Di Gilberto Migliorini
Da Machiavelli (il Principe) al Fascismo (il duce), fino all’Italia contemporanea (soprattutto quella dell’ultimo ventennio), esiste una linea di continuità riguardo ai caratteri del capo di governo. Si tratta di un personaggio che suscita consenso mediante non tanto il gesto plateale ed esibizionista (che pure ha una sua certa importanza e un suo status pernicioso), quanto attraverso il carattere indeterminato e polimorfo del suoi atteggiamenti che ne fanno un uomo per tutte le stagioni, un simbolo vieppiù indeterminato e di multiforme espressione (contraddittorio e indecidibile) sul quale la gente può proiettare liberamente fantasie e idiosincrasie. Insomma il capo è l’oggetto del riconoscimento di una propria indole o di una propria idea, una proiezione fantasmatica, l’alter ego nel quale assolvere un proposito di identificazione proiettiva ad assetto variabile, un contenitore da riempire di quello che ha di più caro, l’assenza di un sistema di valori.
Da Machiavelli (il Principe) al Fascismo (il duce), fino all’Italia contemporanea (soprattutto quella dell’ultimo ventennio), esiste una linea di continuità riguardo ai caratteri del capo di governo. Si tratta di un personaggio che suscita consenso mediante non tanto il gesto plateale ed esibizionista (che pure ha una sua certa importanza e un suo status pernicioso), quanto attraverso il carattere indeterminato e polimorfo del suoi atteggiamenti che ne fanno un uomo per tutte le stagioni, un simbolo vieppiù indeterminato e di multiforme espressione (contraddittorio e indecidibile) sul quale la gente può proiettare liberamente fantasie e idiosincrasie. Insomma il capo è l’oggetto del riconoscimento di una propria indole o di una propria idea, una proiezione fantasmatica, l’alter ego nel quale assolvere un proposito di identificazione proiettiva ad assetto variabile, un contenitore da riempire di quello che ha di più caro, l’assenza di un sistema di valori.
Non facciamoci ingannare dalla devozione religiosa, lì
in genere si tratta semplicemente di un galateo, una precettistica da onorare
per poter accedere a un plus e a un benefit, la vita eterna come contropartita
al rispetto formale delle regole (con l’assoluzione nel caso che il credente
sia caduto in tentazione). Tale carattere di indeterminatezza - anche quando il
personaggio può risultare aggressivo e perfino sgradevole agli occhi di un
elettorato più o meno moderato e conservatore - fa passare in secondo piano perfino
certi lati spigolosi, considera con ironica accondiscendenza anche gli aspetti
oggettivamente sgradevoli. Piace il personaggio che politicamente non risulti
troppo impegnativo sul piano della coerenza e della integrità, attributi troppo impegnativi per
un’attitudine al compromesso e al disinvolto opportunismo. L’uomo di governo tutto
d’un pezzo, onesto, integerrimo e… sincero fino al dire pane al pane… provoca
una avversione a pelle per quella sua mancanza di souplesse, flessibilità così
cara a chi ama una certa latitudine interpretativa riguardo ai diritti e
soprattutto ai doveri.
Si preferisce la locuzione ipocrita e perbenista, quel
parlare per tropi e traslati, piuttosto che quel dire franco e senza giri di
parole. Si invoca la dirittura morale, ma giusto per indicare quel relativismo
in ragione dell’occasionalismo, quel parafrasare secondo l’interesse del
momento. E poi… non c’è forse il confessionale ad assolvere tutti dal peccato?
E se non è un sacramento si tratta pur sempre di quel fine che giustifica i mezzi,
e con quello si assolve perfino il criminale incallito. L’ideologia, spesso
spacciata per idealità, giustifica altrettanto bene del credo religioso,
talvolta perfino meglio. Se poi la fede (religiosa o politica) non bastano a
giustificare la trasgressione e il compromesso, c’è pur sempre la solidarietà
del clan, il familismo, il cerchio massonico… il supremo interesse della casta.
La stessa distinzione destra sinistra risulta ingannevole se
si ritiene di voler indicare due diverse politiche in ordine a un progetto che
si delinei a chiare lettere. Quale progetto? Per il momento diciamo solo un
progetto di ingegneria politica, per usare una locuzione vaga ma allusiva
quanto basta per indicare un ambito indeterminato come può essere quello dei
rapporti che mettono capo a un’organizzazione socio-economica, che producono e
distribuiscono ricchezza (nome quanto mai evocativo e… decettivo). Si tratta di
un progetto trasversale, di un programma per il quale i personaggi (economisti
per lo più, ma non solo) sono disseminati trasversalmente in tutte le aree
politiche con un comune obiettivo, per quanto non dichiarato, che trapela sempre
più chiaramente (per chi si ingegni a vedere) in tutta una serie di prese di
posizione e di provvedimenti. Pensare a un programma sotto forma di progetto
istituzionale (a livello nazionale e a livello globale) risulta però un po’
ingenuo e riduttivo. Se è vero che esiste una sorta di élite (non la chiamerò
in altro modo per non dar luogo a dietrologie) che ha in animo un piano, è anche
vero che il progetto non ha e non può avere un respiro lungo e duraturo.
C’è
chi vede un gruppo con un progetto di ingegneria politica, un programma di
controllo e di manipolazione, vuoi a livello locale e vuoi a livello planetario.
Troppa grazia… Politici e scienziati che abbiano un progetto di controllo
globale sono solo nella fantasia di chi crede che il sistema economico e
politico mondiale si muova secondo una logica che non sia quella degli
automatismi economico-produttivi, un sistema di relazioni schematiche e iterative. Programmi di intrattenimento, divulgativi,
evasivi… econometrici… che mostrano tutta la complessità dei metodi
quantitativi (applicati alle varie branche della scienza sperimentale) danno
l’idea di un mondo sotto attento controllo, monitorato e sorvegliato con i più
sofisticati strumenti tecnologici, un mondo dove gli apparati scientifici sono
in grado di compiere previsioni e anticipare, mediante formule matematiche e
sistemi vettoriali i processi di sviluppo, in
prospettiva. Gli oppositori si ingegnano a disquisire di complotto
globalmente definito, un programma a scadenza. L’utente si fa l’idea di un
sistema mondo sempre più complanare e integrato…
La realtà? Al di là delle
suggestioni mediatiche è che mai come oggi nessuno controlla niente, il sistema
mondo (economico-produttivo e finanziario) è in preda a ciechi automatismi di
cui gli scienziati sono solo ingranaggi inconsapevoli che controllano il loro
orticello (un orticello che è tale anche quando viene enfaticamente riferito a
qualche programma olistico, a un progetto dalle infinite variabili, complesso
come tutto lo scibile e assegnato alla
potenza di calcolo di un super computer, meglio se quantistico…). L’uomo del
XXI secolo più che sotto l’egida di una razionalità computazionale sembra più
che altro preda di meccanismi istintuali che non sa più controllare. La stessa
logica matematica (i metodi quantitativi) è al servizio di un’astuzia degli
istinti distruttivi (che il Freud del Disagio
della Civiltà avesse ragione?). Il sistema complessivo socio-economico
sembra una grande macchina dove anche chi crede di esserne interprete (e
addirittura critico) ne è in realtà un ingranaggio dedito al suo perfetto
funzionamento (inconsapevolmente orientato alla distruzione).
Si tratta di
personaggi che per quanto dispongano di un immenso potere, non hanno e non
possono avere altro progetto se non la forma miope e ottusa di quegli
automatismi economici attraverso i quali si sta trasformando il pianeta in una
macchina che si muove in modo cieco e irrazionale fino all’esito finale del
collasso che già si intravede e che nonostante gli avvertimenti delle Cassandre
(chiamate così nella speranza che siano soltanto indovini perdenti) sembra
quasi inevitabile.
Animali torturati nei
laboratori in nome del progresso, persone vive espiantate dei loro organi in
nome di un paradigma scientifico. La scienza,
sistema di convenzioni, il nietzschiano
sistema coerente di errori, trasformata in ontologia. L’uomo ridotto a un
sistema computazionale, a un corpo assemblato, a un sistema cellulare, a un
codice genetico senz’anima e senza essenza se non quella delle sinapsi e dei
neuroni... la macchina biologica da decodificare come elaboratore
computazionale. L’apprendista stregone che crede di aver sciolto l’enigma del
mondo e ne costruisce il surrogato…
Per comprendere il mondo
occorre ben altro di qualche rudimento di economia, quell’economia della quale
i personaggi in questione sembrano conoscere tutto a menadito. Bravi quando si
tratta di vedere a un palmo di naso, perfettamente in sintonia se occorre
illustrare le bisogna per la spesa al supermercato per il pranzo o la cena. L’Italia
è in qualche modo emblematica, un proiezione davvero rappresentativa (nel bene
e nel male) di quanto accade a livello dell’orbe terracqueo. Niente di nuovo sul fronte occidentale…
La solita rassicurante operina con i soliti attori a recitare il copione obsoleto
come si trattasse di un nuovo progetto, e invece è lo stesso da tempo
immemorabile… Un respiro sempre più corto, un’etica della situazione che più
parla del futuro e più rappresenta la miopia di quel che resta del giorno: corruzione, malversazione, cattivo
governo... un paese sempre più malridotto. Una classe politica che si bea in
uno sguardo ottuso, che si pasce nella lungimirante prospettiva del post meridiem, che disquisisce appassionatamente
di un futuro opaco ed incerto: la proiezione di un presente incancrenito.
Ci si
può perfino illudere che al copione sia stato aggiunta qualche variante
creativa, qualche nuovo elemento a rendere appassionante e imprevedibile
l’intreccio. Perfino le controfigure sono le stesse, cambia la regia, ma
soltanto perché ormai gli automatismi della sceneggiatura sono stati assimilati
a dovere.
Dove sta andando il paese? E
dove stanno volgendo le sorti del pianeta? Ai pessimisti dirò che il Bel Paese
non è poi così difforme se rapportato al destino complessivo, forse, purtroppo,
più autenticamente rappresentativo del tutto. Ma agli ottimisti bisogna far
sapere che il destino globale, salvo qualche escamotage dell’ultima ora per
procrastinare l’agonia, è davvero in dirittura d’arrivo. La grande macchina
governata da un’intelligenza digitale al servizio di istinti autodistruttivi
sta procedendo con piglio solerte e con ottusa determinazione. Qualcuno azzarda
scenari catastrofici attorno alla metà di questo secolo: i cambiamenti
climatici come nemesi di uno sviluppo (lo chiamano così) fuori controllo. La
grande macchina, il computer globale che abbiamo costruito con un software governato
dai più brutali istinti egoistici, ha trasformato l’ambiente in una gigantesca
discarica, gli animali in cose e gli umani in automi. Il sistema può reggere
solo fin quando la rete si rompe. La rete è davvero l’immagine di quelle
relazioni a supporto, non solo un sistema di nodi e di link, ma quel proverbiale
intreccio di interessi occulti, quella tela di ragno sospesa sul vuoto di una macchina
produttiva senza ratio…
Si sentono
sinistri scricchiolii, ma nessuno ancora ci fa troppo caso. Che i supporti non
reggano? Si spera che all’ultimo istante salterà fuori magari un coniglio dal
cappello, o chissà… l’uomo della provvidenza, o un miracolo dal cielo. L’Italia
è forse l’emblema, nel bene e nel male, di una follia planetaria, proiezione
rappresentativa del nostro futuro globale. Qualcuno spera nella grande
invenzione, nel salto tecnologico, nell’impresa scientifica come soluzione ai mali
dell’umanità. Si tratta di fata morgana,
della corposa illusione in un’epoca di invenzioni strabilianti. Se c’è ancora
una speranza (sempre l’ultima a morire) quella ci è offerta dalle idee e non
già dall’innovazione tecnologica e neppure da una scienza marcia. Le idee sono quelle che ci consentono di guardare al mondo
con occhi nuovi, di vedere quello che non avevamo mai notato, di riguardare le
stesse cose da una diversa prospettiva. E chissà che proprio dal Bel Paese
patria del Rinascimento, luogo mai come oggi caduto in basso, non scaturisca
una nuova idea, un nuovo sguardo, circa il nostro futuro.
Forse c’è una
soluzione molto più semplice di quanto la complessità del sistema mondo lasci
intuire. Gli umanisti-rinascimentali guardavano alla saggezza degli antichi
rappresentandosi come nani sulle spalle
dei giganti (anche se in realtà la metafora è probabilmente del medioevale Bernardo
di Chartres). Forse abbiamo davvero bisogno di tornare ai principi (secondo l’immagine rinascimentale che significava il
ritorno ai classici del pensiero greco e latino), ma nel senso di un ritorno all’esortazione
delfica Conosci te stesso, da Socrate
a Platone a Porfirio… fino all’Abelardo dello Scito te Ipsum e a Pico della Mirandola. Forse la verità del mondo
non è in quell’universo sconfinato che esploriamo fuori di noi (solo
un’illusione?) ma va cercata proprio dentro di noi (l’agostiniano in interiore homine habitat veritas),
non in quel cervello materiale del quale si proclama il secolo… ma in quell’anima
immateriale della quale, secondo Eraclito, non potremo mai trovare i confini.
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