venerdì 8 marzo 2013

Caso Scazzi. Una sentenza mediatica?

Articolo di Gilberto M.


The camera pulls back, showing the whole scene to be contained in one of those glass balls which are sold in novelty stores all over the world. A hand – Kane's hand, which has been holding the ball, relaxes. The ball falls out of his hand and bounds down two carpeted steps leading to the bed, the camera following. The ball falls off the last step onto the marble floor where it breaks, the fragments glittering in the first rays of the morning sun. This ray cuts an angular pattern across the floor, suddenly crossed with a thousand bars of light as the blinds are pulled across the window. Citizen Kane Screenplay by Herman J. Mankiewicz, Orson Welles

E’ un frammento della terza scena della sceneggiatura di Citizen Kane (Quarto Potere del 1941) il film scritto, diretto, prodotto e interpretato da Orson Welles, opera cinematografica che narra la vita di Charles Foster Kane ritratto emblematicamente nell’aforisma: “Io sono un’autorità su come far pensare la gente”, traendo libera ispirazione dal magnate della stampa William Roudolph Hearst.

Una sfera di cristallo, un ‘nevino’, va in mille pezzi, i suoi frammenti scintillano ai primi raggi di sole del mattino, attraversati da mille strisce di luce mentre vengono tirate le tende della finestra. Quella sfera di cristallo che cade dalla mano morente del protagonista di Quarto Potere sembra davvero l’emblema di quelle molteplici sfaccettature, di quel mondo prismatico con il quale i media possono creare infinite illusioni, effetti fantasmagorici, diffrazioni e fate morgane. La stessa storia del protagonista viene scomposta in un sistema di incastri e di prospettive multiple: inquadrature innovative, uso espressionistico dei chiaroscuri, profondità di campo e piani sequenza. Un dedalo di immagini nelle quali la sfera, l’oggetto dove un piccolo paesaggio in miniatura con una casetta innevata sembra addormentato nel suo piccolo e tranquillo universo di vetro, improvvisamente esplode in un profluvio di angolazioni, frammenti di immagini, finestre prospettiche. La luce diffratta moltiplica quel paesaggio incastonato nel cristallo, si creano per effetto deformante immagini suggestive e psichedeliche, come se nella rotondità sferica fosse racchiuso un universo spigoloso e tagliente, come se semplicemente fissionando una notizia si potesse moltiplicarla a piacere. Per magia appaiono gli infiniti mondi che contiene una notizia perfino a insaputa dei suoi protagonisti. Mondi virtuali, schegge dove la luce si scompone creando storie per lo più immaginarie, percorsi collaterali e punti di vista alternativi.

Frammentazione anche del tempo lineare, salti in avanti e indietro: il tempo soggettivo ed arbitrario dell’osservatore. La demolizione dell’illusione di realtà - dove la cinepresa diviene un occhio indipendente, fuori dal mondo, un deus ex machina onnipotente che può infrangere gerarchie di primi piani e di sfondi - può moltiplicare le immagini in un infinito labirinto speculare. L’uso della formula "Quarto Potere", allude alla capacità dei mass-media di influenzare le scelte dell’elettorato, del consumatore, dell’uomo qualunque... è ispirata alla separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e ai rischi connessi al controllo e all’accentramento dei mezzi di informazione nelle mani di gruppi ristretti che filtrano le notizie potenzialmente in contrasto con i propri interessi. Ma a ben guardare il tema della censura sembra perfino superato negli odierni formati interattivi, nuove modalità con le quali i consigli per gli acquisti (non solo di merci ma anche di idee) riguardano direttamente i processi decisionali del consumatore, influenzano più direttamente i suoi stili cognitivi in modo da programmare modalità di risposta preventivamente testate e controllate attraverso svariati processi di ricerca operativa e la costruzione di modelli matematici. Uno dei campi di simulazione più fecondi, esperimenti di psicologia sociale nel laboratorio-paese, sono i cold case. Tastare il polso dell’opinione pubblica, capire le risposte di un target agli stimoli e le sue reazioni psicologiche ed emotive al fluire degli eventi, richiede complicati rilievi sul campo, procedimenti statistici e soprattutto dei metodi sperimentali che non si limitino a registrare una griglia di risposte, ad annotarne le reazioni per elaborare profili psico-attitudinali.

Si tratta di predisporre dei modelli comunicativi per verificare l’efficacia degli stili narrativi, delle forme retoriche, delle suggestioni emozionali che possano trovare applicazione in contesti diversi in quanto modelli formali ed astratti, e soprattutto si tratta di produrre le risposte appropriate anticipandole attraverso un condizionamento operante, una programmazione che superi la mera associazione di stimoli. Si tratta di testare dei pattern comunicativi, dei processi di influenza sociale attraverso scenari, sceneggiature, narrazioni... telenovele che dirigano e nel contempo si adattino agli indici di ascolto e alle reazione dell’audience in un complesso feedback di programmazione. Esperimenti che richiederebbero risorse proibitive per poter essere proposti attraverso l’uso di interviste e questionari di massa, su un’audience sterminata, possono essere sviluppati attraverso programmazioni mass-mediatiche con dei sostanziosi budget pubblicitari e aghi ipodermici peer to peer, con dei nodi equivalenti e paritari... Tali simulazioni coinvolgono il consumatore che di fatto collabora attivamente nel buon esito dell’esperimento fornendo gratuitamente le sue competenze e naturalmente tutta la sua carica passionale (requisito fondamentale per innescare i comportamenti di identificazione proiettiva). I processi cognitivi costituiscono i propulsori dell’interesse e dunque del coinvolgimento emozionale dell’audience. Tali esperimenti possono influenzare variabilmente perfino gli organi istituzionali, la politica, ma anche la giustizia in quanto i processi di influenza sociale agiscono spesso surrettiziamente attraverso modalità subliminali, mediante condizionamenti che non sempre possono essere riconosciuti in quanto fanno capo sia ad automatismi, sia ad inganni del nostro occhio interiore, sia a processi di spersonalizzazione di una società sempre più appiattita sul conformismo e sul pensiero monodimensionale.

I processi mass-mediatici sono potenti sistemi di influenza sociale, soprattutto nella loro flessibilità e adattività, nel costante feedback con la realtà che si vuole tenere sotto controllo (sondaggi, indici di ascolto, interviste, questionari…), in tutte le sue modalità, dalla formazione delle opinioni e delle consonanze cognitive, attraverso la definizione delle norme e dei valori e fino ai sistemi di valutazione e di giudizio.

Nella storia del nostro paese ci sono sentenze che talvolta edificano colonne infami e altre volte sono pietre miliari del diritto e della coscienza civile. Non mi riferisco solo alla storia del dopoguerra o all’Italia dopo l’unificazione, mi riferisco a quella storia italiana che nasce già attraverso la letteratura, le scienze e le arti, a quell’Italia ancora in fieri, non donna di province ma bordello, per citare le parole del sommo poeta. In un precedente articolo avevo parlato del processo agli untori del 1630 riproposto dal Manzoni nella Storia della colonna infame, un processo ricostruito dall’illustre milanese con lo spirito meticoloso dello storico di professione (che lui non era), e non del letterato, dando prova anche lì del suo impegno morale e civile, della sua straordinaria profondità antropologica e di una capacità di lettura oltre il conformismo storiografico, che nel nostro paese è stato spesso alimentato da un ideologismo miope ed ottuso. Un monumento, quello indicato dal Manzoni, non già come avrebbe voluto chi volle edificare la colonna a memoria di infamia degli untori (manufatto poi atterrato nel 1778), ma come ricordo di ignominia di quei giudici che condannarono per superficialità e opportunismo...

Nel caso Scazzi una maggioranza rumorosa si è fatta interprete e ispiratrice di una condanna. L’auspicio è che i giudici del tribunale di Taranto tengano fede all’indipendenza e autonomia del giudizio (qualunque esso sia), anche a costo di scontentare vuoi un’opinione pubblica colpevolista a prescindere, e vuoi di contraddire il giudizio di quei magistrati inquirenti che hanno voluto incriminare le due donne anche in mancanza di sicuri elementi obiettivi di prova. Ma soprattutto, che quel tribunale sappia rivendicare la sua autonomia da quel formidabile fronte mediatico che nella quasi totalità ha buttato tutte le sue truppe sul campo con una pervicacia e un cinismo degni di battaglie più impegnative di quelle condotte contro due donne di estrazione contadina, come se si trattasse di affrontare l’esercito dei tartari o qualche invasione aliena alla Orson Welles. Voglio ricordare ancora le parole del Manzoni riguardo ai giudici che nel 1630 condannarono i presunti untori Piazza e Mora:

"Dio solo ha potuto distinguere qual più, qual meno tra queste abbia dominato nel cuor di que' giudici, e soggiogate le loro volontà: se la rabbia contro pericoli oscuri, che, impaziente di trovare un oggetto, afferrava quello che le veniva messo davanti; che aveva ricevuto una notizia desiderata, e non voleva trovarla falsa; aveva detto: finalmente! e non voleva dire: siam da capo; la rabbia resa spietata da una lunga paura, e diventata odio e puntiglio contro gli sventurati che cercavan di sfuggirle di mano; o il timor di mancare a un'aspettativa generale, altrettanto sicura quanto avventata, di parer meno abili se scoprivano degl'innocenti, di voltar contro di sé le grida della moltitudine, col non ascoltarle; il timore fors'anche di gravi pubblici mali che ne potessero avvenire: timore di men turpe apparenza, ma ugualmente perverso, e non men miserabile, quando sottentra al timore, veramente nobile e veramente sapiente, di commetter l'ingiustizia". - Alessandro Manzoni - Storia della Colonna Infame - Introduzione

I pericoli oscuri di cui parla il Manzoni si possono ravvisare da un lato nel clima sociale (che allora riguardava la pestilenza che imperversava in Lombardia con tutte le connesse paure, fantasie, sospetti e suggestioni tipiche di un contagio). Oggi potremmo più genericamente ravvisarli in un regime di crisi sociale, e soprattutto economica, e nella ricerca eventuale di un capro espiatorio, in un tentativo di scaricare su qualche oggetto sostitutivo le frustrazioni e le difficoltà del tessuto socio-economico, di abreagire attraverso una sorta di catarsi multimediale le tensioni e i conflitti sociali. Un contagio che fa riferimento a modalità di risposta dell’audience con automatismi emozionali, a schemi mentali che i mass media hanno variamente implementato in una opinione pubblica priva di veri strumenti interpretativi e di una reale capacità di analisi. Un indottrinamento che nella realtà del paese ha riguardato anche le agenzie di informazione in una sorta di stanza dell’eco, un dilagante conformismo in ogni aspetto della cultura, dove le formule e gli schemi mentali risuonano e rimbombano, progressivamente amplificati, con il timbro inconfondibile del déjà vu. Un suono vibrante che la tv e altri media coltivano e riproducono in un incessante coazione a ripetere le formule ossessive, i pregiudizi, le censure e le ideologie che hanno portato il paese in una impasse cronica, nell’incapacità di comprendere le cause di una crisi interminabile. I media asserviti ai soliti padroni, vuoi in un presunto servizio pubblico che fa capo a ideologie lottizzate, vuoi a un servizio privato paludato da interesse generale che di fatto creano un’audience un po’ immaginaria e un po’ artefatta, una opinione pubblica costruita un po’ a tavolino e un po’ assecondata e titillata quando occorre simulare un consenso di facciata.

La tentazione di calmare le acque per una crisi economica e sociale, e tranquillizzare l’opinione pubblica (un po’ vera e un po’ presunta) attraverso dei palliativi, dei lenitivi o addirittura dei surrogati di giustizia è proprio di qualunque epoca. La paura di mancare all’aspettativa generale è propria di sistemi giuridici che in qualche modo si identificano con l’astratto concetto (un po’ machiavellico) di interesse generale o addirittura con delle formule giuridicamente aberranti come tranquillità sociale o turbativa dell’ordine pubblico (nelle parole ironiche del Manzoni: “il timore fors'anche di gravi pubblici mali che ne potessero avvenire”).

Dal dopoguerra ad oggi due casi hanno avuto un clamore mediatico talmente grande da generare un dibattito acceso e senza esclusioni colpi tra colpevolisti (in genere la maggioranza) e innocentisti (una minoranza abbastanza agguerrita) che abbia coinvolto così ampi strati della popolazione e soprattutto una varietà così grande di strumenti mediali. I due processi così eclatanti sono quello Franzoni (caso Cogne) e questo del caso Scazzi. Altri casi, come il caso Tortora, che pure ha sollevato un’ondata di indignazione per certi versi anche più accesa (ed altri più antichi), hanno avuto un clamore diverso, magari più profondo e meditato, ma meno di pancia come sono stati i due casi in parola sviluppati nell’epoca di internet e dei social network e, dunque, con un clamore multimediale più nazional-popolare, con risvolti psicosociali, ma non per questo meno in grado di influenzare anche un’opinione pubblica più colta, di incidere sui meccanismi mass-mediatici e perfino di influenzare gli organi istituzionali.

Il problema dell’indipendenza della magistratura da pressioni e condizionamenti costituisce uno degli elementi cardine di un sistema democratico. Si sa che in certi sistemi la magistratura è asservita al potere politico, ne dipende sia organicamente sia psicologicamente. In quei sistemi la magistratura è un’appendice dell’esecutivo politico o addirittura costituisce la sua emanazione. In qualche caso ne è l’interprete. La divisione dei poteri è il requisito - attraverso un bilanciamento e un controllo incrociato - della salvaguardia dei diritti civili e del rispetto dei diritti umani. L’indipendenza della magistratura costituisce il requisito fondamentale per un’interpretazione della democrazia che non sia puramente di facciata. L’autonomia da influenze e condizionamenti che promanano sia da considerazioni extragiudiziali (il mondo al contorno in tutte le sue valenze politiche e psico-sociali) e sia da pressioni intra-giudiziarie (una sorta di protezione e di arroccamento su posizioni di autotutela per gli eventuali errori della casta). Nella società multimediale e telematica si è però affermato quello che un tempo veniva definito il quarto potere e che oggi ne prefigura un quinto (televisione, ma anche il web). I media sono riusciti negli ultimi vent’anni a costruire un sistema di pressioni, di legittimazioni e delegittimazioni influenzando variabilmente l’opinione pubblica, ma anche facendosi influenzare da un clima psicologico e culturale in un complesso feedback di azioni di ritorno. Pensare a una influenza unidirezionale è quanto mai illusorio.

L’esperimento di ingegneria sociale riguarda solo in parte quel complesso di influenze mediatiche per le quali il target non è soltanto socio-politico, in senso stretto, ma anche psico-sociale. Si tratta di quel mondo mediatico, televisivo ma anche internettiano, sottoposto a molteplici influenze di varia natura (culturali in senso lato) ma anche in grado di sollecitare risposte e proporre opzioni che sollecitano talvolta effetti non solo a cascata, ma anche in senso orizzontale e perfino di risalita, che infrangono il tabù del trikle effect, quell’effetto di gocciolamento per il quale le mode, ma anche l’influenza sociale e più in generale il potere codificato scende sempre dall’alto, come le gocce di pioggia sul vetro di una finestra. La realtà della rete, ma non solo, con tutte le sue contraddizioni allude a influenze più complesse, a effetti retroattivi di osmosi e risalite, effetti assorbenti e di capillarità, fenomeni carsici, filtrazioni e retroazioni ascendenti, in apparente contrasto con le leggi dell’idrostatica e della gravità. Il complesso scenario multimediale presuppone strumenti di decodifica più complessi e soprattutto un riferimento al fenomeno della rete senza enfasi e senza reticenze.

Di fatto nel caso Scazzi si è assistito a un formidabile fronte colpevolista che ha messo in campo tutta la sua forza d’urto, così come era avvenuto nel caso Franzoni. Il caso Scazzi ha suscitato fin dalla prima confessione di Michele Misseri, un interesse mediatico orientato a influenzare in vario modo un’opinione pubblica alla ricerca di nuovi stimoli e di valvole di compensazione in un panorama di crisi e sfiducia collettiva, una vicenda sulla quale promuovere un interesse morboso, nel quale sperimentare fantasie e scaricare tensioni emotive. L’immaginario si è poi sviluppato sull’onda di una sceneggiatura in fieri, per certi versi impostata dai ripetuti ed effimeri colpi di scena e dal continuo presentarsi di nuovi testimoni dopo il ritrovamento del cadavere della povera Sarah, nel confine incerto tra realtà e suggestione. I nuovi media e i format sempre più dedicati ai casi irrisolti hanno dato incentivo promuovendo una indagine mediatica sempre più allusiva e invasiva, una contaminazione tra il rotocalco e la fiction. La serie di successive versioni e ritrattazioni del protagonista di Avetrana ha innescato quello che si può chiamare un processo di ipotesi e scenari fantasmatici da parte del circo mediatico, non solo in un giudizio di merito sulla colpevolezza o l’innocenza dei protagonisti, ma in una sorta di indagine a cielo aperto, una telenovela a puntate scandita vuoi dalle confessioni (contraddittorie e irreali) del protagonista principale e vuoi dalle iniziative giudiziarie della procura.

I vari format hanno sposato il caso attraverso la cronaca minuziosa di ogni più piccolo fatto irrilevante amplificato col megafono della diretta, dei mille inviati, e con il commento di opinionisti dalla fervida immaginazione produttiva. Il processo mediatico ha incalzato il target con aggiornamenti giornalieri anche quando si trattava di ricamare, tergiversare, tentennare e arzigogolare sulle eterogenee confessioni del Misseri o sul gossip di paese, sulle solite quattro notizie che per un effetto domino diventavano otto sedici trentadue… in un processo di elevamento al quadrato delle voci che corrono, dei si dice, delle illazioni e dei teoremi in una colossale televendita di news from nowhere. Il confine tra reale e immaginario è stato scandito da una suggestione collettiva nella quale si è perso completamente il riscontro dei fatti con testimonianze che progressivamente smottavano e si modificavano nel trascolorare del fotoromanzo a puntate. Occorreva tener ferma la barra sulle prime testimonianze quando ancora, prima del ritrovamento del cadavere, non era subentrata una sorta di psicosi collettiva che avrebbe irrimediabilmente contaminato la scena del delitto attraverso memorie e ricordi variamente deformati da suggestioni e protagonismi. La scena del crimine è diventata la casa di via Deledda solo per effetto delle confessioni di Michele Misseri, senza che mai sia stato trovato un ben che minimo riscontro, elemento o prova, che l’omicidio sia avvenuto in quella casa, che Sarah abbia raggiunto la casa degli zii, che l’auto del Misseri abbia trasportato il cadavere, perfino che Michele sia stato l’occultatore (al di là di quanto lui dice di aver fatto) . Le confessioni dell’uomo di Avetrana hanno talmente suggestionato tutta la platea, che si è dato e scontato qualcosa che è diventata una verità assiomatica e un imprinting psicologico privi di riscontri. Un escavatore ha recuperato un corpo dopo alcune ore di lavoro, corpo che invece sarebbe stato (tolti i tempi dell’omicidio, delle varie fasi di caricamento e del viaggio) infilato nel pozzo, riaperto e poi ricoperto, in pochi minuti. Le ricostruzioni dell’accusa mancano completamente di falsificatori potenziali e risultano ‘sempre fideisticamente vere’.

Sarebbe bastato mettere tra parentesi quelle confessioni eterogenee e inverosimili e invece di lanciarsi in una ricostruzione inconsistente ed effimera, creare ipotesi e percorsi investigativi alternativi, considerare con il beneficio d’inventario le confessioni senza logica del contadino di Avetrana. Invece di inseguire l’indizio di una gelosia astrusa e irreale come movente del delitto, sarebbe stato opportuno sospendere il giudizio, non pervenire a conclusioni affrettate che hanno finito per diventare innamoramento di una tesi senza riscontri. A fronte delle prime testimonianze che indicavano l’uscita di Sarah da casa alle 14,30, si è preferito ascoltarne altre a distanza di tempo quando la memoria risulta normalmente deformata e influenzata dalla cassa di risonanza del gossip multimediale. Il ritrovamento del cadavere ha sortito l’effetto di persuadere tutti che in un modo o nell’altro il teatro del delitto fosse casa Misseri. Le eterogenee confessioni dell’uomo di Avetrana hanno creato uno scenario astratto, una specie di macchia di Rorschach nella quale ciascuno poteva ravvisare quello che risultava più consono al proprio teorema interpretativo. Ma anche il commento da parte di esperti (o sedicenti tali) nel proliferare della suggestione mediatica, si è applicato, talora in modo approssimativo, per lo più su illazioni, fraintendimenti, dicerie e informazioni di seconda mano. Ne è uscito una sorta di feuilleton dai contorni un po’ del thrilling e un po’ del reality. Sulla base di inferenze induttive quanto mai inconsistenti, e mediante l’uso sistematico di illusori criteri di verosimiglianza, di interpretazioni capziose e di collegamenti tra fatti del tutto irrilevanti, per non dire irrisori, si è costruito un immaginario di colpevolezza di due donne attraverso uno sceneggiato costruito non su qualche isola caraibica, o girato in un interno claustrofobico da grande fratello, ma direttamente nella realtà sociale, quasi una prova generale di quanto possa il veicolo medial-commerciale tentare di influenzare e dirigere non solo l’opinione pubblica ma perfino la realtà istituzionale di un’indagine e di un processo vero.

I media dunque attendono una sentenza nel segno della colpevolezza delle due imputate. Si auspica invece una realtà giudiziaria che non intende farsi condizionare da quel traslato “per il quale il paese si sia già formato un giudizio [anche] senza averne i mezzi”, ma lasciando invece la mente di chi dovrà giudicare sgombra dal “rimbombo di quel rumore di fuori” di quella “moltitudine che” esegue “da sé la propria sentenza” (in corsivo le parole manzoniane). Una sentenza nell’ottica non solo dell’indipendenza di giudizio da un clima forcaiolo da caccia alle streghe, ma anche da quel circo mediatico che informa non solo la ‘cultura’ del nostro paese, ma che di fatto promuove atteggiamenti e comportamenti, valori e scelte, in una complessa interazione di interessi economici e di orientamenti socio-politici e psico-sociali attraverso sistemi di rilevazione dei comportamenti collettivi. Una sentenza che smentisca il sospetto di quei detrattori che indicano nella magistratura una casta monolitica che fa quadrato per difendere prerogative e privilegi.

Anche nel caso Franzoni il giudizio è probabilmente stato influenzato da quell’apparato massmediatico che aveva sposato per calcoli di clamore e ‘glamour’ l’opzione della madre assassina (un colpevole opportunamente ritagliato sull’antipatia sembrava in grado di promuovere meglio l’indice di ascolto e suscitare nell’audience sentimenti e passioni viscerali, risposte emozionali di pancia, appetiti morbosi). La spettacolarizzazione del caso Cogne non può non aver influenzato l’opinione pubblica che a sua volta, attraverso fenomeni di capillarità, ha amplificato la voce che voleva la signora Franzoni colpevole sulla base di indizi quanto mai inconsistenti e opinabili, con tempi di reazione della protagonista assolutamente irreali (in 5-8 minuti sarebbe riuscita a perdere il controllo, uccidere, ripulirsi, riassettare, occultare, ricomporsi...). Ci si chiede se in quel clima nel quale, per riprendere le parole del Manzoni, “il paese si era già formato un giudizio”, nella realtà di un apparato massmediale ipertrofico e onnipresente, ci possa essere un condizionamento sui processi. In entrambi i casi (Cogne e Avetrana) i fronti colpevolisti sono stati preponderanti con l’ausilio di tutti i pezzi da novanta (trasmissioni, forum, dibattiti, speciali, format…) La differenza la farà nel processo Scazzi, la capacità dei giudici di isolarsi dal frastuono massmediatico e di valutare in perfetta autonomia senza farsi influenzare dalle sirene, dai comizi televisivi e dalle suggestioni, con quella serenità e imparzialità che consentono al magistrato di formarsi un giudizio sugli elementi oggettivi e non su quelle suggestioni che vogliono trasformare un processo in uno spettacolo? Uso le parole del Manzoni che meglio di me allude a quella indipendenza del magistrato che non dovrebbe mai farsi influenzare dal giudizio sociale, dalle retoriche istituzionali e dalla ragion di stato.

"Felici que' giurati davanti a cui tali imputati comparvero (ché più d'una volta la moltitudine eseguì da sé la sua propria sentenza); felici que' giurati, se entrarono nella loro sala ben persuasi che non sapevano ancor nulla, se non rimase loro nella mente alcun rimbombo di quel rumore di fuori, se pensarono, non che essi erano il paese, come si dice spesso con un traslato di quelli che fanno perder di vista il carattere proprio e essenziale della cosa, con un traslato sinistro e crudele nei casi in cui il paese si sia già formato un giudizio senza averne i mezzi (il grassetto è mio); ma ch'eran uomini esclusivamente investiti della sacra, necessaria, terribile autorità di decidere se altri uomini siano colpevoli o innocenti". Alessandro Manzoni - Storia della Colonna Infame - Cap I

Parole quelle del Manzoni che delineano il carattere solitario e per certi versi eroico del giudice che sa estraniarsi dalla cagnara del giudizio nazional-popolare (con tutte le sue idiosincrasie e i suoi pregiudizi), che sa giudicare senza lasciarsi influenzare da un clima forcaiolo che persegue non tanto la giustizia quanto un bisogno di trovare un colpevole qualsiasi. Per più di due anni il servizio pubblico e privato radiotelevisivo, ci ha propinato in dosi massicce programmi e salotti sul caso Scazzi. Sono stati invitati esperti che hanno espresso il loro autorevole parere sulla vicenda, avventurandosi in valutazioni a vario titolo sia nella ricostruzione del delitto sia sui vari protagonisti. Le considerazioni degli opinionisti e i loro giudizi appartengono agli archivi. Immagino che molti di questi ospiti per i loro interventi, in quanto esperti e competenti in vari rami (psicologico, criminologico, psicoanalitico, psichiatrico, forense), siano stati giustamente remunerati. Un servizio pubblico che si rispetti (ma anche uno privato che sia legato a regole deontologiche) non dovrebbe limitarsi a pianificare e mettere in onda dei programmi, ma effettuare anche le opportune verifiche. In genere l’audience non ha memoria di quanto è stato detto il mese prima, non ricorda neppure chi e cosa ha detto la settimana prima intorno a cosa. La memoria a breve termine unita a una certa distrazione dovuta a un surplus informativo che ottunde rapidamente tutti i canali sensoriali, determina talvolta che non si ricordi neppure l’intervento di un autorevole opinionista che ha espresso il suo altrettanto autorevole parere il giorno prima o addirittura un’ora prima. Quello che si chiede al nostro servizio pubblico è una verifica della rispondenza di certi programmi all’interesse dell’audience che paga di tasca propria, sia attraverso un canone e sia attraverso i costi pubblicitari caricati non solo sulle merci ma anche sulle idee.

A questo punto c’è però da chiedersi se riguardo ai casi Cogne e Avetrana (i più emblematici della nuova realtà del quinto potere), non si sia verificato un cortocircuito, la sproporzione tra un battage massmediatico imponente nel paese e il piccolo perimetro dell’aula di giustizia, se non possa venir meno quella serenità e quella autonomia richiesta a “'uomini' (i giudici) esclusivamente investiti della sacra, necessaria, terribile autorità di decidere se altri uomini siano colpevoli o innocenti” (parole del Manzoni). I due casi, Cogne e Avetrana, presentano molte analogie al di là della diversità del fatto criminoso, in merito all’assenza di prove e al carattere evanescente degli indizi fondati su dati di laboratorio, ricostruzioni e tempistiche piuttosto opinabili per non dire inconsistenti. In un caso la corte ha valutato di condannare (ma esiste sempre la possibilità di una revisione del processo), nell’altro ancora non sappiamo quale sarà l’esito, ma quello che auspichiamo (credo tutti, colpevolisti e innocentisti) è che i giudici decidano liberi da suggestioni e da influenze mediatiche. Gilberto M.

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12 commenti:

Giacomo ha detto...

Dr Gilberto. Complimenti. Ha molto ben illustrato il pensiero di Manzoni, adattandolo alle circostanze attuali.
Oltretutto ho una grande stima di Manzoni, una delle nostre glorie nazionali. Sicuramente, se fosse vissuto più tardi, gli sarebbe stato conferito un meritatissimo Nobel per la letteratura

Giacomo

carla ha detto...

penso che c'è di fondo un fatto collettivo,che succede in qualunque gruppo ,anche quello settario....è come dire un mosaico con tutti pezzi insieme legati uno con l'altro,se un pezzo si staccasse da altri diventa un nulla,insignificante...
perciò,l'uomo è soggetto alle influenze,gli viene riempito quei spazzi vuoti che ha dentro e non può fare a meno dell'altro e si accetta la negazione di se stessa e trova difficoltà di dover amettere dei disaggi che essi riscontra e teme di essere insignificante.....è sempre un modo alla scappatoia di se stesso ,purtroppo l'uomo non ha coscienza,che prima o poi dovrà pure fare conti con se stesso e non c'è l'altro che ti sostiene....
questo succede perchè costa fatica e sofferenza costruire un qualcosa che può ben venire da sè,ma almeno quello che si avrà costruito rimane per sempre....
è come una casa costruito sulla sabbia e l'altra costruito sulla roccia.....
ciao Gilberto e buona giornata...però ci manca Tummolo Manlio....

Anonimo ha detto...


Nessuno sa dirmi qualcosa su una foto di Sarah dove si dice che Sabrina gliele stia mettendo alla gola ? Grazie.Matteo.

Anonimo ha detto...


Faccio riferimento alla puntata di "CHI L'HA VISTO?" di ieri sera. Matteo

Anonimo ha detto...



Scusate non ho specificato: nella foto in questione si parla di mani

magica ha detto...

erano la mani di sarah ,
.
una foto dove si vede la sua mano in modo ambiguo. ma erano le sua mani
perchè hai saputo diversamente?

Anonimo ha detto...




premetto che la puntata non l'ho vista perche' questi programmi non mi piacciono, ho solo letto e volevo una conferma. Grazie Magica. Matteo.

Mimosa ha detto...

E' la tv che ha detto che quella mano sotto il mento (non la gola) nella foto era di Sabrina,
ma anche se fosse stata di Sabrina e non della stessa Sarah, si trattava di una foto scattata col telefonino, una di quelle tante foto che Sabrina, Ivano e Sarah si scattavano per passare il tempo da stupidelli, un giochino per mettere in risalto il volto, per insegnare alla bambinetta che voleva essere presto donna (a 15 anni non si vuole essere trattate da “piccole”) come si deve sorridere all'obiettivo (io facevo le prove davanti allo specchio), foto stupidelle come quella fatta a Ivano a petto nudo e quella di Sarah in pigiama fatta col proprio cellulare davanti allo specchio ... nulla di riprovevole, sciocchezze da ragazzi (nessuno di voi o dei vostri figli ha foto scherzose sul proprio cellulae? Io ne ho viste alcune di una festa di mezza estate con l’esibizione di amici di mia figlia in mutande e parrucca rossa riccolina in un certo posto (parrucca prestata da me tanto che me la sono ben lavata una volta restituitami), ma perché nessuno fa raffronti con la propria reale esistenza? E’ da riflettere piuttosto sul perché Ivano ci stava, evidentemente poco di meglio aveva da fare nelle sue serate estive.

Gilberto, perdona questo mio commento che poco ha a fare con il tuo articolo, sempre ben scritto e documentato.
Purtroppo c'è molta confusione nel seguire una linea coerente ed appropriata agli argomenti pubblicati.
Colgo l'occasione per complimentarmi ancora una volta con la tua cultura ... e la tua tenacia.

Un cordiale saluto, Mimosa

magica ha detto...

e invece tutto è stato sbandierato come se quel gruppo facesse parte di un bordello .
si vede che i magistrati sapevano che la gelosia era un movente per nulla verificabile e si sono buttati sulle sms dei cellulari descrivendole compromettenti ma secondo anche per avere consensi dall'opinione pubblica.
ieri sera
quello "stupidissimo " sottile ha chiesto ad un opinionista se quei messaggi fossero venuti a conoscenza della cosima tanto da indurla ad un omicidio . la palombelli lo ha affermato .,meno male che quel picozzi che sara' di parte pero' a volte è un uomo serio e ha minimzzato .

Anonimo ha detto...


Vi ringrazio tutti.Sono tutte trasmissioni tendenti a portare l'opinione pubbica dalla parte colpevolista, se non lo sono gia'. Scusate se il discorso non c'entra niente con l'articolo di Gilberto ma avevo bisogno di capire.

Sirenetta galatica Francy ha detto...

Ciao carla . Condivido quello che hai scritto e penso e spero non manchi molto al momento in cui Sarah avrà giustizia Un abbraccio

carla ha detto...

ciao carissima sirenetta,stiamo a vedere cosa succede,devono ancora esporsi la difesa.....di sicuro questo caso sarà una grande lezione di vita.....se puoi tieniti salda alla fede a qualunque cosa succeda ,con la fede te la cavi sempre....ti abbraccio forte forte ....t.v.b.....Carla