venerdì 22 luglio 2011

Perizie e Periti, un binomio che spesso e volentieri non gira in coppia


C'è da dire che negli ultimi dieci anni siamo entrati in contatto, grazie ai mass-media che ne hanno amplificato l'eco, con una lunga serie di crimini crudeli ed efferati. Crimini che non hanno avuto reo-confessi e che dai vari Pm sono stati considerati da subito crimini a senso unico, anche se occorre dire che dalla loro bocca è sempre uscita la frase: "Prima di procedere contro l'indagato abbiamo vagliato tutto a 360°". Ma chi ha indirizzato i procuratori nella pista seguita e portata a processo? Si dovrebbe pensare che chi è preposto ad indagare abbia una percezione migliore di noi, un'esperienza derivata da anni di indagini che lo porta a seguire la strada giusta. Ma analizzando i casi volta per volta ci si può rendere conto che i procuratori incaricati a scoprire la verità erano tutti privi dell'esperienza necessaria. Per fare un esempio alla dottoressa Del Savio Bonaudo, prima Procuratore capo ad Aosta ed ora avvocato a Torino, ed alla sua giovane procuratrice Stefania Cugge, mai era capitata una morte infantile di siffatta specie (ma neanche di altra specie), eppure per loro l'omicidio di Samuele Lorenzi era un figlicidio.

Un figlicidio poi appurato, grazie a tecniche nuove in fase di sistemazione ed a periti inutili che nulla hanno portato alle indagini, dopo tre gradi di giudizio. Ma l'unico che alla fine ha usato giudizio ed esperienza è stato il giudice Romano Pettenati, ora in pensione, grande magistrato torinese che per non dar torto alla procura, questa gli portò una ricostruzione al limite del ridicolo (ad esempio fece stare in due minuti e diciotto secondi i tre minuti e quaranta di telefonate fatte in richieste di aiuto dalla madre, un miracolo che accade raramente), e nello stesso tempo non rovinare completamente la vita alla Franzoni, sapendo dell'indulto e dei tanti bonus carcerari, le abbassò la pena a sedici anni (tredici tolto l'indulto) con la sicurezza che già alla fine del quarto avrebbe iniziato il percorso per uscire di prigione. E lo dovette fare anche per colpa di un avvocato difensore che non avrebbe potuto difenderla, era indagato in un procedimento collegato assieme alla sua assistita, e che anziché analizzare davvero l'accaduto ed alimentare i dubbi, di serio c'erano solo quelli a processo, preferì sbraitare in televisione ed abbassare la coda in tribunale arrivando a lasciare la Difesa a processo in corso. Ma la colpa maggiore fu dei periti che a chi indagava ed alla Corte portarono perizie assolutamente prive di risposte o addirittura con risposte sbagliate.

Sbagliate come quella sul dna che costringe Amanda Knox e Raffaele Sollecito a restare in carcere, prive di sicurezze come quella del Patologo Strada nel caso Scazzi. Ed anche il dottor Tagliabracci, pur se ancora forse è presto per giudicarlo, nel caso di Melania Rea si è comportato alla stessa maniera restando nel vago ed alimentando l'incertezza. Di questo passo ogni giudice dovrà fare come chi ha giudicato nel caso di Garlasco, come altri in casi simili, e chiedere nuove e più consone perizie. E così facendo invece di averne una di perizie, due al massimo, ad ogni processo sarà necessario averne tre, quattro, cinque, dipenderà dal numero degli indagati. Ma perché i periti che dovrebbero indirizzare le indagini ed i processi hanno tante insicurezze? Su questo ci risponde il Prof. Saverio Fortunato, autore di due manuali di metodologia peritale, manuali adottati da tempo come testo guida in materia del Corso di Laurea in Scienze della Investigazione dell’Università dell’Aquila e della Scuola di specialità peritale del Collegio dei Periti e Consulenti di Firenze. 

Ebbene, lui stesso scrive: "La realtà peritale che s'incontra nei tribunali spesso è Terra di nessuno. Nel campo clinico si tende a confondere la diagnosi con la perizia, nel campo tecnico si riesce a dire ai magistrati tutto ed il contrario di tutto e, talvolta, persino con la stessa relazione". 

Ma non dice solo questo, non si limita alla mera critica, al contrario cerca di aiutare i nuovi periti dando loro la panacea del male. Ed infatti scrive: "Nel campo scientifico non è sufficiente conoscere le cause per affermare di conoscere qualcosa che da quelle cause ha avuto origine, perché occorre la competenza del ragionamento, posto che qualunque idea perde il senso o ne acquista un altro, rispetto a quello originale, se non segue i principi e non descrive le strutture ed i caratteri fondamentali della realtà. In questo senso il ragionamento peritale, oltre che da esperto, deve essere metodo-logico". Sta a significare che per fare i periti non basta una specializzazione ma serve qualcosa in più a livello personale. Per capire meglio quale sia il modo migliore per portare ad un giudice, ad un Pm, una perizia che abbia un vero senso, riporto la recensione dell'avvocato Mario Pavone ad uno dei due manuali del Prof: Saverio Fortunato. 

"Com’è noto la consulenza tecnica, quale strumento di ricerca di prova, rappresenta una delle fonti di convincimento del giudice. Sia nell'ambito civile, che in quello penale, il magistrato può richiedere l'intervento di un esperto che, attraverso le sue specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, consenta al giudice medesimo di acquisire elementi idonei al raggiungimento della verità. Ma cos'è la Verità, si chiede l’Autore? Vi è una sola Verità o ve ne sono tante? E’ possibile trovare un fondamento comune di Verità? Il problema della Verità, ossia della conoscenza delle cose, si ripresenta in perizia come problema epistemologico delle scienze dello spirito, delle scienze dell'investigazione e delle scienze criminali. Sul punto il Prof. Fortunato sostiene che offrire ai periti e ai consulenti una metodologia della ricerca, vale a rendere i periti consapevoli della lezione socratica di 'sapere di non sapere', che costituisce l’atteggiamento del vero ricercatore scientifico e che costituisce il passaggio obbligato per ogni reale acquisizione della verità poiché, come afferma Socrate, colui che presume di sapere non assumerà mai un atteggiamento di ricerca. Gli aspetti metodologici assumono, quindi, un rilievo preminente e riescono a delimitare l'ambito peritale, consentendo così di evitare sempre possibili errori od illazioni, posto che in perizia la metodologia è una disciplina scientifica, attinente alla produzione di un linguaggio scientifico, laddove il metodo può essere definito semplicemente come la tecnica o lo strumento di ricerca per raccogliere i dati. Fatte queste debite premesse l'Autore offre una lettura critica della perizia giudiziaria e degli errori che a volte caratterizzano gli elaborati peritali, spesso dettati dall'influenza dei mass media più che da criteri di scientificità; questo sebbene il perito, nel rispondere al giudice, dovrebbe rimanere ancorato al contenuto del quesito ed ignorare ciò che si pone al di fuori di esso, in modo da offrire un corretto responso scevro da ogni dialettica o retorica. Occorrerebbe, quindi, abituare i periti a riflettere per raggiungere autonomamente le proprie convinzioni e per compiere le scelte più adeguate, in rapporto al quesito iniziale, ed abituare i periti al ragionamento che, oltre che specialistico, deve essere rigorosamente logico. Poiché lo scopo della ricerca peritale deve essere il raggiungimento della verità, e non delle opinioni, tanto richiede dimostrazioni rigorose posto che nella logica peritale si può affermare che un qualcosa è vero o falso solo in rapporto a ciò che è autenticamente vero. L'uso della razionalità scientifica vale ad escludere alcuni errori possibili; il ragionamento scientifico deve essere deduttivo e induttivo, legato all'evidenza empirica e storica. Esso si caratterizza per il vincolo empirico, il rigore logico, la cura e la precisione con cui sono trattate le operazioni peritali. In definitiva, conclude il Prof. Fortunato, se compito del metodologo è costruire le tecniche, compito del ricercatore è quello di applicarle tenendo conto della situazione in cui opera".

Quindi, per finire, il perito deve essere imparziale, non subire pressioni mediatiche e deve riflettere e raggiungere autonomamente la verità (senza cercare di adeguarsi a quanto crede sia giusto la procura per cui perizia). Secondo voi, in un periodo storico dove prima che in tribunale si giudica sugli schermi televisivi e sulla stampa delle bufale, può un perito restare scevro da influenze esterne e raggiungere una imparziale ed autonoma convinzione? Può dare un giudizio sereno, una risposta davvero neutrale, dopo mesi e mesi di bombardamento mediatico?

6 commenti:

sally brown ha detto...

ciao max, di nuovo qui. è divertente questo tuo blog in una realtà sconcertante dove mi sembra che tutti quelli che hanno le mani in pasta non siano altro che dei gran pasticcioni. per me che le indaggini le vedo come "il collezionista di ossa". tu mi dirai, che c'entra ...quello è solo un film. E ci vuole molto a imparare dai film?
a essere precisi
a essere pignoli
a essere professionali
a essere dediti
a essere preparati
a non improvvisare
a non pavoneggiarsi davanti alle telecamere
a non mischiare i reperti
a pensare che i giudici sulla base delle prove devono assolvere oppure dare l'ergastolo e non devono sentirsi obbligati ad una via di mezzo... 16 anni va..

per esempio potrebbero iniziare congelando (transenna) la scena del delitto.

penso poi che se parolisi ha buttato l'arma del delitto in un cassonetto della spazzatura sarà molto difficile avere elementi certi

ole/.)

Manlio Tummolo ha detto...

Caro Massimo,

il punto cruciale nella metodologia d'indagine è costituito dal fatto che né magistrati, né avvocati, hano una formazione adeguata a livello universitario e post-universitario. Oltre a ripetere le stantìe formule dell'antico Diritto Romano, lo studiare a memoria leggi e sentenze interpretandole a proprio uso e consumo, se non si pongono da soli autodidatticamente ad approfondire la criminologia, l'antropologia criminale (erroneamente, secondo me, confuse insieme, mentre la prima dovrebbe orientarsi sulle modalità dei delitti, la seconda sulle caratteristiche psicopatologiche di chi delinque), la medicina legale (senza cognizioni di medicina generale), fisica, biologia, patologia, psicologia, psichiatria, ecc., non sono propriamente in grado di capire gli elementi scientifici risultanti dalle varie analisi. Uno può diventare, da giudice civile, giudice penale e viceversa, segno che la sua formazione è talmente vaga e generica, che non ha nessuna seria base di natura scientifica, tale da potergli rendere comprensibili e valutabili con cognizione di causa le informazioni che gli vengono dai periti.
E veniamo a questi: se il perito è di parte e deve dimostrare non la verità di un fenomeno, ma la versione sostenuta da imputato e suo avvocato, ovviamente la sua perizia non varrà nulla; idem per il perito del PM, che deve sostenere (il caso Zornitta è rilevante in questo) ad ogni costo la tesi del PM; tralascio i periti della parte civile, e così via, non vi può essere neppure una perizia su cui sia d'accordo almeno la maggioranza. Sarebbe dunque essenziale che la legge prevedesse la costituzione di una commissione indipendente di periti, per ogni aspetto, costituita da persone sì scelte (non stipendiate) dalle varie parti, ma che cooperino insieme per definire scientificamente i dati rilevanti ai fini processuali. Chi della commissione non è d'accordo con la relazione finale comune, ne stenda una motivata contraria, che il collegio giudicante valuterà. Il perito deve sostenere il fatto scientifico, non le persone: solo a questa condizione la perizia può avere un valore tecnico fondamentale.

Luca ha detto...

http://www.leggo.it/articolo.php?id=132806&sez=ITALIA

ma come si fá ad accusare un Vu cumprá ?
cé da mmazzarsi dal ridere scusate

Anonimo ha detto...

@Luca
Sai com'è.....lui è furbo e noi..tutti scemi, magistrati, poliziotti....tutti scemi
Rosy

Mimosa ha detto...

Caro Massimo, la cosa più sconcertante, secondo me, è che i periti nominati dal Tribunale non riescono ad essere imparziali, nonostante il giuramento che prestano al momento di accettare la nomina per ogni singolo caso a cui vengono chiamati.
E la loro imparzialità non deriva solo dalle pressioni mediatiche, come scrive il prof. Fortunato che hai citato, Massimo, ma anche da quelle poste dagli stessi PM come ha evidenziato Manlio e che mi sembra siano le pressioni maggiori e più deleterie per la ricerca della verità.
Tu poni la domanda: «può un perito restare scevro da influenze esterne e raggiungere una imparziale ed autonoma convinzione?». Altroché, lo deve! altrimenti che professionista è?
E allora quale credito si potrebbe dare ai giudici che comporranno il Tribunale del Processo, come sperare che sapranno giudicare dai fatti presentati in aula e non da quanto è stato detto in tv e scritto nei blog da cittadini sanguinari?
In merito, poi, agli errori che i periti commettono e che soprattutto nei processi penali mettono in serio pericolo la vita delle persone (devono rendersi conto che non si tratta di un gioco a dadi), se perdono dovrebbero pagare di tasca loro profumatamente risarcendo coloro che hanno contribuito a condannare e poi essere radiati dall’albo dei CTU, o perlomeno venir sospesi per cinque anni.

Ciao, Mimosa

Manlio Tummolo ha detto...

Brava Mimosa, ben detto e ben osservato. Grazie per l'appoggio che dài alle mie osservazioni. Uno scienziato se è tale, e non un cialtrone, deve esprimere pareri non piacevoli per Tizio o Caio, ma, nel caso d'un processo, utili a risolvere i dubbi. Il fatto di essere pagato da una delle parti lo trascina, invece, spesso ad adattare la verità scientifica agli interessi privati della parte, e qui poco importa, giusti o sbagliati che siano.