Travisando e rapportando quanto scriveva Leopardi, e appoggiandosi sul suo noto pessimismo, si può dire che l'italiano, come ogni uomo di questo mondo, vive nella speranza di vivere un domani migliore. In base a questa speranza, può ascoltare a bocca aperta, ed anche creder loro, i tanti venditori di fumo che spingendo sulla voglia di felicità possono "vendergli" qualsiasi cosa: anche un governo senza senso né senno (è capitato più volte in quasi settanta anni di repubblica). E' così. Chiunque abbia un minimo d'esperienza, datagli dall'età, non può non convenire sul fatto che siamo stati mille e più volte raggirati dalle parole e dalle promesse rivelatesi false di quei politici che ci vendevano fumo. Per cui il pessimismo ci può far ben rapportare il pensiero Leopardiano ai giorni nostri e ai tanti governi che sin dalla fine della seconda guerra mondiale si sono succeduti e hanno imbandito la loro tavola, mangiando a più non posso, sul suolo italico. Tutti noi, brindando all'anno nuovo abbiamo sperato in qualcosa di meglio. Tutti noi, andando a votare abbiamo sperato in governi migliori. Ma cosa abbiamo trovato di volta in volta nel nuovo anno o nel nuovo governo? Solo delusioni...
Rapportiamo quindi le parole del poeta, quelle sottolineate sono sue mentre quelle in corsivo sono raffronti miei, alle tante speranze politiche mai avverate. Leopardi nel 1827 scriveva: «Che la vita nostra (il nostro governo), per sentimento di ciascuno, sia composta di più assai dolore che piacere, male che bene, si dimostra per questa esperienza. Io ho dimandato a parecchi se sarebbero stati contenti di tornare a rifare la vita passata (se avessero voluto tornare ad avere i governi passati), con patto di rifarla né più né meno quale la prima volta. L’ho dimandato anco sovente a me stesso. Quanto al tornare indietro a vivere, ed io e tutti gli altri sarebbero stati contentissimi (perché si ritornerebbe giovani); ma con questo patto (con simili governi), nessuno; e piuttosto che accettarlo, tutti - e così, io a me stesso - mi hanno risposto che avrebbero rinunziato a quel ritorno alla prima età (alla prima repubblica), che per sé medesimo, sarebbe pur tanto gradito a tutti gli uomini (grazie alle conquiste sociali). Per tornare alla fanciullezza, avrebbero voluto rimettersi ciecamente alla fortuna circa la lor vita da rifarsi, e ignorarne il modo, come s’ignora quel della vita che ci resta da fare. Che vuol dir questo? Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiam provato più male che bene (perché chi più chi meno, in un modo o in un altro, tutti i politici ci han sempre derubato); e che se noi ci contentiamo (di come ci hanno governato e ci governano), ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l’ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione e ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti»
E se un tempo il suo dialogo fra un venditore di almanacchi (calendario completato da varie e utili informazioni) e il passeggere, un passante incontrato per caso in città, verteva sul pessimismo in quanto il venditore, stuzzicato dal passeggere (in fondo fra i due lui era il filosofo che poneva domande per aiutare il compare a capire), non riusciva a trovare in quelli passati un anno buono da paragonare con quello a venire, oggi il dialogo lo potremmo modificare e, sempre basandoci sul pessimismo e sul fatto che nessuno di noi può trovare nei governi passati quello buono da rapportare al prossimo, immaginarlo così:
Venditore. Governi, Governi nuovi; esecutivi nuovi. Bisognano, signore, Governi nuovi?
Passeggere. Governi per un nuovo esecutivo?
Venditore. Sì signore.
Passeggere. Credete che sarà felice questo nuovo Governo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo, felicissimo… il migliore dei Governi possibili.
Passeggere. Come quell'altro passato?
Venditore. Più… assai di più...
Passeggere. Come quell'altro di là?
Venditore. Più più, illustrissimo, un governo di quelli superlativi.
Passeggere. Scommetto che vi piacerebbe che questo nuovo fosse come qualcuno degli ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni sono passati da che voi vendete Governi?
Venditore. Saranno quarant'anni, illustrissimo, forse di più...
Passeggere. A quale di cotesti Governi vorreste che somigliasse questo nuovo?
Venditore. Io?, non saprei proprio.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun Governo in particolare, che vi farebbe felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. Eppure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Bella sì...
Passeggere. Non tornereste voi a vivere quel tempo andato?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma con quegli altri Governi di quel tempo là?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che Governo vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei un Governo così, come Dio me lo mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Un Governo a caso? Alla spera in Dio?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Ma questo è segno che il caso ci ha trattato tutti male. Col Governo nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi il Governo più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale ottanta euri.
Passeggere. Ecco a voi, ottanta euri.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Governi nuovi, governi nuovi; esecutivi nuovi.
E vista così, tanto per dire, non è che il venditore (uomo comune) debba sforzarsi più di tanto, dato che la "speranza" del passeggere, che filosofeggiando porta l'altro a ragionare sui tristi eventi, pare sia facile da "comprare"...
Nessun commento:
Posta un commento