giovedì 27 novembre 2014

Il caso Bossetti è il selfie di un paese conchiuso in caste con una intramontabile e attualizzata cultura da medioevo...

Di Gilberto Migliorini


Piramide del potere (clicca sula foto per ingrandire)
Qualcuno snobba il caso Bossetti come fosse l’ennesimo cold case al quale l’opinione pubblica si attacca per quell'ozioso e inconcludente gioco del gossip, un po’ morboso e un po’ accattivante. È vero solo in parte: c’è un uomo in carcere che grida la sua innocenza. Certo, la giovane vita di una adolescente è stata stroncata in modo efferato, con un omicidio dai contorni poco chiari. Questo sembra far ritenere a molti che si possa procedere con giudizio sommario, che l’entità del delitto sia sufficiente per non andarci tanto con i piedi di piombo, che sia più importante trovare un colpevole e che il connesso effetto placebo rappresenti un’occasione per chiudere comunque la vicenda, rasserenati e riconciliati con i quotidiani problemi di un paese alla deriva, fino al prossimo caso che funga da valvola di sfogo. Riguardo al Dna, l’unico dato che funge da innesco di indagine, sembrerebbe indurre giudici e criminologi a credere che l’acido nucleico sia una "scatola magica", in cui vengono introdotti i campioni e saltano fuori "verdetti" di colpevolezza o di innocenza. Davvero una bella scorciatoia: è come l’uovo di Colombo.Il software di elaborazione e visualizzazione dei cromatogrammi, sequenziatori automatici e microchip, semplificherà il lavoro dei magistrati sottraendoli alla responsabilità di produrre inferenze e ragionamenti sulla base di un organico sistema indiziario e senza più nemmeno il ragionevole dubbio?

Ormai ci sono il biologo e il chimico, il fisico e lo psicologo che non solo rilevano dei dati, ma che sfornano giudizi a tutto tondo. La prova scientifica è diventata la bacchetta magica che risolve anche il caso più difficile. Forse alla fine il camice bianco (e la toga) verrà indossato da software biologici, test di Turing informatizzati e da computer dedicati, con una stampante che sforna in automatico la foto del colpevole estratta da un database. I tre gradi di giudizio daranno alle procedure una veste formalmente ineccepibile velocizzando finalmente una giustizia lenta e farraginosa. Il problema dell’arretrato non verrà risolto sfrondando un ginepraio di leggi contraddittorie e incomprensibili per noi comuni mortali, e nemmeno con magistrati attrezzati con strumenti di epistemologia giuridica. In futuro nello showbiz si tratterà di verdetti spettacolarizzati, con trailer, colonna sonora e magari un teaser ad effetto con un cast di opinionisti ed esperti al seguito del carrozzone mediatico. Sarà un blockbuster che incanta con gli effetti speciali, uomini in camice bianco e valigetta al seguito mentre il criminologo, nel salotto televisivo, snocciola una litania di aforismi alla monsieur de la Palisse in salsa scientifichese.

Un attimo, mi hanno appena telefonato per dirmi che è già così! Accidenti, ne abbiamo fatta di strada!

Una spettacolarizzazione che sponsorizza un film (con relativa prova del Dna) davvero coinvolgente. I delinquenti devono farsene una ragione, oppure aggiornarsi secondo i nuovi standard con Kit (già in vendita su Internet) per utilizzare il test del Dna come nuova opportunità (magari seminando l’acido nucleico di altre persone sulla scena del crimine). Per gli innocenti occorre prepararsi preventivamente un alibi di ferro... e forse non basterà neppure quello.

Come Timothy Durham, accusato di aver stuprato una ragazza di Oklaoma City. Nonostante 11 testimoni gli fornissero un alibi, la prova del Dna lo fece ugualmente condannare (noblesse oblige della ‘prova scientifica’). Solo la disponibilità economica della famiglia consentì una replica del test e si poté dimostrare che il test precedente era stato male interpretato.

Tra gli scienziati, qualcuno con coraggio comincia ad ammettere che l’infallibilità del Dna è un mito, una chimera, a differenza della giustizia che di fronte alla cosiddetta prova scientifica non sembra sfiorata da dubbi epistemici. L’Ipse dixit adesso è appannaggio del sistema tecnologico. Salvo confondere quello che è semplicemente un dato (talvolta per giunta sbagliato o comunque da interpretare) con quella che è una prova (da rappresentare in un sistema indiziario possibilmente non teorematico).

Ma forse il problema è a monte, almeno per il nostro paese. La cultura espressa dall'Italia è quella di un sistema di chiusure che ricordano la nostra civiltà medioevale, quel sistema di vincoli e di pastoie, una ragnatela dove la certezza del diritto scema nelle segrete stanze e dove tutto avviene attraverso relazioni clientelari e scambi di favori, do ut des, del tutto normali nell'organigramma dei poteri. Quella cultura che - dall’Alto medioevo, nel disordinato sviluppo delle repubbliche cittadine e attraverso il Rinascimento – giunse fino a noi inabissandosi in quel clima della controriforma nel quale viviamo in un presente interminabile intervallato qua e là da sprazzi di modernità non del tutto scevra dai pregiudizi e dalle auliche superstizioni.

Quando si parla di caste si intende un sistema di privilegi e di potere che risulta impermeabile rispetto a quelle regole scritte che dovrebbero informare la società civile, un potere che sta al di sopra della legge in forza di una posizione eminente che ai suoi aderenti garantisce immunità, prebende e prestigio, una discrezionalità decisionale e una autonomia senza controllo, se non in quei protocolli formali di un bizantinismo e preziosismo vuoti e strumentali. Il diritto e la politica sono intessuti di interpretazioni che rimandano a rapporti di natura imperscrutabile in quanto appannaggio di caste mimetizzate in un linguaggio simbiotico e semanticamente indecidibile. Appartenere a una casta, però, non ha solo risvolti positivi: i privilegi comportano un onere, un gravame non lieve, il rispetto di quelle regole esoteriche non scritte che di fatto limitano le libertà del suo adepto in rapporto ai suoi pari. Tutta una serie di conflitti morali e di sotterranei antagonismi, di gelosie e di tradimenti, non può non creare un perenne stato di disagio e una sorta di ritorno del rimosso, soprattutto in coloro che conservano ancora un barlume di coscienza critica e di autonomia personale. L’affiliato a fratellanze è costretto a sfogarsi nel chiuso soffocante della propria gerarchia, talvolta ribellandosi a un sistema che in quanto protettivo è anche castrante e oppressivo, conchiuso e autoreferenziale in una interdipendenza di poteri di supporto e di rimandi, senza più nessun riferimento alla realtà ma solo a dei puri ed eterei formalismi.

Il sistema interconnesso delle istituzioni politico-giudiziarie degli ordini scientifico-professionali, dei protocolli informativi e mediatici, porterà Bossetti a una condanna? E lo stesso sistema condurrà l’Italia al default, a un fallimento sociale ed economico catastrofico? L’ultimo governo, quello in carica, sembra avere tutte le carte in regola per svendere il Bel Paese, forse addirittura con il beneplacito della maggioranza degli italiani che neppure si rendono conto di seguire un pifferaio magico. Il Paese è ormai irretito in un sistema che lo sta lentamente soffocando, un popolo di inconsapevoli carcerati proprio come il muratore di Mapello, che tira a campare nella speranza che prima o poi succeda qualcosa, che sia stato davvero trovato il colpevole di un delitto e i responsabili dello sfascio delle istituzioni. La cultura delle chiusure e delle caste impermeabili, sta lentamente e inesorabilmente facendo il suo lavoro di cesello: gutta cavat lapidem. La libertà espressa attraverso l’uguaglianza dei diritti e le garanzie costituzionali esiste solo come quadro oleografico e orpello retorico, una finzione che vale per chi appartiene alle gerarchie dominanti. Al politico e all'amministratore si danno i domiciliari, magari nella villa di famiglia con tanto di parco e dependance, mentre il detenuto comune in fermo giudiziario o in attesa di giudizio, viene messo in isolamento in una cella grande quanto il loculo di un sepolcro. 

Però i sistemi chiusi di camarille e massonerie inibiscono e schiacciano non solo il cittadino comune, ma anche gli stessi aderenti e affiliati alle lobby in antagonismo o in negoziazione. Perfino il privilegio del potere può talvolta risultare un peso insopportabile per chi conserva ancora il senso di una coscienza libera. Il conflitto talora si svolge perfino nelle segrete stanze…

Esiste la possibilità che nasca una nuova cultura? Oppure i germi di quella che ci sta soffocando sono ormai ovunque? Qualsiasi tentativo di rinascita di un popolo ridotto in schiavitù mediatico-istituzionale è condannato a riprodurre gli schemi mentali che lo costringono in un ghetto di ignavia e qualunquismo? Il controllo della cultura è attuato in modo capillare a monte, in un sistema mediatico che plasma e indottrina un popolo di replicanti. Il target farfuglia e ripete pedissequamente i rituali di una cultura nazional-popolare che lo illude di esprimere il suo pensiero e le sue emozioni, mentre è soltanto la marionetta di un teatrino. Dove possono ancora esistere nicchie di libertà? Nel sindacato? Nella cultura alternativa? Nell'associazionismo e nel volontariato? 

I nuovi congegni elettronici che consentono nuove modalità di relazione e di intrattenimento, sembrano più che altro veicolare i germi della cultura superficiale del cinguettio e del vuoto a perdere. Le forme di dissenso sembrano prendere la strada del déjà vu, della fuga in avanti e degli schematismi obsoleti. È lo stato orwelliano nel quale qualsiasi Winston Smith, l’uomo qualunque, everyman della società del Big Brother, può solo rifugiarsi in qualche negozio da robivecchi accontentandosi di un anfratto di libertà come il protagonista di 1984? La cultura televisiva ci avvolge ormai come la coperta di Linus, un po’ protegge dalle dissonanze cognitive che potrebbero precipitare l’utenza in un dubbio pernicioso (quello che ci stanno raccontando un sacco di balle) e un po’ ci tranquillizza e rasserena insieme alla ninna nanna che ci fa addormentare nel bozzolo caldo, protettivo, rassicurante e telegenico dell’informazione di lana caprina.

Bossetti tenuto in galera, e tanti altri come lui, è l’ipostasi di un paese che non riesce ad infrangere le proprie catene, di istituzioni che si appellano a prove del Dna improbabili e astratte, che non sa guardare oltre le apparenze, che ripete pedissequamente i suoi errori fotocopiandoli per pigrizia e opportunismo. Alla fine le istituzioni siamo noi, uomini in carne e ossa, responsabili del nostro destino. Non siamo ancora macchine… ma siamo sulla buona strada per diventare automi. Non siamo ancora quel Dna che qualcuno pretende ci rappresenti, ma ne stiamo facendo il feticcio dietro il quale nascondere tutti i nostri luoghi comuni.

A quell’acido nucleico non è appeso solo il muratore di Mapello. A quei nanogrammi di sostanza biologica sta appesa anche la credibilità di scienziati, magistrati, giornalisti, opinionisti, criminologi e perfino uomini politici che stanno in quelle connessioni sistemiche di un paese da sempre organizzato in ruoli gerarchici e interconnessi. Di sicuro faranno di tutto per non mollare l’osso, ben sapendo che l’innocenza del Bossetti sarebbe una iattura per tutto un sistema di potere. 

Di certo scoprire un domani che è davvero innocente e che il Dna "trovato" non ha motivo di esistere non farebbe scricchiolare gli attuali rapporti di forza. Di certo, però, sarebbe uno spiacevole incidente di percorso e, chissà, forse farebbe riflettere quella vasta platea mediatica che ha l’attitudine di bersi tutto d’un fiato e a mandar giù senza ogni intruglio batter ciglio




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5 commenti:

Massimo M ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Massimo M ha detto...

Caro Gilberto,
questa volta non voglio farti i complimenti perchè finirei per apparire ripetitivo.
Questa volta voglio sottolineare la grande onestà intellettuale, colpevolista o innocentista qualsivoglia, con cui hai posto l'attenzione sul nodo cruciale di questa vicenda.
Timothy Durham fu condannato perchè alcuni capelli ritrovati nella zona del crimine avevano caratteristiche simili a quelli di TD, pari ad un 95%.
TD non era a Tusla dove venne consumato il crimine, si trovava a tirare a piattello a DALLAS con un riscontro di ben 11 testimoni.
Il dettaglio di questo caso è che sulla scena del crimine furono ritrovate anche INCONCLUSIVE tracce di sperma.
Condannato, dopo alcuni anni di carcere si ricolse all'Innocence Project una organizzazione giuridica che si impegna a difendere condannati ingiustamente attraverso l'uso di test del DNA. In 12 anni ha liberato 318 condannati ingiustamente a causa del DNA. Il DNA apparteneva ad un certo J. Garrison, morto suicida.

Il nostro caso non è così paradossale: mancano i testimoni e manca un alibi..........ma non c'è immediatezza per cui difficilmente 11 eventuali testimoni sarebbero stati in gradi di ricordare dove fosse MGB quasi 4 anni prima. Non ne ha la più pallida idea nè lui, nè i suoi stretti familiari che altro non hanno potuto fare come avrebbe fatto un accanito tifoso Milanista o Juventino che fosse: e cioè che se fosse stato di domenica ero quasi sicuramente allo stadio.

11 Testimoni a scagionare contro comparazioni di capelli e INCONCLUSIVE traccia di sperma.

Miliardi di Indizi non UNIVOCI e non interpretabili in maniera credibile contro 1 Traccia di DNA incredibilmente di ottima qualità di "forse sangue".

Mi chiedo se in mancanza di 11 testimoni l'Innocence Project avesse sposato la causa innocentista e portato alla liberazione di TD.
Mi chiedo CHI sarà in grado di evitare a MGB una condanna senza che nessun Innocence project, ammesso che ne esista in Italia, sia in grado di portare in esame un DNA che non può più esistere...........incredibilmente non più abbondante?
Se è questo l'oltre ragionevole dubbio.............perdiamo tutti e come hai ben detto: Agenda fra le mani............appuntarsi tutto. Potrebbe salvarci la nostra vita e quella dei nostri familiari.

Kris ha detto...

Articolo interessantissimo. Se in Italia non esiste un'organizzazione che tuteli dagli errori giudiziari...sarebbe opportuno che qualcuno la crei.
Anche se ci appuntassimo tutto su un agenda, non verremmo creduti lo stesso...non dobbiamo cambiare noi ma la testa di chi opera nella giustizia.

Kris

Gilberto ha detto...

Grazie Massimo M. e Kris

Il caso Bossetti infatti travalica lo specifico e pone l'accento sulle procedure e la mentalità che informano gli apparati della giustizia. A riguardo segnalo il saggio
LA PROVA DEL DNA TRA ESALTAZIONE MEDIATICA E REALTA’ APPLICATIVA: PROBLEMI TECNICI ED ONERE PROBATORIO (dell'università LA SAPIENZA): www.archiviopenale.it/apw/wp-content/uploads/2013/06/2012_laboratorio_prova.pdf

In realtà non l'ho ancora letto, l'ho solo scorso e da un primo assaggio mi è sembrato interessante (lo leggerò appena avrò un po' di tempo). Se ne avete voglia potete leggerlo e darne un giudizio...
Ciao
Gil

Kris ha detto...

Grazie della segnalazione Gilberto.

Kris