L'opinione pubblica intenta a seguire i casi di Sara Scazzi e Yara Gambirasio credo non sentisse proprio il bisogno di rivedere il viso di chi non ha difeso Annamaria Franzoni pur essendone l'avvocato. Il mediatico Carlo Taormina sembrava perso ed avesse cambiato processi, passando dai tribunali agli studi calcistici, ed invece no.
Probabilmente si è accorto di avere l'audience sotto il livello dell'asfalto stradale e per questo ha ricominciato ad esercitare la sua professione, il bravo venditore di fumo "Seindovinotelodicodopo".
E' di questi giorni l'intervista rilasciata al settimanale "Oggi" in cui da un saggio del suo essere interiore comico. Ed infatti gli altri avvocati, che mal lo sopportano nella loro categoria, vedendolo con la pinza in mano si sono sbellicati dalle risate. Ma questa nuova arma ci fa capire il motivo per cui invece di difendere la madre di Samuele urlava e si rendeva spocchioso ai telespettatori ed alla giuria, sia popolare che giudiziaria, che doveva decidere se condannare o assolvere la sua assistita. Ora si capiscono tante cose! La pinza da elettricista, indicatagli da una veggente (ed in Italia ci siamo resi conto che sono tante e che quando parlano tutti credono alle loro parole, basta guardare il caso di Yara), stava ad indicare che la moglie di Stefano Lorenzi, o Stefano Lorenzi stesso dato che lui era un elettricista, aveva ucciso suo figlio.
E questo avvocato dal cilindro magico, che da comunista sessantottino convinto si è fatto eleggere trent'anni dopo dagli elettori del partito dei mangiacomunisti di Berlusconi, e già si capiva che era un bravo voltagabbana, ci viene a raccontare le favole e vuole che gli crediamo. Se voleva gettare altro fango su una storia che ha segnato una famiglia annientandola col dolore e la sofferenza c'è riuscito. Non perché ha parlato della pinza ma perché ha parlato del caso Cogne insinuando nella gente altri dubbi e nuovi pregiudizi. Quei pregiudizi che aveva anche lui, adesso finalmente s'è capito, quando fingeva di difendere ma non sapeva come fare e per questo sbraitava come solo chi è dalla parte del torto sbraita.
Dove sono finiti i colpevoli che per trent'otto volte ha minacciato di rendere pubblici? Minacciato perché mai si sarebbe sognato di fare nomi. Dov'è finito il sabot che i suoi periti indicavano quale vera arma del delitto? L'ha consumato a forza di passeggiare per Cogne? Se avesse avuto un briciolo di coscienza si sarebbe già ritirato in un eremo a meditare. Ed invece no, il 30 Gennaio sarà l'anniversario della morte del piccolo Samuele Lorenzi è lui torna prepotente ad oscurarne e danneggiarne il ricordo. Ciò che mi infastidisce è che ci siano ancora giornalisti che lo ascoltano e trascrivono quanto dice. Ciò che mi infastidisce e che nessuno lo ha mai pubblicamente attaccato per quanto non ha fatto durante il processo alla Franzoni. Non vengano a dirmi che non se ne sono accorti.
Lui ha creato il mostro, lui lo ha gettato a mare quando ha lasciato la difesa a poche settimane dall'epilogo, lui ha scelto le strade piu tortuose ed impraticabili in cui far salire il giudice d'Appello Pettenati, che di fatto non vi è salito. Lui ha mandato i suoi periti, fra cui lo svizzero che ha lasciato l'impronta sulla porta, nella casa di Cogne. Lui ha rigirato la frittata davanti al procuratore di Torino voltando le spalle ed addossando le colpe ad altri come solo i migliori cantanti fanno. E quando dico cantanti i poliziotti sanno di cosa parlo. E proprio per questo motivo è uscito dall'inchiesta. Ricordo ancora le parole del dottor Caselli: "Non lo processiamo non perché nulla abbia fatto ma perché non siamo certi di una sua condanna". Cosa dire, le procure se non son certe di condannare non processano, basta guardare quella che indaga Sabrina Misseri per capirlo.
In questa italietta fatta di gossip e faccie di pongo nulla deve stupire. Neppure che arrivi un ex avvocato parlamentare a farsi un poco di pubblicità a scapito di un bimbo, riposi in pace piccola anima, a cui non ha saputo difendere la madre perché sapeva, la veggente glielo aveva detto, che la pinza era l'arma del delitto e che il padre faceva l'elettricista.
Vorrei proporre alla magistratura di interpretare al meglio le parole dell'avvocato Taormina e col nuovo anno giudiziario spostare i tribunali negli anfratti boschivi perché solo così potremo avere una giustizia più ariosa ed aperta. Inoltre è chiaro che il giudicare gli indagati al buio, sotto gli occhi attenti di un gufo e con l'ausilio di una bella sfera di cristallo, porterebbe ad accertare più facilmente le verità più oscure.
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