sabato 25 giugno 2011

Giornata mondiale contro la tortura... l'Italia non si adegua ed il reato non esiste

Domenica 26 Giugno è la giornata mondiale contro la tortura. Il termine sembra quasi desueto, antico, perso nei secoli, ed è facile pensare che in Italia nessuno usi torturare un proprio simile. Ma è proprio dalla definizione che in altri Stati ne da la legge che emerge, al contrario, una verità opposta. In Italia la tortura è in uso eccome! Forse non ha il risalto che merita perché le persone, influenzate dai media, non danno peso al metodo che continuamente viene utilizzato da chi crede di ottenere lo scopo prefissato abusando dei suoi poteri. Cosa si intende quindi con la parola tortura? Questa la definizione datale in Parlamento quando, a fine 2006, venne approvato alla Camera dei Deputati, con un solo voto contrario, il testo che pareva dare il via libera all'introduzione del reato: "La legge stabilisce che per il delitto di tortura sia punito chiunque infligga ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali, con violenza o minacce gravi, allo scopo di ottenere da essa, o da una terza ad essa collegata, informazioni o confessioni su un atto che essa stessa, o una terza persona, abbia compiuto o sia sospettata di aver compiuto".

E questa è solo una parte di ciò che si stabilì nel 2006 quando si decise anche di inasprire la "pena" se a mettere in atto tali torture fossero state persone con posizione dominante. Questo il testo: "La pena è aumentata se il reato di tortura viene commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. La pena è aumentata se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima, è raddoppiata se ne deriva la morte". Però il tutto restò nel limbo e si ricominciò a parlarne solo due anni dopo, nel 2008, al momento di giudicare le forze dell'ordine che avevano segregato i ragazzi, quelli che a Genova avevano manifestato contro il G8, all'interno della caserma di Bolzaneto. I magistrati scrissero: "Eppure i giovani manifestanti fermati nella caserma di Bolznaneto subirono ogni sorta di vessazioni, costretti a restare in piedi per ore, picchiati, presi in giro, privati di cibo e acqua, furono trattati in modo inumano e degradante, ma non esistendo una norma penale sulla tortura l'Accusa è stata costretta a contestare agli imputati il solo abuso d'ufficio". 

Ma ancora oggi quanto pareva imminente cinque anni fa, ed era una richiesta fatta al nostro governo dall'ONU che nel 1984 aveva approvato la convenzione su tale reato, convenzione poi ratificata nel 1987, è lettera morta tanto che neppure si sa, nonostante ci siano parlamentari che si stanno esponendo affinché si arrivi a realizzare la legge, se mai il reato di tortura verrà inserito nel Codice Penale italiano. Eppure siamo ormai in uno Stato Occidentale globale dove le leggi dovrebbero essere paritarie; ma nonostante l'Europa nella sua Carta dei Diritti abbia scritto che "nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti, e per questo all'interno dei suoi confini si offre riparo alle persone fuggite da violenze e torture", la nostra nazione si ostina a fare orecchie da mercante incurante degli appelli di Amnesty e di altre organizzazioni similari.

Da noi, a vedere come viene snobbato il reato in Parlamento, forse si pensa sia un problema di minima portata, ma sia nelle nostre caserme che nelle nostre celle la tortura viene sistematicamente usata. Non tutti sanno che ogni anno il Consiglio d'Europa invia nelle carceri europee, minimo sei volte per istituto penitenziale, i suoi rappresentanti, e le prigioni italiane sono quelle che fanno, da sempre, la figura peggiore. E non è solo il sovraffollamento che diventa tortura ma il sistematico uso improprio dei calci, dei pugni e dei manganelli, da parte di tutte le forze dell'ordine sia all'esterno, nel momento dell'arresto, sia in caserma, quando viene convalidato il fermo giudiziario, sia successivamente in carcere. E questi comportamenti limite, bisogna dire che in ogni caso, e meno male, non sono la regola, avvengono in ogni istituzione che riguardi la giustizia. Ma questa è tortura fisica, quella che poi passa e quasi mai si trasforma in problema psichico.

Diversa, e a volte ben peggiore, è la tortura giuridica. L'enciclopedia Treccani la sintetizza con questa definizione: "In senso giuridico la tortura è costituita dall'insieme di coercizioni e di tormenti fisici e psichici con i quali si vuol indurre un imputato a confessare la verità; in Europa è stata considerata legale sino alla seconda metà del 18° secolo". Dobbiamo convenire, quindi, che è una pratica conosciuta e mai abbandonata dato che è spiegata anche nelle enciclopedie del terzo millennio. Ma la nostra "Era" non dovrebbe più permettere simili inciviltà perché diversa da quella degli anni '50, per chiamare in causa un periodo storico in cui chi poteva abusava dei propri poteri, quando i carabinieri non erano teneri ed una buona parte di loro preferiva sparare per uccidere piuttosto che arrestare i presunti colpevoli. E' il caso di Luciano Rapotez che nel 1955 venne fermato per una rapina di nove anni prima finita con la morte di tre persone. I due carabinieri, armi in pugno, lo invitarono a fuggire dicendogli "scappa scappa". Lui non si mosse ed aspettò arrivasse gente. Ma una volta in caserma si accorse che forse avrebbe fatto meglio a farsi ammazzare.

Per cinque giorni fu torturato senza mai toccare né pane né acqua. Pugni e scariche elettriche ai genitali lo convinsero a confessare. Sbattuto in galera vi aspettò per tre anni il primo processo, che lo assolse per insufficienza di prove, ed altri tre servirono prima che si presentassero dei testimoni, mai voluti ascoltare in sede di indagini, che lo scagionassero completamente. Quindi dopo aver trascorso sei anni in galera fu assolto in Cassazione per non aver commesso il fatto. Quando uscì non trovò la moglie ad attenderlo, e neppure i figli, tutti gli avevano voltato le spalle e lui, indignato, emigrò in Germania. Ma iniziò da subito a scrivere ai vari organi competenti, scrisse svariate volte pure ai vari Presidenti della Repubblica, voleva un risarcimento per i danni morali ma, soprattutto, le scuse ufficiali dello Stato italiano. Ebbene, ad oggi Luciano Rapotez continua a lottare, ed ha 92 anni, per ottenere quelle scuse che nessuno si è mai sognato di fargli.

Era un caso limite anche questo? Forse, perché noi non possiamo sapere quanti, fra le migliaia di detenuti suicidatisi negli anni, abbiano deciso di porre fine alla propria esistenza perché innocenti e giuridicamente torturati. I media non si interessano ai casi senza risonanza, e non tutti i delitti ne hanno. Quando a metà degli anni novanta dei giudici pugliesi decisero che i "delitti delle vecchiette" non erano collegati, anche se identici nelle modalità, incarcerarono otto persone; alcune si dichiararono colpevoli senza esserlo, per pressioni psicologiche e per non subire angherie, una addirittura si suicidò dopo sette anni passati in galera a gridare la propria innocenza. Ora sappiamo che l'assassino era il tunisino Ezzedine Sebai, ma non sappiamo che c'è ancora chi è in carcere per quei delitti mai commessi in quanto i magistrati, prima di liberarli, vogliono attendere il terzo grado di giudizio che dichiari davvero colpevole il tunisino. E conoscendo le lungaggini italiane dovrà passare ancora tanto dato che ha confessato nel 2006. 

Per finire un pensiero rivolto a chi da più di otto mesi è chiusa in una cella del carcere di Taranto per volontà popolare e perseveranza della procura, se non vogliamo considerarla alla stregua di una tortura, dato che non siamo giudici, dobbiamo chiamarla così. Sto parlando di Sabrina Misseri di cui conosciamo tutti il caso perché morbosamente seguito dai vari media nazionali. Lei è stata inizialmente chiusa in una cella perché il padre l'aveva coinvolta nell'omicidio della cugina. Nel tempo il genitore è stato emarginato e mai creduto, i capi di imputazione sono cambiati così come le scene in cui il crimine si sarebbe svolto. Nonostante queste nuove ipotesi investigative non abbiano un supporto reale e si basino su parole trasferite di bocca in bocca e sogni impossibili, il Gip, ed in generale anche altri giudici che operano nella città pugliese, continuano a ritenerla colpevole di omicidio. Quindi resta in carcere sulla base di una convinzione del tutto personale che al processo potrebbe rivelarsi una bufala colossale. Ora la domanda è: "Se il reato di tortura giuridica fosse stato inserito nel Codice Penale italiano a tempo debito, la Misseri, stante le prove mancanti e gli indizi modificatisi giorno dopo giorno, sarebbe ancora in carcere?". 

In ogni modo, lasciando perdere i casi singoli, ognuno di noi dovrebbe, nel suo piccolo, spingere affinché nessun abuso possa verificarsi in Italia tenendo sempre a mente che l'imprevedibile, per noi o anche per i nostri figli, il caso Cucchi ormai è storia, può trovarsi dietro l'angolo di una strada qualunque. E di strade in Italia ce ne sono tante.








12 commenti:

nico ha detto...

Caro Massimo, hai scritto un articolo bellissimo. Uno di quelli che ti obbligano a fare i conti con l'indifferenza e il perbenismo che ci fanno pensare di essere al riparo. Quanti di noi pensano che la tortura in Italia non esista, e che comunque non ne saremo mai sfiorati perché siamo onesti? Come se fosse garanzia sufficiente... e come se potessimo permetterci di tollerare la brutalita' verso i colpevoli. Colpevoli di cosa, poi? Di essere schiavi dell'eroina? Di non avere il permesso di soggiorno? Di avere bevuto troppo una sera? Oppure di aver partecipato a una manifestazione no global?
Ripeto, Massimo, articolo bellissimo che certo meriterebbe di figurare sulla prima pagina di tanti quotidiani che invece snobberanno l'argomento. Perché il no deciso alla tortura é possibile solo se capiamo di essere coinvolti. Solo se almeno per un po' ci siamo sentiti la sorella di Cucchi, o la madre di Aldrovandi, o uno dei ragazzi alla Diaz, o un povero Cristo che s'é fatto giorni di barcone per fuggire da soprusi e torture e invece li ritrova qui sotto mentite spoglie. Siamo tutti loro anche noi, inutile e criminale voltarsi dall'altra parte. Ciao e grazie

Sira Fonzi ha detto...

Bell'articolo Massimo, grazie perchè riesci a sensibilizzare gli animi e a far riflettere la mente.

Sono d'accordo con Nico,
spesso non ci turba, o non ci fa paura qualcosa, perchè pensiamo non potrà mai toccarci, perchè ci sentiamo al riparo da quel pericolo.

E si sa, si è meno sensibili, e si sposano meno certe cause quando queste non toccano qualche leva del nostro mondo interiore.
Ho seguito il caso Cucchi e mi sono rimaste impresse due cose, la determinazione vista negli occhi della sorella, e l'interrogatorio di Stefano.

Alle domande rivoltagli non riusciva a rispondere bene per le percosse subite,( a detta della sorella che conosceva bene la sua voce) e il suo silenzio, riguardo quanto accaduto in cella, era dovuto al fatto che si sentiva solo, e sapeva che se avesse parlato ne avrebbe prese il doppio.

Era un uomo solo, di fronte a psicopatici, che avrebbero dovuto invece vigilare sulla sua persona, garantire la sua incolumità.

Parlo di psicopatici perchè a mio avviso siamo, in moltissimi casi, in presenza di un distubo serio che è il sadismo patologico, che può riguardare la sfera sessuale e non.

Il prevaricare sui più deboli e l'infliggere torture o l'abusare sessualmente di una persona, sono tutte pratiche che si mettono in atto per appagare dei desideri a volte anche inconsci, che aumentano la propria autostima in quelle "persone" che non hanno raggiunto un sano sviluppo psico-relazionale, e quindi un equilibrio psicologico.

Il grosso guaio è che persone preposte a questi delicati tipi di lavoro, come a quelli che prevedono il possesso di armi e non ultimi a quelli che prevedono rapporti giornalieri con minori
(vedi insegnanti delle materne, statali e non)
ebbene, a mio avviso dovrebbero prima di essere abilitati a svolgere il loro incarico, superare una serie di colloqui con psichiatri che quantomeno escludano disturbi mentali e della personalità.

Vuoi aprire un asilo nido? Bastano 30.000/40.0000 euro per tutti gli strumenti e il gioco è fatto.
Tanto se dietro ai fiorellini che tappezzano l'intonaco dell'edificio, ci lavora una squilibrata che tortura i piccoli che fa'.
Pensiamo solo un attimo a quella bimba,( notizia della scorsa settimana) di 4 anni costretta dai genitori tossicodipendenti ad assistere a orgie etc... etc....,
Ebbene, dove passava il resto delle sue giornate, in mano a chi veniva data la sua vita, il suo futuro, quali insegnanti si occupavano di lei?
Persone adatte a capire la psicologia infantile, a dare amore, o magari insegnanti che aggiungevano dolore su dolore, come ultimamente ne abbiamo conosciuti tanti?

Detto questo credo che pecchiamo di controlli sull'idoneità delle persone a rivestire dei ruoli importanti e delicati.
Eppure basterebbero delle consulenze, dei controlli nel tempo, come per il rinnovo della patente.
Invece ci si preoccupa di controllare la vista per non investire e/o uccidere qualcuno, ma la morte fisica non è l'unica morte possibile.

Ciao Sira

Giovanna ha detto...

ALLORA I PRIMI AD ESSERE CONDANNATI SONO QUEI GIUDICI, MAGISTRATI, INQUIRENTI CHE TORTURANO MORALMENTE, OGNI SANTO GIORNO, TUTTE QUELLE PERSONE CHE GRAZIE ALLA LORO ECCELLENTE PROFESSIONALITA', DA INNOCENTI MARCISCONO IN GALERA !!!

Unknown ha detto...

Guarda Giovanna che i magistrati che si comportano male, così come gli uomini delle forze dell'ordine, sono pochissimi, l'ho anche scritto che per fortuna sono casi limite, e non lo fanno quindi ogni santo giorno. Per quale motivo ti sei alterata? Tutto il mondo, grazie all'ONU e ad Amnesty International, sta celebrando questo giorno in quanto è importante sapere che ci sono uomini malvagi, e non solo i dittatori lo sono, che umiliano, sia fisicamente che psicologicamente, i loro simili, è importante farli smettere e noi come nazione siamo ancora in quella metà del mondo, tre miliardi e cinquecentomila persone, che accetta le torture, perché abituati dalla nascita al peggio, o non sa riconoscerle perché senza legge.

I magistrati di Genova sono quelli che per primi si sono rammaricati, anche questo l'ho scritto, perché quei ragazzi, e fortuna che non c'era un nostro figlio, sono stati malmenati e torturati psicologicamente da persone che pagando una minima multa, questo prevede il codice per l'abuso di ufficio, lo Stato italiano ha implicitamente autorizzato a continuare lo scempio. La prossima volta, senza una legge chiara, a fronte di quanto sono stati autorizzati a rifare pagheranno solo un'altra multa.

Mi piacerebbe sapere, ripeto, perché tu ti sia alterata, quindi ti invito a mandare un commento per dirmelo perché non ha senso credere che in Italia non debba andare in vigore il reato di tortura. Tutti gli altri Stati europei l'hanno inserito da tempo.

Ciao, Massimo

nico ha detto...

Hai ragione Sira, non si vigila abbastanza sull'idoneita' degli uomini che entrano a far parte delle forze dell'ordine. E troppo forte é il malinteso spirito di corpo che porta a coprire gli autori degli abusi di qualunque tipo. Che, quindi, da colleghi diventano compagni di merende, sadici, pericolosi e per giunta armati. E ti massacrano un ragazzo che non ha piu' neanche la forza di rispondere alle domande, e costringono una ragazzina senza nessun appoggio a subire gli assalti sessuali del ''capo'', e torturano studenti che manifestano a un vertice di capi di stato. Fanno paura, e tanta tanta rabbia. Non dovrebbero essere dove sono, i militari e i poliziotti violenti. Non ci tutelano, anzi spaventano. E i loro colleghi onesti dovrebbero essere molto piu' incisivi nell'isolare i delinquenti che ci fanno perdere la fiducia in tutti loro.

Unknown ha detto...

Ciao Sira.

Credo che i test psicologici siano già in vigore in certi settori delicati del nostro paese, non so però se le scuole materne siano considerate un settore delicato.
Sono d'accordo sul fatto che i nostri figli debbano essere tutelati, ma per far questo basterebbero più controlli da parte degli assistenti sociali e qualche telecamera posizionata bene in vista all'interno delle aule. Sia nel privato che nel comunale che nello Statale. Però credo anche che oltre agli insegnanti andrebbero visitati frequentemente anche tanti genitori.

Certo è che invece gli agenti delle varie forze dell'ordine tali "richiami psicofisici attitudinali" li fanno. In questo caso però il problema non è al momento della visita ma al momento del maggiore stress.

Mi spiego meglio. Un poliziotto dell'anticrimine, ad esempio, se vuole salvarsi la vita ed arrestare un criminale dev'essere dentro di sé mezzo criminale, nel senso buono, perché certi criminali non gli perdonerebbero il minimo sbaglio e lo ammazzerebbero. Quindi se è uno di quegli agenti che lavora "sul campo" non può essere dolce e premuroso con chi arresta, dev'essere, al contrario, cattivo come e più di chi arresta. E novantacinque volte su cento, a certe persone, una manganellata in più fa meglio di una in meno.

Il problema maggiore per loro sta nel saper riconoscere se chi hanno di fronte è un pericoloso criminale o un ragazzo debole, tipo Cucchi, o addirittura innocente, tipo Rapotez, Morrone e tanti altri. Qui sta l'inghippo da risolvere perché una squadra di poliziotti non è mai composta da un solo elemento e gli altri dovrebbero essere in grado di bloccare chi ha incamerato, magari a causa di un arresto o di uno stress per tante ore ininterrotte di lavoro, troppa adrenalina e per calarla deve sfogarsi.

Purtroppo lo spirito di corpo impedisce ad un agente di parlare di quanto ha fatto l'altro, è come un codice d'onore militare che paragona il parlare male del proprio commilitone ad una sorta di tradimento, e l'esempio viene dal pestaggio di Federico Aldrovandi. E non è solo fra la base operativa che avviene e si instaura questo "patto" ma anche fra i pochi magistrati che per far confessare chi credono colpevole usano incarcerarlo in attesa si redima e parli.

Per cui ciò che latita da noi è solo la legge sulla tortura che potrebbe frenare certi atteggiamenti e convincere chi ora per spirito di corporazione è omertoso o addirittura protegge.

Ciao, Massimo

Manlio Tummolo ha detto...

In realtà, attraverso un combinato disposto di norme vigenti (anche internazionali), la tortura sarebbe già punibile come tale, senza leggi specifiche. Ne avevo scritto, se non ricordo male su "La Stampa" o qualche altro quotidiano nazionale, relativamente al processo per le violenze a Genova. Se qualcuno cerca poi di predefinire la "tortura" in forme specifiche (es. mettere un ferro rovente sugli organi genitali, strappare questa o quell'altra parte della carne, utilizzare scosse elettriche, colare piombo fuso sulla carne, ecc.) se ne dovrebbe fare un elenco infinito e resterebbe sempre fuori qualche tipo di tortura non previsto come tale. Ora si dovrebbe qualificare come "tortura" qualunque sofferenza fisica (e anche psichica) eventualmente utilizzata allo scopo di estorcere informazioni, o come intimidazione o come punizione violenta, a cominciare da schiaffi e pugni, per finire con cose ben più odiosamente "raffinate". Anche l'uso di sostanze psicotrope atte a confessioni forzate (del resto il divieto è già esplicito) va considerata come "tortura" sia pure più "soft", ma non meno pericolosa potendo anche
squilibrare in modo permanente le capacità cerebrali. A me sembra che ignorare l'esistenza di norme già esistenti da applicare come combinato disposto, e volere leggi specifiche, comporti appunto il rischio di saltare certe forme violente di pressione, solo perché non citate dalla legge. Quanto all'abuso d'ufficio, la pena è correlata al tipo di abuso: se ad es., in qualità di nonsoché raccomando un mio amico per un lavoro magari con minacce, è un conto; l'arresto illegale (art. 606 CP) prevede fino a 3 anni di carcere, la violazione di domicilio (art. 615) fino ad un anno, la violenza privata fino a 4 anni, aggravata dal fatto che sia compiuta da pubblico ufficiale e per giunta in servizio (art. 610). Naturalmente la compresenza di più reati derivati da abuso d'ufficio ovviamente aggrava la pena. Ma il nodo della questione è sempre lì: che la legge (che non è mai un solo singolo articolo)venga applicata con rigore logico, altrimenti è inutile. Si sa che la tortura era vietata dal Codice di Procedura Penale staliniano, e nondimeno sappiamo che veniva utilizzata in forme raffinate ugualmente: come disse Dante "le leggi son, ma chi pon mano ad esse ?".

Anonimo ha detto...

denunciate all onu che a taranto ce guantanamo...roba da matti....

Anonimo ha detto...

sul fatto ke un poliziotto deve conoscere le due facce della medaglia hai centrato in pieno ...xke se vuoi prendere un criminale devi scendere ai sui livelli e capire le sue mosse certamente uno ke è stato solo sui libri sta sicuro ke il criminale nn lo prendera' mai i poliziotti veri sono quelli ke hanno vissuto prima in strada e poi hanno deciso di passare dalla parte giusta...e stai sicuro ke il vero poliziotto nn infierisce su una persona che reputa debole chi infierisce su una persona debole e solo quel poliziotto esaltato che se si trova davanti un vero criminale sta tranquillo che tale poliziotto batterebbe un centometrista...saluti

Unknown ha detto...

Di veri poliziotti e carabinieri ne conosco una marea, quindi so cosa devono anche subire a causa del lavoro (perché la loro vita non è affatto acqua e fiori come ai più può sembrare) specialmente a livello familiare.

So come rischiano la vita e quando la rischiano. So cosa provano e quanto gli si alzi la tensione e l'adrenalina quando hanno una operazione in atto e devono arrestare criminali che potrebbero essere armati, ma so anche a cosa devono a volte (e ripeto che ultimamente sono rarissime) sottostare perché si trovano accanto al collega che si lascia prendere la mano.

Massimo

Unknown ha detto...

Io non voglio denunciare all'Onu che a Taranto c'è Guantanamo, ma se tu andassi a casa di Domenico Morrone, che s'è fatto 14 anni di carcere, e gli chiedessi cosa gli hanno fatto per cercare di farlo confessare, cosa hanno fatto ai testimoni che lo escludevano dagli omicidi (tutti condannati e segnati a vita)...

Ma potresti andare al carcere di Potenza, dove stanno altri di Taranto da tredici anni ed aspettano che arrivi la Cassazione per il Sebai per poter uscire, e domandassi a loro cosa hanno dovuto sopportare, cosa non hanno più perché portatogli via dallo Stato per pagare processi e risarcire vittime che non avevano ucciso loro.

Io non denuncio Taranto all'Onu perché Taranto non è Guantanamo ed i casi sono sporadici e non riguardano solo quella città, ma prendere alcuni di questi per fare capire quale possa essere una forma di tortura usata in Italia lo posso fare. E non ho citato Tortora o altri famosi personaggi pubblici che hanno subito per anni e sono pure morti a causa della sofferenza. Questa sì che è roba da matti...

In ogni caso se tu andassi nel sito di Pannella vi troveresti le relazioni su come si vive e su cosa si fa nelle carceri italiane.

Massimo

Manlio Tummolo ha detto...

Relativamente alle denunce, esse spettano agli Organi appositi. Certo un reato perseguibile d'ufficio potrebbe, in teoria, essere denunciato da chiunque, ma a parte i rischi di controdenunce per calunnia, non essendo neppure testimone diretto delle vicende, gli Organi internazionali non prenderebbero neppure sul serio il fatto. Ovviamente spetterebbe agli avvocati difensori e soprattutto ad un'Amnesty International, che sembra occuparsi solo di questioni processuali in Paesi islamici o in quelli comunisti, quando c'erano, mentre sembra assolutamente ignorare vicende italiane (lo so per esperienza diretta, avendo scritto ad A. I. su un mio amico arrestato con futili motivi, che qui non sto a raccontare). Non si preoccuparono nemmeno di chiedermi ulteriori dettagli. Questo tanto per far capire come non sia facile denunciare neppure reati di un certo rilievo e perseguibili d'ufficio, solo conosciuti ma non vissuti in prima persona.
Tornando al caso Genova, la mite punizione per le violenze subìte da molte persone nel corso della tragica notte, che risultò una vendetta per i fatti del giorno su persone comunque innocue (al momento, almeno, dell'assalto), si spiega più che per l'assenza di una specifica legge contro la tortura (ricavabile in ogni caso col combinato disposto di varie norme), per il fatto che le Forze dell'Ordine avrebbero mal digerito una punizione proporzionale alle violenze (cfr. anche caso Aldrovandi, dove si sarebbe dovuto parlare di omicidio preterintenzionale, non semplicemente colposo), col risultato di boicottaggi nelle indagini che i pubblici ministeri delegano alle varie Forze come "Polizia Giudiziaria". Di qui l'utilità di creare una Polizia Giudiziaria autonoma dalle altre Forze dell'Oridne, con scopi non di repressione del crimine, ma di semplice indagine affiancante la Magistratura inquirente (come del resto sarebbe previsto dalla Costituzione stessa).