mercoledì 22 gennaio 2014

Un radioso futuro per l'umanità? Difficile se la scienza e la tecnologia - strumenti del potere - continueranno a trasformarci in automi...

Articolo di Gilberto Migliorini


Quali visioni mirabolanti ci riserva il futuro? No, non ho la sfera di cristallo, anche se qualcuno già immagina (e progetta) i computer viventi costruiti con circuiti e molecole biologiche e un web di nuova generazione dove macchine e apparecchiature comunicheranno tra loro in maniera istantanea. Naturalmente per rendere la nostra vita più semplice e  appagante: traffico regolato da sistemi intelligenti, bambini ed anziani sorvegliati a distanza, tutti interconnessi per agevolare qualunque gesto ed azione della nostra giornata: sia nel lavoro, sia nel tempo libero. Soprattutto protetti dai malintenzionati, scannerizzando lo spazio nel quale ci muoviamo, passando al setaccio la nostra vita di Truman in un universo Matrix. Il fisico più famoso del ventesimo secolo, Albert Einstein, in un aforisma rimasto celebre aveva detto: Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, so però come si combatterà la quarta, con le pietre e le clave. Parafrasando l’illustre scopritore della teoria della relatività, dirò anch'io che non so quali invenzioni costelleranno la nostra vita con funzioni sempre più mirabolanti, so però che ce la renderanno sempre più complicata, oppure che il collasso planetario ci riporterà a una economia di sussistenza (per quei pochi sopravvissuti).

Il mestiere di vivere (e di morire) sarà sempre più sotto l’egida di strumentazioni complesse, invasive, direttive, onnicomprensive, vincolanti. Più che occhi elettronici che presuppongono ancora un grado di libertà, quello di trasgredire per poi essere presi con le mani nel sacco, saranno i percorsi magnetici nei quali saremo incanalati: un teorema di strade invisibili nelle quali un complesso pattern di perline colorate (noialtri sassolini) formeranno un arazzo di incredibile bellezza. Non saremo solo utenti e consumatori, saremo gli ingranaggi di quella meravigliosa macchina mondo nella quale ciascuno avrà il suo posto, la sua funzione, la sua prerogativa. Non solo fruitori ma nodi di una rete la cui finalità sarà l’efficienza e la velocità con la quale la macchina sociale sarà in grado di funzionare come un gigantesco flipper. Il fine che si prospetta alla moderna società è infatti l’organizzazione in se stessa, è semplicemente la funzione produttiva in tutte le sue manifestazioni e in tutte le modalità che la potenzino in un processo di incremento e di sviluppo. Anche il tempo libero, naturalmente, in quanto momento ricreativo (e di consumo) è funzionale alla produzione. La vita è funzionale alla produzione e non la produzione funzionale alla vita. L’allungamento della vita (indipendentemente dalla sua qualità) è funzionale a tutte quelle strumentazioni che creano produzione, posti di lavoro, consumo e nuove opportunità di invenzioni mirabolanti… 

E pensare che i nostri progenitori, quelli del paradiso terrestre vivevano senza tutte le diavolerie di cui ci siamo attorniati, salvo per quel frutto che aveva ahinoi attratto la loro insana curiosità…

Forse qualcuno se ne sta già accorgendo, molte innovazioni tecnologiche stanno non solo complicandoci la vita, non solo creano le premesse per un controllo sempre più vasto e capillare sulla popolazione, ma di fatto determinano situazioni di stress e di disagio esistenziale. Da anni ormai la medicina è funzionale a se stessa, la biologia e la genetica sono strumenti di espansione economica, la fisica rappresenta lo strumento per eccellenza per la costruzione di apparati militari e di controllo. La scienza al servizio del potere e della macchina produttiva. Un esempio tra tutti la genetica. Si va sbandierando ai quattro venti che il programma genetico e la connessa rivoluzione con la scoperta della doppia elica del DNA sarà foriero di una rivoluzione in campo medico. La realtà, al di là della propaganda, è assai diversa. Appare sempre più evidente che i geni se da un lato consentono la produzione di proteine da parte degli organismi, dall'altro non sono in grado di spiegare lo sviluppo degli embrioni. La capacità di previsione della genetica si scontra con una tale complessità, dove gli strumenti matematici sono impotenti. 

La promessa della genomica di modificare interi organismi e plasmare l’uomo, sembra più che altro uno slogan per raccogliere fondi. Le molecole e le loro permutazioni non spiegano il funzionamento degli organismi. Tra un moscerino della frutta e un uomo la differenza genetica è davvero minima, ma guarda caso gli esiti formativi sono un po’ diversi: addirittura molte specie vegetali hanno molti più geni di noi umani. Le promesse del genoma stanno volgendo rapidamente ad un ridimensionamento circa la possibilità di decodificare l’uomo (reale) su base genetica. Le aziende che operano in campo biotecnologico sembrano scommettere sul futuro, ma al presente non sembra che i risultati siano eclatanti. Sequenziazione dei genomi, analisi delle proteine, bioinformatica… non sembrano spiegare la morfogenesi, nemmeno di un moscerino. E’ solo un esempio di come la scienza si occupa più che altro di profitti e di espansione settoriale, che sia davvero al servizio dell’uomo è un’altra cosa.

Del naturalista moderno si dà un esempio emblematico nel periodare di Spallanzani (Lazzaro Spallanzani 1729-1799), una prosa scientifica che ha già tutti i caratteri dell’osservazione sistematica e del metodo meticoloso della ricerca (nella fattispecie in ambito biologico) con le prime controversie scientifiche come quelle Spallanzani-Needham o quella Galvani-Volta, solo per citarne alcune emblematiche agli esordi del metodo sperimentale. Quello che però risulta ancora vago e nelle nebbie degli entusiasmi dei pionieri della scienza moderna, è il suo embricarsi, dietro alla apparente neutralità dell’uomo di scienza, quella sperimentale per intenderci, con quel contesto socio-politico che il nuovo Prometeo sembra considerare solo come uno sfondo completamente inessenziale per le sue ricerche. Lo scienziato (in senso moderno) appare nell'iconografia come un uomo disinteressato, asserragliato nel suo laboratorio che spesso per portare a termine le sue ricerche, a vantaggio di tutta l’umanità, si fa carico personalmente più degli oneri che degli onori, fino talvolta a compromettere la sua salute in nome del fuoco sacro della conoscenza scientifica (emblematico il caso di Marie Curie).

Uno dei leitmotiv della ricerca scientifica è il beneficio che essa apporta per l’umanità nel disvelare i segreti della natura che costituiscono un tesoro di conoscenze e di vantaggi per tutti. Gli experimenta lucifera e fructifera di Francesco Bacone. La retorica della scienza in effetti costituisce un potente volano per attrarre finanziamenti e per dare ai suoi paladini quel prestigio e quella considerazione che in qualche caso sono un po’ di facciata. È pur vero che nel nostro paese qualcuno è costretto ad emigrare per svolgere la sua attività con riconoscimenti economici adeguati. Ma nessuno è disposto comunque a disconoscere il valore sociale della scienza, l’enfasi sul tema della ricerca (parola suggestiva ed evocatrice) non tiene quasi mai conto del suo impatto sul piano sociale e ambientale. La ricaduta economica, posti di lavoro e profitti, mette a tacere qualsiasi distinguo. Possiamo dire che la scienza è lo sponsor più efficace del sistema industriale e produttivo che sta portando il pianeta sull'orlo del collasso. E questo è tanto più paradossale per il fatto che proprio la ricerca scientifica, in alcuni ambiti specifici, sembra essersi assunta il ruolo di monitorare e mettere a punto quegli strumenti conoscitivi ed operativi in grado di porre rimedio alle devastazioni ambientali e a quei cambiamenti sistemici che mettono in pericolo il pianeta.

Detta così, io allora sarei un oscurantista che sogna il ritorno a un mondo pastorale prescientifico. Contrariamente a quanto si crede la scienza non nasce con la cosiddetta rivoluzione copernicana (Copernico tra l’altro era un mistico ossessionato dalle sfere) ma nasce in Grecia con la filosofia. Non ci sarebbe stata scienza moderna (il metodo sperimentale) senza la grande tradizione filosofica che nasce con i presocratici prima e con Platone e Aristotele poi.

Quali sono gli strumenti più pericolosi creati dall'uomo nel corso della sua evoluzione? Le armi nucleari, dirà qualcuno. Sbagliato! Sono le idee e i pensieri. Dal neolitico, e sicuramente anche prima, nel paleolitico, l’essere bipede dalla statura eretta ha utilizzato il pensiero per creare modelli della realtà intorno a lui. Per non farla troppo lunga si è arrivati fino al modello standard dell’universo. Cosa c’è di pericoloso nel pensare per modelli? Niente se si è consapevoli che si tratta, per l’appunto, di modelli, cioè di un tentativo di afferrare la realtà attraverso delle costruzioni, delle immagini e degli strumenti concettuali, ideandola per così dire in una versione semplificata e astratta per rendercela in qualche modo conoscibile, anche per poter esercitare un certo dominio sulle cose. Fin qui tutto bene. I problemi cominciano quando si pretende di sovrapporre il modello alla realtà, come se l’uno fosse l’esatta copia speculare dell’altra. La scienza moderna, che pure è uno strumento estremamente potente, è incorsa in tale errore madornale già ai suoi esordi in quella che comunemente viene chiamata "Rivoluzione scientifica". Possiamo dire senz'altro che il primo a incorrere in tale eresia (uso volutamente la parola per ribaltare il senso della rivoluzione galileiana) è stato proprio Galileo Galilei. 

Il suo aguzzino, Bellarmino, nella sua visione strumentalistica ha tratti di modernità ben più rilevanti, dal punto di vista della filosofia della scienza, di quella dell’illustre fiorentino. 

Si è trattato di un metodo rivoluzionario che pone le basi di una scienza sperimentale quantitativa in cui ci sono già i germi di una visione della scienza di tipo dogmatico ed esclusivo nell'assunto (indimostrato) che il mondo sia scritto in caratteri matematici. Insomma, Galileo non solo mette a punto un nuovo modello di ricerca, ma lo assolutizza come specchio fedele del mondo del quale vuole fornire una chiave interpretativa. La visione eliocentrica Copernicana (con molti caratteri misticheggianti che faranno dire agli storici della scienza che la rivoluzione scientifica era ancora di là da venire), sviluppata da Keplero, vede in Galileo lo scienziato in senso moderno con tutte le idiosincrasie e i dogmatismi di una scienza contemporanea alla quale i successi tecnologici hanno dato alla testa. C’è un filo rosso che percorre tutta la storia della scienza in epoca moderna, è quello che conduce a una visione di dominio dell’uomo sulla natura (compresa anche la propria natura ovviamente). Tale assunto è foriero di delusioni mortali. 

I successi tecnologici hanno creato le premesse per quella scienza ordinaria che dà l’illusione di padroneggiare il mondo. Non a caso Friedrich Nietzsche diceva che la scienza è un insieme coerente di errori. L’errore cioè non è in una sua logica interna che di fatto utilizza inferenze induttive e deduttive perfettamente consequenziali con il metodo che ha mietuto tanti successi in campo tecnologico. Con troppa disinvoltura abbiamo scordato che il modello tolemaico-aristotelico del cosmo, con il suo sistema di eccentrici ed epicicli, consentiva, pur essendo in errore, di effettuare previsioni astronomiche abbastanza precise. Tutta la costruzione della scienza allo stesso modo potrebbe, nonostante il suo potere predittivo, fondarsi su un semplice modello che non rispecchia il reale, ma soltanto una sua qualche approssimazione. E non c’è neppure bisogno di riferirsi alla meccanica quantistica, al paradosso dell’azione a distanza e alla teoria dell’indeterminatezza. Ci sono troppe cose che ci illudiamo di sapere e di conoscere, punti fermi di cui la scienza moderna sembra essere convinta. La presunzione del moderno Prometeo che scambia il modello per la realtà di cui è solo una approssimazione, può davvero condurci alla catastrofe. Il moderno scienziato più che un Ulisse che varca le colonne del mondo conosciuto, appare come un apprendista stregone che suscita forze che poi non riesce e non sa più controllare per via di una tracotanza che lo illude di conoscere la vera essenza del mondo.

Uno dei paradigmi scientifici più controversi, salvo nel nostro paese dove il dibattito è oscurato da una sorta di pregiudizio (o meglio: di censura), è quello che va sotto il nome di morte cerebrale. Il criterio di morte cerebrale è quello inventato dal protocollo di Harvard per rendere effettuabile l’espianto da persone a cuore battente, da persone cioè che prima del nuovo criterio di morte erano considerate vive a tutti gli effetti. Inutile dire che dietro ai trapianti d’organi ci sono interessi economici colossali. Senza entrare nel tema in modo specifico, dirò solo che appare paradossale che mentre non esiste neppure una definizione condivisa intorno alla vita, c’è la pretesa da parte della scienza di interpretare il concetto di morte. Proprio per il carattere e la specificità del metodo sperimentale (del quale si riconosce tutta la portata operativa) questo non sarà mai in grado di dare una definizione della vita (e della morte) che in quanto qualità sfuggono alla determinazione dei metodi quantitativi. In un recente articolo, pubblicato su scientificamerican.com il 2 dicembre 2013, dal titolo: Perché la vita, in realtà, non esiste, si fa riferimento non a una qualche proprietà intrinseca delle cose che definiamo vive, ma alla nostra percezione di esse. Di fatto non esiste una definizione universalmente accettata della vita. E io aggiungo che non potrà mai esistere. Il perché è ovvio da un punto di vista logico. La vita presuppone che un soggetto (un io) percepisca qualcosa come vivo (non importa se si tratta di un organismo naturale o artificiale). La vita insomma presuppone sempre un osservatore che la qualifichi come tale. 

Se è vero che non esiste mai una precisa linea di confine tra vita e non vita, è anche vero che non esiste mai una precisa linea di confine tra la vita e la morte. Ma è ancora più vero che tutta l’impresa scientifica si basa su convenzioni dall'enorme potere predittivo. Quello che forse l’impresa scientifica non conosce, sono i limiti del suo metodo che per quanto potente potrebbe non essere mai in grado di cogliersi come un mero riflesso di automatismi: proprio come quei processi darwiniani di cui si fa paladina. Insomma, il metodo sperimentale, in questa ottica, più che un procedimento di conoscenza consapevole sarebbe nient’altro che un automatismo evolutivo (del quale però non saremmo ancora in grado di valutare il successo di sopravvivenza). Il darwinismo presuppone l'autoreferenzialità. Le stesse produzioni intellettuali e scientifiche non sfuggono a una evoluzione che è immanente al mondo naturale, compresa l’impresa scientifica che a tutti gli effetti ne è una sua espressione (se fosse vero il contrario verrebbe violato l’assunto - del sapere scientifico - dell’uomo come animale tra gli altri animali). In forza delle fosche nubi sul nostro futuro non è detto che la conoscenza scientifica (se considerata come ontologicamente vera) sarà idonea ad assicurarci quel futuro di delizie che sembra prometterci. La realtà è che il metodo scientifico è solo uno strumento potente e utile ma, per l’appunto, solo uno strumento che non dovrebbe mai avere la pretesa di cogliere il mondo nella sua essenza e di sostituirsi al buon senso e alle opzioni basate sul criterio di libertà. 

Qualunque forma di determinismo, compreso quello scientifico, sono un’offesa e una lesione alla dignità dell’uomo. Forse l’umanesimo con il manifesto di Pico della Mirandola ha ancora molto da insegnare alla tracotanza di certa ‘scienza’.

«Adamo, non ti diedi una stabile dimora, né un'immagine propria, né alcuna particolare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso. Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz'essere costretto da nessuna limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell'arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine.»                                    
                                                         Pico della Mirandola, dalla Oratio de hominis dignitate

L’immagine che la scienza moderna sta dando dell’uomo, solo una macchina biologica senza libero arbitrio, potrebbe davvero essere l’opzione con la quale il moderno Adamo ha compiuto la scelta di essere soltanto un automa senz'anima, una macchina, un terminator che agisce mediante l’istinto cieco del suo programma di sopravvivenza. C’è nell’impresa scientifica - quella che sta vivendo il suo enorme sviluppo nell'ultimo secolo - un lato oscuro che più che alla conoscenza fa riferimento al potere più che alla razionalità, alle pulsioni inconsce del freudiano disagio della civiltà, più che al benessere collettivo a vantaggio di sparute minoranze. Una scienza insomma che dietro alla retorica del bene comune e del sapere, nasconde fini inconfessati.  Saggio di Gilberto Migliorini

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7 commenti:

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto,
riesci sempre a precedermi. Comunque, anche se i nostri argomenti sono strettamente collegati, penso che sarà interessante il nostro confronto.

Anonimo ha detto...

Carissimo Manlio
Sono curioso di sapere come sono riuscito a precederti. Devo possedere un sesto senso. Sarò felice di confrontarmi con chi come te ha talento e dimostra originalità e anticonformismo. Sarò lieto di apprezzare il tuo contributo.
Ciao
Gilberto

Manlio Tummolo ha detto...

Ne ho anticipato qualcosa per l'articolo precedente. Riguarda le motivazioni dalla mia prossima uscita da INTERNET.

PINO ha detto...

@ GILBERTO
Una "visione" futurista molto verosimile. Congratulazioni.
Pino


@ MANLIO
Mi incuriosisce morbosamente il motivo che ti spinge ad una così radicale decisione.
Pino

Manlio Tummolo ha detto...

Caro Pino,

dovrai attendere qualche giorno da parte mia; e poi, secondo la decisione del nostro Massimo, gestore del blog; oppure eventualmente ti manderò l'articolo via posta elettronica.

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo amico Gilberto complimenti per l'ottimo articolo.Non lo so se il futuro sarà radioso,per ora è un po opaco,scienza e tecnologia fanno passi da gigante e tutto cambia in maniera vertiginosa,quindi niente previsioni catastrofiche, direi di aspettare gli eventi per poterci vedere dei lati positivi.Gli antichi nel fare certe previsioni si può dire che hanno indovinato e che tanti traguardi sono stati raggiunti.Prevedere se il futuro sarà roseo è un po azzardato,neanche un mago ci riuscirebbe,al massimo potremmo affidarci a certi trattati filosofici di personaggi illustri.Può essere che le tue visioni futuristiche si avverino,chi può dirlo con esattezza? nessuno,non possediamo sfere di cristallo.Il tuo umile scudiero ti augura una serena notte caro amico, e cerca di sognare cose belle mi raccomando,ciaooo.

Anonimo ha detto...

Carissimo Vito
Alias scudiero, amico e sostenitore, scusandomi per il ritardo nel commentare il tuo commento che come al solito coglie l'essenza del problema, mi riprometto di telefonarti quanto prima per fare il punto della situation...
A presto
Gilberto