mercoledì 14 ottobre 2015

Prove tecniche di trasmissione... o mere simulazioni di rapporti sociali senza più consistenza di realtà?

Di Gilberto Migliorini


La società in cui viviamo è fatta di molti surrogati con lo scopo un po’ di rendere sopportabile il mestiere di vivere e un po’ di occultare tante verità scomode e magari buttare fumo negli occhi a una platea che campa di realtà virtuale e di informazione taroccata.

Le compensazioni hanno anche lo scopo di un effetto placebo, come certi farmaci del tutto innocui perché ci vien fatto credere che contengano un principio attivo, mentre in realtà sono solo acqua zuccherata. Il sistema spesso funziona come ansiolitico e antidepressivo, o come sedativo in grado di addormentare e obnubilare la coscienza di un’audience cullata con ninnananne e ‘videogiochi’. La canzone dice ‘basta un poco di zucchero e la pillola va giù’.

C’è un aspetto che salta all’occhio nella nuova frontiera della società tecnologica nella quale viviamo, i canali comunicativi sono sempre aperti, in tempo reale, praticamente in qualsiasi punto del pianeta si è raggiungibili, sia mediante le onde elettromagnetiche, sia con l’occhio di una telecamera geostazionaria. Il fatto ha due implicazioni dal punto di vista sociale: siamo costantemente reperibili e possiamo sempre disporre di un canale aperto verso il mondo, i nostri interlocutori vicini e lontani, visibili e invisibili. L’approccio colloca l’utente sempre nel cuore della narrazione, al centro della scena, da protagonista, come se fosse il baricentro di tutto, ovunque si trovi, perfino nella foresta amazzonica o in un deserto africano. Le implicazioni sembrano del tutto positive, a parte l’inevitabile effetto collaterale di qualsiasi invenzione, come ad esempio le problematiche relative alla profilazione dell’utente, al monitoraggio e al controllo da remoto di tutti i nostri comportamenti. 

Le nostre scelte di consumo e i nostri pensieri espressi verbalmente e per via telematica fanno parte di un immenso database, colti perfino dall’espressione del viso che un software nascosto è in grado di fotografare surrettiziamente dal nostro smartphone. Sembra che siamo controllati anche quando il dispositivo è spento e non dà più segni di vita. Il sistema di controllo può intrufolarsi e manipolare i cellulari, individuare posizione e spostamenti dell’utente. È perfino tranquillizzante sapere che qualcuno veglia su di noi. Non c’è da preoccuparci, è per il nostro bene e la nostra sicurezza e in fondo essere sempre reperibili con il cellulare in tasca ci dà la certezza di poter contare su una mano soccorritrice in caso di bisogno. E' come tornare in quella condizione da infanti quando avevamo il sonaglio a portata di mano e bastava agitarlo per trovare conforto e attenzioni. 

Per perdersi nel mondo di adesso occorre avere la batteria scarica o il credito esaurito, ma chissà... c’è sempre qualche altro dispositivo di scorta o qualche telecamera che ci sorveglia con occhio discreto e benevolo. È vero che l’aggeggio lo si può spegnere, magari per una notte o quando proprio si vuole stare soli con se stessi, ma è davvero angosciante sapere che non si è più connessi e che magari… deve arrivare quel messaggio provvidenziale, l'annuncio rivelatore, forse la notizia salvifica. Spegnere il dispositivo elettronico è come tagliare i ponti col mondo e sprofondare in un isolamento da eremita, fare i misantropi solitari, rischiare di essere bollati come disadattati e antisociali, emarginati senza più nemmeno un soldo di credito. Qualcuno azzarda perfino che il consorte che non riesce più a comunicare con noi tra il pranzo e la cena potrebbe chiedere la separazione per crudeltà coniugale, un rapporto senza un congruo numero di contatti giornalieri sul dispositivo è segno di una crisi irrimediabile, di incomprensioni insanabili e preludio di separazione. 

Il cellulare lo si può spegnere giusto il tempo necessario per farsi un bagno o durante le fasi preliminari del rapporto coniugale, poi diventa un rischio spegnere il dispositivo, proprio quando al culmine… potrebbe arrivare quel segno dal cielo… 

Ma forse non è neppure questo l’aspetto più rilevante dei nuovi gadget elettronici, emblematici di un sistema di comunicazione globale ormai accessibile a tutti. L’accento posto sulla possibilità di clonare e violare sistematicamente la privacy delle persone, giustamente messo in risalto da chi conosce tutti i retroscena e le acrobazie del sistema di controllo e manipolazione, non è l’aspetto più importante del nuovo gadget di comunicazione. Come al solito le ricadute sociali delle invenzioni sono quelle che non riusciamo a vedere, alcuni effetti sono del tutto invisibili, perfino a chi ne detiene il controllo. L’apprendista stregone che pianifica accuratamente il sistema tecnocratico, e controlla le risposte che il mezzo tecnico suscita nei rapporti sociali, è convinto di conoscere a fondo tutte le implicazioni della sua ‘magia’.

Come per tutte le invenzioni, soprattutto quelle della società di massa, ci sono effetti che risultano quasi una nemesi, con ricadute sociali che nemmeno l’accurata pianificazione del controllo dei comportamenti e le formule statistiche riescono sempre a comprendere e prevedere. Il desiderio di onnipotenza dell’attore sociale si concretizza in una rete di connessioni senza più vincoli né limiti, è qualcosa di simile al frutto dell’albero del bene e del male dove crescono le diavolerie tecnologiche dei sistemi telematici con effetti talora imprevedibili.

I canali comunicativi hanno in genere solo un significato strumentale, sono mezzi che aprono vie di comunicazione al contenuto dei messaggi. A partire da Gutenberg e fino ai grandi mediatori di massa del novecento, i quotidiani, la radio e la televisione hanno trasportato informazione, pubblicità e propaganda in tutte le case. La formula è stata in prima battuta quella delle dittature dove gli effetti scenografici hanno trasformato i media in una kermesse da festa pagana, in competizione con le vecchie scenografie delle via crucis, delle ostensioni, delle liturgie e dei riti religiosi. Poi la televisione del dopoguerra e il nuovo modello ‘democratico’ hanno trasfigurato il messaggio escatologico nel segno dello sviluppo economico e della cultura consumistica. Da un lato l’analfabetismo è stato sconfitto, dall’altro una incultura di ritorno ha trasformato l’utente in un lettore di luoghi comuni e stereotipi di magazine e settimanali sempre più improntati al vuoto a perdere, alla spazzatura di una informazione del gossip e delle telenovele, completato dagli opinionisti da salotto.

Un filosofo esistenzialista come Heidegger (1889-1976) anticipò tante analisi massmediatiche con quel concetto dell’esistenza inautentica (anonima) del si dice, del livellamento convenzionale e insignificante, quel mondo della chiacchiera vuota e inconsistente, della curiosità protesa verso novità epidermiche e apparenti, e dell’equivoco dove non si sa più bene di cosa si parla.

Le analisi attuali massmediologiche vertono più che altro sulla forma della comunicazione intesa nei suoi elementi significanti (segni) e nel rapporto con i contenuti della comunicazione. I semiologi si sbizzarriscono a cercare i nessi e le contraddizioni di un sistema mediatico dove siamo ormai tutti immersi, condizionati e plasmati attraverso messaggi che danno forma alla nostra vita di relazione. Sull’altro versante gli architetti dei sistemi di comunicazione introducono sempre nuovi gadget che ristrutturano il mezzo tecnologico in modalità che incidono sempre più sulla natura e sul contenuto del messaggio. Il confine tra forma e contenuto diviene sempre più labile e indeterminato: la qualità del medium diviene un contenuto e il messaggio veicolato dà forma al mezzo utilizzato, rendendolo parte integrante della comunicazione. 

Il nuovo e più recente aspetto del medium è quello ludico. Per quanto la televisione abbia sempre avuto anche questo aspetto ricreativo e disimpegnato, la giocosità si è sempre trovata diluita con altre finalità, con diversi intenti e modalità espressive. Perfino nei classici programmi di intrattenimento, compresi i quiz e i giochi di ruolo, l’atto ludico comprende aspetti informativi e elementi psicologici nei quali l’utenza si trova coinvolta in quanto interlocutore che presuppone qualche forma di competenza. Le isole dei famosi o i grandi fratelli e sorelle presuppongono comunque meccanismi di identificazione.

Con il telefonino e lo smartphone l’aspetto giocoso, nonostante l’apparenza, è diventato preponderante. Salvo per certe attività professionali che richiedono spostamenti e dislocazioni, per l’utente comune l’utilità del telefonino, rispetto a qualunque altro sistema di comunicazione, ha una carattere prettamente simbolico e una valenza ludica. In altri termini, il congegno non trasmette più messaggi neanche quando si veicolano suoni, parole e immagini. Il che può sembrare davvero sorprendente soprattutto per un semiologo che ritiene di ricostruire dai segni le interazioni e i significati dei rapporti sociali. Il paradosso dello smartphone è una sorta di solipsismo tecnologico nel quale l’evasione e il disimpegno non sono più i caratteri distintivi di quel vecchio utente radiotelevisivo. Il messaggio è diventato solo un pretesto, al massimo della connessione corrisponde la solitudine dell’emittente e del destinatario in quanto il contenuto è solo la giustificazione comunicativa per dar seguito all’utilizzo del giocattolo tecnologico esplorandone le funzioni. 

Nel gioco della trasmissione di dati ciò che importa è il gadget, il gingillo da manipolare e padroneggiare in tutte le sue occorrenze e comodità. Quello che il semiologo ormai decodifica, i messaggi che corrono nell'etere, sono soltanto test di funzionamento, prove tecniche di trasmissione, mere simulazioni di rapporti sociali senza più consistenza di realtà. La comunicazione ha trovato finalmente una modalità di espressione neutrale, una masturbazione telematica senza più l’onere e le complicazioni di un rapporto reale col proprio interlocutore, se non nella forma di byte con un significato estemporaneo e casuale. Perfino i controllori e gli spioni del traffico telematico rischiano di prendere solenni cappellate credendo di rilevare un senso in quelle che il più delle volte sono soltanto forme vuote e meri oggetti virtuali. La comunicazione è sempre più spesso quella del gioco infantile come quello da bambini, con le bambole, i birilli e l’orsacchiotto di peluche…

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3 commenti:

Annamaria Cotrozzi ha detto...

Complimenti, Gilberto, articolo molto interessante. Hai messo in luce molti aspetti che forse siamo tentati di rimuovere per non spaventarci di questa nuova realtà nella quale siamo piombati quasi di colpo. L'hai fatto con precisione e leggerezza al tempo stesso, senza moralismi e rimpianti, pura constatazione. Siamo nella rete, con tutte le implicazioni della metafora, non c'è che dire. Il gadget che diviene elemento centrale nella trasmissione dei dati e delle comunicazioni, l'aspetto ludico del comunicare con touch e click e faccine: tutto questo sta diventando parte sostanziale di noi, trascina su di noi una serie di nuovi obblighi e doveri sociali, ci avviluppa ma è anche vero che ci dà forme di libertà e possibilità di scelta infinite, sovrabbondanti, da vertigine (si pensi all'attività del fotografare, tanto per dirne una). I cosiddetti "bisogni indotti" di qualche tempo fa impallidiscono al confronto, fanno sorridere. Ricordo benissimo come eravamo (ciascuno ovviamente è colpito dal contrasto col proprio vissuto, e proprio oggi passavo in rassegna i miei decenni) e sono anche curiosa di vedere come saremo, quali saranno le evoluzioni, sia tecnologiche, sia conseguentemente interiori, di tutto questo mondo virtuale che ha invaso il reale, o meglio che si è compenetrato col reale, in un miscuglio dove a volte diviene difficile persino distinguere gli amici di sempre da quelli virtuali, perché magari in parte coincidono, o perché ormai sono allo stesso modo presenti nelle nostre giornate.

Gilberto ha detto...

Cara Annamaria
La realtà che stiamo vivendo accelera sempre di più, ci porta verso scenari solo due decenni fa del tutto impensabili. L’uomo tecnologico si sta trasformando nell’androide con organi artificiali e sensori che amplificano le nostre facoltà e i nostri sensi in una progressione geometrica, in uno sviluppo tecnologico che sembra preludere a quelle utopie tecnologiche che solo il secolo scorso sembravano fantascienza. Eppure a fronte di tale sviluppo il mistero dell’uomo e della coscienza si è infittito sempre di più. Invece di aver trovato i punti di riferimento nei processi ricorsivi degli algoritmi informatici (alla base di tutte le mirabolanti scoperte del nuovo millennio) l’attore sociale sembra sempre più disorientato nel mare ridondante di informazione, sperduto in un labirinto senza fine. Paradossalmente proprio gli antichi, come gli uomini del nostro Rinascimento avevano espresso con ammirazione (nani sulle spalle dei giganti), sembrano aver colto la realtà molto più in profondità di quanto noi oggi riusciamo a fare con i nostri apparati tecnologici. Pensa al ‘mito della caverna’ di Platone, una fotografia ‘metafisica’ in grado di andare oltre qualsiasi rappresentazione convenzionale... Forse siamo in un momento di passaggio, in mezzo al guado, non sappiamo ancora cosa ci attende, potrebbe trattarsi di qualcosa di sorprendente, la cui natura però ancora non conosciamo. Di sicuro questo secolo porterà molti nodi al pettine e alla fine forse occorrerà fare scelte drastiche per sopravvivere. La tecnologia, contrariamente alle attese, potrebbe non essere l’ancora di salvezza…

Annamaria Cotrozzi ha detto...

Sì, Gilberto, la sensazione di essere in mezzo al guado è forte, come quella del labirinto senza fine. La ridondanza di informazione dà a volte solo l'illusione dell'approfondimento, in realtà ci spingiamo al largo e ci dimentichiamo man mano del punto di partenza, e intanto la realtà, la conoscenza stessa ci scorrono come acqua fra le dita. Ripenso spesso a uno scritto di Umberto Eco di tanto anni fa (forse era una sua "Bustina") che diceva, in sostanza, che quando usciamo da una biblioteca con una paccata di fotocopie abbiamo l'illusione di possedere conoscenze che invece, appunto, sono ancora lì nelle fotocopie, non nella nostra testa. L'uso di fotocopiare si era diffuso da poco, fino a qualche anno prima nelle biblioteche si prendevano appunti, e per farlo si leggevano pagine e pagine di volumi... Mi pare che stia succedendo un po' la stessa cosa con internet, ma amplificata a dismisura. Ecco, appunto, dis-misura. Qualcosa non torna, in effetti, e andrà aggiustato. Niente patetica laudatio temporis acti, per carità, ma così navighiamo tanto, ci informiamo tanto e impariamo poco. Stiamo a vedere, saranno magari gli stessi imprevedibili sviluppi della tecnologia ad aggiustare il tiro, mi pare che l'esperienza ci dica che succede sempre così. Fase probabilmente di passaggio questa, concordo con te.