martedì 3 settembre 2013

Il Blog, ovvero uno psicoanalista virtuale...

Articolo di Gilberto M.


Confesso che il tema mi stuzzica non poco. Può un blog fungere da psicoanalista virtuale? Sistema Eliza con rapporti fantasmatici tra utenti del blog? Direi talmente interessante da ispirare un film, non so ancora bene se di fantascienza o semplicemente una commedia, forse un thrilling psicologico, un family life. Tema non facile, troppe incognite da padroneggiare, potrebbe scappare di mano. Si rischia il flop, a meno di non chiamarsi Alfred Hitchcock. Per cominciare non si sa nemmeno chi sia lo psicoanalista e chi il paziente, chi la vittima e chi l’assassino. Come nella migliore science fiction (vedi Alien) è proprio la vittima a fare a pezzi chi lo voleva notomizzare (o psicoanalizzare). Nell’anonimato del blog, nel gioco speculare, si finisce per scoprire che il pazzo psicotico in realtà era proprio lui, lo strizzacervelli. Non è detto che prima di poterlo assicurare in mani esperte non abbia già disseminato lo spazio virtuale di vittime innocenti - poveri diavoli plagiati, sedotti e bidonati - proprio come per un vero serial killer.

Purtroppo non esiste ancora un test di Turing per smascherare l’androide che indossa abiti umani o addirittura che si spaccia per il dottor Freud (siamo tutti aspiranti psicoanalisti e pazzi da legare). Naturalmente non solo per convenzione mi ci metto anch’io nel numero dei possibili furbacchioni, come a qualcuno di mia conoscenza piace dire, anche se per la verità il ruolo del paziente un po’ defilato mi andrebbe a pennello. Le proiezioni fantasmatiche (si chiamano così quei meccanismi di difesa contigui tra normalità e paranoia) fanno parte di un repertorio comportamentale del tutto ordinario (la quotidiana follia che ci vede coinvolti, chi più e chi meno). In fondo siamo tutti un po’ borderline. Nella psicoanalisi freudiana lo psicoanalista siede dietro al paziente, fuori dal suo angolo di visuale. E’ una prima analogia in un sistema (il blog) dove nessuno vede nessuno (a parte qualcuno in teleconferenza o con una webcam dedicata a mostrare le vergogne), solo parole, quelle libere associazioni con le quali (nonostante ci sia un preciso argomento di discussione) la mente può vagare liberamente nell’etere e portare a galla materiale profondo, la parte nascosta, occultata e rimossa… proprio la lingua che batte dove il dente duole. Associazioni libere, quei pensieri che affiorano spontanei, senza censure. Niente immagini, nessun suono e nemmeno profumi (i cattivi odori però si possono immaginare da certi toni caustici e nauseabondi). 

Per i sapori ci si affida al proverbiale gusto personale (non sempre all’altezza di una buona cucina). In fondo il tema del giorno nel blog, con i suoi incerti confini, è soltanto un’occasione per parlare di noi (per interposta persona ed argomento), per provare a noi stessi che esistiamo veramente (è il dubbio metodico del cogito che perviene all’esistenza mediante un percorso di outing, talvolta un doloroso itinerario di pentimento e disvelamento). L’argomento, omicidi stupri e delitti, fa appunto da stimolo per rievocare le antiche fantasie edipiche, come per il povero marito di Giocasta tormentato dall’oracolo di Delfi. Un interlocutore invisibile è uno schermo davvero appetibile per quel transfert non solo ideativo: amore-odio per quel nickname dietro il quale sembra già di ri-conoscere qualcuno in filigrana...

Il fatto è che nemmeno l’autore del blog può indossare i panni dello psicoanalista. Sarebbe troppo facile e scontato, ma soprattutto troppo pericoloso farne un terapeuta, tutt’al più un coadiutore, per una terapia di sostegno nello psicodramma. Un conto padroneggiare le proiezioni di un singolo paziente, con quell’immagine così evocativa che invita i suoi fantasmi ad uscire dalla stanza (quel teatro dell’inconscio). Altro è far da schermo alle proiezioni di centinaia (o forse migliaia) di utenti-pazienti infervorati e incazzati contro uno psicoanalista non del tutto virtuale. Il povero gestore dello spazio scenico (il blogger) avrebbe un bel daffare a gestire il transfert di una pletora di postulanti anonimi e per giunta con personalità psico-caratteriali… Credo che l’autore non ambisca a un ruolo così impegnativo ed oneroso. Però di sicuro può fungere da pater familias. Con un buffetto qua e una tirata d’orecchi là, ricuce e rincuora, sostiene e incoraggia, emenda e corregge, con tollerante e benevola accondiscendenza, le intemperanze e le cadute di stile di un utente frustrato e intrattabile. Niente di analitico, solo la sintesi del buon senso e della filosofia del “finché la barca va lasciala andare”. Solo nei casi estremi si vede costretto a bandire (bannare) il reprobo recidivo e recalcitrante alle regole della netiquette. 

A uscire dalla stanza in tal caso è proprio lui, il trasgressore, mentre i suoi fantasmi per un po’ continuano a vagare nell’etere e nella testa dei suoi competitori ed epigoni (ormai orfani di un antagonista che davvero faceva alle bisogna). In fondo il blog assomiglia proprio a quella famiglia allargata con tutti quei legami edipici, quelle risposte allusive, quei nodi esistenziali… insomma quelle incomprensioni che si manifestano all’interno di qualsiasi comunità che si rispetti. La perfezione assomiglia più che altro a certe famiglie inamidate dove tutti stanno nel loro ruolo apparentemente senza confliggere né trasgredire, con quei doppi legami, quelle risposte tangenziali di disconferma e di negazione. Rapporti incongruenti tra il livello esplicito (verbale) e quello metacomunicativo (gesti, tono di voce, posture, espressioni del viso…). Nel nostro caso, mancando i riferimenti non verbali (quei cinque sensi così evocativi), ci si affida all’utilizzo di stratagemmi grafici (spaziature, grassetto, corsivo, faccine, pseudo-suoni onomatopeici, punti esclamativi, ridondanze…). La fantasia creativa supplisce a quella mancanza di riferimenti sensoriali ed espressivi (nella nudità della stanza virtuale di quel rettangolo così poco evocativo) con simulazioni che aggirano i limiti del mezzo espressivo e soprattutto consentono quel ritorno del rimosso sotto le mentite spoglie del segno grafico, dell’omissione, del lapsus e degli atti mancati. 

Talvolta si tratta di errori per dare ad intendere vuoi una spontaneità nella trascuratezza lessicale, vuoi un estro privo di orpelli sintattici, vuoi una creatività primitiva scevra da insulsi bon ton da monsignor Della Casa. Perfino l’ortografia segue le linee guida di una psicologia dell’istantaneo, una espressione concisa, telegrafica, senza più quell’inutile armamentario di segni interpuntivi, trasformata in simboli, sigle e abbreviazioni, geroglifici... una neolingua talora criptica e occulta, sempre ambiguamente polisemica. La teatralità e la creatività dell’inconscio non si scoraggia certo per quel rettangolo scarno e disadorno dove occorre trasferire le pulsioni istintive, incidere i desideri e gli affetti. Spesso si tratta di quegli inconsapevoli errori di battitura, smagliature e allitterazioni nella trama del testo discorsivo, talvolta soltanto replicazioni del post (epanalessi e ridondanza oratoria). Lapsus a connotare il versante obliterato di un discorso implicito, disfrasie apparentemente accidentali, puntigliosi richiami alla citazione di qualche reprobo in odore di riprovazione. E poi quelle dimenticanze e quegli smarrimenti, quelle amnesie con le quali si producono equivoci e qui pro quo. Per non parlare della spaziatura, quel niente che si frappone tra le righe, come se si trattasse di una impaginazione innocente e casuale. 

Il segno grafico, l’omissione, perfino la cadenza temporale, tutto sembra alludere a quel mondo sotterraneamente collusivo, inconscio, nel quale si dispiegano e organizzano alleanze, complicità, tradimenti, complotti... quel versante più o meno inconsapevole dell’animus discorsivo. E poi c’è l’anonimo con quel folgorante do di petto, meglio perfino di un tenore, che scaglia anatemi e oscure minacce, una sorta di indovino che d’improvviso esplode sulla scena con un grassetto intercalato dal corsivo, che grida ai quattro venti furore, sdegno, vendetta, sciagura... verso gli allibiti e intimoriti abitatori del blog. Quell’altro anonimo che gli fa da spalla e che si firma con una sola lettera tremebonda usa invece l’arguzia della reticenza, l’aposiopesi, tacendo la conclusione in una sorta di suspense che lascia intuire gli scatti d’ira e il sarcasmo. Si indovina il suo dito rivolto al cielo e la maledizione che pende come la spada di Damocle. Ci sono poi anonimi bacchettoni che sembrano dei Savonarola, fustigatori di costumi corrotti per qualche messaggio osé tra maggiorenni vaccinati. E’ il bello della diretta con quel periodare talora un po’ monocorde che però, appena si fiuta il vento di tempesta si inalbera e si risveglia... tira fuori termini evocativi, perifrasi immaginifiche, iperboli, ellissi, epiteti, invettive… tutto l’armamentario delle figure retoriche.

Se la mia intuizione non mi tradisce direi proprio che il blog è un’ottima palestra per quell’esercizio che va sotto il nome di psicoterapia. E’ ancora da decidere se freudiana, junghiana, reichiana… o semplicemente centrata sul cliente (rogersiana). Intanto bisogna chiarire che la stanza non risulta situata topologicamente. Sarebbe un bel daffare seguire e localizzare ciascuno nello spazio reale nel contesto non solo geografico, ma anche linguistico, culturale, biografico (per quanto la diavoleria informatica davvero forse lo consenta). La stanza è nell’immaginario dell’utenza un luogo dell’inconscio, quel luogo un po’ onirico e un po’ immaginario dove creiamo i nostri avatar, quegli interlocutori un po’ costruiti attraverso il taglia e incolla e un po’ mediante una chirurgia dell’immaginario (fare a pezzi e assemblare il nostro alter-ego). Pensare a un luogo senza luogo è già una bella allegoria dell’inconscio, una stanza situata in un non-luogo, aperto allo sperimentalismo, talvolta quello più estremo, con il quale dar sfogo alle pulsioni profonde, alle fantasie perverse, talvolta ai desideri inconfessabili, a quella infantile (freudiana) sessualità polimorfo perversa. Per carità, niente di scandaloso, si tratta per l’appunto del normale sviluppo psico-sessuale. Il luogo in definitiva è quel rettangolo dove si materializzano i segni dell’anima, il verbo manifesto con il quale l’internauta interagisce, talvolta allusivamente (lasciando solo indovinare il contenuto latente dei suoi messaggi), solleticando gli interlocutori con vezzo giocoso e ammiccante. Altre volte con quel tono perentorio e diretto che non disdegna l’utilizzo di termini espliciti, epiteti e appellativi talora desueti, gergali, istrionici, cavati fuori da una mente fervida… sempre molto espressivi e accattivanti.

L’età anagrafica degli interlocutori è incerta, indeterminata, piuttosto approssimativa. Anche quando si conosce non ci dice più di tanto, talvolta l’età evolutiva si protrae fino alle soglie della vecchiaia. Qualcuno la chiama adolescenza prolungata. On line siamo tutti senza età: per quanto possiamo intuire che dietro una mente fertile e originale non ci sia necessariamente un corpo tonico e muscoloso o che al contrario una supposta giovinezza non attesti flessuosità ed eleganza e/o una prontezza di riflessi... Qualcuno si proclama bellino e talaltro è un’anima bella, qualcuno si dice decrepito e magari è un giovincello, insomma ce n’è per tutti i gusti. L’identità on-line è diversa da quella off-line, addirittura in qualche caso non è detto che sia addirittura più fedele nella sostanza del soggetto, la sua vera essenza immateriale. Quell’anima disincarnata e impalpabile, solo un ectoplasma, può essere perfino essenzialmente più vera di quel corpo fisico realmente esistente. Un po’ come nella figura del cyborg che sembra una macchina per via dei prolungamenti e degli accessori che amplificano il suo corpo naturale, ma che a tutti gli effetti è un’anima senziente, o dell’androide che sembra un uomo (per via del suo perfetto simulacro), ma in realtà è solo ferramenta. Nella conversazione on-line si è più simili ai famosi cervelli nella vasca, nutriti e stimolati fino a credere di avere davvero un corpo fisico e di interagire con altri corpi fisici. C’è poi l’aspetto di genere, quel problema dell’identità sessuale: psichiatri on-line travestiti da gentil sesso (psicologicamente parlando) per carpire confidenze di donne reali. In fondo anche i generi sono un fatto convenzionale, si nasce maschio e femmina, ma si diventa uomo o donna per scelta insindacabile. Corteggiatori maschi che si travestono da donne, ottantenni che si spacciano per adolescenti, doppiogiochisti, esibizionisti, identità multiple... una fenomenologia di proiezioni fantasmatiche, il bello della chat, il bello della diretta.

Fin qui però abbiamo solo cincischiato, ciarlato, forse sorriso e ironizzato, scherzato. La domanda di partenza era però se il blog può diventare uno psicoanalista virtuale, con una vera relazione, empatica e congruente, autenticamente interpersonale, con  un terapeuta che sia genuinamente se stesso, senza maschere di comprensione e di interessamento, senza paludamenti e infingimenti, una vera guida spirituale. Io credo di sì, credo che un blog, soprattutto se ben amministrato, possa diventare qualcosa che non parla solo di argomenti (per quanto attuali, interessanti e ideali). Un blog parla anche dei suoi utenti e utilizzatori, parla di noi internauti per diporto e per passione, parla per dirla enfaticamente della nostra anima. Esporsi con delle idee, con uno stile comunicativo, con dei giudizi personali, comporta, per tutti, il rischio di essere colti in fallo, di manifestare involontariamente le proprie debolezze, le proprie ansie, i propri bisogni affettivi. Chi non si espone, chi si nasconde tra le righe, magari con glosse marginali e minimali, un cacastecchetti, uno spilorcio con qualche imbarazzo intestinale, di sicuro non corre il rischio di evacuare qualche fatto personale. Se ne sta davanti al monitor come certe controfigure messe lì a bella posta per fare le belle statuine, con quel vezzo ogni tanto ad emettere qualche suono cacofonico dalla bocca e qualche flatulenza dal sedere. Per i cacacazzo invece c’è soltanto l’opzione di lasciarli vomitare. Anime compulsive che mettono impegno e abnegazione nella loro ragione di vita, quasi una missione. Gli esibizionisti raccolgono un claque rumorosa: epigoni, saltimbanco e adulatori che pendono dalle sue labbra come equilibristi.

La frustrazione da parte di un qualsiasi interlocutore è dietro l’angolo. Lui ci può deridere, ferire, annichilire anche con una parola se ci colpisce nel punto giusto, come un fioretto che ci penetra dentro il cuore. Ne uccide più la lingua della spada, e ancor più ne uccide l’ipocrisia e l’indifferenza. Ognuno di noi ha quel giardino segreto nell’anima dove non far entrare gli intrusi... solo quelli che amiamo e di cui ci fidiamo. A loro confidiamo le nostre pene e le nostre speranze, apriamo il nostro cuore. Nessuno è immune dal rischio di venire messo a nudo, sbeffeggiato e deriso. Solo chi ha la pelle spessa come quella di un drago, di un leviatano, è immune alle ferite affettive. Ma quello non è più un uomo, è solo un automa programmato. Solo chi si limita a criticare e non apporta neppure un misero stecco alla discussione non corre il rischio del sospetto. In un blog si accostano e si scontrano sensibilità diverse: e questo non è un limite, è un arricchimento perché ci abitua a lavorare su noi stessi, a comprenderci meglio per riuscire a comprendere il nostro interlocutore invisibile. E’ come guardarci mentre osserviamo guardandoci osservare… Lo specchio dell’altro ci rileva tanto di noi stessi, ci abitua all’introspezione, a lavorare sulle pulegge e gli attuatori della nostra anima, del nostro io. 

Sperimentiamo nuove modalità di rapporto. Possiamo fuggire via dal blog in qualsiasi momento quando non ci dà più niente, quando il giocattolo ci ha stancato, quando abbiamo qualcosa di meglio da fare. Quando sentiamo che l’esperienza si è conclusa e che è tempo di alzare la vela perché il nostro io ha bisogno di rimettersi in viaggio. Ma possiamo andar via anche quando qualcosa ci preoccupa, quando ci sentiamo a disagio, quando non ci sentiamo riconosciuti per quello che siamo veramente. E’ quello il momento nel quale decidere se rinunciare o cercare di vincere le nostre paure. Il blog in fondo è solo una finestra sul monitor, un rettangolo di parole, un piccolo mondo virtuale con interlocutori senza volto e senza nome (e se poi hanno un nome... cos’è un nome, lo dice anche Giulietta a Romeo, il profumo di un fiore non dipende certo dal suo nome...). Possiamo spegnere il computer proprio come fosse il televisore, abbandonare i nostri interlocutori al loro destino? Al diavolo tutti quei perdigiorno! Non proprio… lì c’è una sfida. Con qualche antagonista che ci perseguita e ci infligge umiliazioni? Con qualcuno che sentiamo possa sopraffarci? No, una sfida con noi stessi. La partita è autoreferenziale, l’altro è solo uno strumento, qualche anonimo interlocutore che ci serve per mettere a punto una nuova visione di noi, uno schermo della nostra traslazione affettiva, delle nostre emozioni. 

Il blog è una scacchiera dove si può abbandonare la partita pensando che il matto sia vicino e non ci sia più niente da fare, oppure continuare affinando la strategia, perché l’antagonista siamo ancora noi, il nostro alter ego che il transfert proietta su quel contendente che ci appare nelle vesti di uno spadaccino, di un pugile, di un guerriero, di un alieno, di un leviatano. E magari proprio come noi indossa una corazza…

Nel blog qualcuno ci viene in aiuto? Alleanze effimere e tenaci, precarie e strumentali. Dinamiche di gruppo? Leader che talora cadono dal piedestallo magari con un colpo di stato? Siamo anime inquiete, cerchiamo l’avventura, cerchiamo noi stessi in quello specchio senza volto e senza nome. Gilberto M.

P.S. Qualcuno già comincia a sospettare che l’autore del blog (il Blogger) sia un sistema esperto di ultima generazione, un Eliza implementato per un esperimento on-line di psicologia sociale. Si sussurra che quando afferma di essere in vacanza, in realtà sia in manutenzione per l’aggiornamento del software.

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18 commenti:

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto eccomi a commentare il tuo fantastico articolo.Lo ammetto,un po mi sono divertito,hai trattato l'argomento come fossi un virtual professor,un internauta,non ti vedo ma ti ammiro,apprezzo i tuoi articoli,e tante volte cerco di capire, chi è Gilberto? Muoio dalla voglia di scoprire chi si nasconde dietro al computer,il suo volto,le sue espressioni,il suo sorriso,il suo sarcasmo con un pizzico di ironia,insomma,chi sei e qual'è il tuo volto.In un blog si è,e non si è,laureati,diplomati,intellettuali,persone semplici,comunichiamo scrivendo commenti sia per un tema che per un'altro,ci poniamo domande e dopo ci arrivano le risposte,il loro pensiero,le loro idee,una giusta interpretazione di quello che si sta trattando,insomma il classico gruppo di famiglia in un blog,e di cui dobbiamo ringraziare il proprietario per la sua ospitalità.Ciao carissimo "marziano",e un abbraccio dal tuo fedele scudiero Vito.

Anonimo ha detto...

Caro Gilberto,

il tema della psicologia dell’internauta è molto ampio e complesso Basta pensare a fenomeni come quello del blog Grillo, talmente imprevedibili e travolgenti da riuscire persino a varcare democraticamente il portone del Parlamento, o a quelli relativi ai network o alla quotidiana e costante navigazione in Internet la cui forza innovatrice sta producendo vere e proprie mutazioni antropologiche tanto da obbligare psicoterapeuti e psicoanalisti a modificare e rivedere molti metodi e tecniche di approccio con i loro pazienti

Pertanto, fermo restando l’apprezzamento per cognizioni altamente specifiche da te dimostrate nella stesura di questo trattato , ritengo però che tale dispendio di energie sia sproporzionato al caso in quanto il tuo articolo, dopo un simpatico generico excursus di massima, si sofferma per la maggior parte sul limitato ”campione” caratteristico di questo determinato blog. rappresentativo unicamente di un microcosmo insignificante all’interno delle immense problematiche del più vasto universo internettiano

Direi anzi che questo nostro spazio , pur nella sua indiscussa virtualità, è molto reale e convenzionale e poco si presta alle complicate interpretazioni legate al mondo del web .

Infatti, nel nostro caso, la dicitura “Gruppo di famiglia in un interno…. casualmente allargato ” sarebbe, a mio avviso, la più indicata


ENRICO

Annamaria Cotrozzi ha detto...

L'articolo di Gilberto è secondo me molto bello, perché fa riflettere su vari aspetti del nostro presente. Intanto, sì, sono d'accordo sul fatto che un blog (così come un gruppo fb) possa sviluppare meccanismi e scatenare dinamiche rilevanti sotto il profilo psicanalitico.

Sul piano della tecnologia informatica, quanto scritto da Gilberto fa inoltre intravedere scenari ben più che preoccupanti, direi da vertigine: ci si potrà trovare in bilico fra l'essere e il non essere, fra il materiale e il virtuale. La comunicazione rischerà di trasformarsi, in senso proprio, nel suo contrario, cioè in totale alienazione (quindi nella perdita di sé e degli altri). Per uscire dai toni apocalittici, vi dico che mi sono divertita a immaginare trame di romanzi, film: per esempio, un fake che si innamora di un altro fake (l'amore più impossibile che ci sia...), un virus informatico che svolge il ruolo di Iago e rovina tutto, falsi profili in cerca d'autore e così via.

Scusate, ho scherzato un po': però, sul serio, complimenti e grazie a Gilberto.

Anonimo ha detto...

Caro Enrico
Ti ringrazio per l’apprezzamento e per le "cognizioni altamente specifiche" (sia pure rappresentato con bonaria e accattivante ironia), un dispendio di elogi (virtuali) per quello che non vuole essere un trattato, ma solo un divertissement, un semplice excursus nel mio personale immaginario, un outing appunto come lascio ben intendere nel mio articolo. Riguardo al campione non sarei così sicuro della sua insignificanza. La realtà del transfert è uguale sotto tutte le latitudini e in ogni ambito interpersonale che sia quello on o off line. Sovente i gruppi di famiglia sono proprio quelli più significativi in una realtà globale che si caratterizza per lobby di potere esclusivi dove regnano le pulsioni istintuali più primitive. Le mutazioni antropologiche poi, sono più che altro una questione di facciata. Il vecchio divano dello psicoanalista non sembra ancora andato in pensione, almeno in quanto metafora di quel freudiano “Disagio della Civiltà” che sembra coinvolgerci davvero tutti. Riguardo ai fenomeni internettiani e all’esigenza degli operatori del settore ad aggiornare le loro tecniche di approccio psicoanalitico, penso che sia un’esigenza auspicabile, soprattutto per via del disagio collettivo a cui faccio riferimento. Chissà che qualcuno non abbia in animo proprio l’idea che ho scartato nel mio articolo, un’analisi del profondo via internet con pazienti multipli in simultanea. Uno psicoblog (o blob?) dai costi popolari e dagli esiti imprevedibili. Chissà… non si può mai sapere… Gilberto

Anonimo ha detto...

Cara Annamaria
Grazie, il mio articolo voleva stimolare una riflessione sull’immaginario della rete. Il fake rende bene l’idea letteraria della commedia degli equivoci aggiornata al virtuale di quello zoo internettiano dove vere e false identità si mescolano in un palinsesto (e in certi casi diventano vere e proprie frodi informatiche). Ma il tema, al di là di una sua possibile traduzione in un film esilarante e… drammatico di scambi di persone, falsi profili, simulacri… è quello del transfert, di quella relazione affettiva del nostro io. In questo senso le dinamiche in rete possono anche avere una valenza positiva nella misura in cui sappiamo e riusciamo a controllarne gli esiti. Considerando ad esempio i nostri interlocutori anche come proiezione delle nostre idiosincrasie, dei nostri bisogni e dei nostri desideri, leggendo, per così dire, nell’altro (invisibile) anche una parte di noi stessi). Gilberto

Anonimo ha detto...

@ Gilberto

onsiderando ad esempio i nostri interlocutori anche come proiezione delle nostre idiosincrasie, dei nostri bisogni e dei nostri desideri, leggendo, per così dire, nell’altro (invisibile) anche una parte di noi stessi)

ma questo processo avviene costantemente ANCHE con gli interlocutori ben visibili ed identificabili !

"un’analisi del profondo via internet con pazienti multipli in simultanea. Uno psicoblog (o blob?) dai costi popolari e dagli esiti imprevedibili. Chissà… non si può mai sapere"

Spero che MAI si verifichi una simile sciagura
Siamo già "pazzi" abbastanza da non aver bisogno di ulteriori rafforzamenti in tal senso

cordialmente

ENRICO

Anonimo ha detto...

Enrico, d'accordo con te.
Evidente che stavo scherzando.
Quanto invece all'anonimato dell'interlocutore (invisibilità) ritengo sia l'elemento interessante (un plus) come ho cercato di spiegare nell'articolo.
Con simpatia
Gilberto

Anonimo ha detto...

@Giacomo

Quanto invece all'anonimato dell'interlocutore (invisibilità) ritengo sia l'elemento interessante (un plus)

E' ovvio ! Con l’anonimato si confrontano solo “le menti” immateriali degli interlocutori prive di interferenze o condizionamenti esterni : tono della voce, gestualità, mimica facciale, aspetto fisico, sesso, età, stato sociale, professione, ruoli pubblici, nazionalità ecc..…che potrebbero facilitare un dialogo o parzialmente inibirlo così come potrebbero del tutto bloccarlo o sconsigliare d’intraprenderlo

E’ questo uno dei grandi vantaggi dell’anonimato in internet e nello stesso tempo anche uno dei suoi maggiori pericoli. Dipende delle finalità e dalle tendenze di chi si nascondo dietro la maschera dell’avatar scelto per la propria “reincarnazione” virtuale

Con questo concludo l’interessante scambio di idee perché, almeno da parte mia, non posseggo le necessarie competenze per affrontare con maggior approfondimento la complessità dell’argomento

Bravo !

ENRICO

Anonimo ha detto...

GILBERTO, scusami !

nel mio ultimo post confuso il tuo nome con quello di Giacomo
IMPERDONABILE

ENRICO

Anonimo ha detto...

@ Enrico
Lapsus freudiano
Ciao
Gilberto

Mimosa ha detto...

@ Gilberto M.
mi compiaccio anch’io per il trattato, interessante anche questa volta il taglio.
Ho riconosciuto tutte le figure delineate.
Però, da “furbacchione”, finto “aspirante psicoanalista”, sai benissimo di trarre in inganno molti, ma non tutti, c’è sempre un paziente “resistente” che in questo caso sono io: come posso affidarmi a lui e fidarmi di lui se si presenta nella stanza con il solo nome e iniziale di un ipotetico cognome puntata? E poi solleva obiezioni su chi si firma con le iniziali e si trincera dietro l’anonimato …
Mi hai fatto venire in mente un tizio che si dichiarava “comunicatore” di professione e come avatar aveva inserito una sua foto con gli occhiali scuri … naturalmente glielo ho fatto notare!

Ma tu esisti davvero? O anche tu sei un ectoplasma, una sostanza immateriale che tenta di occupare spazio in uno “zoo internettiano dove vere e false identità si mescolano”?

Concludi l’articolo dicendo: “Siamo anime inquiete, cerchiamo l’avventura, cerchiamo noi stessi in quello specchio senza volto e senza nome”, evidentemente includendoti, ma allora tu scrivi tutti questi trattatelli perché hai bisogno di cercarti, di trovarti, di recuperare il tuo ES?
E rassicurarti come analista di professione, ammesso che lo sia e che io, liberissimamente, non credo?
Dici e non dici di te, da “furbacchione”, come ti definisce più o meno scherzosamente il nostro comune amico, però in questo articolo dipingi negativamente un po’ tutti (io veramente non mi ci sono trovata e quindi non dovrei obiettarti nulla di personale), dall’alto di una cattedra.

Invero, l’argomento in generale “stuzzica non poco” anche me, anche se le diatribe dialettiche non mi entusiasmano, a meno che non si svolgano de visu, dove prevale la mimica.
Da intelligente quale sei, avrai senza dubbio capito che questo mio intervento non è una pura critica, quanto piuttosto una divertente provocazione.

Sentitamente
Mimosa

Anonimo ha detto...

Cara Mimosa
Forse ti è sfuggito qualcosa del mio articolo. Non sono certo io lo psicoanalista, anzi nell’articolo è detto che mi considero un paziente un po’ defilato. Non solo, ma nell’articolo è implicito che non devi fidarti se non di te stessa, ovviamente. Non ho mai sollevato obiezioni su chi si trincera dietro l’anonimato o si firma con le iniziali, anzi l’invisibilità dell’interlocutore è una credenziale fondamentale per produrre quel transfert emotivo e quella riappropriazione di sé. In merito a questo articolo è poco importante che io esista veramente (ho parlato infatti di un sistema Eliza), più importante è invece che io esista come interlocutore. Ovviamente, se esisto non come mero stratagemma virtuale, anch’io cercherò il mio interlocutore (come tutti) per recuperare il mio di ES. Ti confermo senz’altro che non sono un analista e che mai vorrei esserlo. Non è vero che dipingo negativamente un po’ tutti dall’alto di una cattedra, e questo potrebbe essere un motivo di riflessione del tuo di transfert. Trovo intrigante la tua provocazione, senz’altro molto intelligente e stimolante.
Gilberto
P.S. Ripensando al ritrovarsi in una descrizione, e a quelle diatribe ‘de visu’ alle quali fai riferimento, credo che in effetti la mimica potrebbe aiutare molto. Per questo qualcuno introduce quelle faccine che la simulano. Il problema è che la mimica facciale è quanto di più complesso ci possa essere per esprimere i propri stati d’animo. Qualcuno ha provato a decifrarli interpretando gli infiniti toni muscolari di un volto. Certo, il volto rivela moltissimo di noi, così come quello che diciamo e che argomentiamo. Nel nostro caso dobbiamo limitarci alle parole e a tutti quegli stratagemmi grafici a cui faccio riferimento nell’articolo e nella speranza di entrare in comunicazione con il mio interlocutore anche in assenza di quegli altri segnali sensoriali.

Mimosa ha detto...

Caro Gilberto
Ti cito: Non è vero che dipingo negativamente un po’ tutti dall’alto di una cattedra, e questo potrebbe essere un motivo di riflessione del tuo di transfert, eh, no, non fare questi giochini con me… tranfert, specchio e compagnia bella

io sono il contrario di quello che sembro e sono come voglio sembrare.

Ciao, spengo tutto.
Mimosa

Anonimo ha detto...

Cara Mimosa

Mi dispiace di aver detto qualcosa che ti è dispiaciuto. Ti assicuro che la mia era solo una innocente e divertente provocazione, una variazione sul tema proprio da te proposto. Spegnere tutto può avere tanti significati, spero che sia solo un motivo di riflessione, un altro modo (paradossale) per riannodare i fili. Trovo infatti molto profondo il tuo aforisma "io sono il contrario di quello che sembro e sono come voglio sembrare", davvero intrigante e... misterioso.
Ciao
Con simpatia Gilberto

Mimosa ha detto...

Caro Gilberto, buongiorno

hai colto bene, ho spento il pc e la conversazione nonché... il cervello, l’ora era fin troppo tarda anche me nottambula, ma vedo che tu avevi resistito
e poi qui si preparava un temporalone e in quelle situazioni stacco subito il pc.
Non sono "dispiaciuta" per il transfert che mi trasferivi, solo mi ribello quando qualcuno insinua quella specchiatura su di me. Ti do l’impressione di essere una che “parla dalla cattedra”?

Con simpatia, Mimosa

Anonimo ha detto...

@Mimosa
Stanotte mi sono svegliato perché non riuscivo a dormire. Quando mi succede lavoro al computer. Sono contento per la tua replica. La mia era poco più di una battuta, e questa tua risposta dimostra comunque che avrei avuto torto. D'altro canto devi riconoscere che siamo sempre qualcosa in più di quello che sembriamo, ci sono aspetti di noi che non conosciamo (il nostro quadrante cieco) e gli altri sono un'occasione per conoscerlo e per conoscerci. (Questo vale per entrambi naturalmente). Mi ha fatto davvero piacere questa tua risposta, spero di avere occasione di parlare ancora con te, sia pure nel rettangolo dei commenti, ti apprezzo molto più di quanto tu creda. Un abbraccio (virtuale)
Gilberto

Mimosa ha detto...

Se hai piacere, Gilberto, possiamo scambiarci un po’ di idee sul tema. Dopotutto lo sforzo per il lavoro che hai fatto merita un adeguato risconto, prima che venga infestato da commenti sui casi di omicidio ;-)

La mia prima considerazione riguarda il livello espressivo delle persone che scrivono in un social. Davvero sarebbe bello che tutti gli internauti capissero il peso delle parole scritte, in primo luogo le loro e poi quelle altrui, in assenza del sistema dell’apparato non verbale!
Per esempio la frase che ti ho rivolto: «eh, no, non fare questi giochini con me… tranfert, specchio e compagnia bella», come tante altre frasi scheletriche che ho postato qua e là nel blog, potrebbe essere percepita e mentalmente letta dall’interlocutore (anche dagli altri) come fosse pronunciata con tono di voce acuto, fronte aggrottata, labbra piegate all’ingiù (persino con indice della mano alzata), rappresentazioni di un’emozione di fastidio, o di risentimento, o di sfida e persino di minaccia larvata.
Però, potrebbe anche essere percepita e mentalmente letta con nelle orecchie un’intonazione ironica, sarcastica, di bonaria sfida canzonatoria, lasciando aperta la possibilità di una replica sullo stesso tono e con una conclusione simile ad una battuta che alla fine potrebbe far ridere i presenti (qualora la conversazione si svolgesse faccia a faccia).
E ti confesso che io sono una persona dalla battuta sempre pronta, sia tagliente quando l’interlocutore si merita di essere bloccato, sia umoristica perché sto bene con persone simpatiche e intelligenti.
Nello scritto mica posso utilizzare tutte le emoticon (che tra l’altro pochi comprendono) …

La cosa grave è che purtroppo non tutti, nel rapportarsi agli altri utenti, si attengono alle elementari regole della civile convivenza, buona educazione e cortesia, che nella rete va sotto il nome di Netiquette, alcune banalmente ovvie perché sono le stesse che valgono nella normale vita di relazione (non si deve insultare, offendere, gridare, specie in pubblico).
Abbiamo assistito a scandalosi scambi di insulti e improperi, che forse non si sarebbero verificati se le persone si fossero potute guardarsi negli occhi a distanza ravvicinata. E non mi riferisco solo a questo blog, ma a decine di altri, specie laddove vengono trattati argomenti scottanti.

I web space talvolta sono interpretati (e vissuti) come un salotto ove fare buona e intelligente conversazione, ma anche un bar per le chiacchiere e i pettegolezzi (anche buttandovi delle illazioni senza fondamento, senza riscontri, al limite della diffamazione), e persino da osteria più infima ove, dopo un paio di bicchieri, si liberano i freni inibitori e dalla bocca escono le peggiori pesantezze. Con la sola differenza rispetto al reale che nel “virtuale” tutto sembra lecito, anche nei newsgroup professionali e nei forum dove ci si iscrive con il proprio nome e cognome, figuriamoci dove si può restare nell’anonimato (con nickname fittizi o verosimili).
Enrico ha detto bene: «Con l’anonimato si confrontano solo “le menti” immateriali degli interlocutori prive di interferenze o condizionamenti esterni». A volte sembra che dietro a quelle “menti immateriali” ci siano interlocutori in perenne contrasto col mondo, pieni di livore contro la vita che colgono l’occasione di sfogare la loro inadeguatezza o fallimento. O, come li hai dipinti tu: «utenti-pazienti infervorati e incazzati (…) una pletora di postulanti anonimi e per giunta con personalità psico-caratteriali».

Per concludere questa mia prima fase riflessiva, mi ricollego ad altra tua frase, 09 settembre 2013 03:14, «l’invisibilità dell’interlocutore è una credenziale fondamentale per produrre quel transfert emotivo e quella riappropriazione di sé». E su questo “transfert” sono d’accordo.

Ti auguro una serena notte!
Mimosa

Anonimo ha detto...

Cara Mimosa
In una comunicazione verbale (lettera, relazione, commento…) gioca un ruolo importante il contesto, sia quello interno nel quale il significato di una parola o una frase risultano ad esempio attenuati o accentuati in relazione alle figure retoriche utilizzate e al complesso dell’argomentazione, sia quello esterno, in riferimento ad altre comunicazioni intercorse tra quei ‘parlanti’ (con tutte le allusioni implicite che un lettore terzo non può comprendere se non ne conosce la storia). Quindi anche in una relazione verbale si può produrre la stessa complessità di una comunicazione nella quale i parlanti comunicano attraverso tutto il complesso di suoni, gesti e posture tipiche di una comunicazione de visu. Queste osservazioni per dire che analizzando una comunicazione verbale anche senza l’utilizzo delle informazioni sensoriali c’è sempre abbastanza materiale, tanto più abbondante quanto più si innescano delle traslazioni di significato. In altri termini la rilevanza di una comunicazione non è data dalla lunghezza e dalla quantità dei contenuti (salvo considerarla in un’ottica di mero trasferimento di informazione denotativa) quanto dalle eventuali connotazioni, cioè da quei significati che rimandano a un universo interiore degli interlocutori. In questo senso parlando di un argomento si parla anche di se stessi e si esprime la propria sensibilità e il proprio mondo interiore fatto di emozioni, fantasie e desideri. E’ pur vero che si può comunicare a prescindere da questo mondo interiore, soprattutto dove è necessario l’esclusivo trasferimento di dati e dove le emozioni non entrano in gioco o vengono tenute sotto controllo razionale. Dove però la motivazione a partecipare a un dibattito ha soprattutto il senso di un gioco e di una pulsione affettiva e creativa (dove sono coinvolti valori, stati d’animo ed emozioni), allora la comunicazione diventa più complessa, emerge ‘materiale’ profondo e tutta la personalità degli interlocutori risulta coinvolta. Per questo talvolta un ‘parlante’ lascia affiorare qualcosa di sé, qualcosa che non sempre lui conosce. La risposta del suo interlocutore può allora agevolarlo nel comprenderne il senso, ad esempio ponendosi in un atteggiamento empatico qualora ne afferri le motivazioni, oppure tradursi in una contrapposizione che blocca sul nascere un eventuale approfondimento. Ovviamente è difficile dire a priori fino a che punto si può spingere la qualità di una conversazione on-line senza suscitare nella controparte difese e resistenze. Non esistono regole, e neppure la netiquette ci può aiutare. L’incomprensione e l’equivoco sono un rischio sempre presente. Molto dipende dalla capacità di uno, di entrambi o di un gruppo di saper cogliere creativamente le opportunità con le quali tradurre il transfert in una occasione di maggior consapevolezza e di crescita personale.
Gilberto