giovedì 26 novembre 2015

Paris carnage. En attendant Godot

Di Gilberto Migliorini



C’è nell’aria qualcosa di stranamente rituale, un copione già visto e tuttavia in grado di riprodurre la sua sceneggiatura con enfasi rinnovata e con una sorta di nouvelle vague. Celine Dion ci ha commosso fino alle lacrime con l’Hymne a l’amour della Piaf. Ma Le stragi di Parigi suscitano anche reazioni prevedibilmente scontate, abituali, quasi protocollari, come se il copione fosse contemplato in tutte le sue sfaccettature: l’orrore, lo sdegno, la collera, l’invocazione di una punizione terribile, i provvedimenti legislativi, il giro di vite che prelude a nuovi e più complicati rapporti sociali… C’è una sorta di stanchezza rassegnata dietro alle dichiarazioni di rito che nulla cambieranno, c’è un senso di impotenza, l’acquiescenza a una fatalità che appare ormai ineluttabile, quella di convivere con la paura e l’incertezza.

Si scivola lentamente verso forme di controllo più accurate, sempre più capillari, magari con nuove leggi ad hoc per meglio vigilare sulle nostre vite programmate. La popolazione è asserragliata in un orbe terracqueo sempre più ristretto e rinsecchito. Il pianeta azzurro è sempre più ridotto a una no-fly zone dove i sogni e le speranze - di un’umanità spenta e intruppata - non si librano più nell’aria, sono come zavorra sotto il peso delle convenzioni sociali e del galateo ideologico. Occorre assuefarsi a una realtà addomesticata e sempre più artificiale, calarsi nel ruolo che ci è stato assegnato come ingranaggi di un sistema perfettamente integrato dove i corpi e le anime fanno parte di un ciclo produttivo che non conosce né pausa e né stanchezza.

L’esercito della orwelliana fattoria degli animali (gli umani) è pronto alle nuove rinunce che l’attendono, consapevole che occorre privarsi ancora un po’ del proprio amor proprio e della libertà. Il metaforico andare a diporto senza meta e seguendo l’istinto - l’attrattiva delle nostre fantasie, dei nostri sogni e delle nostre speranze - è ormai parte di un mondo perduto, un film obsoleto soppiantato dal realismo disincantato del lungometraggio con gli effetti speciali della nuova realtà virtuale. Perfino i morti hanno l’attrattiva di una suspense che rompe il tran tran quotidiano e ci riporta al nostro ruolo di personaggi dell’ultimo film in programmazione, non solo come consumatori, ma anche come testimonials.
Il mondo dismagato si erge ormai come un mostro di acciaio, le megalopoli di vetro e cemento, è il labirinto dove si annida un demone meccanico con un’anima di silicio. Il futuro da fantascienza è già qui, attorno a noi, la grande macchina, il robot che abbiamo sognato e che adesso ci appare al risveglio senza più illusioni e senza più infingimenti: la realtà nuda e cruda degli automatismi psico-socio-economici. L’attesa messianica è finita, ora occorre solo preservare, mantenere quel benessere di routine, convenzionale, in nome della sopravvivenza. L’utopia realizzata ha il volto del Grande Fratello avido di materie prime e corpi in decomposizione, ma soprattutto di anime da riciclare.

Occorre mantenere la qualità della vita così come descritta nel manuale dell’utente con le istruzioni d’uso, pedissequamente, seguendo il menù passo passo. Il giocattolo elettronico di ultima generazione ci appassiona e tiene occupati i polpastrelli delle dita, ci mantiene avvinti al nostro ruolo di fedeli sudditi, di entusiasti servitori della console del videogioco, zelanti e appassionati supporter del sistema tecnologico-produttivo.

Solo lo sguardo degli animali - non quello degli umani ormai approdati al nuovo livello evolutivo di anime di sintesi - conserva intatto lo stupore e la costernazione per quello che siamo diventati, appendici delle macchine e orpelli dei nostri idealtipi. Ci guardano increduli, anche se continuiamo a trattarli come cose, non possono fare a meno di patire per noi, per la nostra metamorfosi. Loro, gli animali, conservano ancora sensibilità e senso di giustizia, la loro anima rimane intatta anche quando li macelliamo e li torturiamo. Siamo noi quegli alieni che tanta fiction immagina con sembianze mostruose. La nostra umanità è dissipata nei cicli ricorsivi, il grande automa che si nutre delle nostre vite dispensando surrogati, il nostro quotidiano mestiere di vivere. I morti e i feriti, per quanto autentici, sembrano cavati fuori dall’illusionismo di un prestigiatore, una performance a tutto campo con istruzioni dettagliate, un software che dipana un film in 3D dove anche orrore e stupore sembrano veri. Reale e virtuale si intrecciano in un confuso scenario di interrelazioni e di riferimenti. Nelle nostre esistenze programmate anche il terrore è parte integrante del film.

La regia è quella con i canonici luoghi di culto, i buoni sconto e l’immancabile carta fedeltà, il supermercato dove barattiamo la nostra dignità. Gli utenti mediatici ricevono la quotidiana razione di sortilegi su un palcoscenico sempre più globalizzato, senza confini… in un complesso labirinto di percorsi obbligati 

Gli spettatori interpretano il loro ruolo di comparse, un po’ come claque e un po’ come figuranti, talvolta perfino come vittime sacrificali, sempre e comunque fedeli consumatori del quotidiano spettacolo che va in scena. Anche l’attore per caso si trasforma in un protagonista di successo, una meteora nel firmamento dello spettacolo pirotecnico, bruciato già alla sua prima apparizione. Ma tanto basta perché la fiction possa replicare.

La nuova umanità cresciuta con i congegni elettronici e gli invisibili chip sotto pelle è ormai quella del Grande Fratello che muove le pedine con studiata nonchalance. Il suo volto non appare più neppure sul manifesto dell’ultimo spettacolo in programmazione, è ormai del tutto invisibile e perfettamente mimetizzato anche quando la storia si fa drammaticamente realistica. La regia per definizione non si deve notare, è come se il film si svolgesse da solo, secondo la logica inscritta nelle istruzioni di montaggio della scatola mondo.

L’intellettuale descrive il fuori metafora, la puntuale interpretazione di uno spettacolo che cela i suoi contenuti latenti e i suoi risvolti allegorici, la vera natura del male, la dietrologia di interessi e antagonismi planetari. Ma anche lui, il guru mediatico, fa parte del copione, è parte del meccanismo di funzionamento, è un semplice congegno di rinforzo di tutto l’ambaradan, un ingranaggio perfettamente lubrificato e un motore importante del cast.

Per quanto si cerchi di individuare la regia occulta bisogna alla fine riconoscere che forse non esiste un vero ideatore della storia. È che l’umanità ha perso definitivamente il controllo… la macchina tecnologico-culturale le ha preso la mano… ormai si erge come un gigantesco e spettrale golem senza ratio, mosso solo da un appetito insaziabile, una fame vorace di potere…

Siamo in attesa della fine del film? L’esito è noto anche se non sappiamo ancora nel dettaglio come avverrà l’apocalisse. Una lenta agonia? Una catastrofe repentina? Magari il finale che ancora non conosciamo ribalterà le interpretazioni canoniche in una sorta di sorprendente coup de théâtre?

In quale altra realtà ci sveglieremo quando si riaccenderanno le luci in sala e finalmente usciremo fuori dalla caverna dove si proietta la vicenda che ci vede protagonisti? Uno spettacolo tutto sommato dall’esito scontato e una storia piuttosto noiosa anche se zeppa di fantasmagorici effetti speciali? Ma forse bisogna aspettare per esprimere un giudizio, magari un finale imprevedibile può riabilitare una sceneggiatura dall’apparenza mediocre…

Speriamo comunque che la prossima pellicola sia più accattivante. Magari una bella storia d’amore o… un giallo esistenziale. Aspettando Godot? Purtroppo e più banalmente sarà il classico western dove, come al solito, arrivano i nostri…

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