Articolo di Gilberto Migliorini
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L’arte
divinatoria non è una mia prerogativa, purtroppo non ho la sfera di
cristallo, e pur tuttavia una vocina mi dice che anche il rottamaio
potrebbe esser rottamato. No, no, non ci sono i segni, diranno i
supporter. È vero, Lui ha il consenso dell’opinione pubblica. Gli
fanno eco perfino i suoi oppositori, per via di quegli ottanta denari
così evocativi e persuasivi, una mossa davvero azzeccata, un
magnifico spot elettorale. Eppure proprio quegli spudorati ottanta
euro potrebbero tirargli la zappa sui piedi... Perché? Bisogna fare
una piccola premessa per capire come anche in uno spot ci possa essere un
effetto boomerang: è quello che sta accadendo surrettiziamente? I
sondaggi stanno lentamente cambiando di segno? Sarà una vittoria di
Pirro? Cosa c’è che non funziona in quegli ottanta euro
sbandierati ad ogni piè sospinto? Per
produrre una campagna pubblicitaria di successo (e ovviamente si
vendono sia un partito che un governo come qualsiasi altra merce, nel mondo
in cui viviamo funziona purtroppo così) occorre studiare una
strategia di marketing vincente, predisporre la lezione, il prodotto
da commercializzare… come aveva insegnato il grande guru del mondo
della pubblicità David Ogilvy. Il prodotto in questo caso (spero di
non scandalizzare nessuno) è semplicemente rendere digeribile il
proverbiale boccone amaro fatto della solita austerity,
sacrifici e riduzione della qualità della vita
che sembrano da anni il leitmotiv
della situazione sociale italiana (ma non credo solo nel Bel Paese).
Si tratta, per dirla senza peli sulla lingua, di un digestivo
piuttosto amaro al quale bisogna aggiungere un dolcificante per
rendere lo sciroppo ingurgitabile... se non proprio appetibile.
Fin qui
niente di strano, compresa la fede che poi il malato starà meglio,
nonostante la medicina sia una variazione sul tema di quella propinata senza mai successo da molti anni a questa parte. Palliativi. Cure che
non solo non hanno mai funzionato, ma hanno reso ancora più precaria
la situazione del malato fornendogli ulteriori motivi di
preoccupazione per la sua salute. Per intenderci, la medicina è la
privatizzazione
e la finanza
creativa,
cioè la svendita del paese spacciata per terapia miracolosa. Gli
ottanta euri
sembrano funzionare. Sono uno spot con tutti i crismi del plus
e del benefit che mette bene in mostra tutti i vantaggi rispetto alla concorrenza... sbaragliata con disinvolta e spregiudicata irruenza (non importa se
veri o se, semplicemente, un surplus suggestivo). Il problema è che in
fase di positioning
del prodotto non si è tenuto conto di alcuni effetti perversi:
a) Il primo effetto perverso sta carattere ridondante e ripetitivo dello slogan degli ottanta
euro, una sorta di mantra che però sta innescando un effetto saturazione ben
prima che i denari finiscano fisicamente nelle tasche degli
italiani. Si tratta comunque di un bonus solo per un target
circoscritto (6/7 milioni di persone) e sempre con quell'alone virtuale al quale da tempo
nel Bel Paese ci si è abituati: far scomparire e ricomparire debiti
e crediti come carte di un gioco di prestigio.
b)
Il secondo effetto perverso è più complicato da piegare e riguarda il carattere spudorato dello spot che risultando platealmente e
furbescamente troppo orientato può indurre il target, dopo l’entusiasmo
iniziale, a sentire il peso (e la vanità) di un’espediente
meramente contabile (più un’operazione di marketing che una
elargizione di ricchi
premi e cotillon).
Una buona pubblicità commerciale deve occultarsi nello slogan sotto
forma di advertising,
cioè di un contenuto informativo ed esplicativo - sia pure tradotto
nella modalità della persuasione occulta - ma senza mai dar l’idea
di forzare la mano all’interlocutore. Qui oggettivamente si è
andati oltre perfino lo stile di un venditore da mercato rionale che
strilla il prodotto ai quattro venti con l’enfasi dell’imbonitore.
Per quanto l’italiano sia di bocca buona, la sponsorizzazione a
forza di spot ha assunto un carattere grottesco, una pubblicità così
spudorata alla lunga non può non suscitare sentimenti di fastidio in
un target che si sente troppo tirato per i capelli (e forse preso per
i fondelli) per non subodorare la solita fregatura. Dietro al
florilegio di eclatanti promesse c’è più che altro la volontà di
svuotare le rappresentanze dei cittadini per sostituirle con quelle
delle segreterie di partito.
Quando ci si affida a una Brand
image
troppo smaccatamente basata sui plus
e sui benefit
(dichiarati in modo martellante e ripetitivo), senza una vera cura
dell’immagine (la qualità rappresentata da uno stile, da una
confezione che salvi almeno le apparenze, e in sintonia con la natura
del prodotto da reclamizzare), è facile si finisca per proporre una
marca
senza spessore, una réclame
senza mordente, uno spot
moscio e scadente. Uno stile di vendita senza il lievito di idee,
senza visione né immaginario, non risulta vincente neppure nei
confronti di un target piuttosto sprovveduto come quello nostrano. È
vero che in fondo si consumano solo immagini, quelle che si riescono
a implementare nel consumatore, sia che si tratti di un acquirente di
acqua minerale sia che si tratti di un elettore. Ma è anche vero che
scrivere un testo pubblicitario (o propagandistico) è un’arte
sottile. Si richiede che lo spot duri nel tempo, per quanto il
prodotto sia scadente come un vino annacquato, anche se il
consumatore si accontenta di bersi solo l’immagine (attraverso
l’etichetta del brand).
Un’immagine replicata non basta per affermare un prodotto, come non
basta un atteggiamento tutto teso al consenso della pubblica
opinione. Non basta rivolgersi agli elettori magnificando il prodotto
con uno stile da telegrafista. Non è sufficiente twittare su una
tastiera e atteggiarsi a salvatore della patria, a traghettatore di
anime nel nuovo Eldorado con un Senato museale e un sistema
elettorale con l’elettore a far da mera cariatide.
Come insegnano i
grandi pubblicitari, senza una grande idea (nel senso
propagandistico) il consumatore, dopo qualche assaggio di
circostanza, non comprerà il prodotto e finirà per lasciarlo lì sul
bancone anche se promosso con lo sconto della carta
fidaty.
Oggettivamente l’idea degli ottanta euro che evocano il modello di
consumatore razionale, ha assai poco di quella creatività che è
richiesta in qualsiasi campagna pubblicitaria di successo. Puntare su
un benefit di natura economica (una tantum sia pure reiterata negli
anni) dà tutto sommato un’immagine di precarietà che è destinata
a durare nel tempo (la provvisorietà di uno slogan senza il lievito
del futuro). Gli ottanta
sesterzi
si spendono per pagare le nuove tasse che nel frattempo spuntano come
funghi, quelle locali, quelle nazionali, quelle occulte e quelle
invisibili (insomma son già bell’e impegnati prima ancora di
trovarseli in saccoccia). Il consumatore ha bisogno anche di sogni.
Un beneficio di ottanta euro sembra più che altro la svendita del
futuro, l’acquietarsi dei sogni in un presente forse allietato da
qualche euro in più; una moneta tintinnante nella tasca (mera
sonorità virtuale che illude l’udito più che il palato) ma senza
una vera profondità di campo, senza una prospettiva fatta di
immagini di un domani migliore.
Un governante scaltro suscita
immagini ed emozioni, parla all’inconscio, all’immaginario e non
solo al lato aritmetico e digitale dell’elettore. Per dirla con
Erasmo da Rotterdam, quando le
monete risuonano nella cassetta un’anima sale in cielo (ma non è detto che un voto cada nell’urna). Gli ottanta euro
sembrano la pubblicità di un detersivo con lo slogan che lava più
bianco, ma con l’immagine un po’ sbiadita di una massaia che
appende soltanto più mutande ad asciugare (quindi senza gloria né
erotismo per un elettore che guardi al futuro). Per quanto l’immagine
della velocità
evochi lo sprint,
si tratta di uno spot senza mordente e un po’ asfittico,
l’immagine di un elettore scialbo e pantofolaio che col gruzzoletto
va finalmente al ristorante con tutta la famiglia o al supermercato a
fare una spesa supplementare innescando quel processo virtuoso, la
scintilla dei misteriosi meccanismi di mercato.... Insomma un
copywriter con poche idee e con uno stereotipo dell’italiano un po’
datato, quello di uno che tira calci a un pallone e che pende dalle
labbra del suo allenatore, ma che va allo stadio per la partita del
core.
Sembra davvero l’Italia da libro
cuore…
c) Il terzo elemento perverso è il nesso imprescindibile tra il do
e il des,
cioè quell’attitudine di qualsiasi merce alla vendita. Il
protagonismo del prodotto sta nel suo annuncio,
ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Nel nostro caso le
aspettative dell’opinione pubblica (stanca e sfiduciata da anni di
magra e da una disoccupazione a due cifre) disposta a dar credito al
nuovo venditore che si presenta sulla scena nella speranza di averne trovato uno buono e dotato di carisma. Per questo gli viene offerto un
vantaggio, un credito in bianco, corroborato anche dal fatto che si è presentato con uno stile che
d’emblée è apparso (all’italiano medio) nuovo e accattivante,
sicuramente un punto di partenza con tutti i crismi per suscitare
curiosità ed attenzione. Ma si sa che non sempre la prima
impressione è quella che fa fede. In risposta al tourbillon (un
polverone) di provvedimenti (di tutto un po’) si sta lentamente
palesando nell’audience un certo scetticismo. Al di là
dell’ammirazione e delle speranze sta cominciando a farsi strada
sconcerto per una campagna contraddittoria, con slogan che alla lunga
si dimostrano ripetitivi, senza il lievito di fatti tangibili se non
il leitmotiv della rottamazione.
Il brain
storming
che dovrebbe indicare l’estro e la strategia di rottura rispetto al
passato, appare come una fuga in avanti, come un furore distruttivo in grado di
cambiar tutto senza cambiare niente, come un semplice rimescolamento delle
carte con qualche concessione alla retorica e alla demagogia (naturalmente tenendo ben fermi i paletti nella sostanza di un paese pur sempre
cristallizzato in privilegi e corruzione). L’ambizione, elemento non
da disprezzare se usata al servizio di un’idea, si è trasformata in
una autoproclamazione di intenti un po’ velleitari. Gli ottanta
euro ribaditi ad oltranza appaiono sempre più come voto di scambio
in una dinamica dove l’acquirente sembra sospettare che non si
voglia solo vendere un prodotto, ma anche fare campagna acquisti. Il
direct
marketing funziona
meglio quando le cose vanno bene, nei periodi di crisi le promesse
hanno le gambe corte. L’originalità un po’ millantata
(soprattutto se scevra dalla coerenza e dalla credibilità) non è
detto che alla lunga faccia vendere il prodotto.
Uno
spot per funzionare al di là di un primo impatto nel quale lo slogan
fa presa, ha bisogno di qualcosa in più di uno stile tipo Speedy
Gonzales e di un brand
dalla personalità usa
e getta.
Nella fattispecie si tratta di un modello adeguato per un mercato
rionale (oggi qui e domani là senza troppe preoccupazioni per una
clientela che si vorrebbe fedele e affezionata al logo), ma non per un
paese che è passato attraverso tutta una gamma di modelli di
marketing creativi
e che è sempre pronto a illudersi (ma dopo tante fregature anche a disilludersi). Lo stile di quest'ultimo copywriter è fatto
per durare nel tempo? I segnali che il prodotto sia solo un bluff
sono piuttosto consistenti. Nonostante il maquillage compaiono già i
segni dell’invecchiamento a dispetto della verde età anagrafica.
Purtroppo se il rottamaio verrà rottamato, anche l’agenzia
pubblicitaria avrà
a soffrirne, ma di questo i suoi adepti e i suoi organizzatori non
sembrano davvero preoccuparsi. La speranza di un successo elettorale
eclatante mette tutto il resto in secondo piano. Alle volte la
differenza tra uno spot di successo e un flop colossale si gioca su
quell’imponderabile leggerezza: l’elettorato cambia, qualcuno
va e qualcuno viene. Tutto acquista il carattere aleatorio di una
scommessa, di un progetto a corto respiro, come un cinguettio appunto,
perché tanto del futuro (quello vero) ci si occuperà domani…
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