Saggio di Gilberto Migliorini
Di fatto però, il termine cultura mantiene qualcosa che sfugge a una determinazione
esauriente, conserva qualcosa di indiscernibile. Non fosse altro che essa
esprime anche l’animo di un popolo, compresi pregiudizi e idiosincrasie, valori
e attitudini, credenze e stili di vita. Insomma, il termine cultura è in certo
senso indeterminato nei suoi confini, anche quando se ne vuole dare una definizione
rigorosa, sia per il fatto che la cultura è in perenne trasformazione, sia
perché non può prescindere da coloro che ne danno la definizione in quanto
motivati da propri particolari interessi (e in questo caso Marx avrebbe
senz’altro ragione).
Legata alla cultura c’è
l’altra domanda: chi è l’uomo di cultura (e l’uomo di scienza)? L’esperto di un
ramo del sapere? Qui purtroppo c’è un equivoco da sfatare. La competenza in un
ramo del sapere non fa un uomo di cultura e nemmeno un uomo di scienza. Ne fa magari un bravo
tecnico, uno specialista, un professionista valido nel suo campo (scientificamente - parlando in senso
stretto), ma non certo un uomo di cultura e nemmeno un uomo di scienza (in senso ampio). Insomma, un professore di
letteratura, un chimico o un fisico, possono essere ottimi insegnanti, eccelsi sperimentatori
e ricercatori del loro orticello, senza essere né uomini di cultura né uomini
di scienza. Quello che dico potrà apparire sorprendente, ma il fatto è che la
cultura non è rappresentata semplicemente da un patrimonio di conoscenze in un
certo ambito. Allora anche un automa, un sistema
esperto programmato ad hoc, sarebbe acculturato. Di fatto ormai esistono sistemi esperti (artificiali) in ogni campo, perfino
psicoanalisti virtuali, software che simulano le risposte di un uomo in carne
e ossa, repertori interattivi pronti ad essere implementati su macchine che
via via potranno un giorno assumere forme antropomorfe, come nella migliore
fantascienza, perfino androidi che in un futuro non troppo lontano potranno
trarre in inganno il cliente di una peripatetica...
La cultura presuppone una
visione d’insieme, lo specialista che si restringe nel suo orticello
dimostrando abilità nel suo campo rimane fondamentalmente un tecnocrate, magari
davvero sorprendente nel suo virtuosismo specialistico, ma senza nessuna
garanzia che sia in grado di mettere in relazione quello che fa con la realtà
globale di cui è parte. E questo vale anche per i fisici che si occupano delle cosiddette
teorie del tutto, che
fondamentalmente rimangono soltanto sguardi da un determinato punto di vista
anche quando si occupano di cosmologia o pretendono di conoscere la realtà ultima
nella sua essenza materiale. L’uomo del cassetto, per quanto
approfonditamente possa conoscere la realtà che va esplorando, sarà sempre e
soltanto un bravo tecnico, anche un ottimo sperimentatore, ma senza saper
mettere in relazione quello che fa con la totalità di cui è parte. Il concetto
di totalità è esso stesso necessariamente problematico e per questo rimanda a
un concetto di cultura e di scienza che non sono quelli convenzionali di un
ambito specialistico che si ritiene rappresentativo del tutto… Il caso della
scienza sperimentale è emblematico.
Molte ricerche prescindono completamente
dalla relazione che intrattengono con il tutto e in questo senso sono fondamentalmente
prive di un senso, di una direzione (salvo quella che altri - gruppi di
interesse e di potere non sempre esplicitati - intendono darle in funzione di
certi obiettivi, talvolta inconfessabili). L’interesse nel perseguire una
ricerca se non fa capo a un input individuale, desiderio di conoscere o
interesse di parte, è spesso un collage
di motivi, di prerogative e di vantaggi non necessariamente in sintonia, spesso anzi in antagonismo, sovente contrapposti ma che comunque trovano consonanza nel
compromesso, negli utili e nei guadagni che vengono realizzati attraverso tutti
i procedimenti coinvolti nel processo economico sotteso alla ricerca
sovvenzionata in vari modi e con ricadute spesso imprevedibili. Una ricerca per
un supposto bene comune può trovare
le più svariate motivazioni a posteriori in quanto la natura stessa di
qualunque ricerca ha in sé infinite valenze alla quali appellarsi per
dimostrare che risponde a dei vantaggi per la collettività e non solo a un
interesse particolare. Che poi questo sia vero, dipende dal bilancio costi e
benefici. E qui le variabili sono praticamente infinite anche per la complessità
delle implicazioni che neppure i più sofisticati strumenti matematici sono in
grado di controllare nella concatenazione di cause ed effetti valutabili nello
spazio e nel tempo.
È pur vero che spesso è l’intuito a guidarci: prendiamo una
strada senza sapere dove potrà condurci, ma con quel sesto senso che in qualche
modo anticipa l’esplorazione razionale sappiamo fiutare la soluzione migliore,
quella economicamente più vantaggiosa.
Tale modo di procedere è sempre una scelta individuale dettata dal proprio naso
e comunque può essere abbandonata in qualsiasi momento quando avvertiamo che
non conduce a niente, che è solo un cul
de sac, una strada a fondo cieco… Nel caso delle moderne società
industriali, con tutti gli apparati e strumenti sempre più complessi che le
caratterizzano, il sistema sembra invece dominare gli individui che divengono
solo rotelle di un ingranaggio. La ricerca non è più individuale, ma
collettiva, gli obiettivi sfuggono alla volontà degli individui singoli e sono
implementati in un sistema di rapporti produttivi ed economici talmente complessi
che ormai più nessuno ha in mano veramente il potere di decidere. Nessuno
possiede la visione d’insieme dei procedimenti e dei protocolli… si direbbe che
il sistema si è ormai automatizzato e sfugge a un vero controllo razionale
anche quando si utilizzano sofisticati strumenti statistici.
Paradossalmente, proprio il sistema che si serve di strumenti matematici più complessi -
e che si affida ai sistemi automatici di calcolo - diventa sempre più fragile.
Il fatto è che il calcolo, inevitabilmente e per non andare fuori controllo con
la crescita esponenziale dei numeri, è costretto a tener conto solo di alcuni
fattori ritenuti rilevanti, trascurandone altri perché considerati ininfluenti
(a torto o a ragione). La scienza matematico-sperimentale in realtà si fonda su
assunti di natura induttiva indimostrati a priori, le relazioni tra i fatti
sono sempre delle semplificazioni che il più delle volte funzionano
egregiamente, ma che in qualsiasi momento possono collassare perché un fatto
ritenuto trascurabile, in realtà potrebbe rivelarsi molto importante. Questo si
dimostra vero quando ad esempio si progetta una nuova macchina (o si utilizza
un modello) dove un dettaglio si è poi rivelato un bug che ha fatto collassare il sistema. Se il difetto coinvolge
solo un sistema locale il danno risulta limitato e l’umanità nel suo complesso
potrà considerare comunque vantaggiosa l’esperienza che ha fatto crescere la
sua conoscenza (anche se qualcuno ne ha pagato il prezzo…), se l’errore
riguarda invece il sistema nel suo complesso (ad esempio il bilancio energetico
del pianeta e i suoi equilibri) le conseguenze possono risultare letali per
tutti e irreparabili (irreversibili).
Spesso si parla di plutocrati
e di un gruppo di persone che detengono il potere sul resto dell’umanità, ma si
tratta di una visione ingenua, per la quale qualcuno
avrebbe in mano le chiavi della macchina organizzazione socio-economico-scientifico-industriale del sistema mondo creato
dagli umani. Certo, qualcuno ne trae i maggiori vantaggi e qualcun’altro ha in
mano importanti leve del potere. Ma non si tratta delle macchine che si
sarebbero rese indipendenti dai loro costruttori (Matrix) e nemmeno di un
sistema perverso di controllo (una occulta regia di manipolatori) su attori
ignari di recitare (The Truman Show), e neanche del Capitale che si erge come
forza alienante della forza lavoro (il plusvalore marxiano), o il gigantesco
Leviatano (il mostro biblico che compare nel libro di Giobbe) dotato di una
corazza impenetrabile (Hobbes) simbolo del diavolo ma anche dell’unità dello Stato del potere e della sovranità che
richiede obbedienza e che è fatto in modo da non aver paura...
Più interessante sarebbe un
riferimento a Darwin, la cultura come mero espediente di sopravvivenza. Dietro
alle creazioni artistiche e alla comprensione dei meccanismi naturali (per
l’appunto quelli della selezione naturale) non ci sarebbero altro che mutazioni
casuali selezionate in base al successo adattivo. Quello che sfugge ai
darwinisti (che oramai rappresentano la quasi totalità degli uomini di
‘scienza’) è il carattere autoreferenziale dell’assunto. O ammettiamo che
l’uomo sfugge a una mera determinazione naturale, oppure dobbiamo considerare a
tutti gli effetti che anche le teorizzazioni della scienza sperimentale,
compreso dunque la teoria darwiniana, non sono altro che procedure di
adattamento e dunque non possono avere la pretesa di cogliere l’essenza della
realtà (i suoi meccanismi sottostanti di funzionamento). Sono soltanto
procedure adattive di sopravvivenza per affermare ad esempio la supremazia di
una specie e il suo successo nei processi di adattamento. Insomma, nella misura
in cui la teoria darwiniana è vera, essa è votata prima o poi a soccombere in
quel processo che va sotto il nome di evoluzione, che di fatto, come in tante altre teorie autoreferenziali (vedi il paradosso
del mentitore), conterrebbe già i germi della sua confutazione.
Il paradosso
del mentitore è forse sul piano logico una delle più feconde immagini relativamente
alle contraddizioni insite in tante teorie. Quando ci si avvede che una forma
di pensiero se applicata a sé stessa porta inevitabilmente alla sua
confutazione, subentra uno stato di smarrimento e di rifiuto.
L’autoreferenzialità può infatti mettere in crisi qualsiasi procedura
automatica, scardinare le certezze, buttare nello scoramento e nell’angoscia
perfino un sistema esperto sotto forma di un bug che improvvisamente riemerge mandando in tilt anche il
software che sembrava testato a dovere. Il debugging
di una porzione di software affetta da errore può essere molto semplice se
applicata ad un programma non troppo complesso, diventa un’operazione quasi
impossibile quando il collaudo del
programma mondo è ancora in fase di utilizzo da parte di un utente (l’homo sapiens) che elabora una qualche teoria del tutto: teoria che si suppone priva di
errori. Programmi specifici (debagger) sono per l’appunto quelli che dovrebbero rilevare l’errore, ma spesso l’utente
si innamora della sua teoria del tutto
e finisce per aggiustarla con stratagemmi convenzionali per far stare in
piedi la sua Weltanschauung sempre
più zoppicante.
All’inizio dell’800 si
riteneva che l’immagine dell’universo e delle sue forze fosse ormai assodata, Laplace
rappresentava il determinismo nella sua forma forte:
"Noi dobbiamo riguardare il presente stato dell'universo come l'effetto del suo stato precedente e come la causa di quello che seguirà. Ammesso per un istante che una mente possa tener conto di tutte le forze che animano la natura, assieme alla rispettiva situazione degli esseri che la compongono, se tale mente fosse sufficientemente vasta da poter sottoporre questi dati ad analisi, essa abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell'universo assieme a quelli degli atomi più leggeri. Per essa niente sarebbe incerto e il futuro, così come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi." Pierre Simon de Laplace (filosofo e matematico francese 1749-1827), "Essai philosophique sur les probabilites"[1]
Il
paradigma deterministico trovava la sua massima giustificazione nelle leggi
matematiche (che è ancora oggi la concezione dominante nel rapporto tra la
matematica e il mondo fisico che essa vuole descrivere e spiegare).
L’infallibilità della matematica già nell’antichità con la scoperta
dell’incommensurabilità (il rapporto tra lato e diagonale in figure semplici
come il quadrato) sembrò entrare in crisi. La dottrina fondamentale del
pitagorismo che tutto è numero fu sul punto di crollare. La leggenda
dice che il suo autore, tale Ippaso da Metaponto, venne punito dagli dei che lo
fecero naufragare in mare per aver propalato quel terribile segreto. La
difficoltà fu superata brillantemente con una concezione finita
dell’illimitato. Ma nell’ottocento la matematica entra nuovamente in crisi con
la scoperta delle geometrie non euclidee e delle nuove algebre. La
corrispondenza tra le leggi della matematica e il mondo fisico non è più
evidente. La coerenza e la non contraddittorietà dei principi matematici va in
pezzi. Lo stesso metodo assiomatico-deduttivo che fonda l’inferenza logica,
nonostante i tentativi nella seconda metà dell’800 di portare avanti un
processo di rigorizzazione della matematica, si scontra con l’evidenza di una
serie di contraddizioni (chiamate eufemisticamente paradossi per non dover
ammettere che quelle minavano la stessa logica della matematica).
In un famoso
articolo il matematico Kurt Gödel nel 1930 dimostra l’impossibilità di
dimostrare la coerenza della matematica rilevando i bug nel metodo assiomatico-deduttivo.
I rilievi dell’illustre matematico hanno comportato una sorta di frantumazione
della matematica in matematiche ciascuna delle quali in certo senso
rivendica uno statuto di verità. Oggidì c’è perfino la presunzione di applicare
la metodologia matematica ad aree culturali tradizionalmente refrattarie al
calcolo numerico, come: la politica, l’etica, l’estetica e la stessa filosofia
(non più filosofia della matematica, ma matematica della filosofia). L’applicazione
della matematica all’economia, alla biologia, alla sociologia, e naturalmente
alla fisica, sembra mietere successi davvero eclatanti, ma non dobbiamo
dimenticare che quello che oggi ci appare vero, potrebbe essere poi
contraddetto dimostrarsi una mera apparenza. L’esplorazione spaziale è
l’eclatante dimostrazione che la matematica funziona e miete successi continui
gettando lo sguardo nelle profondità dell’universo. La fiducia nei teoremi che
ci offrono risultati fisici corretti sembra in definitiva fondarsi
sull’esperienza. Un teorema può funzionare in una molteplicità di casi e
fallire nell’ennesimo, così da creare la necessità di introdurre correzioni (stratagemmi
convenzionalistici).
Insomma, la matematica finisce per essere trattata come una
scienza tra le altre, senza nessuno statuto privilegiato, un’attività con tutte
le debolezze e le umane imprecisioni. L’economia ad esempio è la chiara dimostrazione che i numeri sono soltanto un modo arbitrario di intendere le
scelte che sono fondamentalmente politiche giustificandole attraverso l’oggettività
del calcolo stocastico. Giudicare la “correttezza” della matematica in base
all’applicabilità al mondo fisico, determina però un problema di rilievo. Le
teorie sono invariabilmente creazioni umane che vengono controllate mettendo
alla prova le loro predizioni attraverso osservazioni ed esperimenti. Tutte le
teorie sono state via via soppiantate da altre, o radicalmente o attraverso
aggiustamenti più o meno radicali (di fatto le teorie scientifiche dell’età
contemporanea - da quella elettromagnetica alla relatività e alla teoria dei
quanti - si servono proprio della matematica moderna che spesso non deriva
dalla natura ma che appare addirittura in disaccordo con quella, la struttura matematica della
meccanica quantistica basata su una matematica piuttosto astratta
e singolarmente esoterica.). Quando ad esempio si parla di onde
elettromagnetiche nessuno ha la ben che minima cognizione fisica di cosa siano,
è solo la matematica che ne attesta l’esistenza e che consente agli ingegneri
di costruire invenzioni come la televisione.
Si parla ad esempio di ‘campi’
di cui ignoriamo la natura. La scienza è invariabilmente un sistema finzionale
di cui però apprezziamo le applicazioni pratiche. Essa non solo rimuove
l’animismo (angeli e demoni) ma anche le percezioni concrete, i contenuti
intuitivi e fisici (chi ha mai visto un atomo?). Le immagini matematiche
(equazioni e modelli), pure astrazioni senza riscontri percettivi, divengono
più reali degli oggetti materiali che cadono sotto i cinque sensi. E non c’è
dubbio che i modelli funzionano.
Il problema delle teorie
evolutive che scaturiscono da tale visione (Darwin, il Big Bang, l’universo in
espansione ecc. ecc…) è che presuppongono che l’osservatore sia natura, faccia cioè parte del mondo
naturale come un suo prodotto. Se l’assunto è vero, e certamente potrebbe
esserlo, la conclusione è sconfortante, perché di fatto allora non saremo mai in
grado di comprendere per davvero il funzionamento della macchina mondo. Le
nostre descrizioni (le teorie del tutto) sarebbero soltanto modalità di
funzionamento della macchina mondo (nella fattispecie in un processo mentale
fatto di stati fisici che chiamiamo impropriamente coscienza) e non già la sua
comprensione, saremmo semplici prodotti funzionali anche quando cerchiamo di
darne un’immagine, quando ci sforziamo di renderci comprensibile il tutto nel
quale siamo immersi. La nostra coscienza insomma sarebbe soltanto un insieme di
stati fisici di adattamento, modalità di funzionamento della macchina mondo.
Al contrario, se ammettiamo che
non siamo solo natura ma anche anti-natura,
allora la nostra coscienza (non deterministicamente) sarebbe sempre fuori
dall’indagine della scienza galileiano-newtoniana, fuori dalla scienza
sperimentale. Insomma, tornerebbe in auge la metafisica (una modalità
conoscitiva che va oltre il mondo fisico). La meccanica quantistica e la teoria
della indeterminatezza potrebbero essere il segno di un cambiamento di
paradigma (forse addirittura l’estremo limite del metodo sperimentale),
nonostante che gran parte dei fisici si impegni a disconoscerne il significato
profondo cercando di riportare in auge il vecchio determinismo (Dio non gioca a dadi) espresso nella
tracotanza con la quale la scienza galileiano-newtoniana continua a parlare
delle teorie del tutto in chiave cosmologica o cercando nella materia la particella di Dio e negando di fatto
il ruolo dell’osservatore che modifica la realtà nell’atto di osservarla (e di
osservarsi). Per molti fisici risulta
scioccante l’esistenza di effetti non locali come, ad esempio, quando una misura effettuata in un punto x sembra
causare un cambiamento istantaneo nel punto y (con la messa in discussione
della logica tradizionale).
L’entanglement (l’aggrovigliamento, la non separabilità) quantistico potrebbe rappresentare
non già un oggetto da districare attraverso una qualche interpretazione della
moderna fisica quantistica con tutti i suoi paradossi e le sue aporie
indecidibili, ma il segno inequivocabile che proprio il metodo sperimentale sta
per superare le colonne d’Ercole oltre le quali c’è un mare incognito. Mi piace
rappresentarlo con le parole Kantiane.
Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell'intelletto puro esaminandone con cura ogni parte; ma l'abbiamo anche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un'isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. E la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio dell'apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l'illusione di nuove terre, e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo.
(Immanuel Kant, Critica della ragion pura)
Forse l’impero proprio
dell’apparenza è esattamente quello che la scienza continua a indagare con un
metodo che, per quanto abbia mietuto successi in ogni campo, non risulta ormai
più adeguato e, dunque, si presenta uno scenario alieno: il panorama
incomprensibile del micromondo, nonostante il nuovo paradigma rappresentato
dalla equazione di Schrodinger abbia prodotto le invenzioni più straordinarie
negli ultimi sessant’anni: dal computer alla risonanza magnetica, dalla tomografia
ai transistor al laser al microscopio ad effetto tunnel e tutte le
diavolerie del mondo digitale e le fabbriche lillipuziane delle nanotecnologie.
La computazione quantistica promette
in prospettiva un trattamento dell’informazione dove il più potente sistema
digitale fa la stessa figura della vecchia stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Ma
i filosofi spesso sanno anticipare attraverso un linguaggio suggestivo-allusivo
le aporie degli sviluppi scientifici.
Nuovi apparati sperimentali sembrano più che altro predisposti a cercare di
ribadire il determinismo, più che a metterne in dubbio la ragione e la validità.
Si ricorre perfino alla fantascienza per dimostrare che i paradossi porteranno
ai viaggi nel tempo e a superare la barriera fisica degli anni luce (immaginando universi paralleli per superare le aporie), proprio nel momento in
cui la natura dello spazio e del tempo diviene sempre più misteriosa e
incomprensibile nella sua essenza (le kantiane intuizioni a priori, funzioni
proprie del soggetto). Mai come oggi, e nonostante le mirabolanti invenzioni
che correlano la nostra esistenza di uomini e donne del ventunesimo secolo
(insieme alle armi di distruzione di massa sempre più raffinate e
automatizzate), ci sentiamo smarriti in un universo che comprendiamo sempre
meno (a differenza del cosmo sferico degli antichi che risultava nel suo ordine
immutabile) e che nonostante la sua vastità ci appare forse come una immensa
prigione e sfida la nostra hybris di
comprendere il tutto in una formula matematica. Saggio di Gilberto Migliorini
----------------------------------------------------------------------------
[1] Un’intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse così vasta da sottoporre questi dati all’analisi, abbraccerebbe in un’unica e medesima formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e quelli del più lieve atomo: nulla sarebbe incerto per essa, e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi»
«Une intelligence qui, à un instant donné, connaîtrait toutes les forces dont la nature est animée, la position respective des êtres qui la composent, si d’ailleurs elle était assez vaste pour soumettre ces données à l’analyse, embrasserait dans la même formule les mouvements des plus grands corps de l’univers, et ceux du plus léger atome. Rien ne serait incertain pour elle, et l’avenir comme le passé seraient présents à ses yeux.»
«Une intelligence qui, à un instant donné, connaîtrait toutes les forces dont la nature est animée, la position respective des êtres qui la composent, si d’ailleurs elle était assez vaste pour soumettre ces données à l’analyse, embrasserait dans la même formule les mouvements des plus grands corps de l’univers, et ceux du plus léger atome. Rien ne serait incertain pour elle, et l’avenir comme le passé seraient présents à ses yeux.»
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4 commenti:
Carissimo Gilberto,
anche se dovessero mancare miei futuri interventi, la qualità di questo blog non perderebbe nulla, grazie ai lavori tuoi e di Massimo Prati, e alcuni altri. Non lo dico affatto in senso ironico.
Certamente il tema che affronti qui è imponente e di grande problematicità, ma delinea alla perfezione la situazione di sostanziale crisi delle scienze moderne e della Scienza in generale. Manlio
Grazie Manlio
Però i tuoi futuri interventi non dovranno mancare per non perdere un elemento essenziale di un discorso a più voci che è il pluralismo, il contraddittorio e l'approfondimento.
Ciao
Gilberto
Carissimo Gilberto compagno di mille avventure,mi dici che dovrei dire quando davanti a me ho due "mostri" della cultura,di cui uno sei tu e l'altro è il Prof Tummolo? io direi il meno possibile,perché entrando in quella macchina infernale sono sicuro che finirei per essere stritolato.Quasi mi dimetto da umile scudiero,sono costretto ad imparare tutto quello che proponi,storia,scienza,tecnologia,matematica,filosofia,manca solamente un analisi del corpo umano e poi sono a posto.E no caro amico,se vuoi che entri in quella macchina con tutti quegli ingranaggi voglio essere pagato,anche perché guidare quella macchina senza chiavi è molto difficile,e poi cosa dico quando mi ritrovo con i personaggi che nomini? sarei nell'imbarazzo più totale,uomini che hanno fatto la storia,uomini che ci hanno insegnato tanto,e quello che abbiamo ora lo dobbiamo a loro,a questi personaggi di grande ingegno,di grande cultura,e di cui l'umanità deve esser grata. Questo saggio direi che rispecchia in tutto la situazione attuale,quei calcoli matematici di cui un minimo errore può costare molto caro,nulla può essere lasciato al caso,oramai si richiede la perfezione su tutto,e quella macchina sotto forma di umanità devi saperla guidare,in fin dei conti devi solo inserire la chiave e partire,stando attento alle curve,a volte "ingannano".Ciao caro furbacchione dalla grande cultura,il tuo umile scudiero ti augura una serena buona notte.
Eh Vito
La fai facile. Inserire la chiave e partire... stando attento alle curve. Non ho capito a quali curve stai pensando. Matematicamente dovrebbe trattarsi di ellisse. Comunque anatomicamente pericolose. Ciao furbacchione.
Gilberto
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