Di Gilberto Migliorini
Se invece Machiavelli redivivo
riscrivesse il suo Principe nell'anno
di grazia 2015? Il Segretario fiorentino dovrebbe aggiornarsi a cotanti nuovi
stratagemmi del moderno reggitore, potere inteso in quel collettivo
partitocratico dai confini incerti e dalle alleanze precarie e intercambiabili,
ma pur sempre in prima linea con le sue truppe inamovibili, le sue cariatidi
ecumeniche e i suoi eterni femminini.
Tutto l’organigramma di un potere che sembra uscito da una favola di fine
ottocento, con quella fragranza mediatica che fa sembrare i suoi protagonisti
(con tanto di claque) come freschi di
giornata anche quando hanno un non so che di stantio e ammuffito. Sono i personaggi
di sempre ma con quell'appeal che li
fa sembrare ogni volta vieppiù originali, in tutte quelle metamorfosi e
trasformismi che li rende ineffabili, sempre diversi anche quando sono la
perfetta fotocopia del loro alter ego mediatico. C’è da uscire di senno e da
non raccapezzarsi circa una diplomazia così sottilmente ubiqua da superare
l’immaginario più ardito.
Uno stile disinvoltamente spregiudicato e amorale… e
così moralmente perbenista da disorientare perfino bacchettoni e adulatori adusi
alle lusinghe e al bacio pedestre. Nemmeno Lui, Machiavelli, l’analista della
politica per antonomasia, avrebbe previsto un mondo talmente alla rovescia da
trasformare un ranocchio in Principe, un Pappagone a recitare una commedia
shakespeariana. Magia che può riuscire solo con straordinari incantesimi, con
la bacchetta magica della fata col toupet
e gli occhi ‘celestrini’? O si tratta
del vecchio e inossidabile trucco dell'illusionista riveduto e corretto che fa
sempre presa sullo spettatore distratto? E per non parlare di tutto quel corteo
di anime belle che fanno un po’ da suggeritori, un po’ da figuranti e un po’ da
guitti e saltimbanchi. Alla fine si dovrebbe ammettere che l’italica fantasia
al potere supera di gran lunga perfino le teorizzazioni di un Segretario
fiorentino avvezzo alla disinvolta diplomazia del Duca del Valentino e di suo
padre Borgia.
Lo zelante e moderno cicisbeo che
ci racconta la cronaca ha quell'aria da vero intenditore, un sommelier della
politica che ti versa un intruglio zuccheroso che gronda maraviglia per qualsiasi cacata elevata al rango di notizia. Quelle
vere è sempre meglio diluirle e stemperarle in modo da nasconderle tra il
gossip e l'iperbole, annacquarle per bene con l'enfasi risonante. Il moderno affabulatore
ce la suona e ce la canta da qualche salotto televisivo con l’aria da
competente e delega cortigiana, un linguaggio da ipnotista con quei bei tropi e
traslati che menando il can per l'aia suscitano consenso ed emozione in un
pubblico assuefatto ai programmi anima e
core. Lo zelante apologeta incide il suo encomio sugli acta diurna o sull'ebdomadario e ti disegna un mondo di stupefacenti
promesse e di retoriche celebrative secondo una metrica da ode pindarica. Una
teoria di cori angelici, serafini, cherubini e troni che cantano le lodi in
endecasillabi sciolti del giovin signore,
senza neppure una parvenza antifrastica che ci dica che non è più il tempo
delle pere. Non nani sulle spalle dei giganti, più che altro pidocchi su
qualche rispettabile chioma col riporto…
Niccolò Machiavelli redivivo, dovrebbe
fare un corso di aggiornamento piuttosto impegnativo, con un occhio alle nuove
tecnologie, non tanto elettroniche, quanto mediatiche. Dante invece è talmente
smaliziato da tracciare un ritratto dell’italica gente senza l’ausilio della Psicologia Sociale e della Filosofia politica. Lui non saprebbe che
farsene del marketing, dello slogan testato
in laboratorio e della retorica riprodotta e misurata sul target con metodi
quantitativi. Il colpo d’occhio dell’illustre fiorentino basta e avanza per capire al volo chi ciurla nel manico, chi
ti rifila un bidone e chi ha per casa l’Antenora (zona del nono cerchio dell'inferno dantesco).
Il sommo poeta non avrebbe certo bisogno della scienza sociale per fare un affresco di quel nostrano mondo
politico e dei suoi epigoni (seguaci) e supporter mediologici, portaborse per vocazione, intellettuali
visceralmente incollati al potere che non sollevano la testa dal fiero pasto neppure per una pausa di
riflessione, troppo intenti a vampirizzare un paese ormai svenato e dissanguato.
L’intellettuale organico non tira nemmeno il fiato tra un panegirico e una
piaggeria (un'oratoria servile), con quella retorica che ha bisogno di stomaci forti per non vomitare
qualche apostrofe o evacuare una iperbole indigesta. Il moderno cavalier
servente si prodiga indefesso per illuminare e confortare un’audience confusa e
avvilita, infonde coraggio a un paese
sull'orlo del disamore con l’armamentario di figure retoriche, un campionario
di piatti precotti, predigeriti e omogeneizzati indicando la via maestra della
sottomissione al potere.
Di certo l’Alighieri non si
farebbe incantare dalle sirene… o da qualche giovinotto che si spaccia per un
moderno Odisseo, navigatore da social network, nocchiero dall'attivismo spregiudicato
che varca i confini del mondo conosciuto con quell'aria alla tenente Colombo. Perfino
un avatar oggidì può sembrare un Ulisse che incita i compagni di merende, anche
quelli un po’ recalcitranti e non sempre in completa sintonia, recitando per
interposta persona come se fosse un ventriloquo a farlo parlare. Fatti non foste a viver come bruti… Ma
in fondo i compagni di viaggio sono come quelle scimmie che non vedono e non sentono.
Si fanno perfino mettere la cera nelle orecchie (e magari anche le toppe sugli
occhi e i tamponi nel naso), inanellando sottili distinguo circa le fette di
salame che sia d’uopo usare per meglio non guardare e non vedere... Il dissenso
riguarda più che altro chi lo stia prendendo in quel posto. Ma c’è un coro
unanime per quel connazionale che sta sullo sfondo e che fa la cavia nel
laboratorio mediale.
Lui, il nocchiero, si fa legare per poter resistere a
lusinghe e allettamenti delle cantatrici marine, sfida virilmente l’infida tentazione
di chi lo vuole cooptare e ingannare col bel canto. Vuole essere edotto circa
le malie di streghe e sirene… giusto per essere sempre pronto a replicare.
Il manovratore occulto,
invece, pare un orpello, un accessorio più che altro per dare corpo a una
sceneggiatura incolore e insapore. Lassù, sulla luna, c’è una bella cabina di
regia e un art director dall'aria
dimessa - che se ne sta neghittoso in disparte, quasi confinato in una prigione
virtuale - manovra da remoto schiacciando un bottone. Il regista ha con sé il
tablet col quale tracciare e istruire il suo avatar, che per inciso qualche
volta si permette qualche innocente trasgressione al copione. Il suo padrino la
concede, allo scavezzacollo, compiaciuto e accondiscendente per quel tocco
personale che ha saputo dare alla sua creatura mediatica. Il figlio adottivo si
avventura in slanci ardimentosi, irruenza adolescenziale da beata gioventù
scapestrata…
Che il Medioevo sia più
attuale dell’umanesimo-rinascimento con tutta quella profusione di dignità e
centralità dell’uomo? Perfino Pico della Mirandola sembra un pubblicitario che
sforna lo slogan accattivante di un Adamo faber
fortunae suae aggiornato all'homunculus
in provetta (leggendario uomo creato dagli alchimisti) e alla clonazione con l’immortalità assicurata mediante ibernazione
e successiva resurrezione, tutto come da contratto e secondo copione. La regia
comporta tante abilità, un collettivo che fa del Principe moderno un "io" più simile a una società della mente che a
un cogito cartesiano. L’idea che la creatura sia diventata l’opera di se stessa,
che costruisca la propria natura, rende euforici: l’avatar da burattino diventa
finalmente bamboccio e poi davvero un omino. Par di vederlo che gioca con birilli e soldatini, che si prepara con scrupolo alla sua vocazione da mago e
illusionista: un Henry Potter con la sua pietra filosofale. Alla fine lo si
trova prima a dirigere il traffico in un gioco di ruolo e poi a fare il Principe
sul trono e con lo scettro del comando nella mano (quella sinistra quando si
ricorda che è mancino).
Sembra ormai emancipato, sembra davvero lui il regista di baracca
e burattini. Come emulo non è niente male, impara in fretta e con passione,
conosce già tutti i trucchi del mestiere... e poi c’è la campagna acquisti con i
transfughi, la compravendita e i rottamatori, per non parlare di tutto quel
corteo di soccorritori dell’ultima ora che responsabilmente
si fanno in quattro per rendersi utili.
Che l’allievo bagni il naso al suo maestro? La
regia però è di gruppo, un inciucio a geometria variabile e a ricatto
incrociato, anche se poi qualcuno più bravo dà la sua impronta alla telenovela con quello stile
inconfondibile da lupus in fabula.
L’eminenza grigia ha il volto
che magari non ti aspetti, comunque non è Cesare Borgia che per quanto scaltro
è più che altro una controfigura, filiazione del de Borja. Il pupillo elevato a
nomina cardinalizia è più incline alla spada che alla vita claustrale,
dispensato dall'onere ecclesiastico ma contando pur sempre sull'intercessione
del padre pontificale (che potrebbe morire di morte naturale o di congiura di
palazzo, ma è meglio non vendere la pelle dell’orso prima che sia davvero imbalsamato).
Per quanto non sia stato fatto un test
di paternità, la natura per dirla papale papale è comunque acclarata, buon
sangue non mente anche se la parentela è puramente virtuale, inscritta nel baconiano
sapere è potere.
Sull'attualità di Machiavelli ci
sarebbe qualche dubbio. L’arte della politica esiste in rapporto a quell'altro
sapere, quello dell’antropologia evolutiva, del potere occulto e delle
consorterie (Principato collettivo o negoziale che dir si voglia). Oggi gli
strumenti sono i metodi quantitativi, la profilazione
che si serve di elaboratori che ti sfornano previsioni in tempo reale e
consentono di correggere in istantanea la strategia politica, di valutare il
gradimento di uno slogan pesandolo come fosse una bistecca e correggendone il
sapore. Il filetto viene cotto a puntino con il termometro dell'auditel, i
questionari, le interviste, la pubblicità… ma è soprattutto il consumo di carta
igienica e di condom nel fine settimana, l’indicatore obiettivo del grado di
apprezzamento e di fiducia dell’elettore...
Antropologia dell’uomo senza qualità alla Musil di una
società decadente o al contrario società dei consumi con l’appendice di un robottino
programmato con la tv nazional-popolare? Il target si è fatto via via più
sfumato ma anche prevedibile. Il calcolo statistico misura un potenziale
supporter dove la suggestione segue con un feedback praticamente immediato. Con
input opportuni lo spettatore può essere indirizzato, facendogli
perfino credere che sia davvero lui a decidere per chi dare il suo consenso.
Basta davvero poco per spostare le preferenze. L’elettore è condotto per mano,
teneramente, amorevolmente, vezzeggiato e incoraggiato, indirizzato, orientato,
diretto verso la meta agognata. Manipolazione? Per usare una locuzione entrata
nell'uso di una scuola dell’irreggimentazione: educazione al consumo creativo,
educazione al dialogo, alla pace, al realismo politico e a tutte quelle formule
così care a chi impacchetta la cultura sotto vuoto spinto e con la demagogia
usata un po’ come il prezzemolo.
Questo ci riporta al
segretario fiorentino e a quella realtà politica dell’Italia dove ancora non
esisteva la carta fedeltà e il
software per interpretare politicamente il consumo del tacchino e del pollo
ruspante, e quelle belle agiografie di santi, poeti e navigatori e perché no,
anche Capi di Governo. Il moderno reggitore sembra rimembrare quell'umanesimo
con l’istanza del rinnovamento: ritorno ai principi, ma con il sano realismo scevro
da infingimenti e illusioni (la sostanza immutabile dell’umana natura). È quel
Principe unificatore e riordinatore della nazione italiana che fonda la sua
azione sulla considerazione realistica e spassionata dell’elemento
antropometrico: i mezzi in ragione dei
fini da perseguire adeguandoli a una forma libera e ordinata di convivenza,
come criterio di stabilità e ordine sociale. Bella tirata… davvero machiavellicamente
attuale.
Sembrerebbe più moderno Dante, che non indulge né al pessimismo antropologico (il machiavellico volgo vile, malfido e dissennato) né a
quella tensione tra il fiume della fortuna e la libertà: uno slogan mediatico per
tutte le stagioni e con il classico colpo al cerchio e quell'altro alla botte.
L’auto-normatività della politica sembra più che altro appannaggio di un
moderno principato di interessi di parte, camarille, consorterie e società
massoniche dove conta l’accordo tra i gentiluomini, i commensali del banchetto.
Il medioevo è tutto pieno di
rinascite - prima ancora di quel Rinascimento per antonomasia con l’enfasi
dell’homo faber. La Commedia
sembrerebbe più attuale del Libellus vere
aureus di Thomas More o del Principe
alla Cesare Borgia. L’utopia dantesca dipinge un monarca super partes che tanto assomiglia al Presidente che tutti vorremmo,
come ritorno alla legittimità basata sulla giustizia e sulla libertà, che fuori
metafora è quel bene collettivo fondato sui dettami della nostra costituzione
repubblicana, anche se rimane il dubbio se si tratta di quella odierna o di quella
che verrà…
L’utopia del Sommo poeta appare comunque più appetibile di quel Principe machiavellico che fa da parodia
(nell'attualità) di un Rinascimento politicamente
tradito.
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