venerdì 19 dicembre 2014

Dal 17 dicembre 2009 al 17 dicembre 2014 - Da Chiara Poggi ad Alberto Stasi - da una assoluzione per insufficienza di prove a una condanna a 16 anni di carcere


Mi avete dimenticata? Chiara in questi giorni aleggia nell'aria ma nessuno la vede. Eppure è sul divano e ci guarda. Il suo viso timido e dolce non è cambiato. Come anni fa si illumina a sprazzi grazie al fuoco del caminetto che si ravviva ogni volta che uno spiraglio di speranza soffia aria leggera all'interno della sua casa. E come accadeva un tempo, quando il cuore le batteva e la vita le sorrideva, guarda i fiori, li annusa e li accarezza dolcemente. Mi avete dimenticata?, ripete. Lei è la figlia a cui vorremmo parlare sottovoce fingendo che non sia cresciuta, che non sia la donna che ci osserva con gli occhi lucidi fra una pagina e l'altra di quel libro d'amore che le fa compagnia sul divano. Lei è la ragazza non invasiva, educata, riservata e poco appariscente che studia mentre le serate nei locali traboccano di vizi. E' la moglie ideale per i nostri figli. Mi avete dimenticata? Per la terza volta ripete timidamente la stessa frase e il suo viso ora ha un'espressione di stupore. Apro gli occhi e penso che forse si è resa conto che i crimini moderni seppelliscono le vittime sotto quattro parole di circostanza ed esaltano chi resta e chi viene indagato. Può essere. Con questo pensiero chiudo gli occhi e vedo la scena cambiare.

Chiara è in pigiama, guarda la porta e apre. Entra un uomo che non alza la voce, alza una mano. Nel pugno stringe un'arma, forse un ferro da camino, e mentre sullo schermo del televisore una ragazza ride di gusto e un mulino sforna famiglie felici, la colpisce. Chiara cambia espressione. Terrorizzata cerca un varco che non trova. La stanza che da bambina le sembrava enorme, improvvisamente ai suoi occhi si fa piccola. Troppo piccola. Non c'è spazio per fuggire e un altro colpo si abbatte su di lei. Lui non corre, ma neppure ferma la sua mano o getta l'arma. La vede trascinarsi a fatica, tramortita dal dolore immane, ma non ha alcuna pietà. Vuole che Chiara muoia. Probabilmente sta pensando a cosa penserebbero di lui i suoi genitori se venissero a scoprire i suoi piccoli segreti, le sue manie. Per questo picchia con violenza. Ancora. Ancora. Ancora. Il sangue si libra nel vuoto incredulo e quando non esce a fiotti schizza e fende l'aria prima di aggrapparsi alle pareti, quasi non volesse abbandonare quel luogo che l'ha visto felice e restare in eterno nella sua casa. Chiara ormai ha il volto bianco di chi sta perdendo la vita. Stesa a terra si trascina con le ultime forze fino ad arrivare alla porta della tavernetta. Sa che aldilà del varco non troverà la salvezza, ma la volontà di non avere più accanto il suo assassino la spinge ad andare a morire lontano da lui, su quei gradini scivolosi.

L'incubo che nessun genitore vorrebbe mai vivere si sta materializzato e finisce con la domanda: "Chi ha ucciso Chiara Poggi?". 

Per anni abbiamo pensato che il fidanzato non c'entrasse nulla con l'omicidio. Anche la stampa, dopo un periodo di accuse, seguì l'opinione dei giudici e mollò la presa affrancando l'innocenza di Alberto Stasi. Il primo giudice, visti i cambi di rotta del pubblico ministero e le falle nelle indagini e nelle perizie del Ris, non poté far altro che sentenziare la non colpevolezza dell'imputato a causa del complessivo quadro istruttorio da considerarsi contraddittorio e altamente insufficiente a dimostrarne la colpevolezza. Chi prese il suo posto e sentenziò nel primo processo d'appello si sentì bloccato perché i periti, scrisse, dopo aver usato approcci metodologici di acclarato vaglio scientifico gli fornirono esiti sperimentali solo orientativi e approssimativi che non portavano ad alcun utile risultato probatorio.

Insomma, anche per noi, come per i giudici, non è stato difficile nutrire il dubbio e credere che Alberto Stasi fosse innocente. Io l'ho creduto e con questa idea ho convissuto fino a quando non ho letto più attentamente le ragioni della parte civile. E a poco a poco, udienza dopo udienza, novità dopo novità, siamo arrivati al 17 dicembre di quest'anno, alla sentenza del processo d'appello bis che, combinazione o destino non si sa, è stata emessa a 5 anni esatti dalla prima del 17 dicembre 2009. Solo che stavolta, quasi che qualcuno abbia voluto ripristinare l'ordine delle cose, Alberto Stasi non è stato assolto ma condannato a 16 anni di carcere. Per cui, se davvero innocente, sarà costretto a trovare risposte logiche e alternative che lo aiutino in cassazione. 

Naturalmente c'è chi si chiede perché a sette anni dall'omicidio, e soprattutto dopo due assoluzioni, una nuova corte di giustizia lo abbia condannato. La risposta pare impossibile da trovare, ma in effetti non è difficile. E' stato condannato perché la parte civile, davvero da elogiare per come è sempre rimasta nei limiti di un decoro assoluto e mai invasivo, senza cercare il troppo clamore non si è arresa e al giudice ha chiesto e ottenuto di mettere in evidenza, e controllare meglio, ciò che si era trascurato o sottovalutato in precedenza. In pratica, nel processo d'appello bis si sono sviscerate le mancanze investigative e peritali. Queste ultime comprendevano le evidenze che in precedenza si erano accantonate e lasciate ai margini del procedimento, dandoci ad intendere che non avessero alcun valore giuridico perché falsificabili (nel senso che potevano trovare diverse giustificazioni).

Invece, proprio quelle evidenze sono risultate essere indizi gravi e concordanti. La prima, liquidata sempre in modo ambiguo in precedenza, è la nuova perizia che ha stabilito l'impossibilità di non calpestare il sangue sul pavimento, specialmente per chi ha stazionato di fronte alla porta della taverna e si è inoltrato nei primi due gradini sottostanti. La seconda riguarda la nuova perizia sulle suole delle scarpe che Stasi indossava al momento del suo ipotetico ingresso in una casa strapiena di sangue. Sono stati proprio questi due indizi gravi e concordanti a convincere i giudici che l'imputato avesse ucciso la fidanzata. Cerchiamo di capire perché questi due indizi siano da considerare gravi e concordanti e perché siano entrati a pieno titolo in un processo e in una sentenza per omicidio. Per comprendere meglio facciamo un paragone con gli indizi emersi in altri crimini.

Parliamo quindi dell'omicidio di Melania Rea e della condanna di Salvatore Parolisi e prendiamo le telefonate e i messaggi a cui Melania non ha risposto. Ricordate che le mancate risposte, dai carabinieri prima e dal pubblico ministero poi, furono considerate un grave indizio di colpevolezza contro il marito? L'equazione portata dall'accusa fu di facile assimilazione mediatica. Melania dalle 14.53 alle 15.04 non ha risposto alle telefonate e agli sms perché era già morta o in balia del suo carnefice. Probabile, ma non certo. Infatti questo indizio di colpevolezza di per sé non era un punto fermo da cui partire, in quanto necessitava di un quadro processuale molto ampio e ben strutturato in cui inserirsi a posteriori. Non bastava unirlo a un altro indizio per formare una prova e non era un punto fermo perché a seconda dei casi era spiegabile usando chiavi di lettura diverse. Quindi non era grave come ce l'hanno mostrato e in pratica assumeva una gravità processuale solo se si dava per certa la non presenza di Parolisi, in quell'orario specifico, al parco giochi del pianoro di San Marco. Ma non solo, perché per renderlo univoco e concordante serviva di dimostrare la presenza della coppia al chiosco di Ripe. 

Se ci fosse stato anche un solo testimone (creduto) che avesse verbalizzato di aver visto il marito al pianoro, o uno solo che avesse dichiarato di trovarsi al chiosco in quei minuti, l'indizio andava a perdere di efficacia perché le mancate risposte telefoniche potevano trovare altre spiegazioni. Ad esempio, una volontà personale della donna che non voleva essere disturbata o rispondere in quel momento all'amica, oppure l'impossibilità di rispondere perché impegnata in una conversazione con qualcuno, o anche il non poter rispondere perché privata del suo cellulare (un furto finito male) da qualcuno che non era Salvatore Parolisi. Ma questo è solo un indizio a caso preso ad esempio perché, nonostante la condanna voluta soprattutto dalla pubblica opinione, nel processo al caporalmaggiore di indizi gravi che uniti ad altri creino una vera prova non se ne trovano... anzi. 

Ingrandimento della suola scarpa Lacoste di Stasi
Comunque, viste le variabili e le possibili falsificazioni, l'indizio che riguarda le mancate risposte di per sé non è grave. Mentre è grave quello che riguarda le suole delle scarpe che Alberto Stasi disse di indossare al momento in cui entrò in casa Poggi e trovò Chiara riversa sugli scalini che portavano alla taverna. Quelle suole non erano compatibili con le orme lasciate sul pavimento dall'assassino dopo aver calpestato il sangue. Ma allo stesso tempo, avendo Stasi affermato di avervi camminato sopra per diversi metri, quelle suole, una volta salite in auto, non potevano non rilasciare sul tappetino almeno piccole particelle ematiche. Questo perché le Lacoste consegnate da Stasi non hanno una suola perfettamente liscia, l'ingrandimento della foto è chiaro, e il sangue già secco riesce a incunearsi e ad aderire in alcune particolari pareti dei pori. E' scritto nella nuova perizia concessa dalla corte. Perizia che ha quindi dimostrato, con esperimenti ripetuti in base a quanto dichiarato da Stasi sul percorso fatto per uscire dal cortile (tenendo anche conto dei giorni trascorsi prima del sequestro della vettura), che le suole delle Lacoste, pur non essendo in grado di sporcare un pavimento di ceramica liscio, dovevano comunque rilasciare delle piccolissime particelle ematiche sul tappetino della sua vettura.

Forse non è facile da capire, ma il fatto che le suole e il tappetino dell'auto di Alberto Stasi siano risultati privi di qualsiasi traccia ematica, può solo significare che lui prima di andare dai carabinieri non ha camminato né sul pavimento intriso di sangue né sugli scalini in cui ha detto di aver visto il corpo di Chiara. E se non ci ha camminato, poteva sapere che la sua fidanzata era morta solo se lui stesso l'aveva uccisa. In poche parole, mentre si possono trovare alternative valide alle mancate risposte telefoniche di Melania Rea (indizio non grave) non si può spiegare in maniera diversa la mancanza di sangue sotto le suole e sul tappetino (indizio grave). Questo perché: o Stasi, come ha dichiarato, sopra quel pavimento con quelle scarpe ha camminato per casa Poggi mentre cercava Chiara, e in questo caso le particelle ematiche sul tappetino ci dovevano essere, oppure non ci ha camminato. Le perizie dimostrano che non ci ha camminato e l'equazione è: niente particelle sul tappetino = niente entrata di Stasi in casa Poggi con quelle scarpe. Non lo dico io, lo dice la nuova perizia eseguita dagli stessi periti che in precedenza l'imputato lo avevano agevolato periziando con altri metodi in maniera diversa.

Per cui questo processo ci ha detto due cose basilari. 1) che Alberto Stasi per vedere il cadavere di Chiara non poteva non calpestare il sangue secco sul pavimento e sugli scalini. 2) che le suole delle sue Lacoste non avevano tracce ematiche da rilasciarle sul tappetino dell'auto in cui disse di essere salito non appena uscito dalla casa dei Poggi. E questi sono indizi gravi e concordanti che uniti formano la base da cui partire per condannare, perché dimostrano che ha mentito quando ha dichiarato di aver saltato la ringhiera e di essere entrato nella villetta e, dopo aver aperto la porta a soffietto, di aver trovato il cadavere della sua fidanzata. In pratica, con quella menzogna ha fornito una prova che nell'appello bis ha fatto da collante a cui fissare altri indizi minori che presi uno ad uno non si mostravano gravi, ma che riportati su una simile base hanno creato un quadro indiziario in grado di superare il dubbio e la presunzione di innocenza.

Lasciando perdere il computer manomesso per errore dai carabinieri, le foto porno forse viste da Chiara, le biciclette, i pedali, gli acquisti di scarpe compatibili con le impronte trovate ma non sequestrate, il dispenser del sapone, le ditate sul pigiama fotografate ma perse per colpa di chi è intervenuto per primo sulla scena del crimine, i numeri di scarpa compatibili e altri indizi minori, ai giudici, per accertare la colpevolezza, è bastato incollare alla base da cui di certo sono partiti i due graffi notati dai carabinieri il giorno dell'omicidio, ma non fotografati, che Alberto Stasi attribuì alle unghie del suo cane, e il volto di Chiara che disse di aver visto bianco al momento del ritrovamento. Volto che di bianco, a causa del sangue che lo ricopriva, non aveva niente. Volto che all'arrivo dei carabinieri, cinque minuti dopo, era addirittura coperto dai capelli e non visibile. 

E quando lo ha visto bianco, si saranno chiesti i giudici, se non dopo l'aggressione e prima di vedere la ragazza scomparire giù dalle scale?

Ma adesso basta parlare di Stasi. Chiara è accovacciata sul divano col suo libro in mano e la coperta sulle gambe. Ci sta guardando e si sta chiedendo se l'abbiamo dimenticata...






Homepage volandocontrovento




29 commenti:

Mimosa ha detto...

Carico di profonda umanità il tuo articolo, caro Massimo!

io non ho mai creduto che lui non c'entrasse!

Luca Cheli ha detto...

Mi spiace Massimo, ma questa volta non sono d'accordo con te e non lo sono per una questione di metodo, che per certi versi sconfina anche nella questione di principio.
Accettiamo pure che la perizia sulle scarpe provi che Stasi mentì sulle modalità di ritrovamento del cadavere, ovvero che le cose non andarono proprio come le raccontò lui.
Questo significa che tale falsa dichiarazione può essere spiegata solo con la sua responsabilità diretta nell'omicidio?
No.
Stasi può essersi riempito le scarpe di sangue e aver pensato che se si presentava ai Carabinieri così conciato avrebbero immediatamente sospettato di lui. Può non essere un gran ragionamento a posteriori, ma se sei un po' paranoico e/o non hai tutta questa gran fiducia nelle forze dell'ordine, lo puoi benissimo fare. Alllora esce dalla tavernetta, si toglie le scarpe e le infila in uno di quei sacchetti di nylon per la spesa (o simili) che si trovano in ogni casa e poi o torna a casa scalzo (che si può anche fare, specialmente in macchina, ma anche in bici), ovvero magari prende in prestito un paio di scarpe del padre di Chiara per arrivare fino a casa e mettersene delle altre, per poi riportare quelle del padre di Chiara nella di lei casa prima di chiamare i Carabinieri.

Luca Cheli ha detto...

continua

Insomma mente ma non perché è colpevole di omicidio, ma solo magari perché in quel momento pensa più a se stesso che a Chiara.
Non sarà nobile, non sarà bello ma non è reato.
Quanto poi al fatto che non abbia rivelato nemmeno più tardi il pasticcio con le scarpe è abbastanza ovvio: chi gli avrebbe creduto?
Tu gli avresti creduto, Massimo?
Quindi l'indizio non è poi tanto preciso perché non è univoco, non è nemmeno tanto grave perché si possono opporre obiezioni come la mia sopra.
Quanto alla concordanza, concordanza con cosa? Le tracce miste su di un dispenser in una casa che lui frequentava? Provano che lui frequentava quella casa e usava dispenser e lavabo come lo usava Chiara. L'aplotipo Y sotto le unghie di Chiara non è riconducibile a lui e indica genericamente solo che Chiara è stata probabilmente aggredita da un individuo di seeso maschile. Sulla faccenda della bici voglio leggere la motivazione in dettaglio, ma spesso i testimoni hanno problemi ad identificare marca e modello delle automobili, figuriamoci delle bici.

Luca Cheli ha detto...

continua

I graffi, peraltro visti e non fotografati, le cui caratteristiche quindi sono solo affidate alla memoria di due individui e non ad un supporto oggettivo, non possono essere provati essere di Chiara piuttosto che del cane.
Il volto bianco di Chiara?
Qui siamo al peggiore di tutti gli indizi e sinceramente mi sorprende un po' Massimo che tu gli dia tanta importanza.
Ma che rilievo possono avere impressioni soggettive formatesi in condizioni di stress? Per me quella è roba che va benissimo per un romanzo giallo, ma non per un processo serio. Ci vogliono fatti veri e prove materiali non elucubrazioni su ricordi soggettivi. E veniamo ora al punto finale, il più importante, anche se solo implicito nel tuo articolo. Credo che quando leggeremo la motivazione ci troveremo davanti ad un'altra bella valutazione "osmotica" degli indizi, dove si pretende che elementi di nessun valore individualmente ne assumano perché Stasi ha mentito sul ritrovamento del cadavere.

Gilberto ha detto...

Caro Massimo
Anch’io come Luca Cheli non condivido. Sul caso si potrebbe scrivere un intero libro perché emblematico del funzionamento della giustizia nel nostro paese. Mi limito a due osservazioni episodiche:
- L’uso della prova negativa è una forma mascherata di sillogismo induttivo, tieni conto inoltre che riguardo alla camminata nella casa del delitto se è vero che sotto le scarpe di Stasi non c’erano tracce ematiche, è altrettanto vero che non c’erano nemmeno sotto quelle dei due carabinieri che entrarono in casa (le loro scarpe vennero poi analizzate).
- Quanto a quanti gradini abbia sceso Stasi e dove abbia messo i piedi, e al viso della ragazza sappiamo bene che le testimonianze sono spesso distorte da fattori emotivi e suggestivi. Anche in questo caso trarre conclusioni è davvero illusorio. Quando ci sono testimonianze in un incidente stradale tutti la raccontano in modo diverso, le percezioni non sono mai oggettive quando ci sono di mezzo le emozioni, è invece preoccupante quando tutti la raccontano allo stesso modo…). Inoltre non esiste alcun movente credibile, solo illazioni senza fondamento e tirate per i capelli

Luca Cheli ha detto...

continua

E qui arriviamo alla questione che è sia di metodo che di principio.
La traccia mista sul dispenser non diventa legata all'omicidio perché Stasi ha mentito sul ritrovamento del cadavere, né per quello diventa sua la bici vista da qualcuno, né suo diventa un aplotipo Y non attribuibile scientificamente.
Questa famigerata valutazione "osmotica" degli indizi che sembra diventata tanto di moda, è nella pratica solo un modo per trasformare i sospetti in prove quando prove non sono. È un aborto giuridico che non solo fa dei principi del favor rei e del ragionevole dubbio delle mere proposizioni verbali a cui si fa riferimento ipocrita in ogni sentenza per poi disattenderli in pieno, ma è anche un capovolgimento nei fatti dell'onere della prova: la ricostruzione che implica colpevolezza deve essere l'unica possibile per aver valore, non una delle tante possibili, come in questo caso e molti altri. E questo è il motivo di fondo per cui sono favorevole all'abolizione del processo indiziario: con l'uso che si fa degli indizi è meglio non poterli usare affatto. Per concludere, per quello che concerne Stasi posso ammettere un 530 comma 2, ma non di più. Questo ovviamente al netto della lettura della motivazione: vedremo se tale lettura mi illuminerà "osmoticamente". Con immutata stima, Massimo.

PINO ha detto...

MASSIMO sei unico

Scrivere la squallida cronaca di una tragedia il cui prologo è una poesia inneggiante alla vita, rivela la tua non comune carica di sensibilità.
Meriti un sincero ed affettuoso abbraccio, Pino

PINO ha detto...

Una condanna arrivata con ritardo, ma giusta, da tutti i punti di vista, data l'efferatezza con cui l'assassino ha eseguito l'atto immondo.
Di fronte ad evidenze così schiaccianti di colpevolezza, prodotte dall'accusa e dalla P.C., il verdetto non poteva essere diverso.
Finalmente Chiara potrà riposare in pace, ovunque si trovi il suo spirito.
Pino

Anonimo ha detto...

http://www.lastampa.it/2014/12/18/multimedia/italia/omicidio-chiara-poggi-gli-indizi-decisivi-su-alberto-stasi-C7ZrLe21AffjnVMfLo0q8N/pagina.html

Anonimo ha detto...

Spero che le motivazioni spieghino:

1) Perchè si sia ignorato un portacenere sporco di cenere ma privo di mozziconi (come se qualcuno li avesse asportati) dato che ne Chiara e Alberto fumavano e il padre fumatore era via da una settimana (Chiara era ordinata, lavava subito i piatti, non avrebbe lasciato un portacenere sporco per una settimana).

2) Come ha fatto Alberto (se come ricostruito dall'accusa non è affatto rientrato in casa) a sapere esattamente dove fosse il corpo visto che è stato dimostrato che l'assassino lo ha gettato sui primi gradini della scala e poi, piano piano il corpo è scivolato giu per forza di inerzia.

Stefano

Unknown ha detto...

Caro Luca, lo sai che sono sulla tua lunghezza d'onda e che anch'io abolirei i processi indiziari perché buoni solo ad affossare il primo indagato disponibile e ad aiutare chi accusa che con un niente leggibile in maniere opposte rimedia un ergastolo per il suo imputato e tanti onori mediatici. Ma nel caso in questione, per come l'ho seguito, ci troviamo di fronte a un processo indiziario in cui, per la prima volta dopo anni, ci sono due indizi che collimano e si completano concatenandosi in maniera perfetta.

Nei processi a Parolisi, alla Misseri, ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito (per citarne alcuni ma ce ne sono tanti altri), due indizi che uniti concordassero in questa maniera non ve n'erano.

Inoltre, io non ho dato e non do importanza né al dispenser né ad altro che non siano la suola delle scarpe e la camminata, gli unici indizi che uniti fanno prova in questo processo indiziario (e i giudici lo confermeranno nelle motivazioni). E a questi due do credito non perché mi sia alzato una mattina con la voglia di colpevolezza, ma perché questa volta i periti della Corte non hanno fatto come altre volte in altri processi, quando al giudice hanno fornito risposte evasive o in astratto obbligandolo a fare da perito peritorum per sentenziare.

Questa volta i periti hanno parlato in sicurezza, hanno scritto che è sicuro che Stasi avrebbe dovuto calpestare il sangue, che è sicuro che in quel caso le particelle si sarebbero attaccate alla suola e che è sicuro che dalla suola si sarebbero poi trasferite al tappetino.

Del resto non mi importa, e coinvolgo anche Gilberto, perché sapendo che quasi tutte le testimonianze sono quasi sempre distorte e non rispecchiano quanto accaduto al 100% (dopo uno stress qual è trovarsi di fronte al cadavere, specialmente di persone care) non lo considero neppure nell'articolo. Da qui il mio scrivere: "lasciamo perdere il computer... ecc ecc... e del volto bianco: "si saranno chiesti i giudici" (non io).

La tua obiezione, Luca, l'ipotesi del cambio scarpe per paura di venire coinvolto, non solo non è nobile e non è bello, ma è anche una suggestione poco credibile che non inficia nulla ed anzi, addirittura, può ritorcersi contro Alberto Stasi e far pensare a lui in maniera peggiore, perché fa intendere che abbia ragionato sulle conseguenze una volta sporcatosi le scarpe.

E ragionare in un momento simile su cosa sia meglio fare per non venire coinvolti, significa avere sangue freddo, determinazione e, non ultimo, la capacità di mentire e reiterare per anni la menzogna di fronte a tutti. Non solo a carabinieri e procuratori, ma anche ad amici e familiari. Non proprio una bella cosa per uno che mai ha avuto a che fare con la legge e gli omicidi. La persona normale che si trova di fronte a un massacro del genere, che entra in una casa in cui il sangue è ovunque, di solito non si prende tempo per ragionare o, addirittura, per tornare a casa scalzo o con altre scarpe prima di chiamare i carabinieri. E se devo essere sincero, io (ma credo anche tanti altri e forse anche tu e Gilberto) se mi trovassi in una situazione del genere, non sapendo se la donna che amo, aggredita da altri, fosse morta perché mi manca il coraggio di scendere le scale e toccarla, avrei chiamato subito il 118 e avrei lasciato che fossero i medici a far intervenire i carabinieri.

E per finire, e torno da Gilberto, le scarpe dei carabinieri non hanno una suola morbida e neppure è creata con i materiali particolari usati dalla Lacoste, l'hanno molto più dura ed è scanalata in maniera diversa.

Massimo

Gilberto ha detto...

Massimo
Vorrei aggiungere un’ultima notazione non tanto per te quanto per tutti gli affezionati del blog. Tutti i grandi processi mediatici (quelli che hanno suscitato un vasto clamore nell’opinione pubblica) e in genere su base indiziaria (credo sia una orribile formula solo italiana) sono finiti con una condanna. Segno che di fronte a una opinione pubblica (mediatica) sempre alla ricerca di un capro espiatorio non è facile per nessuno sostenere l’impopolarità di andare controcorrente rifiutando i luoghi comuni e le risposte emozionali di pancia. Credo che volare con le proprie ali comporti anche l’onere dell’impopolarità quando sforzandoci di cercare la verità si assumono posizioni che non assecondano i facili conformismi e opportunismi che purtroppo caratterizzano ormai una società dove la capillare influenza mediatica penetra nelle coscienze e omologa i comportamenti e i valori. Per questo il tuo blog è meritevole in quanto rifiuta le risposte a scatola chiusa e persegue una costante verifica dei fatti senza pregiudizi e condizionamenti. Anche il dissenso al suo interno è un indice di apertura e di pluralismo. Restare aperti e non indulgere in nessun modo al pregiudizio credo sia il modo migliore per esprimere le proprie idee senza remore e volandocontrovento in spirito libero e autonomo.
Con stima
Gilberto

TommyS. ha detto...

Massimo

Sai la stima che ho per te ed il tuo modo di ragionare ma soprattutto di scrivere solamente dopo esserti documentato in maniera certosina. Tuttavia quello di cui hai parlato nell'articolo sono solamente gli indizi che la Parte Civile (quella che in pratica ha condotto l'accusa nel processo d'appello bis al posto della Procura) ha portato. Debbo dire onestamente che non ho capito bene la ricostruzione delle fasi del delitto sempre secondo la Parte Civile e la Procura, come anche l'individuazione del movente e di come sempre le stesse parti incastrino tutto ciò nel quadro generale di quanto appurato ed accertato dalle altri corti, e dai relativi periti, nei precedenti giudizi. Bisognerà inoltre vedere quello che scriverà il giudice nelle motivazioni perché non potrà limitarsi all'evidenzazione degli indizi, inclusi i nuovi, a carico di Stasi ma avrà l'obbligo di ricostruire in modo credibile il delitto e descrivere come la giuria abbia maturato, oltre ogni ragionevole dubbio, la propria convinzione di colpevolezza.

Al di là comunque del verdetto e dei nuovi indizi portati in giudizio (e su molti, come amplificati dai media, non mi esprimo perché non avrebbero dovuto in alcun modo essere ammessi), mi è personalmente sembrato come questo processo abbia messo tristemente in luce i difetti intrinseci al diritto processuale soprattutto quando si parla di giudizio abbreviato e dei poteri di approfondimento di indagine affidati al giudice.
Se un imputato richiede di essere giudicato sulla base degli atti di indagine del PM e del difensore (al massimo chiedendo un approfondimento delle prove scientifiche o testimoniali ed accettando anche la richiesta di controprova del PM e della Parte Civile) lo fa sapendo bene a quali rischi va incontro. Ma questo non può comprendere anche una riapertura delle indagini e l'acquisizione di nuove prove così come capitato in questo caso. A mio parere viene violato il suo diritto ad un giusto processo.

Mimosa ha detto...

Concordo con la tua replica, Massimo,
nemmeno io mi sono fatta condizionare dai media (facile solita accusa!), mentre ho valutato altri, pochi ma significativi, elementi,
ma è essenzialmente la camminata che mi ha colpito.
Camminata che ha pesato non poco e fortunatamente la Cassazione e il nuovo Processo d’Appello hanno l’hanno considerata per quello che doveva apparire fin dal principio, nell’insieme degli altri indizi, come ha indicato la suprema Corte.

Io ho sempre ritenuto che erano le suole delle scarpe ad inchiodare il fidanzato fin da subito,
sì, proprio la "prova negativa"
e ho trovato ridicola quella ricostruzione dei passi su un percorso segnato, da scenario finto, nemmeno sulla scena del crimine bensì su un set teatrale, come ebbi a scrivere un anno fa, nell’unico commento da me postato.
Quando mai si fanno quelle falcate da gigante per schivare sangue sul pavimento, specie quando sai che in casa c’è la tua ragazza e devi cercarla supponendo le sia successo qualcosa di molto brutto!?

E anche se volessimo dargli, come Luca, il beneficio della diffidenza verso la proiezione delle indagini che lo avrebbero attenzionato, il ragazzo si è rivelato pur sempre freddo e calcolatore … e persino cinico!
Comportamento equivalente a quello dell'assassino.

Non posso condividere i ragionamenti di Luca anche se presentati secondo la sua competente valutazione.
Sono sconcertate dalla ipotesi di Luca che A.S. “mente ma non perché è colpevole di omicidio, ma solo magari perché in quel momento pensa più a se stesso che a Chiara” … santo cielo, “mors tua, vita mea”?!
Orrore nell'orrore!!!

Considerando che il giovane abbia voluto pararsi le c*** da una incriminazione, cambiando scarpe eccetera, eccetera, non ammettendolo mai in due processi, ha scelto la via senza uscita.
Non sarebbe stato meglio fare la figura di vigliacco piuttosto che di assassino? È forse stato mal consigliato dai suoi legali?

Anonimo ha detto...

Tommy's
Il rito "abbreviato", un aborto della nostra giurisprudenza, fu chiesto dai difensori di Stasi, che intuirono, fin da subito, gli scogli che avrebbero dovuto superare. Le conclusioni di quest'ultimo processo, sono i risultati della loro scelta, per cui tutto si è svolto nel rispetto del c.p.p..
Nè possiamo immaginare che la Corte di Cassazione si sia lasciata influenzare anch'essa, dai mass-media, per ordinare l'ulteriore celebrazione del penultimo processo d'appello, segnalandone le anomalie.
Non cerchiamo, ad ogni costo, e forse anche con un tantino di prevenzione, il puntino mancante a qualche "i" in uno scritto di 1000 pagine.
Quello che ha scritto Prati, riflette qualcosa che va oltre la verità processuale, che ha determinato la condanna dell'imputato
C. Falce

Stefania ha detto...

Mimosa, hai ragione, quel ragazzo non è credibile. E non per via dei pedali delle biciclette o per le tracce sul portasapone. Quelle cose sono risibili se si pensa a quella camminata (filmata e che si è vista in tv tante volte) ... quel ragazzo ha preso in giro l'intelligenza altrui camminando nel set in modo per nulla verosimile. Se solo lui avesse voluto la verità, avrebbe camminato come cammina una persona umana sempre, di corsa se preso dal panico ma non in quel modo costruito e goffo sino a divenire per nulla credibile. E come te non credo che per non sembrare codardo o poco innamorato, lui, come chiunque altro, preferisca divenire per tutti l'omicida della ragazza che amava, a suo dire. C'è una persona morta ... no, non è una mia parente .... Penso non ci sia altro da aggiungere. Nonostante i Poggi, la mamma in particolare, stiano eccessivamente santificando la figlia che probabilmente era una ragazza come tante, intelligente come tante, noiosa e pedante come tante.

Stefania

Stefania ha detto...

Agli occhi del moroso, si ntende ...

Giacomo ha detto...

Se si fosse presentato con le scarpe inzaccherate di sangue, quella sarebbe stata considerata la prova regina che Stasi era l'assassino.
Adesso si considera prova regina che Stasi è l'assassino il fatto che le scarpe siano senza traccia di sangue.
Quale doveva essere la quantità di sangue accettabile? Chi l'avrebbe dovuto stabilire? La solita super perizia?
Come si vede, con questa storia delle scarpe non si va da nessuna parte. Sporche o pulite, sempre assassino sarebbe stato giudicato.

Siamo sicuri che, oltre a Stasi, Chiara non avrebbe aperto la porta a nessun altro?

Tanti saluti a tutti.

Giacomo

Luca Cheli ha detto...

Sarò sincero: ho proiettato su Stasi quelle che sarebbero oggi le mie preoccupazioni se mi trovassi in una situazione del genere. Non lo sarebbero state nel 2007, ma oggi sì. Con ogni probabilità per una persona cara ci passerei sopra, ma la mia seconda telefonata sarebbe per un avvocato. D'altra parte se dovessi imbattermi in un cadavere sconosciuto in un bosco (cosa peraltro estremamente improbabile, visto il mio stile di vita cittadino), beh non se farei nemmeno una telefonata anonima (ogni riferimento è puramente voluto). Tornando a Stasi, può aver davvero ragionato così allora? Chi lo sa, magari poteva aver letto per pura curiosità di qualche caso giudiziario e aver appreso che chi scopre il cadavere è sempre il primo indagato, ed essersi posto la domanda "cosa farei io se mi trovassi in una situazione del genere". Certo ci vuole fredda razionalità, sì, tanta. Ma d'altronde non si è sempre ritenuto Stasi (dalle apparenze) un tipo freddo, anche troppo? E allora siamo coerenti con tali impressioni, una volta tanto, ed ammettiamo che possa esserlo davvero stato fino in fondo, in maniera anche estrema: "Tanto Chiara è morta e io non posso farci niente, tanto meno riportarla in vita, quindi adesso devo pensare a me. Se mi presento così quelli pensano subito che sono stato io, tanto più che sono il fidanzato e che in casa non ci sono altre persone. Quindi devo tutelarmi e non offrirmi su di un piatto d'argento ai loro sospetti con le scarpe piene di sangue". Vi pare disumano? Raccapriciante? Forse, ma uno può essere questo ed altro senza essere un assassino. Il punto fondamentale è separare il giudizio umano e morale su di una persona dalla sua responsabilità in un fatto penale. Quindi, Massimo, è vero che la mia spiegazione fa pensare male di Stasi, ma se si separano con coerenza logica i due livelli, pensarne male non prova la sua colpevolezza. È questo il salto quantico di cui parlavo precedentemente: è vero che aver mentito costituisce elemento indiziario a carico, ma basta in questo caso a provare la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio? A mio parere no. Ricordiamoci sempre che giuridicamente è la colpevolezza che va provata oltre ogni ragionevole dubbio, non l'innocenza, e che, quindi, avere dubbi sull'innocenza non significa poter affermare la colpevolezza.

Luca Cheli ha detto...

Volevo ricollegarmi anche avquanto scritto da Giacomo (Chiara avrebbe aperto ad altri?) e più sopra da Stefano (portacenere e cadavere scivolato).
Io ho letto le motivazioni di primo e secondo grado e la sentenza della Cassazione, ma non le trascrizioni delle udienze e le testimonianze o le perizie, quindi non conosco tutti i dettagli fattuali, di conseguenza prendo nota degli appunti di Stefano per la futura lettura della motivazione. Per quello che riguarda invece il fatto che Chiara possa aver aperto o meno a qualcuno che non fosse Stasi, il "mai la vittima avrebbe aperto la porta ad uno sconosciuto" è un classico cavallo di battaglia della Pubblica Accusa, utile a ridurre il numero dei sospettati ai soliti noti. Anni fa Lucarelli condusse una serie TV su alcuni delitti rimasti irrisolti, e alcuni di essi erano proprio casi in cui anziane signore o giovani ragazze avevano aperto la porta al loro assassino. Ovviamente i soliti noti (parenti, conoscenti, fidanzati) erano subito finiti nel mirino, ma per loro fortuna in quei casi avevano tutti alibi di ferro. Scartati i soliti noti, i casi sono rimasti irrisolti. Questo per dire che succede di essere ammazzati da sconosciuti o magari da persone che si sono viste una volta o due e che può succedere di aprire la porta a persone apparentemente per bene, che magari chiedono aiuto con una qualche scusa, o che, chissà, si qualificano come pubblici ufficiali (quanto saprebbe distinguere un tesserino contraffatto da uno vero uno qualunque di noi che non sia abituato a vederne?), o magari come missionari o altro.

Mimosa ha detto...

Scusa la replica, Luca,
il “mai avrebbe aperto la porta ad uno sconosciuto” nel caso di Chiara è più che “un classico cavallo di battaglia della Pubblica Accusa”, è invece perfettamente in linea con il carattere di Chiara, timorosa di trascorrere la notte da sola, tanto che aveva chiesto ad Alberto di restare a dormire da lei.

Una ragazza che vive in una famiglia che ha dotato la villetta di sistemi di sicurezza con tanto di codice da attivare e disattivare per aprire l’uscio di casa, è certamente consapevole, con tanto di raccomandazioni genitoriali, di ciò che vuol dire “aprire a sconosciuti”.

Di solito i “finti” hanno un progetto di rapina, e la casa non è stata trovata a soqquadro!
È “solo” stata massacrata lei!

Inoltre, secondo i genitori, Chiara non avrebbe di certo aperto la porta in pigiama … e nemmeno io lo avrei fatto! Tua sorella o tua moglie o tua figlia l'avrebbero fatto?

C’è poco altro di concreto da aggiungere.

Mimosa

PINO ha detto...

E' ormai un caso che si può ritenere chiuso.
Nè i difensori di Stasi possono veramente sperare che il ricorso in Cassazione possa sortire una qualsiasi variante, se si tien conto che la stessa Corte impose la ripetizione del precedente processo d'appello.
Andare in cerca di "pinsellacchere", come diceva l'indimenticabile Totò, solo speculatorie, mi pare tempo sprecato.
Se ci fosse stato ancora qualche "appiglio" da afferrare, non sarebbe sfuggito agli avvocati dell'accusato.
Pino

TommyS. ha detto...

Lo scoglio contro il quale il PM e la Parte Civile si erano sempre scontrati nei precedenti gradi di giudizio era la finestra temporale a disposizione di Stasi per commettere il delitto. E cioè, considerando l'orario presunto della morte (prima fissato tra le 10.30 e le 12.00 e poi allargato a tutta la mattinata del 13/08/2007 sebbene il perito della difesa l'avesse anticipato ulteriormente alle 9.00-10.00) e le risultanze delle perizie della corte sul sistema d'antifurto (disattivazione alle 9.12) e sull'attività del computer si Stasi (inizio 9.36 ed uso continuo per tutta la mattinata ad eccezione di una breve finestra tra le 12.20 e le 12.46 quando Stasi dichiarò di essersi preparato pranzo; inoltre le accresciute dimensioni del file della tesi testimoniavano dell'effettivo lavoro svolto). Le diverse impugnazioni delle sentenze avevano sempre cercato di far entrare l'azione omicidiaria in quei pochissimi minuti (24 minuti per entrare in casa, compiere immediatamente il delitto, ripulirsi e ritornare a casa per mettersi immediatamente al PC) adducendo ricostruzioni sempre ritenute non credibili dal giudice. Mi domando adesso cosa scriverà il nuovo giudice per far quadrare tutto.

Ulteriore difficoltà è sempre stata quella dell'individuazione del movente (in primis quello legato alle immagini pedopornografiche, smontato poi dalla Cassazione e dalle perizie, in seguito quello delle immagini e video a contenuto pornografico, a sua volta poco credibile se si considera che era già noto a Chiara e che vi erano anche immagini intime della coppia sicuramente non scattate all'insaputa della vittima). Ed anche qui bisognerà aspettare le motivazioni per vedere cosa scriverà il Giudice e capire se potrà reggere al nuovo vaglio della Cassazione.

A tutto questo si sono sommate le evidenze fornite dalle testimonianze della Bermani e della Travanin (nonchè di chi vide una giovane donna verso le 10.00 di mattina su una bicicletta nera nelle vicinanze della casa con un presunto attrezzo, somigliante ad un attizzatoio da camino; costui ad un certo punto dichiarò di aver riconosciuto nella donna una delle cugine di Chiara, venne citato in giudizio per calunnia da Cappa ma venne assolto rimanendo però appurato che effettivamente vide quella scena ed a quell'ora). Gran parte del nuovo giudizio d'appello è girato intorno alla questione delle biciclette ma non mi sembra se ne sia venuti fuori con delle certezze sul fatto che la bici vista dalla Bermani fosse una di quelle nella disponibilità della famiglia Stasi (e la Bermani ha dichiarato ancora, non in aula, che nessuna di quelle mostratele corrispondeva).

Quanto alla questione della suola della scarpe se ne era già ampiamente dibattuto nei precedenti giudizi e quindi non era elemento nuovo di giudizio (nuova è stata la perizia sulla camminata per quanto riguarda i primi gradini della scala e la zona antistante la porta a soffietto). I periti della corte erano già arrivati a delle conclusioni di possibilità, anche se remota, che le suole non presentassero tracce benché minime di sangue, essendo anche stato provato che alcune zone della suola avevano reagito positivamente alla tetrametilbenzidina (ma non all'esame immunocromatografico).

Personalmente, essendomi letto le precedenti sentenze in modo attento ed avendo anche constatato come la polizia giudiziaria abbia in pratica indagato solamente Stasi essendo convinta della sua colpevolezza sin dai primi momenti, accontentandosi quindi di alibi traballanti (se non menzogneri) rilasciati da altri possibili sospetti, non so se Stasi sia effettivamente colpevole oltre ogni ragionevole dubbio o se sia (per me con maggiore probabilità) innocente. Aspetto quindi di leggere le motivazioni di questa sentenza senza esprimere giudizi nè sulla sentenza nè tantomeno su Stasi.

Giacomo ha detto...

Buongiorno a tutti.

Siamo sicuri che a Stasi non si è applicato il criterio: "Chi se non lui?"

Giacomo

PINO ha detto...

A tutti i collaboratori del blog: Auguri per un sereno NATALE ed un promettente 2015 Pino

Gilberto ha detto...

@Tommi S.
Nel condividere tutto quello che dici voglio aggiungere che una finestra temporale di 24 minuti (9.12–9,36) oltre che troppo stretta è puramente teorica, a meno di considerare che il film dell’omicidio sia una sorta di spettacolo alla ridolini, cioè una pellicola accelerata dove ogni azione si svolge in un continuum, senza pause, senza incertezze, senza tempi morti, senza momenti per riprendere fiato e senza il tempo di riordinare le idee. Una sceneggiatura senza cause scatenanti, senza premesse, senza uno sviluppo credibile con scene che ci offrano almeno una parvenza di realismo per il quale lo spettatore possa riconoscere mediante stacchi (cut to) e dissolvenze (dissolve to) che non si tratta di un film di quelli delle torte in faccia. Francamente lo scenario che vede Alberto Stasi colpevole alla luce di quello che sappiamo oltre che irrealistico è anche impossibile. Riguardo alla mancanza di tracce ematiche sulle scarpe (prova in negativo) come opportunamente osserva Giacomo potrebbe essere capovolta in positivo con un esperimento mentale. Se invece fossero state trovate tracce ematiche sulle scarpe si sarebbe potuto tranquillamente capovolgere il dato come prova in positivo (soprattutto alla luce del fatto che sulle calzature di alcuni dei soccorritori, due carabinieri e credo anche altri, non sono state trovati residui di sangue. La disquisizione avrebbe nel caso riguardato la quantità di sangue che le scarpe avrebbero ancora potuto raccogliere a distanza di ore dal delitto, e in tal caso le prove di laboratorio avrebbero riguardato dei criteri quantitativi: quanto sangue fosse opportuno che le scarpe potessero ancora conservare a distanza di più di un giorno (quando poi sono state di fatto consegnate). Insomma con le prove di laboratorio si può comunque trovare la quadratura del cerchio, un qualche criterio di colpevolezza. La verità è che un omicidio non si svolge nel chiuso di un laboratorio e che le variabili in gioco sono praticamente infinite se valutate con criteri quantitativi. Ricreare le stesse condizioni di temperatura, umidità e pressione nel microclima di quella casa, in quel giorno, per dimostrare fino a che punto le macchie fossero secche (tenuto poi conto delle varie contaminazioni e senza conoscere l’ora esatta dell’omicidio) è praticamente impossibile e differenze anche minime possono comportare conclusioni del tutto difformi. La verità è che nei confronti di Alberto Stasi non c’è uno straccio di prova e che le indagini, come osservi, sono state fatte a senso unico nella convinzione che lui fosse l’assassino. Innamorarsi di una tesi purtroppo può poi portare a errori madornali.

TommyS. ha detto...

Giacomo

Che Stasi sia effettivamente colpevole o meno è sicuro che a lui è stato applicato il criterio "Chi se non lui?". E questo sin dal primo giorno e da parte anche di chi (il maresciallo Marchetto) adesso è stato rinviato a giudizio per falsa testimonianza anche se velatamente con il sospetto di favoreggiamento. Quando invece lo stesso era stato fermato dal suo capitano durante un punto cruciale dell'interrogatorio.
Basta poi andare a cercare notizie sugli strani alibi, non confermati (anzi avallati da chi poi è stato smentito), resi da altre persone nel giro di conoscenze di Chiara che avrebbero potuto benissimo entrare in quella casa accolti dalla vittima.

Anonimo ha detto...

La nostra intervista con il noto “profiler” Carmelo Lavorino

Quale evento scatenante ha potuto trasformare una madre perfetta in assassina? Il movente non c’è: va ricercato tra le pieghe della psiche di Veronica Panarello. Manca pure l’esatta ricostruzione di quella drammatica mattina del 29 novembre. E il prof. Carmelo Lavorino, noto criminologo criminalista profiler, consulente in alcuni dei più noto gialli d’Italia, spiega perché Veronica Panarello non ha ucciso il figlio di 8 anni Loris Andrea. «Abbiamo tre opzioni principali: madre assassina, madre che copre l’assassino; madre innocente. Lasciamo agli inquirenti la prima e la seconda e concentriamoci sulla terza, cioè “madre innocente”».

«Allo stato dei fatti e delle nostre conoscenze - prosegue Lavorino - gli inquirenti hanno individuato, raccolto e organizato una serie di indizi che singolarmente e nel loro insieme sono realmente gravi, precisi e concordanti nello stringere il cerchio attorno a Veronica Panarello, col presupposto fondamentale e certissimo che Loris sia rientrato in casa alle 8:31. A questo punto la donna può salvarsi “se e solo se” riuscirà a dimostrare che tutti gli indizi sinora interpretati come colpevolizzanti nei suoi confronti, possono essere letti in modo alternativo».

- E quindi indicare un altro assassino?
«L’alternativa deve mettere a posto tutti i tasselli del puzzle senza alcuna incoerenza interna ed esterna. Ogni scenario prevede che Loris sia ucciso da una o più persone che chiamiamo “combinazione criminale” o soggetto ignoto. Se Loris è la sagoma vista entrare alle 8:31 l’omicidio si è sviluppato nel garage, in uno degli appartamenti condominiali o a casa della madre. Se la sagoma non è di Loris gli scenari cambiano completamente e la madre ovviamente esce dai sospetti, a prescindere dalle sue incertezze, imprecisioni, contraddizioni e bugie. Premetto che non sono d’accordo sull’ora della morte fra le 9 e le 10,30, la forbice temporale è sicuramente maggiore. «Gli scenari possibili sono esattamente sei. Eccoli:

SCENARIO 1 - Omicidio organizzato dalla “combinazione criminale” per vendetta contro la madre e per odio contro il piccolo. La combinazione si appropria del bambino, lo uccide, segue a distanza i movimenti della madre e decide d’incastrarla sovrapponendosi ai suoi movimenti in macchina. Usa le fascette perché è a conoscenza che a casa di Panarello sono presenti e fa attenzione a non lasciare tracce biologiche, dattiloscopiche e documentali visive. Per questo taglia ed elimina le fascette e si muove con circospezione. In tal caso l’assassino può essere donna o uomo e sicuramente conosceva il bambino e ne aveva la fiducia. I tragitti mattutini di Veronica che si reca al Vecchio Mulino alle 8:34, torna a casa alle 8:48, esce alle 9:23 e torna in zona Vecchio Mulino alle 9:27 prima di recarsi a Donnafugata sono noti all’assassino che, fra l’altro, la controllava da lontano o in altro modo. Per tale motivo ha deciso di andare a scaricare il corpicino del bambino proprio in quella zona. E nemmeno è da escludere che, conoscendo il passato di Veronica, sapesse che la stessa in passato aveva vissuto in tale zona e ha giocato anche a incastrarla. È comunque interessante che il Vecchio mulino fosse noto anche a soggetti della malavita e della tossicodipendenza.

SCENARIO 2 - Omicidio situazionale e strumentale per tacitazione testimoniale. Il bambino torna a casa e trova in garage, nelle scale o a casa l’assassino che, nell’ultimo caso, si è introdotto per furto, per fare un dispetto alla famiglia, o altro motivo. Il bambino riconosce l’intruso il quale in preda alla rabbia lo blocca e lo uccide. L’assassino ha le chiavi del portone o del garage e, se si è introdotto in casa, ha anche le chiavi di casa che ha potuto procurarsi in diversi modi. Sapendo delle telecamere si è mosso con accortezza e con stratagemmi ad hoc.

ll’immondizia.

Dudu' ha detto...

Per me e' sempre un piacere leggervi.
Oggi è la Vigilia di Natale, Auguro a voi tutti del blog un Sereno e Felice Natale ed un prosperoso Anno Nuovo, ricambio con piacere Pino. Spero sia gradito,vi lascio qui un dono.
Un libro in pdf di Mario Spezi e Douglas Preston : La strega di Perugia.
Buone feste. LA STREGA DI PERUGIA - Raffaele Sollecito

www.raffaelesollecito.org/wp-content/uploads/2013/06/Amanda.pdf