mercoledì 5 febbraio 2014

L’anima di Ponzio Pilato aleggia sul lungotevere...

Quando si tratta di Sabrina Misseri, l'acqua in Cassazione non manca mai...

Saggio di Manlio Tummolo

(Bertiolo, UD - 13 ottobre 2011)


A partire da Esiodo (VIII sec. a. C.), la letteratura di tutti i popoli non ha mai visto di buon occhio i giuristi e i giudici in modo particolare. Esiodo, in “Le Opere e i Giorni” li qualificò “divoratori di doni” [*]. Vero che, allora, i giudici erano puramente dei mediatori privati scelti dalle parti, ma la situazione non è poi granché modificata neppure dopo. Le valutazioni di Platone ne “L’Apologia di Socrate” non furono granché diverse. Molti forse trascurano che i Vangeli sono un’ottima descrizione, ancorché sintetica, di un processo penale di tipo accusatorio, in uso all’inizio dell’Impero Romano. Più tardi, cominciò a trasformarsi in rito inquisitorio, da Nerone in poi, soprattutto relativamente a processi di natura politica o religiosa. Riporto come Luca, dopo aver descritto il primo dibattimento al Sinedrio, per l’accusa di bestemmia (dichiararsi “figlio di Dio”, per farisei e sadducei era appunto un tale peccato-reato), passa al procedimento davanti a Ponzio Pilato, al quale delle bestemmie contro la fede monoteistica ebraica nulla interessava, ma rilevava, viceversa, l’accusa, rivolta a Gesù detto il Cristo, di attentare al potere romano, e pure la problematica delle competenze territoriali e politiche nella Palestina di allora.

Cfr. Cap. 23, vv. 1 – 25:

“Gesù davanti a Pilato. - Tutta l’Assemblea si alzò, lo condussero a Pilato e cominciarono ad accusarlo: ‘Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re’. Pilato lo interrogò: ‘Sei tu il re dei Giudei?’. Ed egli rispose: ‘Tu lo dici’. Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: ‘Non trovo nessun colpa in quest’uomo’. Ma essi insistevano: ‘Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui’.

Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo… Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla… i sommi sacerdoti e gli scribi lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato…

Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: ‘Mi avete portato quest’uomo come sobillatore… l’ho esaminato… ma non ho trovato nessuna colpa in lui di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato… perciò dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò'. Ma essi si misero a gridare: ‘A morte costui! Dacci libero Barabba…’

Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: ‘Crocifiggilo, crocifiggilo!’. Ed egli, per la terza volta, disse loro: ‘Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte’. Essi però insistevano a gran voce che venisse crocifisso. Pilato allora decise [per la minaccia di rivolgersi a Tiberio stesso] che la loro richiesta fosse eseguita.”.

Matteo (cap. 27, vv. 11 – 35) cita anche il rito del lavaggio delle mani, che simboleggia l’irresponsabilità di Pilato per il sangue di Gesù, che, secondo Matteo ed il Cristianesimo in generale, doveva ricadere solo sui presenti ed i loro figli.

Ora vediamo come lo spirito di Ponzio Pilato - e pure quello di Erode - aleggi anche ai giorni nostri in quella zona di Roma che sta tra Piazza S. Pietro e il Lungotevere, in un palazzo di Piazza Cavour, in stile neobarocco, esempio architettonico della Roma italiana e del Regno d’Italia. Lo avevo già segnalato con la prima deliberazione sui fatti di Avetrana, nella quale, pur notando i vari errori procedurali commessi, le decisioni del Tribunale di Taranto venivano annullate, ma con rinvio. Un tentativo, evidentemente pilatesco, di non demolire del tutto l’operato della locale SS. Inquisizione tarantina, nella quale comprendo integralmente, non solo la Procura, ovvero la parte inquirente, ma anche quella sezione dei magistrati giudicanti che confermarono in gran parte le irregolarità procedurali compiute. Se può essere comprensibile rinviare la prima volta come invito a correggere i propri errori, non lo è più quando il fenomeno si reitera, pur di fronte a motivazioni ancora più gravi e, per giunta, del tutto ignorando formali denunce della Camera Penale Romana e dell’intera Unione delle Camere Penali, ovvero la parte forense dell’amministrazione giudiziaria, che sottolineavano con la massima precisione gli abusi procedurali commessi, in primis la violazione sistematica dei diritti costituzionali e giuridici della difesa, sottoponendo ad indagine ben quattro avvocati, cosa finora inaudita anche nelle peggiori dittature.

Assurdo appare il pretesto che con la rimessione si offendesse la popolazione di Taranto, la quale non poteva certo avere lo stesso potere dei farisei di Gerusalemme, se non perché la locale Magistratura poteva farsene influenzare in modo pesante. Vacuo era anche il pretesto che non vi era mai stata rimessione dal 1989, quando viceversa è noto che il processo Restivo per l’assassinio di Elisa Claps, avvenuto a Potenza ormai oltre 10 anni fa, si svolgerà non a Potenza, sede territorialmente competente, ma a Salerno, competente viceversa per indagini penali sulla Magistratura di Potenza. Dunque, alla chetichella, senza chiasso e senza ridicole levate di scudi, come ora, il processo era stato da tempo “rimesso” da Potenza a Salerno. E dunque?

Vediamo allora le norme: l’art. 45 del Codice di Procedura Penale prevede la rimessione (ovvero trasferimento) da una sede all’altra per la presenza di gravi situazioni locali che turbino il processo, la libera determinazione delle persone che vi partecipano (ovvero, le parti in causa, i testimoni, gli avvocati e gli stessi magistrati), la sicurezza e l’incolumità pubblica, ma quel che contava veramente, date le irregolarità largamente compiute a spese di tre indagati in maniera specifica (l’intera famiglia Misseri, per intenderci) e gli avvocati Russo e Velletri, a loro volta costretti non solo ad abbandonare la difesa, ma anche sottoposti a procedimenti disciplinari di assai discutibile regolarità, i motivi di legittimo sospetto, perché non si può non sospettare su comportamenti che arrivano alla violazione indecente ed inammissibile di diritti fondamentali, costituzionalmente ed internazionalmente previsti, per la professione forense e per l’indagato o imputato stesso. Quale “ciliegina sulla torta” si è giunti, cosa che poi ha suscitato la legittima reazione dell’Ordine forense, a denunciare un avvocato cassazionista di grande esperienza, come il dr. prof. De Cristofaro, per un preteso infedele patrocinio. Ora, soltanto il patrocinato può e deve stabilire se il proprio difensore non lo difende secondo una strategia comunemente prevista, essendo la difesa dell’avvocato, non sostanziale, bensì tecnica, obbligatoria in quanto imposta dalla legge, perfino ai giuristi professionisti, docenti di Diritto, avvocati, notai o magistrati che siano.

E’ dunque al solo patrocinato che spetta la decisione di considerare il proprio difensore come un eventuale infedele patrocinatore, ovvero come persona che non tiene conto della sua volontà, ma si regola assolutamente d’arbitrio e contro gli interessi legittimi dell’indagato/imputato. Infatti, il patrocinato in tal caso può e deve presentare un atto di ricusazione del difensore e poi, per logica, una correlativa querela di infedele patrocinio. E’ assurdo ed illegittimo che possa essere un qualunque inquirente, o meglio un inquisitore, a decidere se un certo avvocato compia o non compia un patrocinio fedele.

Va altresì rilevato che allo stesso art. 45, nell’ultima riga, si fa riferimento come sede di trasferimento all’art. 11 del CPP, dove tuttavia si parla del magistrato territorialmente competente per le indagini su reati commessi da altri magistrati, ma questo riferimento, fatto dal sostituto procuratore generale della Suprema Corte, indicava dunque che vi erano indagini in corso sugli stessi magistrati di Taranto, come si deduce dalla denuncia della Camera Penale Romana, che tutti sembrano far finta di ignorare e che renderebbe del tutto incompatibile il rapporto tra magistrati denunciati ed avvocati denuncianti.

Con tali premesse, era scontato richiedere la rimessione, non tanto per i comportamenti mediatici o non mediatici, comuni a larga parte d’Italia, grazie ad Organi di informazione che ripetono pedissequamente quanto viene inviato dalle veline degli organi giudiziari o governativi senza un benché minimo esame critico, quanto, se non esclusivamente, per il legittimo sospetto che la locale Magistratura non agisse ai fini di una corretta amministrazione giuridiziaria (lasciamo stare una Giustizia che in sede umana non sussiste), quanto a fini reconditi, tutti da spiegare e motivare nella sede opportuna, a cominciare dal Consiglio Superiore della Magistratura in sede disciplinare e, in sede penale, presso la competente Procura. Ora, invece, da quel che si capisce, si è puntato soprattutto sul fatto mediatico e la reazione delle folle sanguinarie, che si potevano tranquillamente ignorare se la locale Magistratura non se ne fosse assolutamente curata con tangibili prove.

Così si è dato il destro agli eredi di Ponzio Pilato di intingersi per la terza o quarta volta le mani nella bacinella d’acqua, ormai sporca, per rinviare ancora una volta a Taranto il ruolo di sede giudicante. Per le folle sanguinarie e per la Procura tarantina potrebbe essere una vittoria di Pirro (siamo a Taranto, e Pirro fu alleato di Taranto contro Roma), ma anche qualcosa di peggio un boomerang. Infatti, qualunque cosa dovesse prossimamente avvenire, urli, tentate violenze, minacce, condizionamenti o altro, nei confronti delle parti e dei testimoni, scatterebbe inesorabilmente l’art. 49 CPP che consente la ripresentazione della richiesta di rimessione. I magistrati di Taranto quindi stiano in guardia: si troveranno sul filo del rasoio. Ogni disturbo, ogni perturbamento del processo, ogni violazione procedurale, ogni claque in aula, potrebbero costare loro l’aggravamento delle motivazioni della denuncia penale che pende su di loro come una spada di Damocle. Da domani, dunque, comincia il concerto: sono convinto che gli avvocati difensori scateneranno quella battaglia di eccezioni, che costituisce sempre l’incipit dei procedimenti giudiziari. Ad essi va il mio saluto, il mio incoraggiamento, il mio “In bocca al lupo”, e che la Dea DIKE vegli con mano ferrea sugli eventi. Si ricordino i fanatici ammiratori della SS. Inquisizione che, se tenteranno di danzare le loro ridde sanguinarie davanti alla gogna o al patibolo, in attesa di quegli spettacoli che i loro antenati apprezzavano, quali la decapitazione, lo squartamento, la tortura, il rogo, daranno ai difensori la possibilità di far applicare rigorosamente l’art. 49 del CPP, e questa volta con conseguenze devastanti per i loro beniamini.

Nota del blogger: a processo terminato possiamo dire che la Dea Dike ha vegliato e gli eventi non sono trascesi oltre un certo limite. Abbiamo visto come gli avvocati difensori abbiano capito che in primo grado non avevano alcuna possibilità di vittoria e preferito arare il terreno per seminare e provare a raccogliere frutti al processo d'appello. Ciò non toglie che ci sia sempre fermento quando ad operare è chi lavora al tribunale di Taranto. Le motivazioni non ancora consegnate a quasi dieci mesi dal verdetto, ultimo abuso perpetrato ai danni degli imputati che si trovano in carcere da anni e senza motivazioni non possono ricorrere in appello, hanno obbligato la Difesa di Sabrina Misseri a richiederne la scarcerazione che come da copione è stata respinta dal giudice competente. Ma l'iter va avanti e dopo il giudizio del riesame, sicuramente ancora sfavorevole, tutto riapproderà in cassazione. Allora vedremo se l'anima di Ponzio Pilato aleggia ancora sul lungotevere.

NOTE .

[*] ESIODO (poeta e cantore di Beozia dell’VIII sec. a. C)

CONTRO I GIUDICI

Brani tratti da “Le opere e i giorni”
Editrice BUR (Milano, 2004) - trad. it con testo greco a fronte, di Ludovico Magugliani, introduzione di Werner Jaeger, premessa e note a cura di Salvatore Rizzo .

“ O Perse, pòniti bene in mente questo, e la Contesa che gioisce del male non ti distolga l’animo dal lavoro per farti stare a spiare i tribunali e a prestare orecchio alle liti. Poco interesse ha, per le liti o per i discorsi da tribunale, chi non ha in casa mezzi più che sufficienti di vita, la spiga di Demetra e i frutti di stagione che la terra produce. Quando tu ne abbia in abbondanza, allora favorisci pure liti e discordie contro i beni degli altri; ma non potrai agire così una seconda volta; definiamo qui allora la lite secondo quelle rette sentenze che, provenendo da Zeus, sono le migliori. Già infatti dividemmo l’eredità e tu, derubandomi, molte altre cose arraffasti, molto lusingando i giudici, divoratori di doni, i quali consentono di emettere tali sentenze…” 
(pagg. 91 e 93 - qui, il neretto è mio, M. Tummolo) .


“Giustizia e ingiustizia (vv 213 – 247)
O Perse, ascolta la giustizia e non alimentare la Prepotenza; la prepotenza è dannosa all’uomo debole; nemmeno il grande facilmente la può sopportare, anzi egli stesso rimane oppresso e va incontro a sventure. Migliore è l’altra strada, verso la giustizia: la giustizia al termine del suo corso vince la prepotenza, e solo soffrendo, lo stolto impara. Immediatamente insieme con le tortuose sentenze corre Orcos e si leva l’alta protesta della giustizia, trascinata dove uomini divoratori di doni la conducono e giudicano le cause con ambigue sentenze. Essa li segue piangendo per la città e per le dimore dei popoli, vestita di bitrume e portando male agli uomini che la scacciano e male la esercitarono.
Ai giudici, poi, che impartiscono la vera giustizia ai cittadini e ai forestieri, che non trasgrediscono il giusto, a quelli la città fiorisce, e i popoli sono in essa fiorenti: la pace, nutrice di giovani, è sulla terra, né Zeus dall’ampia pupilla predispone mai per loro la guerra luttuosa. Agli uomini giusti non s’accompagnano neppure la fame e la sventura, bensì essi godono nelle feste dei frutti amorosamente curati. A loro la terra fornisce mezzi copiosi… le donne generano figli simili ai padri…
A quelli, invece, che hanno in cuore malvagia prepotenza e opere ingiuste, a costoro il Cronìde Zeus dall’ampia pupilla assegna la pena… il Cronìde manda dal cielo grandi malanni… Le donne non partoriscono più, le casate vanno in rovina…

Ammonimento ai giudici (vv. 248 – 273)
O giudici, pensate anche voi a questo fìo: vicino e in mezzo agli uomini, gli Immortali osservano quanti con inique sentenze si tormentano l’un l’altro non curando il timore degli Dèi. Trentamila, infatti, sulla terra nutrice di molti, sono gli Immortali inviati da Zeus, custodi agli umani mortali, i quali ne osservano appunto le cause e le opere nefande: essi, vestiti d’aere, si aggirano su tutta la terra. V’è anche la gloriosa vergine Dike, generata da Zeus e venerata dagli Dèi che abitano l’Olimpo; quando qualcuno la offende tortuosamente insultandola, essa subito s’asside supplice presso il Padre, il Cronìde Zeus, e denuncia l’animo degli uomini ingiusti affinché il popolo paghi la follìa dei giudici che meditano inganni e con tortuose parole svìano altrove i loro giudizi. Tenendo presente ciò, operate rettamente, o giudici, divoratori di doni, e dimenticatevi per sempre delle vostre inique sentenze. A se stesso prepara mali l’uomo che ad altri prepara mali; il cattivo consiglio è pernicioso allo stesso consigliere…

La legge degli uomini (vv. 274 – 285)
… Agli uomini, infatti, il Cronìde dettò questa legge: è proprio dei pesci, delle fiere, dei volanti uccelli divorarsi l’un l’altro, perché non esiste giustizia fra loro, ma agli uomini diede la giustizia, che è cosa di gran lunga migliore. Se uno, conoscendo la verità la proclama, a lui Zeus dall’ampia pupilla darà la felicità; chi invece coscientemente giurerà il falso e renderà falsa testimonianza, ingannando la giustizia commetterà irreparabile crimine e lascia dopo di sé la progenie sempre più oscura, mentre fiorirà la discendenza dell’uomo che ha giurato il vero” (pagg. 109 – 115 ; anche qui il neretto è mio, M. Tummolo).

NOTA: Perse, a cui dedica lo scritto, è un fratello imbroglione che, corrompendo i giudici (allora, mediatori privati, non ufficiali pubblici, ma nella sostanza la condizione non cambia), gli aveva portato via gran parte dell’eredità spettantegli.

Cfr. pure il mio saggio “Giuristi, comici e tragici, nella letteratura europea”,pubblicato in “Capriccio di Strauss” n. 24, dicembre 2004, pagg. 10 – 21, reperibile via INTERNET in   www.capricciodistrauss.eu

4 commenti:

magica ha detto...

grazie signor tummolo .
è molto interessante e significativo .una lettura di vera critica: intelligente .
che non si raggiunge se non attraverso studi approfonditi . e considerazioni oneste . smackk

Vanna ha detto...

Manlio, questa tua nuova opera è
straordinaria per la lucidità espressiva con la quale esprimi le "stranezze" (?) del caso in questione.
Con le note a margine poi, metti a nudo l'evidente contrasto tra il mondo antico e la sua etica e quello attuale che sembra averla smarrita, dimenticata o mai posseduta e forse, per questo, non sa, non vuole motivare.
Complimenti!
E tu volevi sparire?

Manlio Tummolo ha detto...

Cara Vanna,

l'articolo è vecchio. Devo solo alla grande cortesia di Massimo, se è di nuovo in prima linea. Non intendo "sparire" (almeno con lui e il suo blog): intendo rompere da INTERNET.

In tutti i casi grazie a te e a Magica

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Prof Tummolo ci propone dei saggi che a dire il vero non si distaccano poi molto di quello che accade ai giorni nostri tra tribunali e varie corti giudicanti.L'anima di Ponzio Pilato chissà per quanto tempo ancora aleggerà sul lungo Tevere.Certi ammonimenti sono stati inviati a Taranto,però da quello che si è visto non ha prodotto nessun effetto benefico a favore degli imputati,anzi hanno rincarato la dose,e fortuna vuole che non si è nei tempi antichi,altrimenti diversi soggetti avrebbero fatto una brutta fine,la massa sanguinaria gode quando vede scorrere il sangue a fiumi,e che di certo non è sangue di Barabba,ma di poveri innocenti. Quell'acqua ormai sporca credo che a qualcuno non è bastato solo lavarsi le mani ma,la pure bevuta per dissetarsi,e infatti si ritrova con la coscienza sporca,e chissà se l'anima di Zeus aleggia sul capo di certi soggetti,chi ha dichiarato il falso avrà la giusta punizione.Un cordiale saluto caro Prof.