sempre pronto a illudersi (ma dopo tante fregature anche a disilludersi). Lo stile di quest'ultimo copywriter è fatto per durare nel tempo? I segnali che il prodotto sia solo un bluff sono piuttosto consistenti. Nonostante il maquillage compaiono già i segni dell’invecchiamento a dispetto della verde età anagrafica. 

Purtroppo se il rottamaio verrà rottamato, anche l’agenzia pubblicitaria avrà a soffrirne, ma di questo i suoi adepti e i suoi organizzatori non sembrano davvero preoccuparsi. La speranza di un successo elettorale eclatante mette tutto il resto in secondo piano. Alle volte la differenza tra uno spot di successo e un flop colossale si gioca su quell’imponderabile leggerezza: l’elettorato cambia, qualcuno va e qualcuno viene. Tutto acquista il carattere aleatorio di una scommessa, di un progetto a corto respiro, come un cinguettio appunto, perché tanto del futuro (quello vero) ci si occuperà domani…

Clicca qui per leggere la sceneggiatura del "corto" - Capodanno- di Gilberto Migliorini pubblicata sul sito Hommelete - Ricerca Produzione Film (volume 05)

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