Articolo di Gilberto Migliorini
Che Carlo Lorenzini avesse forse la sfera di cristallo e potesse aver visto in diretta streaming - prima ancora di inventare Pinocchio - quello che nell’anno di grazia 2014 sta accadendo nel Bel Paese? I personaggi collodiani, quelli delle Avventure di Pinocchio, in effetti hanno una tale freschezza narrativa da sospettare che lo scrittore ottocentesco, con una favola apparentemente per bambini, abbia descritto l’Italia come se ne vedesse l’essenza, quasi spremendone il succo. Si tratta di una metafora più che una nemesi storica, di una fotografia che ha immortalato quello che saremmo diventati (e che forse già eravamo in nuce). Ha descritto perfino quello che ancora oggi non sappiamo veramente di essere: un popolo televisivo di figuranti a nostra insaputa, le marionette nel teatrino di Mangiafuoco. Il Collodi, nel personaggio di Pinocchio, ha descritto un popolo, quello italico, alla ricerca di una sua identità, quella vera (il burattino trasformato in uomo in carne e ossa) e non quell’immagine che ci hanno appiccicato come fossimo soltanto figurine o decalcomanie da appuntare su una scheda elettorale.
Pinocchio non smette di raccontare la sua storia di burattino allegorico e di parlare di noi e del nostro futuro, lui che vorrebbe emanciparsi da quei natali da ciocco di legno e da quella sua protuberanza ingombrante. Si tratta di un naso rivelatore, non solo di bugie ma anche di trasgressioni e di espedienti per tirare a campare, quell’arte per sopravvivere un po’ ciurlando nel manico e un po’ vagheggiando di illusioni e inanellando dabbenaggini come l’antieroe di quella anti-storia italiana che non risulta sui libri canonici. Si tratta proprio di lui, di quel connazionale che ingenuamente, e credendosi furbo, si fa menare per quel naso di tutto rispetto… connazionale che però è anche alla ricerca di sé attraverso una metamorfosi che non è solo quella di un semplice pezzo di legno da catasta.
Quei paesaggi della campagna
toscana ancora ricchi di mistero, con quei personaggi fiabeschi, con gli animali
che parlano e istruiscono il lettore, ci mettono nostalgia di un’Italia che non
c’è più. Italia che invece è proprio lì da vedere, lì dove ancora sopravvive con quel
fascino di una natura da fiaba, con le contrade che sembrano i luoghi
dell’infanzia perduta. Un paese contadino dove nel bosco si potevano incontrare
i briganti e gli assassini e dove anche allora si facevano i conti col malaffare.
Un paese oggi riconvertito in una fabbrica di affarismi e corruzioni, cementificando
mari e monti, costruendo enormi infrastrutture inutili che rappresentano un gigantesco
luna park, il nostro meraviglioso luogo di evasione e di perdizione. Il Bel
paese ora è tradotto in lotti, una terra che si avvia a diventare un cruciverba
di luoghi senza più né identità né memoria, un po’ come il paese dell’omino
di burro, quello dei balocchi, un divertificio
artefatto e ripetitivo, un luogo di surrogati, una Disneyland per bambocci, un
giardino zoologico con uomini in gabbia.
C’è l’ottovolante, la ruota, il castello della strega, l’immancabile labirinto degli specchi e quell’immenso patrimonio artistico, paesaggistico, storico, linguistico e antropologico che va in rovina, un po’ per l’incuria del tempo e un po’ per quel malaffare dell’osteria del gambero rosso... dove anche l’oste fa parte della combriccola.
C’è l’ottovolante, la ruota, il castello della strega, l’immancabile labirinto degli specchi e quell’immenso patrimonio artistico, paesaggistico, storico, linguistico e antropologico che va in rovina, un po’ per l’incuria del tempo e un po’ per quel malaffare dell’osteria del gambero rosso... dove anche l’oste fa parte della combriccola.
In fondo si tratta di parole,
l’arte del panegirico e del venditore di illusioni. La favella toscana non è più
quella del Carducci, della nostalgia dei cipressetti
miei, adesso risuona in quel tempio
che quell’altro imbonitore aveva
definito aula sorda e grigia e che ora,
senza la gravità di una minaccia (il bivacco
di manipoli), appare come una sorta di mausoleo di cariatidi e di orpelli
sotto tutela e immunità, dove echeggia il suono suadente e mellifluo del
pifferaio magico. È l’attuale spot giornaliero proclamato con quella cadenza
vernacolare che fa tanta nostalgia del tempo che fu, quel volgare dantesco che
ha creato la nostra bella lingua ora in svendita e dissoluzione, trasformata in
un blob, quel fluido mortale di una neo-lingua
orwelliana, un cinguettio di aforismi insulsi e di banalità criptiche. Ora è la
leggerezza delle lusinghe non quel manzoniano sciacquar i panni in Arno, ma con quel discorso a braccia dall’intonazione
sfrontata, ricco di pathos casereccio, di blandizie e di lisciate ruffiane. Discorso pronunciato con una faccia di tolla da far invidia ai
bronzi di Riace…..
Un discorso che sembrerebbe insulso e monotono se non fosse per quei plus e benefit - come si conviene per piazzare il prodotto - allegandone un manuale di istruzioni nel linguaggio delle promesse mezzane e con il classico cadeau - un obolo tintinnante virtualmente già speso nelle gabelle up-to-date.
Un discorso che sembrerebbe insulso e monotono se non fosse per quei plus e benefit - come si conviene per piazzare il prodotto - allegandone un manuale di istruzioni nel linguaggio delle promesse mezzane e con il classico cadeau - un obolo tintinnante virtualmente già speso nelle gabelle up-to-date.
L’unica cosa che sembra
stonare nella favola collodiana è il lieto fine, dopo tante peripezie, di un
italiano sempre alla ricerca del Sacro Graal, illuso di essere lui finalmente
il vero protagonista della favola. La storia ce l’hanno raccontata tante volte
e in tutte le salse, ma per quanto l’abbiamo imparata a memoria, sembra sempre di
ascoltarla per la prima volta. Il nuovo cantastorie rinnovella non proprio con il
linguaggio della quarantana manzoniana, del fiorentino colto, ma in quel
parlare per slogan, tentennando il capo, a dir di sì come suole il bravo
imbonitore, un po’ intercalando la battuta allusiva e insaponata, come esige il
copione, un po’ rabberciando con la cadenza galeotta e la posa disinvolta,
come sa fare il bravo piazzista che ti vende anima e core… Sarà l’accento nuovo e inusuale, sarà
l’interpretazione con le pause e i toni intriganti, sarà per le posture
teatrali e il gesto enfatico... o sarà semplicemente per quell’accattivante
parlare per spot folgoranti che piacciono tanto a quell’audience che ride e piange a comando.
Perfino nel paese degli acchiappa-citrulli per esser
sprigionati occorre esser briganti matricolati, altrimenti si rimane in cella e
buonanotte ai suonatori. Un delitto nel paese collodiano equivale ad essere riveriti
in modo altrettanto onorevole che lo stare al Senato. E se poi sei un lestofante è
come aver appuntata una medaglia al valore per meriti sul campo. In culo alla
balena (o il pesce-cane che dir si voglia) ci siamo finiti tutti insieme a
Geppetto, che da buon padre se ne stava già là ad aspettare alla luce fioca di
una candela il suo Pinocchio scavezzacollo. Il vecchio intagliatore, di
professione povero in canna, era una vita che aspettava d’esser miracolato... e
il burattino col suo babbo alla fine ce l’hanno fatta per davvero. E vissero tutti felici e contenti… Pare
un finale troppo ottimista? Il Collodi sa guardare più lontano, quello che noi
oggi ancora non riusciamo a vedere, il radioso futuro che ci aspetta. Che il
burattino possa trasformarsi in qualcuno che assomigli all’italiano vero? Un sogno? Un semplice vagheggiamento? Non poniamo limiti
alla provvidenza! Un altro testo, quello manzoniano, ci dice che alla fine la
giustizia trionfa. Anche lì, dopo mille peripezie e sventure, compresa la peste,
c’è il lieto fine. Don Rodrigo paga per la sua protervia e malvagità. Ma purtroppo
si tratta solo di un romanzo, per quanto simboleggi l’arbitrio e l’arroganza
del potere, la corruzione e il sopruso dei potenti.
Noi qui il lieto fine lo si
aspetta da tempo immemorabile. E l’italiota se lo figura, proprio come
Pinocchio, in quei personaggi, il gatto e
la volpe, che con parole suggestive agitano la bella illusione di quel
paese dei Barbagianni dove c’è un campo benedetto, il campo dei miracoli, dove
tutto può avvenire dall’oggi al domani. Se non proprio in una notte almeno in
qualche settimana. E se le settimane non bastano saranno pochi mesi… E se
perfino quelli non bastassero per veder crescere finalmente l’albero con gli
zecchini d’oro lampanti e sonanti? Eh… che sarà mai qualche annetto per
partorire finalmente il paese di cuccagna…
I due figuri collodiani
ricordano qualcuno e qualcosa, se non altro perché vanno di conserva, l’uno non
ci vede (per quanto alla vista del denaro strabuzzi gli occhi) e quell’altro zoppica
(nonostante sia lesto quando si tratta di ingoiare un boccone) insieme però fanno una coppia imbattibile e
davvero affiatata. All’osteria per quanto inappetenti si fanno una bella
scorpacciata. Bello vederli in sintonia con quel procedere all’unisono, un
colpo al cerchio e l’altro alla botte. Hanno lo spirito costruttivo di
tessitori che fanno di necessità virtù, che considerano l’interlocutore, il
Pinocchio nostrano, come lo strumento di un progetto ambizioso: trasformare
l’Italia nel paese dei citrulli.
Ah! Dimenticavo il Grillo parlante. Quello davvero provoca
spavento con quella sua pretesa di dire sempre pane al pane e vino al vino. Mette paura ai bambini quel parlare
fuori dai denti, senza peli sulla lingua, senza usare tropi e traslati. Un
incomodo buffone, un rompicoglioni che ha quel vezzo insopportabile di dire che
il re è nudo, quando tutti possono
vedere che indossa un abito meraviglioso intessuto di lusinghe e uno strascico
che per quanto ingombrante, ha il fascino evocativo del segno del comando. Il
monarca-padrone ancheggia passeggiando impettito, mostrando il suo
meraviglioso vestito nuovo. Mentre quel
grullo di Pinocchio applaude il sovrano senza vedere che è ignudo il povero Grillo parlante viene spiattellato sul
muro. Meglio ascoltare la favola bella piuttosto
che scoprire di trovarsi tra le fauci di un Pesce-cane, perché l’italiota
neppure lo sa che presto sarà proprio là dentro, come Pinocchio, nel suo capace
apparato digerente, magari aspettando un tonno che lo venga a salvare…
Ma questa è un’altra storia…
per il sequel bisogna aspettare…
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