venerdì 9 gennaio 2015

Il Presidente e l’ermo colle

Di Gilberto Migliorini

L'ERMO COLLE
Dal 7 gennaio, su Il Fatto Quotidiano.it si può votare il candidato preferito al Quirinale. La formula è “da oggi votiamo il presidente che vorremmo”. Le fotografie che seguono il titolo illustrano un florilegio di papabili: politici, magistrati, costituzionalisti, giornalisti, scrittori, artisti, economisti… Manca, è vero, lo sportivo, magari un allenatore di calcio, ma in fondo nel Bel Paese un po’ mister lo siamo tutti e dunque l’omissione non ci lascia orfani più di tanto. La gamma degli aspiranti sull'ermo colle è davvero ben nutrita, e forse parlare di rosa è riduttivo (dando comunque per scontato che qualcuno forse è stato preso proditoriamente per i capelli e non ne vorrebbe proprio sapere di salire fin lassù…). Per tornare al modulo calcistico meglio sarebbe parlare di squadra, comprese riserve, outsider, massaggiatori, raccattapalle e quant'altro senza dimenticare che proprio quelli che stanno in panchina alle volte ti risolvono una partita, magari senza nemmeno entrare in campo. E fortunatamente c’è lo sbarramento dei cinquant'anni, altrimenti si dovrebbe fare i conti con qualche sbarbatello, un enfant prodige che scombicchera tutti i piani e che è perfino capace di fare goal, o al contrario di insaccare un’autorete. No, l’esperienza non è acqua e con l’età è vero che si perde di fiato ma si guadagna nella posizione sul campo, si sa sempre dove è meglio stare e perfino in fuorigioco si è in grado di interpretare il proprio ruolo con risultati eclatanti.

La consultazione sul sito è davvero un’idea pregevole, anche se qualcuno preferirebbe i bussolotti pensando, sbagliando sia chiaro, che per il colle in definitiva un candidato vale l’altro, come se si trattasse di un Re senza corona e senza scorta come quello di De André. È pur vero che a certi livelli la scorta ci vuole, per la corona fa fede qualche tessera di partito o la fede calcistica... Per carità, non che non esistano spiccate personalità e doti originali, capacità di interpretare il ruolo con l’abnegazione e lo scrupolo che la carica comporta, e con iniziative di alta ingegneria politica e di marketing istituzionale. Forse qualcuno pensa, erroneamente, che una volta installato lassù chiunque possa adempiere il suo mandato con la necessaria neutralità dell’homo erectus, un super partes dalla schiena dritta. I soliti maligni credono che perfino Totò, se fosse stato eletto al Quirinale, non avrebbe avuto in disdegno un portamento regale (lui che era nobile) e un linguaggio consono alla missione, sicuro che avrebbe assunto il contegno che la carica richiede. Peppino de Filippo gli avrebbe fatto eco sulla punteggiatura, mettendo i punti e le virgole alle bisogna e, soprattutto, senza indulgere a qualche facile ironia o peggio a sonori sberleffi. 

Il fatto è che una carica di tale prestigio è come un abito regale e curiale, chiunque lo indossa subisce una metamorfosi pressoché immediata, una sorta di trasfigurazione che si può immediatamente avvertire nel tono di voce che diventa più grave, nella postura che allude a una catarsi interiore. L’investitura comporta l’emergere, nel cursus honorum dei caratteri da uomo novus, la predilezione per il gesto e il tono, sempre alti e solenni. La transustanziazione è come il vestito nuovo dell’imperatore. Nudità puramente iconografica e spirituale, si intenda, una sorta di purificazione interiore, metamorfosi che dà all'eletto carisma e autorevolezza, magari così lontane dalla sua figura in chiave mondana. Qualcuno direbbe Parigi val bene una messa, intendendo che giunti lì si può anche soprassedere e fare di necessità virtù, perfino convertirsi da agnostico a credente fervente come un San Paolo sulla via di Damasco. Per i più alti scopi val bene qualsiasi rinuncia, perfino a un credo laico, fare addirittura apostasia ideologica. Gli elettori istituzionali conoscono il senso profondo di quel super partes che più ancora di un aforisma è la capacità di mediare anche l’impossibile e di sacrificarsi in nome del superiore interesse nazionale. 

Qualche conflitto è comunque da mettere in conto, equivoci e fraintendimenti, quando i referenti non hanno ben tradotto il programma in ogni sua occorrenza. Ma si tratta pur sempre di dettagli, quisquiglie e pinzillacchere. Qualche incomprensione è sempre possibile e risolvibile con spirito di servizio…

Le scenografie servono a dare quella sacralità e lungimiranza che fanno del Presidente l’icona del paese. Se anche un qualsiasi signor X venisse eletto e approdasse sul colle, si potrebbe nell'immediato vederne trasfigurati perfino i lineamenti del viso. In un qualsiasi Masaniello si potrebbe leggere la nobiltà d’animo, l’intelligenza sveglia e l’arguzia sottile. Le cariche hanno quella capacità di nobilitare, di innalzare e trasfigurare… spremendo da ciascuno (quasi sempre) il succo migliore, senza togliere nulla a ciò che l’eletto ha già dato illustrando la nazione nelle scienze, le lettere e le arti. Certo, un anonimo Bianchi, Rossi o Verdi che sia, non è detto che potrebbe assimilare con prontezza tutte le implicazioni e le congruità di quell'alta carica istituzionale. L’apprendistato alla sublime arte della diplomazia richiederebbe un surplus di energie e soprattutto la capacità di cogliere al volo e senza incertezze dove bisogna andare a parare. Cosa che a un pivello non riesce sempre bene, e dunque è meglio stare sul sicuro.

Il risvolto pernicioso è invece quella spada di Damocle che pende sull'illustre Capo di Stato: l’Attentato alla Costituzione e l’Alto Tradimento. Paiono bazzecole per chi non è timorato di Dio, e un presidente che si rispetti lo è eccome, da impallidire per quel metaplasmo che così d'emblée può far precipitare il tapino giù dal colle più alto.

L’Attentato alla Costituzione è cosa da far tremare le vene e i polsi anche al più inguaribile onest'uomo che in quel frangente deve superare se stesso nell'arte della diplomazia cerchiobottista. Mentre quotidianamente la nostra bella Costituzione viene bellamente arzigogolata, e talora perfino scalpicciata un po’ in tutte le istituzioni del Paese, il povero defensor fidei deve temere d’essere incriminato se non se ne fa paladino, se non veglia sul sacro testo, così come un linguista e un amanuense si prodigano sulla pergamena da decifrare e rinverdire col quotidiano lavoro filologico di cesello. Il sacro testo lo si figura in una teca con tanto di antifurto contro chi, proditoriamente, tenti di alterarne il contenuto, ne sbiadisca e illanguidisca la forma o ne alteri lo spirito e il gusto. Per il resto nel vivo del paese vige l’ermeneutica scapigliata e a spanne: perché un conto sono i sacri principi custoditi nel cuore incorrotto della nazione e un conto l’applicazione della costituzione più bella del mondo, con quella latitudine interpretativa alla quale occorre dar ragione nel quotidiano mestiere di vivere, là dove val di più la pratica che la grammatica… 

Una semantica enfatica e altisonante dalle più disparate decodificazioni, interpolazioni, decifrazioni, traduzioni eclettiche e commentari creativi… insomma, un testo che si può leggere a testa in giù e a testa in su, da sinistra verso destra o da destra verso sinistra, per quella souplesse che lo rende sempre così attuale con lo spirito dei tempi, quasi uno zibaldone dove ciascheduno può trarre l’insegnamento che più conviene, un’inesauribile fonte di ispirazione. L’interpretatio prudentium rende il testo costituzionale così flessibilmente ubiquo, una coperta da tirare un po’ qua e un po’ là, un palinsesto buono a dar lavoro e gloria a una ermeneutica esplicativa e illustrativa che ne fanno davvero una feconda miniera di stili. Suona difficile pensare si attenti a un testo che sembra fatto per sollevare diatribe e distinguo tra illustri costituzionalisti e giureconsulti, ma non già per alterare il suo integerrimo e univoco codice sorgente. Il Presidente della Repubblica può davvero dormire sonni tranquilli, senza patemi o paure di sorta. Il mondo politico d'altronde tiene in alta considerazione il lavoro dei nostri padri fondatori, ne promuove lo spirito e se ne fa interprete giudizioso e integerrimo, proprio come se dovesse tutelare una sua di proprietà.

Più problematica la questione dell’alto tradimento. Tradire la nazione? Quasi una categoria filosofica. Un tradimento platonico come certe fantasie libidiche? Un mero adulterio virtuale? Un Presidente che prende accordi con Stati esteri a danno della Repubblica Italiana? O forse più semplicemente la possibilità di scontentare i referenti grandi elettori? Farsi interprete del popolo implica una lettura del tradimento come una macchia di Rorschach, ognuno può vederci quel che vuole. Insomma, per quella ipostasi astratta che va sotto il nome di Popolo italiano o tout court di Italia, potrebbe trattarsi semplicemente delle solite eminenze grigie e burattinai che tirano i fili da dietro le quinte con leggiadra destrezza e proverbiale nonchalance. 

Ma speriamo che non sia così e che il presidente che vogliamo eletto risponda soltanto alla sua coscienza, finanche se per farlo dovrà tradire tante aspettative e tanti desiderata…




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