lunedì 3 settembre 2012

Taranto: Ad un passo dal deserto rosso...




Capitava, fin da bambina, di imbattersi nelle ciminiere di Taranto, sempre di passaggio sulla strada che conduce all’estremo Sud, per me la meta era la Sicilia, patria di sangue paterno. L’odore acre con venature sulfuree di chissà quanti e quali metalli, colpiva le narici di bimba e tutto veniva sistematicamente chiuso (bocchettoni dell’aria ed aperture varie all’esterno, per non parlare dei finestrini). In quest’assetto da “blindo”, chiusa in una scatola con ruote in movimento, gli occhi insistevano prepotentemente sulle ciminiere. "La mamma non ci dotava di apposita benda perché non immaginava quanto grande potesse essere l’offesa per lo sguardo..."

Certo che di fumo ne producevano, ma l’animo di bimba comprendeva che quell’eccesso si sostanza bianco-grigiastra non aveva niente da spartire con la nebbia agli irti colli, quella che piovigginando sale, e nulla poteva apparire più assurdo di quello strano colore rossastro che avevano i gard-rail e le zone prossime ai camini sputa veleni. Penso che il mio amore per il cielo terso, per le bianche nuvole del sereno ed i grigi della tempesta, per l’aria da respirare a pieni polmoni, quasi come creatura del cielo, nasca anche da lì, da quell’impatto con la natura devastata dalle ciminiere, che vedevo svettare al posto di alberi, e dall’assenza, in quell’addensamento di veleni, di una qualsiasi forma di vita alata.

Da sempre, diciamo dai quattro anni in su, mi son chiesta come fosse la gente di Taranto. Li immaginavo diversi, con nasi proboscitati per meglio filtrare le impurità, con gli occhi incavati e perennemente arrossati. Quando la compagna di scuola raccontava del padre che lavorava all’Italsider (l’attuale Ilva) e che ogni mattina alle quattro partiva per raggiungere il posto di lavoro, superato lo stupore iniziale che quei luoghi potessero essere compatibili con forme di vita (addirittura umana) mi chiedevo come avrebbe fatto a sopravvivere in quell’inferno e provavo un emozione di pena per lui, per la mia amica e la sua famiglia.
 
Negli anni, passando dalla statale, ho provato le medesime emozioni, intatte, anche perché nulla era cambiato, anzi si aveva una qualche idea, da profani della materia, che il processo si fosse amplificato per un potenziamento della produzione di veleni senza che alcuno avesse mai preso a cuore una situazione così drammatica. Saliva il senso di sgomento e di pena per la popolazione, per gli operai…


Un giorno mi capitò di andare al Tamburi e di camminare attraverso le sue strade. Ne raccolsi una sensazione di sfacelo: povera Taranto! Lì appariva, malgrado l’amenità del suo ponte girevole, dei lustri donatole dai suoi musei e dall’offerta commerciale dei suoi negozi, come una vecchia signora alla quale avessero imposto un belletto (ciprie, terre) di colore rosso. E’ questa la sensazione che trassi vedendo ogni cosa ricoperta dell’insana polvere rossa: strade, palazzi, cornicioni, grondaie, insegne e lampioni.
 
Tutti noi sapevamo. Si è messo un coperchio su una bomba ad orologeria e per anni abbiamo finto che la situazione fosse sotto controllo. Molti (di quelli che contano) ne avevano piena consapevolezza. 
 
Ora che la situazione è esplosa ringraziamo per il coraggio di chi ha deciso che fosse giunto il momento di non accettare più mediazioni e compromessi. Ci siamo fermati ad un passo dalla distruzione totale che avrebbe reso quella zona un deserto rosso. Le morti, lo stato di degrado ambientale dei luoghi, sono chiaramente un punto di non ritorno, allora viviamo nella consapevolezza che Taranto potrà rappresentare un emblema del sacrificio estremo di una terra, di una città, affinché tutto questo mai più possa accadere.
 
 
 

1 commento:

Vito Vignera da Catania ha detto...

Buona sera Signora Mariolo.In questo momento credo che parecchi tarantini siano arrabbiati e anche grigio neri dal fumo e dalla situazione attuale. Ma che Lei ha reso un po soft con quei contorni di poesia del celebre Giosuè Carducci.Stessa cosa si avverte quando si va per Siracusa nelle vicinanze di Priolo, dove c'è una grande raffineria. Pochi chilometri e il paesaggio assume un'altro aspetto con la visione del bel mare azzurro della costa ionica. La nebbia agli irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar (siciliano).Un affettuoso saluto dalla bella Sicilia.