sabato 10 febbraio 2018

Un reality scongelato ogni anno e senza data di scadenza: il festival di Sanremo

Di Gilberto Migliorini


Ascolti record per un prodotto che dà al paese il senso della continuità: ‘siamo ancora qui nelle nostre mutande’… come direbbe proprio una canzone. È il déjà vu di una manifestazione canora che si ripropone annualmente con enfasi… Il festival offre punti di riferimento orecchiabili, l’identità di un popolo costruita su iconografie  e decalcomanie che fanno del Bel Paese l’utopia del melodramma sanremese. Al di là dei protagonisti e delle canzoni, la matrice è quella rassicurante di una realtà che vive in un eterno presente, immutabile, votata all’immobilismo in una sorta di mummificazione agiografica di canzonettari, santoni e parolai.

La geremiade di poeti santi e naviganti (ma oggi con l’aggiunta di migranti e postulanti) è riprodotta nella consueta scenografia scintillante, lo specchio di un paese dove tutto vola sulle note della musica, il consueto zum zum della canzone che gira per la testa… Nelle sviolinate di mannequin e istrioni, lo spettacolo trova espressione e divertissement nel più perfetto qualunquismo di ironie e parodie, un take away consumato sull’onda dell’iperbole orchestrale.  Lo share è assuefatto fin dall’infanzia televisiva a consumare patatine e popcorn come se fosse un piatto da nouvelle cousine. Il lungo e ininterrotto copione dello spot di mamma rai - a cadenza regolare - si trasforma in un carosello canzonettaro con l’alone aulico della kermesse, come fosse davvero un inaudito fatto culturale.

Sembra che oltre la manifestazione canora ci sia solo il vuoto di una società che sta aspettando Sanremo per concretizzare finalmente i suoi talenti artistici e dar fondo alla propria sensibilità estetica… E nell’istituzione televisiva - a parte i soliti format oleografici i mezzibusti e i dibattiti - il vuoto c’è davvero. La canzonetta è succintamente la vera cultura dell’etere, costituisce l’evento educativo per antonomasia in un paese dove l’audience è un destinatario addestrato a riprodurre per clonazione idee e giudizi. L’avvenimento sanremese può sembrare una commedia dell’art nouveau scenografica, un po’ cabarettistica e un po’ teosofica, esteticamente a la page, per non dire innovativa ed eversiva sulle note pregnanti di strofe e ritornelli musicali…

L’attesa della performance è ricorrente, una replica che cambia un po’ look lasciando inalterati sapori ed odori nel piatto. Il festival si ripropone come l’esatta rappresentazione di un paese dove la cultura istituzionale trova consonanza in un copione secondo i criteri nazional-popolari. La gara canora funge da strumento di programmazione dell’utente, ne definisce i modelli estetici, etici ed antropologici nella disamina accurata della simbologia e della semantica del testo musicale...  con tutto il suo contorno di elfi, suffragette e imbonitori. Il target trova nel festival della canzone la sua ragion d’essere in quanto oggetto da plasmare ed educare nella cultura del pettegolezzo e della chiacchiera. Il calcio e la canzone sono i due formidabili strumenti con i quali è possibile trovare consonanze, suscitare emozioni, sollecitare competenze e… menare il can per l’aia.

La canzone è perfettamente orecchiabile con tutte le variazioni sul tema che fanno della manifestazione canora la vetrina dei luoghi comuni di un paese perennemente votato alla cultura della strofa e del ritornello.  I consueti flashback riportano alla memoria le immagini della nostra infanzia televisiva che hanno dato forma e sostanza all’italiota un po’ tirando calci al pallone e un po’ canticchiando...

L’operazione era destinata a diventare di più ampia portata con la palingenesi di testi e di note di matrice evangelico-ideologica. Si è dato un look di cultura alla spettacolarizzazione con le cariatidi che popolano gli spazi commerciali. Personaggi iconografici hanno messo radici nella realtà e nell’immaginario di un Bel Paese cresciuto sull’onda della tv sanremese. Il servizio pubblico ha garantito buoni livelli di conformismo con una spruzzatina di trasgressione programmata. La critica nel mondo della canzone e nella tifoseria calcistica sono diventati gli emblemi di una raggiunta libertà delle coscienze. Il paese feudale per antonomasia è riuscito a infondere nel telespettatore la certezza di vivere nel migliore dei mondi possibili, in un’utopia scandita nei generi musicali e negli interpreti che dimostrano il raggiunto pluralismo dell’etere.

I protagonisti della diretta festivaliera, non più i famosi su un’isola tropicale, ma direttamente su un palco, riscuotono lo share senza bisogno di digiuni eucaristici e prove di sopravvivenza, il gossip e gli ascolti sono garantiti dalla replica di un format che ormai fa parte della memoria patria proprio come certi personaggi delle favole che ci hanno raccontato nell’infanzia. I big della canzone e i loro sponsor  sono entrati così in profondità nell’immaginario collettivo da sembrare più veri di Garibaldi e di Pinocchio.

Il confine tra pubblicità e propaganda nel canone della tv è diventato un artificio di programmazione. L’utente vive in un quantum continuum dove canzoni, merendine, detersivi, battute e tg fanno parte di un unico palinsesto indivisibile, il ritornello di una canzone senza iati e interruzioni. Si paga il canone per essere programmati e strutturati, educati alle note di una canzone ininterrotta di testi e spartiti musicali. Il festival ricorda la favola della bella addormentata nel bosco, l’immagine di un paese cresciuto con la ninna nanna di mamma tv, svezzato col teatrino dei balocchi. Un popolo passato dalla mitologia fascista al teatro onirico del dopoguerra in attesa della terra promessa, sulle note del bel canto per dimenticare preoccupazioni e cattivi pensieri.


Sanremo è un farmaco dell’anima, un anestetico in grado di mantenere sotto controllo, nell’utenza televisiva e nell’elettorato, tutti i parametri psico-caratteriali,  di regolare gli ormoni e le sostanze psico-reattive. Ce la suonano e ce la cantano la canzone… e ci si può finalmente addormentare felici con l’orsacchiotto in mano.

20 commenti:

Anonimo ha detto...

L' italiota non guarda Sanremo.
Lo seguono le mamme come la mia.
Continuate a guardarvi i porno su internet visto che non vi piace.

Anonimo ha detto...

Dai dell'italiota a tua mamma e alle mamme? Ma che dici, chi sei?

Anonimo ha detto...

Ascolta anonimo.
Definizione di italiota:
"Di persona italiana a cui arbitrariamente si attribuiscono limitatezze mentali e basso livello culturale"
Esattamente come quelli che difendono, mentendo con tutta la veemenza di cui sono capaci, illudendosi di dare così a volgari assassini e stupratori la libertà.
Proprio come te.
A me piace Sanremo, che problema c'è.

Anonimo ha detto...

12,2 milioni di spettatori, 58,3% di share.
Tutti coglioni.

Anonimo ha detto...

Beh se è per quello Mussolini parlava di otto milioni baionette. In tutti i regimi il consenso si misura con lo share. Il consenso si è sempre ottenuto nutrendo il popolo con la retorica e la demagogia (panem et circenses vedi Giovenale).

Anonimo ha detto...

Caro Anonimus delle 13:56:00
Di sicuro tu fai parte del 58,3 di share. Beato te!!!!

Anonimo ha detto...

Beati italioti.
Non riuscite a spalleggiare il vostro cocco senza frantumare le palle a chi ogni tanto si distrae un pò ?

Manlio Tummolo ha detto...

I vari Festivals, di cui quello di Sanremo è un sopravissuto (quand'ero ragazzo esisteva anche quello di Napoli, e le varie Canzonissime) costituiscono "ludi circenses" che servono a distrarre il popolo, la plebe, dalle cose serie, far credere loro in un rovesciamento di valori, e quindi poter dominare meglio il popolo. Strumento principe di questo tentativo, destinato al disastro, è la RAI, che ha propagandato la cosa come se fosse l'essenziale, vantando non so che livello di "share", anche per radio. Si illudono che un popolo di ebeti sia più obbediente, è la solita illusione dei tiranni, dei re assoluti, dei dittatori e dei falsi democratici: il risultato finale è che, quando arriva il momento, il popolo di ebeti inferocisce, e allora si lanciano "ooooohhhh" di meraviglia quando scorre il sanguie per le strade. La Storia, infallibile maestra di vita, ha tragicamente pessimi alunni, quasi sempre smemorati.

Nautilina ha detto...

Beh, c'è stato un periodo in cui Sanremo si poteva guardare. O forse ero io ad avere altri occhi e orecchie, essendo giovane.
C'erano artisti di prim'ordine che cantavano canzoni a volte anche molto belle, come Tenco, Dalla, Endrigo, la Vanoni, Nino Ferrer, Fausto Leali, ma anche Dorelli e Tony Del Monaco per chi aveva gusti più classici. Ovviamente poi Orietta Berti, Nada, Celentano e Nicola di Bari accontentavano un altro genere di pubblico, insomma, ce n'era per tutti.
Ricordo che nel 1968, solo un anno dopo il suicidio del povero Tenco, arrivarono tanti interpreti e musicisti stranieri e fu un'edizione davvero straordinaria: il grande Satchmo, Dionne Warwick, Timi Yuro, Lionel Hampton, Shirley Bassey, Wilson Pickett e tanti altri, tutti indimenticabili. Troppo moderno per poter durare, però.
Infatti dopo quella parentesi il festival sanremese è tornato ad essere quello che è sempre stato fin dal suo inizio : una manifestazione di provincialismo, un'esibizione del bel canto italiano e di una musica leggera un po' banalotta e sentimentale che piace molto da noi ma altrove ha poco seguito.
Peccato. Ma forse è giusto così, bisogna accontentare i gusti del pubblico nazionale.

A parte tutto, Giberto, condivido le tue osservazioni e anche quelle del prof. Tummolo, ma la gente ha anche diritto di divertirsi come può. C'è chi adora essere preso per incantamento, e in fondo non ci vedrei niente di male, finché non danneggia il prossimo che faccia pure come crede.

Anonimo ha detto...

Buonasera Signor Tummolo.
Speriamo che qualcuno dei 12.200.000 "ebeti" abbia troppo da fare e non trovi il tempo per venire a sgridarla sotto casa.

Gilberto ha detto...

Nautilina
Il problema è più complesso. Non si sta parlando delle singole esibizioni canore. Certo hanno partecipato nel passato dei grandi interpreti. Si sta parlando del frame, la cornice dove il contribuente paga il canone in cambio di pubblicità e dove lo sponsor ha chiaramente un carattere surrettiziamente ideologico-propagandistico. Non si tratta della canzone tout court, ma del suo trasformarsi in strumento di consenso mediante una narrazione scenografica e una sceneggiatura utilizzate come procedimenti non tanto orientati al divertimento, quanto al disimpegno e alla banalizzazione. Un format che ha l’obiettivo di creare nel pubblico stereotipi in una assuefazione a una forma mentis strutturata in modo elementare e disposta a assimilare qualunque contenuto in modo passivo e acritico. Il problema non sono le canzoni (e per la verità la qualità è ormai bassissima sia nei testi e sia nella musica) ma il contenitore che rappresenta l’universo di un telespettatore sempre più appendice di una macchina sfarzosa e appariscente, vuota di valori e di contenuti…

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Anonimo,

da dove ricava il numero di 12 milioni e passa ? Io non ho fatto numeri. O forse si riferisce ai dati (sempre dubbi...) dati dalla RAI stessa, che li verifica non si sa con quale criterio, analogamente all'ISTAT che dà i numeri sempre con criteri assolutamente misteriosi. Ovviamente, la RAI deve elogiare se stessa e dire di avere sempre il massimo di ascolto. Come se fosse il numero degli ascoltatori a determinare il valore di una trasmissione !
Mussolini, al tempo delle sanzioni (1935/ 36) disse che gli Italiani che lo ascoltavano erano ben 20 milioni, su una popolazione allora di 40 - 45 milioni complessivi, più gli emigrati e i fuoriusciti (politici). Di lì a 10 anni ben pochi si vantavano di essere stati allora in piazza ad acclamare "DUCE, DUCE, DUCE, ecc.. Nessuno era più fascista, salvo qualche nostalgico. Così va il mondo, lo sappiamo bene. Domani, nessun Italiano si vanterà di aver creduto alle frottole dell'attuale Regime Sdemocratico ed Antifascista, e magari di aver seguito il Festival di San Remo.

Se venissero 12 milioni sotto le mie finestre, ne approfitterei per una grande orazione: ne sari molto onorato.

Anonimo ha detto...

Ha ragione, nessuno sà chi fornisce questi dati, l'ho guardato sicuramente io e mia mammma, un paio di serate che peraltro non ci sono piaciute, siamo sicuramente due.
Essere apostrofati ebeti mi è sembrato esagerato.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Anonimo,

intanto il riferimento all'"ebetismno" viene dato per le intenzioni di chi trasmette con tanta propaganda quel Festival che a mio parere, poteva andar bene (relativamente) fino agli anni Sessanta, visto che l'Italia viveva un perido di ottimismo e non c'era ancora stato il terrorismo. Uno dei primi segni della nocività di tali spettacoili è, a mio parere indiscutibilmente, col suicidio di Luigi Tenco (autentico o provocato non so: qualcuno sollevò a suo tempo molti dubbi...). Già quel tristissimo episodio avrebbe dovuto far capire che non era più il tempo per quegli spettacoli. Poi vennero il terrorismo, le lotte politiche, la catena di crisi economiche: il popolo italiano avrebbe avuto bisogno non di questi spettacoli, ma di lezioni serie di storia, di economia, di diritto, di arte ecc. ecc.

Quando uno scrive, parla in generale, soprattutto quando non scrive in risposta a qualche persona specifica: dunque gli "ebeti" sono un obiettivo di regime, non è detto che il solo guardare uno spettacolo, per quanto non dei più intelligenti, sia per ciò stesso segno di ebetismo: bisogna vedere in che modo è guardato e commentato. Ma non posso sapere, caso per caso, come questo avviene. quindi, egregio Anonimo, non si può personalizzare un mio giudizio. del resto, aggiungo, e chiudo, non è che le alternative televisive (pubbliche e private) fossero state granché migliori. Io personalmente vedo la televisione solo quando sono in casa altrui, e i miei ospiti la tengono accesa, ovviamente. Mi sembrerebbe scortese farla spegnere o andarmene. Ma per quel che mi riguarda, ho rotto i ponti con la RAI e di anno in anno rinnovo il mio rifiuto.

Manlio Tummolo ha detto...

Ad essere più sinceri e completi, non è certo solo il Festival di San Remo a denotare il livello di diseducazione esercitato dal regime tramite la RAI: mi basta verificare ogni giorno, anche su strade minori, strette e curve, come guida la gente, in maggioranza: vedendo per televisione gare di corsa, si stanno convincendo: 1) che quei comportamenti costituiscano il nuovo o Ultimo Codice della Strada; 2) che i segnali di limite della velocità ed altro servano ad ornare la strada o a fissare il bordo della corsia; 3) che le distanze di sicurezza siano un optional; 4) di essere tutti campioni del volante, in grado di sentirsi sicuri, guidando senza mani o con un dito solo, mentre con le altre dita possono telefonare, scrivere e magari accarezzare le rotondità della passeggera a fianco o dietro, oppure (secondo le situazioni ed i gusti) del passeggero. 5) Pensano anche, data la propaganda delle varie marche, di possedere un pilota automatico che li salvi, insieme alla cintura, da qualunque incidente.

Non so che cosa si insegni oggi nelle scuole-guida; quannd'ero giovane, ormai secoli fa, c'era la formuletta del quadrato delle decine di km/h per indicare i metri di distanza da tenere: es. kmh 100 ---> distanza da tenere 10 x 10, ovvero 100 metri. Quindi, correndo a 100 km/h, occorre mantenere una distanza di circa 100 metri da chi precede. Vorrei sapere quanti oggi applicano una simile regola, senza pretendere che escano fuori dalla macchina in corsa col metro per misurare. E tutto questo è dovuto alla selvaggia istigazione a delinquere che viene dalla RAI che eccita sempre tutti alla velocità, invece che alla regolarità del movimento.

Manlio Tummolo ha detto...

Ah, sì: un'ultima cosa: si insegna oggi, nelle Scuole (sia quelle di Stato obbligatorie sia nelle Scuole guida) in che cosa consista il principio di inerzia, e la sua correlazione con la guida di un mezzo a motore ? La RAI, sicuramente, non lo fa. Quando accadono le disgrazie, esce a dire che erano "annunciate", ma prima che accadano, non dice nulla, anzi fa dire all'ISTAT, altra ottima organizzazione del Regime, che tutto va bene, non vi sono più incidenti e che tutto funziona nel migliore dei modi nel miglior mondo possibile. Ovviamente, tutto è relativo...

Personalmente credo che, se invece di organizzare marce per o contro il fascismo, si cercasse di educare, o meglio che si autoeduchi, il cittadino, non vi sarebbe affatto bisogno né di marce, né di parate, né di manifestazioni, sempre vane perché vi si perde tempo, senza capirci nulla.

magica ha detto...

ultimamente ci parlano di fascismo . dicono che ci sono partiti pericolosi , sono pericolosi ma per la sinistra .
quando blaterano all tv la presidenta , i gigli di firenze e tutta quella combriccola ,, si procurano danni ...... perchè la gente capisce la loro furbizia per cui vota a destra.
una situazione stomachevole .

Manlio Tummolo ha detto...

Penso, carissima Magica, che vi sarà una grande astensione, sia dei non-votanti, sia di quelli che riempiranno con improperi o altro la scheda. Poi ovviamente i partitocrati diranno comunque di aver vinto, come al solito...

magica ha detto...

signor TUMMOLO ci sara' chi si astiene e: li conosco--. è gente che si frequenta , i quali non votano pero' si lamentano dell'andazzo)
qualcuno dovra' pur vincere queste elezioni . chi vince avra' vinto e siccome io sono molto democratica non sara' contraria del risultato . vogliono rompersi i cosidetti con un partito o con un altro?ok ! io pero' vorrei che vincesse la mia idea di personaggio . solo per cambiare questa brutta legge che gli italiani odiano . la magistratura della sinistra . è sopratutto questa bruttura che mi piacerebbe venisse bloccata . ma se cio' non fosse possibile vuol dire che va bene cosi' .. ok?

Manlio Tummolo ha detto...

Magica Carissima,

politicamente la Magistratura, come l'informazione dominante, ha questo di caratteristico: sostiene il regime, qualunque ne sia il modello. Lei mi obietterà che così non è stato per Berlusconi, e che l'hanno messo in castigo (dietro la lavagna, come si usava una volta), malgrado fosse al governo. Berlusconi è una delle eccezioni, sia per scarsità di azione politica (confonde la bottega col partito), sia per la verbosità non accompagnata da sufficiente energia. Si è fatto giocare due volte, potrebbe anche avvenire la terza (forse no, ma solo per timore di veder apparire un comico dietro la stessa lavagna...).